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Autore: MaryKei_Hishi    06/07/2009    5 recensioni
Lui, era un ragazzo strano, un ragazzo di una grande città, trasferito in una cittadina piccola come quella in cui sono nato per qualche motivo sconosciuto a chiunque. Era arrivato nella nostra scuola a semestre iniziato, non dava confidenza a nessuno ne era propenso ad instaurare rapporti d'amicizia con alcuno. Lui era.. come avvolto da un alone di mistero affascinante e seducente.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo X:

Special I: Victor pov.

 

In terza elementare feci l'angelo nella recita di natale. Ero biondo e avevo tanti boccoli ed ero perfetto per quella parte, non dovevo dire una parola e la parte era perfetta per me: dovevo solamente mostrarmi nella mia più totale bellezza.

 

Erano pochi mesi che ci eravamo trasferiti in America, e con mamma, a casa, io e lei, parlavamo ancora russo, non conoscevo altre lingue oltre a quella della mia terra natia.

 

Ho sempre amato il mio paese, la Russia, amo un po' meno il mio nome, Dmitri, comunissimo e stra usato, come un “Ted” o un “Jeck” qui. Victor è il nome che mi sono scelto, mi piace e tutti mi chiamano così. Peccato che sul mio documento ci sia ancora il mio vero nome.

 

Parecchie volte in questi anni siamo tornati per qualche rapido viaggio a Mosca, a trovare la nonna e gli altri parenti, il periodo che preferisco da sempre è il carnevale.

 

Il carnevale a mosca è qualcosa di unico, ai miei occhi, per lo meno. Mi è sempre piaciuto, fin da piccolo, anche se, i motivi per il quale mi piace sono cambiati con il mio crescere.

 

Visto dagli occhi di un bambino il carnevale è colori, divertimento, giubilo e scherno.

Visto con gli occhi di un adolescente, di un ragazzo, il carnevale moschevita è perdizione. Qualunque sia il senso che si attribuisce a quella parola.

I colori e il divertimento sono una maschera pittoresca e deviante di quel che è realmente.

 

Guardare il carnevale è come vedere una città addormentata riprendere vita dopo un acquazzone; colorarsi e diventare gaia e rumorosa, durante il giorno e durante la notte, senza sosta, rilasciando quella vitalità repressa durante il grigio del resto dell'anno.

 

Mosca è sorprendente durante il carnevale, io in quella città ci sono nato e anche se ci sono cresciuto in parte quando ci ritorno sento che è quella, casa mia.

 

La neve da sempre per me ha un buon odore. Ha l'odore di casa. E quel freddo che ti punge le guance per quanto è rigido è una bella sensazione, mi ricorda casa.

Mi alzavo la mattina e guardando fuori vedevo un paesaggio fermo, come in una foto immacolata.

 

Il trasferimento non fu molto traumatico: David, il marito di mia madre, ci accolse a casa, anche lui aveva figli, due, entrambi più piccoli di me. Un maschio e una femmina della stessa età, gemellini che non si assomigliavano per niente, né di fisionomia né tanto meno di carattere.

 

Con me, David era stato chiarissimo fin dal principio, di figli ne aveva già due e non aveva intenzione di acquisirne un altro. Non gli interessava quel che facevo a patto che non creassi casini. Bene, non potevo chiedere di meglio.

 

Io un padre non ce l'ho mai avuto e l'idea di poterne avere uno non mi piaceva, non lo volevo, quell'infiltrato, come padre.

 

David è il perfetto compagno per mia madre ed è un perfetto conoscente per me.

 

Lui non fa domande su quel che è la mia vita, non ne ha mai fatte, io non gli ho mai creato grane, è il mio modo di dirgli grazie.

Io e lui viviamo una simbiosi perfetta, lui non fa domande e io non gli devo risposte, ognuno di noi rimane al proprio posto e viviamo tutti felici e contenti.

 

Un anno e mezzo fa i fratellini sono diventati tre. E questo ha voluto dire tante cose, belle e brutte.

 

Delle belle fa parte il fatto che ho ancor più libertà: non da parte di David, da parte di mia madre.

