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Autore: shilyss    19/06/2018    16 recensioni
La prigione dove Odino ha rinchiuso Loki è una cella asfissiante priva di finestre. Costretto in una forzata inattività ma niente affatto piegato, il dio degli inganni affida i suoi pensieri più oscuri a delle lettere. Il destinatario? Thor, l’avversario di una vita, il compagno d’avventura prediletto, il fratello con cui ha condiviso ogni cosa. Carteggio estorto dal tonante cui Loki accetta di piegarsi solo per raggranellare qualche beneficio in più. Perché gli obiettivi del dio degli inganni potrebbero incrociarsi ancora con il destino di Asgard, e nessuna cosa è per sempre, neanche nelle prigioni sotterranee degli Aesir.
Dal cap. 1: Dimmi, Thor, dov’erano mentre il ferro nemico ti lacerava la cotta di maglia, penetrava nella tua carne, tagliava i tuoi muscoli? Dov’erano i tuoi fratelli di sangue, così nobili e valorosi, che siedono ai banchetti accanto a Odino, che chiamano le loro armi mai macchiate di sangue nemico con nomi inutili e altisonanti? Quante volte saresti morto, figlio di Odino, se non ci fossi stato io a gridare, parare, pensare?
Genere: Avventura, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 6 – In mancanza d’aria

 

Lettera 39

 

Ma guarda! E così nostro padre è stato laconico, avaro di notizie riguardo il nostro ultimo incontro. Curioso, perché è durato quasi tutto il pomeriggio e non saprei davvero da dove cominciare. Bugia, lo so perfettamente. Non eravamo soli, ovviamente. Non lo siamo stati mai. C’erano altri membri del Consiglio, c’era il padre di Sigyn, persino. Un uomo modesto – di lei ha gli occhi – che si è spaventato, vedendomi. L’ho trovato ironico, sai? Un tempo, non molti anni fa, mi avrebbe guardato in modo diverso: ieri temeva che potessi far del male alla figlia adorata, allora si sarebbe raccomandato verso le Norne che io mi avvicinassi a lei con le peggiori intenzioni.

Quante ancelle di nostra madre ci hanno presentato le loro ragazze con un filo di emozione nella voce, gettandocele praticamente tra le braccia? A quante è stato detto di sbattere le ciglia e sfoggiare un abito particolarmente scollato affinché i nostri sguardi si posassero sulla pelle scoperta? Anche quest’uomo avrà fatto un ragionamento simile, forse lo fa persino adesso. Se solo non fossi il figlio disgraziato e reietto, che immensa fortuna sarebbe, che abbia deciso di nascondere il foulard della sua preziosa Sigyn nella mia umida cella! Ieri, invece, mi ha guardato con terrore e io non lo biasimo per questo. Mi hanno lasciato i ceppi alle caviglie e ai polsi e io, da parte mia, non ho avvertito la necessità di sfoggiare un abbigliamento elegante. Una tunica chiara piuttosto ampia, i soliti pantaloni, stivali comodi. Dignitoso, ma con quel pizzico di trasandatezza che gli ha fatto ricordare la mia posizione, il ruolo che ricopro. Avresti dovuto vedere nostro padre: era a disagio, e sarebbe stato evidente persino a un cieco come temesse di parlarmi. Forse nemmeno verso questo atteggiamento sarebbe giusto che mostrassi biasimo. I nostri ultimi dialoghi sono stati una serie di accuse crudeli gettate l’una in faccia all’altro, affilate lame retoriche che non hanno nessuno scopo apparente se non quello di rendere più profondo il baratro che ci separa. La sua giustizia per me non è tale, il mio tradimento per lui è la mossa inaccettabile di un ingrato che ha perso il senno. Ma ieri no, non eravamo ai ferri corti, o meglio, non potevamo permetterci di esserlo. Troppi occhi ci spiavano, in attesa di un passo falso, e nostro padre, come me, è troppo accorto per regalare gratuitamente uno spettacolo tanto volgare. Ma assistere all’interrogatorio del figlio imprigionato, lasciare che anche quando ti è seduto davanti lo stringano pesanti catene, non è in fondo lo stesso?