Il pargolo la occupava quasi a tempo pieno e quel quasi era poi completato dagli altri due.

 

Di problemi economici non ne abbiamo mai avuti, David guadagna abbastanza per mantenere tutti, me compreso.

Guadagna abbastanza da permettere a mamma di non lavorare, per farla stare a casa con i bambini e con me;

guadagna abbastanza da mandare noi tre più grandi ad una di quelle scuole private d'élite ristrette, che comprendeva anche Vincent.

Lui non l'ha mai fatto per me in senso proprio, l'ha fatto più che altro per quel che la gente penserebbe se... se gli altri due ci fossero andati e io no. Un “etichetta” che io preferisco chiamare ipocrisia.

 

Non lo disdegno, questo mondo, per carità; e anche se non mi piace mi ci sono adagiato e l'ho reinterpretato assieme a Vincent.

 

Mi sono  sempre divertito con lui in tutte le follie che abbiamo messo in piedi.

 

Conosco Vincent dalla terza elementare, -anche se sono due anni più grande di lui per farmi ambientare meglio mi fecero tornare indietro di due classi, più che altro perché io di americano non sapevo una parola, figurarci a studiare, in quella lingua.- ed entrò nelle mie grazie quando, usando quelle poche parole che conoscevo nella sua lingua mi propose di indossare delle corna da diavolo alla recita.

 

Anche se non le misi la maestra me le trovò tra le mani e ci finì di mezzo, come se avessi compiuto chissà che scempio. Lui ne uscì fuori pulito come il bravo ragazzo che mostrava essere.

Imparai ben presto che a lui bastava fare “pat pat” con le ciglia ostentando un sorriso casto e puro  e otteneva tutto quel che voleva.

 

Beh, quasi tutto.

 

La prima volta che lo portai a casa ufficialmente come mio nuovo amico mia madre se ne innamorò; anche David, non appena sentì il suo nome: Vincent Duglas. Fu contento della mia amicizia con lui. Già che frequentasse la mia stessa scuola la diceva lunga sul conto in banca della sua famiglia.

A quel tempo era frequente che Vincent venisse a dormire a casa mia, non il contrario, però; se pur sveglio e alquanto calcolatore io ero pur sempre un bambino, non ne capito il motivo.

Con il tempo vidi tutti i suoi cambiamenti e con il tempo varcai anche quella soglia che mi sembrava tanto distante.

 

Due anni dopo il nostro primo incontro.

 

Due anni di amicizia serrata alquanto particolare, tanto da forgiare due caratteri complementari.

Il giorno che mi chiese se volevo andare a dormire da lui mi sentii speciale.

 

Quella serata me la ricordo veramente come se fosse il ricordo di un attimo appena trascorso, è una serata incancellabile per tanti motivi, alcuni convenzionali altri meno.

 

Ero bambino ed ero contento: due condizioni che avrebbero reso normale qualsiasi cosa avessi visto/sentito/provato, anche se, nella realtà dei fatti, non sarebbe dovuto essere così.

 

Quel pomeriggio lo passammo a casa sua tra videogame e chiacchiere varie.

La casa era deserta, c'eravamo noi e la cameriera che, finito di preparare la cena, sarebbe andata via lasciando le cose da scaldare, così da avere il fine settimana libero per un po' di personale svago.

Il primo a rincasare della sua famiglia fu suo fratello che, dopo aver salutato Rose, la cameriera -l'avevo sentito chiamarla così-, fece capolino nella stanza in cui io e Vincent stavamo giocando togliendosi la giacca.

 

-ehi vin-

 

Mise in pausa il gioco di combattimento proprio mentre stavo per uccidere un altro alieno verde, andò da lui e lo abbracciò tirandogli la maglia affinché si abbassasse, arrivato al suo livello lo baciò a stampo, sorridendo.

Vidi negli occhi di suo fratello che stava per dire qualcosa del tipo “sai che non si fa” ma Vincent no gli diede tempo per quella sorta di richiamo affettuoso presentandoci a vicenda. -Victor Horge, Horge Victor.- e via discorrendo.