Il suo occhio rapace mi scrutava, avido di notizie che non poteva chiedermi, ma che certo non gli sono nuove: l’affezione che causa il mio pallore, l’aria sovreccitata e folle che anima il mio volto, erano per lui fonte di preoccupazione, era evidente, come è palese che tu non sei affatto in grado di mantenere un segreto. Non ho la forza di infuriarmi per questo, adesso. Fregare Padre Tutto non è uno scherzo, lo so bene, l’ho imparato a mie spese e tu con me, non è forse vero?

Il padre di Sigyn era lì in veste di parte doppiamente lesa: ha perso sua figlia e teme per l’altra. È andato da Odino supplicandolo di allontanarla da me, che metto a repentaglio la sua integrità fisica, mentale, morale persino. Questo non me lo ha detto in faccia, ma l’ho letto nei suoi occhi. Odino non mi ha messo alle strette per farmi confessare qualcosa che non posso aver commesso; stavolta è stato decisamente più morbido e ragionevole e mi ha proposto una sorta di accordo. Una serie di benefici in più di cui potrei godere all’interno della mia bella cella se mi impegnerò in maniera costante e, soprattutto, proficua, nella caccia al cacciatore. Buffo, vero? Metterà a mia disposizione guardie, libri, documenti, referti. Quasi tutto ciò che voglio.

Gli ho fatto presente che indagare in pochi metri quadrati di spazio non è solamente avvilente, ma anche scomodo e che non mi fido di nessuno. Un’affermazione ragionevole, l’ha definita, soprattutto considerando che il Cacciatore – continuiamo a chiamarlo così, fa colore – agisce indisturbato con sommo scoramento del nostro caro Heimdall. “Allora,” ha deciso Odino, “scegli tu un collaboratore; non mi importa chi, purché tu riesca a risolvere il problema.”

 

Non è andata così, ovviamente. Ho infarcito il racconto di qualche menzogna. Siamo stati soli prima che entrassero gli altri gentili ospiti. Lui era già seduto, in attesa, ma davvero il suo occhio rapace mi fissava in cerca delle risposte alle domande che non mi avrebbe mai fatto. I secondini, a disagio, mi hanno chiesto di accomodarmi e hanno iniziato ad assicurare le manette alla sedia. Mentre armeggiavano, nostro padre si è stizzito. “È capacissimo di liberarsi anche così,” ha tuonato, “assicuratele al tavolo e basta, senza perdere altro tempo!”

Che lusingante riconoscimento delle mie abilità, eh? Ci siamo scambiati quattro frasi in croce sul Cacciatore, poi ha lasciato che entrassero i membri del Consiglio, il padre di Sigyn. Un uomo sinceramente distrutto, preoccupato, ansioso. Il suo sguardo vagava da un punto all’altro della stanza, domandandosi muto se davvero avremmo dato una risposta a perché il Cacciatore si fosse accanito così sulla figlia maggiore. L’inconsolabile dolore si sommava ovviamente a quello per la testarda Sigyn. C’era, in lui, una mancanza di fede che mi ha stupito: non crede, nel profondo del suo cuore, che il pazzo maniaco venga prima o poi acciuffato, anche se il suo stesso sovrano ha deciso di occuparsene non dico personalmente, ma quasi. E allora, fratello, nostro padre ha sfoggiato una volta di più la sua grande abilità retorica e gli ha fatto un lungo discorso su quanto impegno metta ogni soldato di Asgard in questa caccia: e qui, Thor, è scattato il suo brillante piano. Se lo avessi ideato io, mi avrebbe guardato con aperto biasimo e certamente non si sarebbe lasciato scappare la possibilità di criticare la mia durezza, ma l’ha partorito la sua mente e allora era perfetto. Usa due pesi e due misure, come sempre. Ma andiamo avanti: la penna oggi è pesante da tenere in mano.

 

Quest’uomo di cui ora mi sfugge il nome, come ben sai, appartiene alla classe media: rovesci e disgrazie economiche lo stanno riportando nel buco da cui è emersa la sua stirpe nelle ultime generazioni: per questo la più carina delle sue figlie doveva sposare quell’ubriacone di Theoric: la classe dei cavalieri cui appartiene – a proposito, lo ricordi per qualche gesta in particolare, tu? Per quanto mi sforzi, io ho il vuoto, davvero – dicevo, l’ordine equestre garantirebbe a tutta la famiglia una posizione di invidiabile rispetto anche economico che non è per nulla da sottovalutare. Ti vedo, fratello. O meglio, immagino esattamente la faccia schifata che hai adesso. Il figlio di Odino non deve preoccuparsi di una cosa volgare come la sopravvivenza, dico bene? Che cosa poco aristocratica che è, fare i conti in tasca a un mercante che si è comprato la toga e che presto dovrà tornare a zappare la terra! (1) Ma la gente, caro il mio futuro re, vive con tali pensieri. Per la famiglia di Sigyn questi sono i problemi veri, reali, presenti. A loro non interessa di meno delle miniere dei Nani o della salute degli Elfi; Midgard è un punto lontano nel cielo che non saprebbero riconoscere, Svartlfheim un posto dove ambientare le fiabe da raccontare ai bambini, la sera. Ha senso l’oggi e quante monete sonanti tintinnano nel loro portafoglio di pelle. Sigyn non è la sola, oltretutto. Ha fratelli e sorelle più piccole che dovranno trovare una sistemazione in questo mondo. Ma perché ti parlo di questo? Non essere impaziente, adesso ci arrivo, promesso: i racconti hanno bisogno del loro tempo, devono cuocere come un piatto gustoso.

Nostro Padre ha rassicurato i membri del Consiglio: Asgard non brancola nel buio preda di un mostro. Ha un asso nella manica, una mente acuta che vigila già da qualche tempo sulla terribile minaccia: me.

“Cosa mi darà Asgard se l’aiuterò a liberarla dall’incubo?” Glielo avevo domandato quando eravamo ancora soli, cercando di non tossire, augurandomi di non lasciare segni. Nostro padre mi aveva guardato con attenzione scegliendo con cura ogni parola.

“Dipende. Cosa chiedi? Quanto tempo pensi di impiegarci?” Abbiamo trattato prima che orecchie indiscrete ci ascoltassero, lo confesso.

“Un pezzo di cielo,” gli ho risposto. “Più libri. La libertà è troppo, non me la daresti né io l’accetterei, forse. La possibilità di illudermi di vivere secondo il mio rango. Un’aiutante scelto da me. Altri, non ne voglio, non mi fiderei.”

 

Ha concesso tutto senza particolare enfasi, ovviamente. Teme quello che succederà – anzi, temeva quello che sarebbe potuto succedere se, per liberarsi da un mostro, ne avesse chiamato uno ben peggiore. Da re molto attento al consenso e all’immagine qual è, non ha potuto che decantare con parole gonfie di ammirazione i passi da gigante fatti in questi concitati mesi da me con l’aiuto della ragazza. Ha sottolineato come, nonostante fossimo privi di aiuti esterni, io e Sigyn avessimo già notato dettagli che i guaritori avevano trascurato, come la terra sotto le unghie, le asportazioni quasi chirurgiche, la coincidenza degli omicidi con eventi politici. Nostro Padre ha volutamente evitato di dire come il mio aiuto sia stato concesso non ad Asgard, ma a Sigyn, e solo in virtù di uno scambio non troppo nobile. Non era importante.

Mi hanno fatto molte domande e io ho risposto in maniera precisa, ma secca. Via ogni orpello retorico, bandite spiegazioni inutili: i membri del Consiglio, preoccupati e incuriositi, hanno potuto beneficiare soltanto di una manciata di frasi laconiche.