 

Ci chiese se volevamo fare merenda con un sorriso tipico dei fratelli maggiori e noi annuimmo entrambi, erano gli stessi sorrisi che io facevo ai miei due fratelli acquisiti e loro ne erano contenti fino allo spasmo, mi sentii fratello minore per la prima volta.

 

Occupammo la cucina con la nostra presenza e Rose ci sgridò con un sorriso, ci preparò un classico latte e biscotti e, al tavolo, Vincent si mise seduto sulle gambe del fratello che se lo strinse tra le braccia.

 

-Vin, se papà te lo chiede, io sono rientrato alle quindici ok?-

 

vincenti annuì pronunciando un “no problem” che non era affatto da lui.

Per il resto del pomeriggio fu raro vederli staccati, tant'è che il mio quasi morto alieno fu lasciato libero di insediare la terra nel videogame che venne spento. Vincent gli era sempre addosso, voglioso e bisognoso di un contatto fisico con lui.

Quasi si addormentò quando Horge gli carezzò i capelli, dovevano essere molto uniti.

 

Horge era cordiale con me e non mi nascose il fatto che era contento che suo fratello avesse un nuovo amico, io sorrisi, quel giorno mi sentivo decisamente speciale, speciale più del solito.

 

Il clima di quella casa era rilassato e caldo tanto che mi sembrava di essere arrivato in primavera saltando qualche stagione.

Erano le sei e mezza di quel pomeriggio quando a fare ingresso nella casa fu loro madre che, una volta dato il proprio soprabito alla cameriera, ebbe da ridire sull'acqua nella vasca che non c'era e che non era pronto per il bagno che aveva intenzione di fare, senza considerare che non aveva informato nessuno delle sue intenzioni di fare un bagno caldo appena rientrata a casa.

 

Rose spense sotto i cibi che ancora dovevano finire di cucinarsi andando nel bagno, con la signora Duglas che aveva l'evidente intenzione di non lasciarla andare in un orario decente; ma quelle non erano cose che mi riguardavano.

 

Mi colpì che non ci salutò, ne me -di cui probabilmente non aveva nemmeno notato la presenza- ne dei suoi figli.

Era passata davanti a noi e non ci aveva nemmeno guardati o presi in considerazione. Non potei far a meno di confrontarla con la mia, e non c'erano paragoni, mia madre era migliore su tutti i fronti. Mi venne anche da chiedermi so fosse realmente loro madre.

Proprio mentre rose stava andando a preparare la vasca per la signora Horge la fermò dicendole che ci avrebbe pensato lui; le sorrise dolcemente proprio come sorrideva a Vincent e come aveva sorriso a me per tutto il pomeriggio.

 

Una volta chiusa nel bagno la casa sembrò sospirare, come liberata di un peso. Quel clima di ritrovata calma durò fin quando la porta d'ingrasso non scattò di una nuova presenza.

 

Erano le sette e mezza di sera quando il signor Duglas stava rincasando.

 

L'aria divenne elettrica in un secondo ed entrambi i fratelli si volsero a guardare la porta.

Una scintilla passò per lo sguardo di Vincent mentre Horge gli ripeteva l'orario in cui doveva essere rincasato quel pomeriggio. Orario che ricordava sicuramente Vincent, me lo ricordavo perfino io.

Era alla soglia del soggiorno e Horge si alzò in piedi guardandolo. Non era lo stesso sguardo con cui lo guardava Vincent.

Gli era andato incontro dicendogli della mia presenza ancor prima di salutarlo, lui mi guardò , più incuriosito che interessato, io lo guardai dalla poltrona e lui mi sorrise per poi portare di nuovo la sua attenzione sul maggiore dei suoi figli.

 

Tutta quella agitazione in casa per il suo rientro mi aveva fatto pensare ad una sottospecie di mosto, che, con quel sorriso, si era rivelata solo una fantasia bambinesca.