Al padre di Sigyn che chiedeva giustizia e protezione, nostro padre ha offerto sicurezza e tranquillità. Avresti dovuto vederlo, fratello! Quell’uomo era lì in rappresentanza di tutte le famiglie delle vittime ed è stato comprato, raggirato, irretito dal suo re in una maniera totale e inevitabile. Gliel’ho detto, sai? Non ho potuto resistere, a costo di dovermi beccare un’occhiata malevola del nostro augusto genitore. Il discorso del mercante è stato onesto, accorato. Per Astrid non c’era più niente da fare, ormai: le Norne avevano tagliato il suo filo in maniera atroce, ma Sigyn, la secondogenita, era una ragazza che ancora poteva essere felice e superare quest’incubo.

 

Odino gli ha parlato di responsabilità, di destino e di forze già in moto: come avrei potuto spiegare, gli ha detto, a un’altra persona il modo in cui indagavo? Quanto tempo avremmo perso se Sigyn, a metà dell’opera, avesse lasciato il suo lavoro da aiutante che lei stessa aveva caldeggiato? Povera ragazza: in verità l’investigatrice è lei e io mi limito ad essere nient’altro che un consulente, ma questo è un dettaglio che sembra non importare a nessuno.  Avrei potuto difendere i suoi molti meriti, ma sarei incappato nel rischio di far sembrare le mie parole più gentili di quanto non dovrebbero. Ad ogni modo ha concluso con classe, nostro padre, veramente: gli ha fatto l’elemosina risolvendo con uno schiocco di dita tutti i suoi problemi economici. Aveva proprio bisogno di un uomo fidato per certi suoi affari, gli ha detto, e così gli ha infiocchettato un’elargizione di beni e proventi che altrimenti sarebbe sembrata offensiva. Il brav’uomo non capiva e ringraziava il suo re genuflettendosi e io, maledicendo la mia tosse selvaggia e inopportuna, mi sono tolto la soddisfazione di portare un po’ di verità in quella stanza. Come potevo esimermi? Quello diceva: “e mia figlia, Maestà, la mia povera bambina deve comunque continuare a vedere questi orrori?”

Capisci? Cercava di convincerlo, fratello, e allora non ho potuto trattenere le risate e gli ho spiegato cosa stesse succedendo.

“Ci sta comprando,” gli ho detto. Mi sono sporto verso di lui, oltre il tavolo. “Compra te, compra me e compra Sigyn.”

L’attacco di tosse improvviso non mi ha impedito di spiegare. Nostro padre era illividito, il mercante ha aperto la bocca senza riuscire ad articolare una sola frase, per la paura, forse, di sentirsi apostrofato dal dio degli inganni in persona: uno di cui non ci si può fidare, che gioca e mente e, da troppo tempo, è rinchiuso dentro una prigione. Ha scosso la testa confuso e allora io ho insistito – che altro potevo fare?

“A te ha promesso la sicurezza che deriva da un impiego stabile e redditizio, a me una serie di benefici tra cui la presenza di Sigyn. Lei l’ha presa per me,” ho spiegato. Di fronte al suo smarrimento – o orrore? – mi sono sentito in dovere di puntualizzare una verità ovvia. “Ma non possiamo dirgli di no, dico bene? Ci compra e compra per noi ciò che vogliamo; non ci resta da fare altro che dire sì e rispondere grazie tante.”

 

Ha annuito, il buon padre di famiglia, non perché non ami Sigyn né perché desideri lasciarmela, ma per il buonsenso di mercante che certo non gli manca. Non gli ho reso il compito facile. Non ho l’aspetto che avevo un tempo, quando ero libero e fiero e camminavo per la mia Asgard come se mi spettasse di diritto: i ceppi mi stringono i polsi e le caviglie, i capelli sono spettinati e il mio viso è pallido e segnato dalla stanchezza. Ho un’aria selvaggia che mi appartiene naturalmente e che ho sempre cercato di mascherare con l’ordine: ma io, in fondo, non sono che il signore del caos e forse dovrei accettare che la mia immagine manifesti la mia natura. Il caos non è trasandatezza, se è questo che ti stai chiedendo, ma è qualcosa che il padre di Sigyn ha riconosciuto e di cui ha avuto paura: mi ha fissato come un tempo le guardie del palazzo spiavano il lupo di nostro padre quando, esasperato e furente, ficcava il naso oltre le grate e annusava il loro odore, la loro paura, e cercava di liberarsi dalla sua prigionia per fare l’unica cosa per cui era nato e che dava un senso alla sua esistenza: cacciare.

Ma torniamo a noi: nostro padre ha rimediato in fretta alla mia scomoda verità, promettendo quello che non può garantire, confermando cose che mi pareva avesse negato.

“Loki è sempre un membro della mia famiglia,” ha spiegato al padre di Sigyn, “e si comporterà con onore con tua figlia, come ha sempre fatto con qualsiasi donna. Vuole lei e gliel’ho concessa,” ha ammesso, “perché di lei sola si fida.”

“Sono solo parole, non ci crede,” ho riso. (2) Padre Tutto mi ha afferrato per una spalla; ho sentito la sua stretta calda e mi sono domandato quanto tempo fosse passato, dal nostro ultimo contatto. Ci prendeva in braccio da bambini, ci rimboccava le coperte quando c’era brutto tempo, ci faceva sedere sulle sue ginocchia durante i banchetti e ci consolava in quello stesso identico modo quando eravamo ragazzi, con quella stretta potente ed energica, eppure l’avevo dimenticato. Non mi si è risvegliato dentro alcun amore filiale, non credere. Il mio è lo stupore di chi ricordi all’improvviso qualcosa, punto.

“Non sono solo parole,” ha detto. “Tu non farai niente che possa nuocerle.”

 

Che ho annuito e accettato, questo forse te lo dirà. Che mentre lo facevo non ho potuto controllare la tosse, anche. L’attacco è stato violento e il fatto di aver cercato di trattenere gli spasmi, unito all’improvviso cambio di aria, deve avermi messo al tappeto. Annuivo e soffocavo. Al primo fiotto di sangue, ho cercato di coprirmi la bocca con le mani, ma invano: erano legate al tavolo. Ho perso i sensi, alla fine: l’unica cosa che ricordo è la voce di nostro padre che chiamava un guaritore.

 

Dicono che ho un piede nella fossa, o nella pira, a seconda dei punti di vista. Sono stato in bilico tra la vita e la morte, e non posso negarti di aver accarezzato l’idea di abbandonarmi a lei, a un certo punto. Credo che qualcuno mi abbia vegliato: forse nostra madre, o tu o Sigyn, o almeno così mi è sembrato. Non ha importanza. Ho i polmoni molto più malati di quanto non sospettava il tuo ciarlatano elfico. Un’affezione grave, potenzialmente letale. Per sopravvivere mi servono aria, riposo, sole. Tutte cose incompatibili sia con la mia attuale prigione, sia col pezzo di cielo che ho appena estorto. Mi serve qualcosa di più.

 

Nostro padre si è palesato poche ore fa. Mi è sembrato stanco. Dice che ci sono notizie del Cacciatore, ma che me le darà quando sarò in grado di pisciare da solo e non dentro a una sacca. Mi ha fatto ridere, sembrava preoccupato. Ha detto di aver dato ordine di sistemare per me la vecchia stanza dei bambini dove stava con i suoi fratelli, Vili e Ve (3). Il motivo è che ha un solo accesso, un ponte stretto che connette la zona nuova del palazzo reale con quella vecchia. Gli ho risposto che sapevo esattamente dov’era e che si trattava di una topaia. Ha replicato che nostra madre la sta rendendo vivibile e che ha una vista magnifica e un grande terrazzo. Ho domandato perché non avesse fatto costruire una gabbia più grande per il suo magnifico e fiero lupo. Non ha capito, né ricordato: gli ho dovuto raccontare di nuovo tutta la storia fin dove la ricordo, e quando finalmente è riuscito a ricollegare le mie frasi, ha scosso la testa. “Il lupo voleva morire,” ha detto. “Se anche gli avessi dedicato un bosco intero, non avrebbe mangiato né corso.”