-papà..?-

 

Vincent si era avvicinato, aveva tirato la maglia del fratello che lo aveva preso in braccio e, come un automa, il padre  -forse per movimenti consolidati nel tempo.-l'aveva tolto dalle braccia di Horge per accoglierlo nelle proprie.

-sta sera c'è Victor, rimane a dormire.-

glielo disse Horge, come a volerglielo ricordare e mi fece segno di avvicinarmi e io lo feci e mi mise una mano su una spalla

 

-lui è il nuovo amichetto di Vincent.-

 

il signor D mi sorrise di nuovo e mettendo giù Vincent ci disse di non fare troppo baccano.

ero piccolo e non capivo i motivi di quell'elettricità nell'aria, ma una cosa la sapevo, mi sembrava tutto estremamente artefatto, come se fosse una recita del buon costume.

 

Un concetto più degli altri mi rendeva contento: ero speciale.

Non che non lo pensassi, di me stesso, ma sentirselo ricordare ogni tanto non guasta per un eccentrico dall'ego smisurato come me.

 

La notte io e Vincent dormimmo nello stesso letto e lui sorridendo mi baciò sulle labbra. Io ne fui sorpreso, non sconvolto.

Gli chiesi il parche di quel gesto che io consideravo intimo -a quell'età- e lui mi rispose che quello era il modo di dimostrare affetto.

Me lo disse come se fosse convinto che un bacio, e tutto il resto fosse la rappresentazione universale di un TVB.

Gli sorrisi e lo baciai a mia volta senza stare a pensare a cosa volesse realmente dire quel concetto che altro non era che un coperchio di un mondo.

Un mondo che avrei scoperto poco dopo senza nemmeno volerlo realmente scoprire, semplicemente mi ci trovai, in quel mondo: il mondo della famiglia Duglas.

 

Vincent mi leccò le labbra. Io a quel tempo non avevo mai baciato nessuno a quel modo; gli unici baci che avevo ricevuto sulle labbra erano quelli di mia madre che erano decisamente privi della malizia che ci stava mettendo Vincent.

 

Quello era l'unico modo di dimostrare affetto che conosceva.

Non un abbraccio o una carezza, ma un bacio bagnato.

 

-è tuo fratello a volerti bene così ?-

-anche, a volte papà ma solo quando non c'è Horge. Papà non mi vuole sempre bene.-

 

con quella domanda avevo tolto il coperchio e con quella risposta Vincent mi ci aveva fatto entrare, lui non sembrava dispiacersene di quella situazione, anzi;

sembrava rammaricato del fatto che il padre non gli volesse sempre bene, non il contrario.

 

Se guardo indietro ad ogni momento importante Vincent c'è. Beh Vincent c'era sempre.

Da che fossimo soli, in un letto a che fossimo nel mezzo di una folla di giovani ragazzi che, come me, stavano per affrontare l'audizione per un provino per fare il fotomodello.

 

La differenza tra me e loro?

 

Io lo facevo per vincere una scommessa con Vincent, e poi io ero certo di passare, loro tremavano al giudizio, io no.

 

...e per ovvie ragioni fui preso: un piccolo lavoro, una ventina di scatti per un atelier emergente.

Un modello alternativo per abiti decisamente alternativi.

In ogni servizio che ho fatto c'era quella punta di sensualità che io rendevo perfettamente anche solo con uno sguardo. Non ho mai lavorato per grandi marchi, solo per piccole case locali. La mia faccia, il mio corpo, sui maxi cartelloni pubblicitari non ci sono mai stati, forse, in futuro, chissà.

 

Vincent ha vissuto a mio fianco molti alti e molti bassi, è cambiato e impazzito molte volte per poi trovare un barlume di sobrietà mentale, lo ha sempre fatto, si è sempre salvato da solo.

Lo fa elevato a potenza, credo che quello sia il suo modo per risorgere dalle proprie ceneri, un po' come il mito della fenice di fuoco.

Ogni vita è fatta di cicli, più o meno ampi, che si ripetono, più o meno volte: Vincent li vive in maniera forte e io, di questi cicli, ne faccio parte da quel nostro primo bacio; come se fosse stato il segno tangibile di una sua accettazione di me. Il segno di un alleanza che aveva deciso di avere con me.

 

La mia amicizia, Vincent non l'ha chiesta, se l'è presa e io, comunque, non glie l'avrei negata.

 

Ricordo che non erano rare le volte che si presentava a casa mia, salutava mia madre e i miei fratelli con un sorriso e veniva in camera mia, un bacio, poi un altro e poi parole.

 Creava un discorso complesso e decisamente tutto suo con riferimenti a suo fratello e a suo padre, quando lo definiva stronzo o pezzo di merda beh aveva terminato il suo discorso, avendo trovato una o più argomentazioni che gli avevano dato ragione a prescindere.

Non ho mai pensato che Vincent fosse deviato mentalmente parlando per quel che mi diceva di suo padre; lui me ne ha sempre parlato come se fosse qualcosa di normale e io non avendocelo mai avuto, un padre, non ho mai messo nulla a confronto.

Lui era Vincent ed era così, non c'era molto altro da dire.

 

Quando Vincent aveva quattordici anni io ne avevo sedici e in quell'anno lo vidi perdere la ragione più volte e riacquistarla non sempre.

 

Quando Vincent aveva quattordici anni Horge ne aveva diciotto e in quell'anno Horge decise di morire.

 

Per quanto frequentassi quella casa, Horge l'avevo sempre visto come un ragazzo inquadrato e tranquillo e sopratutto ligio ai suoi doveri, di fratello maggiore e non solo. A scuola,  da quel che sapevo io era un ottimo studente, e da quel poco che mi raccontava Vincent, non aveva mai dato problemi ne per la scuola ne per altre cose, una sorta di ragazzo perfetto, e privo, almeno apparentemente di ragioni per togliersi di mezzo privando il mondo della sua presenza.

Horge non era come Vincent e si capiva anche dal modo in cui entrambi guardavano loro padre.

Odio ed ira il maggiore

adorazione ed un pizzico di rammarico l'altro.

 

Credo che in cuor suo, Vincent abbia sempre invidiato suo fratello, un invidia folle, tipica di Vincent; allo stesso tempo lo adorava, mi aveva detto qualche volta -quando capitavamo in argomento,- che se Horge non ci fosse stato probabilmente lui sarebbe stato trasparente.

Quando è morto Horge ho letto -per la prima volta da anni- la paura negli occhi di Vincent.

 

Paura di diventare invisibile

paura di aver perso tutto, avendo perso, dicendola in modo spicciolo, il suo ponte.

 

Al funerale era due file davanti a me; quando andai da lui lo vidi incassato nelle spalle timoroso di guardare altrove. Perso, in quel momento, in qualche anfratto buio di se stesso.

 

Paura di guardare suo padre, più che altro paura di leggere qualsiasi cosa nei suoi occhi.

 

Quelle paure non durarono molto, nemmeno una settimana. Il giorno che venne da me era sorridente e suo fratello era morto da otto giorni.

Mi raccontò della sua settimana passata e di come avesse atteso il padre e di come questi non ci fosse andato, da lui. Mi raccontò come fu lui ad andare dal padre forte di un proverbio che vedeva protagonista un monte e una divinità di qualche paese lontano dal nostro. Mi raccontò quello che successe dopo, più volte, a riempire quella settimana.

 

Era contento e non aveva smesso di sorridere una sola volta durante il suo racconto e io ero contento per lui che non smetteva di raccontare  mentre, tra le mie braccia  gli accarezzavo i capelli, diventati scuri come quelli di orge sempre nell'ultima settimana.

 

Il perché di quel colore ai miei occhi era palese, non mi misi nemmeno a chiederglielo, a lui andava bene e io non ero nessuno per mettere bocca, e nemmeno volevo, a dirla tutta.

 

Per qualche altro tempo non venimmo strettamente a contatto, periodo durante il quale non venne nemmeno a scuola.