 

Credo che dopo siamo rimasti in silenzio per ore, giorni, secoli persino, finché ha parlato di nuovo. Devo proprio dirtela, fratello, la sua frase è stata irripetibile e non ammetterà mai di averla pronunciata, ma invece l’ha pronunciata e tu devi sapere. “Non è a causa mia che morirai. Io ti ho condannato e imprigionato, ma sei tu che hai fatto il resto.”

Fanne quello che vuoi. Giudicala tu, rigiratela in gola come ho fatto io, ancora immobilizzato in questo letto e guardato a vista. La penna è diventata mortalmente pesante e ora devo riposare.

 

 

Lettera 40

 

Sai che non amo gli incipit melensi, Sigyn. Se mi fossi cara non avrei bisogno di scrivertelo su un pezzo di carta. Te lo direbbero i miei occhi e i miei gesti, non trovi? Il tuo ex fidanzato ti chiamava cara e diceva che eri la più bella del reame ogni volta che ti vedeva, ma quando è morta tua sorella si è slacciato i pantaloni e ti ha chiesto di provvedere. Un gentiluomo. Mi ha mandato un biglietto in cui farneticava che chiederà a Odino in persona di intervenire e punire la mia intromissione nel vostro splendido rapporto. Non aver paura: il mio augusto genitore adottivo stravede per te e ritiene che la tua presenza possa far bene alla mia salute, oltre che alle indagini. Continua a cercare. Abbiamo trovato un legame flebile tra due delle vittime, ma potrebbe essere un falso indizio messo appositamente in giro dal Cacciatore per depistarci. Con Heimdall parlerò direttamente io o, se non vorrà farlo, spedirò mio fratello con un elenco puntato e una serie di domande già scritte. Ti raccomando solo tre cose: non deprimerti venendo qui un’altra notte, non ne ho bisogno, fai molta attenzione e non parlare con nessuno e, soprattutto, dai fuoco a tutta la nostra corrispondenza. Io lo faccio.

 

 

Lettera 41

 

Sei un idiota senza speranza fratello, e Balder con te. Non so da dove cominciare e scrivo anche in una posizione fottutamente scomoda: in un letto, con una guaritrice con i baffi che fa l’uncinetto e mi guarda malissimo. Sigyn è appena andata via. Quando si è presentata contro i miei desideri, ieri, mi ha risposto soave che la mia opinione per lei contava moltissimo, ma che aveva chiesto il permesso di visitarmi a Odino in persona. Lui le ha dato il suo benestare e indovina? Eccola qui. Non può avvicinarsi al mio letto e con tutta questa gente intorno a noi dobbiamo necessariamente parlare in codice. Solo che non possiamo inventarci un linguaggio segreto di fronte a due guaritrici baffute e tre secondini mezzo addormentati, e io sono ancora troppo debole per elaborare. Così cerchiamo di essere neutrali e laconici. So benissimo che effetto le fa vedermi così. Si sente in colpa per non aver indovinato il mio male ed è in ansia per il Cacciatore.