Per sapere di lui chiedevano a me, ma io, se non era Vin a dirmele le cose, non andavo a chiedergliele.  Come era prevedibile si sconvolsero in molti nel sapere che io non ne sapevo niente, mi resi conto che visti da di fuori, io e Vincent, dovevamo sembrare un' unità, solo che la concezione del resto del mondo di quel che io e Vincent eravamo era diversa da quella che avevamo noi due.

 

“quando vorrà aggiornarmi verrà lui” continuavo a pensare ripetendolo nella testa, però lui non veniva.

Non rispose ne alle mie chiamate ne ai miei messaggi e questo voleva dire solo due cose: o stava bene, talmente bene da ignorare totalmente il resto del mondo, o era l'esatto opposto; e giusto per accurare quale delle due fosse mi decisi ad andare io da lui.

Venne ad aprirmi lui, in pantaloncini e ciabatte.

 

-benvenuto all'inferno.-

 

me lo ricordo come se me lo avesse detto un secondo fa.

 

Fece dietrofront e tornò nella sua stanza, io lo seguii fin nella stanza come lo raggiunsi sul letto quando lui ci andò sopra.

Non gli chiesi niente, non sapevo cosa avesse, ma ero certo di una cosa sola: se aveva a che fare con la morte di suo fratello non c'entrava niente con la sua  di metabolizzazione del lutto, lui l'aveva vissuto e era andato avanti fin troppo bene.

 Nel letto mi si avvicinò baciandomi, non voleva coccole o carezze, non voleva parole, e forse nemmeno per forza la mia presenza, io gli risposi e il dopo avvenne in un secondo; mi salì sopra mosso da una voglia che non era la sua; animalesco come non lo era mai stato. Assuefatto da quel qualcosa mi chiese di chiamarlo horge mentre lo scopavo.

 

Quella volta esitai nel pensare che come al solito si sarebbe salvato, in un modo o nell'altro, da solo.

 

Vincent non era mai stato tipo da lacrime, ed effettivamente nemmeno in quel momento aveva mai pianto, non fisicamente almeno.

Vederlo così era come vedere qualcun'altro disperarsi, ma lui non le riversava all'esterno, le lacrime, le faceva cadere dentro di sé.

Non rendeva partecipe gli altri. Lui, delle sue lacrime, ci si nutriva assorbendole nel profondo.

 

-io non ti farò del male, te ne stai facendo già abbastanza da solo.-

 

per quanto mi fu possibile il mio tempo, in quel periodo, lo dedicai completamente a lui, che sembrava vivere su un altro pianeta.

Sembrava svuotato e sembrava che solo io me ne accorgessi.

Non era raro in quel periodo che, una volta entrato in casa sua, lo trovassi in camera sua, sul letto intento a far nulla, perso in un mondo prettamente suo, puramente inesistente, sfatto come se non dormisse da giorni.

Vincent si stava lasciando andare, per colpa di suo padre.

 

I miei occhi hanno visto parti di vincent che nessuno ha mai avuto la possibilità di vedere, perche lui non l'ha permesso a nessuno, di vederla. Tranne me, ovvio.

 

Mi faceva tenerezza e rabbia allo stesso tempo, lui non era assolutamente il tipo da piangersi addosso, come non lo ero io, era una delle cose che ci accomunava, questa. Non era nemmeno tipo da deprimersi o quant'altro.

 Quelle, altro non erano che prerogative di gente che da sempre io e lui consideravamo incapaci di stare al mondo e che, oltretutto, non avevano capito un cazzo della loro vita.

Vincent non era una di quelle persone.

 

Quello fu uno dei cicli più lunghi di vincent, finito con uno “stronzo” e un “pezzo di merda” che avevano fatto tornare la luce nei suoi occhi.

 

Credo che ad oggi vincent non viva, sopravviva, e lo fa grazie ad un sentimento che si addice ad entrambi: l'odio.

L'unica differenza tra noi è che io non ho ancora incontrato persone su cui riversarlo.

 

 

 

 

 

grazie a tutti di aver letto, diciamoche questo capitolo dice tante tante cose, chiedo scusa per il ritardissimo e spero che il prossimo arrivi in un tempo decente *incolpa il lavoro* kiss a tutti!
   
 
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