È a disagio, ovviamente. Senza il vetro a proteggerla, si sente vulnerabile, esposta, in pericolo. Un conto è chiedere aiuto a un prigioniero rinchiuso che non potrà mai sfiorarti, tutt’altra cosa è sedersi a pochi centimetri dal suo letto. Protetto da una serie di rune in grado di attivarsi se solo metto un piede fuori posto, ma c’è tutto il resto, Thor. L’odore. La possibilità di toccarsi. La paura, persino. Non ha mai avuto il coraggio di farsi avanti, quando ero libero. Le ancelle di nostra madre ci presentavano le loro figlie brave a civettare, ammiccanti e seduttive e lei si nascondeva dietro una colonna, in mezzo alla folla. Avremo attraversato lo stesso corridoio mille volte nello stesso momento: se solo avesse alzato gli occhi per guardarmi, se avesse avuto il coraggio di rallentare il passo e lanciarmi un sorriso, forse le avrei risposto. Invece è facile confessare il proprio amore a qualcuno che non può rispondere se non evocando il tempo passato in maniera nostalgica e rabbiosa, pensando a ciò che si è perso, abbandonandosi a un rimpianto che non per forza deve essere una storia d’amore. Dicono che la mia vita sia appesa a un filo; io sostengo, a differenza, che nei sotterranei ero morto, per questo lì Sigyn aveva il coraggio di guardarmi.

Tutto il contrario di quando indaga per mio conto, non ti pare? Lì la ritrosia scompare, la timidezza diventa spavalderia. Sono colpito dall’insistenza con cui conduce le ricerche, davvero. Si diverte a raccontarmi l’aria spaventata e inquieta che assumono le persone quando, senza nascondere una punta di soddisfazione, dice che agisce in mia vece. Godo ancora di una certa autorità tra la mia gente, interessante. Forse è proprio questa grande considerazione ad aver scatenato questo piccolo terremoto, ti pare? Sono in attesa del risultato, dovrà arrivare tra qualche giorno, e allora sapremo meglio che strategia adottare.

Intanto, pensiamo al buon vecchio Heimdall. Il nostro guardone preferito è nei guai, ma per quanto non possa negare una certa soddisfazione nel vederlo nei casini, sono assolutamente certo sia della sua buona fede che della sua onestà. Questo non significa, però, che tu non lo debba interrogare: non nutro sospetti su di lui, ma voglio capire perché stanno cercando di tirarlo in mezzo. Solamente io avrei saputo fare di meglio – o peggio, a seconda dei punti di vista –, quindi obbedisci alla mia richiesta e fagli quelle cazzo di domande. Tutte, anche la 19.

 

 

Lettera 42

 

Sono le medicine, deficiente. Dopo aver sigillato la mia ultima lettera ho scoperto di stare di nuovo male e ho passato la notte a delirare. La domanda 19 non era volta a insultare quel ficcanaso permaloso, ma a capire perché la vittima numero 5 è stata ritrovata proprio a casa sua. Scusa, ma è una coincidenza brutta. Sigyn non è la mia balia e non passa tutti i pomeriggi qui. Viene quando ha qualcosa da dirmi o da portarmi. Non ritengo che, date le circostanze, la nostra conoscenza debba varcare determinati confini.



L’angolo di Shilyss

Cari Lettori,

Eccoci finalmente a uno dei capitoli più importanti della fic, dove qualche velo ha iniziato finalmente a sollevarsi. Ero così impaziente di farvi leggere questo capitolo, non ne avete idea! Cosa sarà successo al nostro Loki? Pare proprio che la sua malattia fosse vera, ma di cosa si tratterà? Come sempre, vi ringrazio per gli apprezzamenti che state dimostrando verso questa storia. Ringrazio infinitamente coloro che stanno recensendo regalando alla Fatina dell’Ispirazione momenti di giubilo e dandomi una misura del loro apprezzamento. In particolare grazie a Myrose, Makochan, Avareil, Sildoryl, Lightning, MaxT.

Quella ghiottona della Fatina spera ovviamente che qualche altro silente si manifesti, ma ad ogni modo grazie per essere semplicemente qui.

Per il nostro consueto appuntamento, ci si vede domenica!

1 Nobiltà di spada e di toga sono due modi distinti per definire la nobiltà. Banalizzando tantissimo, quella di spada è più antica e “nobile”, quella di toga è appannaggio di gente ricca che acquista la nobiltà pagandola.

2 Una citazione dal primo Avengers.

3 Effettivamente nell’Edda Odino ha altri due fratelli che hanno, appunto, questi nomi.

 

Shilyss


   
 
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