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Autore: willsolace_leovaldez    19/06/2018    1 recensioni
*AVVERTENZA: QUESTA STORIA NON TIENE MINIMAMENTE CONTO DEI FATTI NARRATI ALL’INTERNO DELLA TRILOGIA “LE SFIDE DI APOLLO”, PERTANTO NON CONTIENE SPOILER! BUONA LETTURA!*
Sono infinite le storie che narrano le gesta dei semidei. Esseri umani dotati di poteri straordinari, nati dall’unione tra un mortale e una divinità, che da millenni combattono contro i mostri che vogliono distruggere il nostro mondo. Ma poche, quasi nulle in verità, sono le storie riguardanti alcuni particolari semidei. Più potenti e più forti di un normale mezzosangue, nati non da una, ma da due divinità. Mandati sulla Terra dai loro genitori, talvolta per errore, talvolta con uno scopo ben preciso. Sono rari, pressoché sconosciuti, ma esistono. Vengono chiamati “Figli del Cielo”. E sono tra di noi.
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
Scopro di avere poteri magici

 
Mi mancava il fiato. Non riuscivo nemmeno a formulare un pensiero o una frase. Me ne stavo lì, a guardarli mentre i semidei si alzavano e venivano mandati a svolgere le proprie attività da Chirone. Dopo aver costretto anche l’ultimo ragazzo ad andarsene, il centauro si avvicinò a me.
-Andiamo, Giulia. Vieni con me- disse prendendo lui la mia borsa e dirigendosi verso una grande villa vittoriana a tre piani con le pareti pitturate di azzurro e gli infissi bianchi, che prima non avevo notato. Adesso che lo osservavo meglio, non avevo fatto caso ad un sacco di cose. Quel posto era immerso nella natura ed era tutto colline verdeggianti e laghetti scintillanti. Doveva essere un bel posto dove vivere. Entrammo nella villetta e notai che era molto accogliente, l’ingresso era pieno di poltroncine e divanetti ed ad una delle pareti era attaccata una testa imbalsamata di un leopardo. In un angolo c’era persino un vecchio videogioco di Pac-Man! C’erano anche delle maschere greche attaccate alle pareti. Decisi che quel posto mi piaceva. Rividi le mie precedenti impressioni quando mi accorsi che la stanza era completamente ricoperta di tralci di vite. Come cavolo era possibile? Quando misi piede in quello che doveva essere il soggiorno Chirone mi indicò il corridoio
-Se ne hai bisogno, in fondo al corridoio c’è un bagno.- ne avevo bisogno? Decisamente. Ringraziai con un sorriso forzato e mi avviai per la direzione indicatami da Chirone, quando un rumore molto simile ad un ruggito mi trattenne. Mi voltai e vidi che la testa di leopardo che avevo notato era tutt’altro che imbalsamata. Urlai dal terrore e mi appiatti contro la parete opposta. Chirone non riuscì a trattenere una risata. Perché, ovviamente, è normalissimo che una testa imbalsamata sia viva. Ovviamente.
-Quel coso è vivo!- urlai, indicandolo. Chirone frugò in un cassetto e tirò fuori un pacchetto di crocchette per cani. Ne lanciò una al leopardo, che l’azzannò al volo e si leccò i baffi.
-Perdona l’arredamento- disse rivolgendosi poi a me –Tutto quello che vedi è stato un dono d’addio del nostro ex direttore prima che venisse richiamato sull’Olimpo. Pensava che ci avrebbe aiutato a ricordarlo. Il signor D ha uno strano senso dell’umorismo. Quanto a Seymour…- aggiunse riferendosi alla testa sulla parete –beh, il signor D l’ha liberato dalle bancarelle di un mercatino delle pulci, a Long Island. Il leopardo è il suo animale sacro, e il signor D era inorridito che qualcuno avesse imbalsamato una così nobile creatura. Ha deciso di donargli la vita, nella convinzione che una vita da testa appesa al muro sia comunque meglio di nessuna vita. Devo ammettere che è un destino migliore di quello toccato al precedente proprietario di Seymour.*- spiegò.
-Signor D… Dionisio!- esclamai ricordandomi che il leopardo era l’animale sacro del dio del vino –il vostro direttore era il dio del vino!- Chirone annuì
-Sì bambina mia, però non mi metterei a dire i nomi degli Dei a destra e manca. I nomi sono potenti ricordalo.- mi ammonì poi. Io annuì leggermente, non capendo molto bene cosa ci fosse di così potente in un nome
-Okay… che fine ha fatto? Perché è stato richiamato?- chiesi. Chirone agitò la coda e andò verso una sedia a rotelle, sulla quale, non chiedetemi come, si sedette, sembrano subito più rilassato
-Sull’Olimpo sono, come dire, in agitazione. Hanno chiuso i battenti. Si hanno loro notizie soltanto quando devono riconoscere qualche semidio. Sono in condizioni pessime, stanno impazzendo lentamente. Combattendo tra la loro natura greca e quella romana.- sospirò con aria grave –Non è il momento per certi discorsi, ora vai- concluse. Io ovviamente volevo sapere di più, ma dal tono che aveva usato Chirone capii che il tempo per le domande era terminato e che non fosse saggio insistere su quella storia. Mentre passavo vicino a Seymour per andare verso il bagno, lui annusò l’aria come in cerca di altre crocchette. Mi chiesi dove finisse il cibo, ma pensai fosse meglio non chiedere, in fondo non ero poi così certa di volerlo sapere. Non appena chiusi la porta del bagno, mi poggiai con tutto il corpo contro di essa, lasciandomi scivolare fino al pavimento con un sospiro. Stavano succedendo troppe cose insieme. Non capivo più nulla. Apollo e Calliope, due Dei, sostenevano di essere i miei veri genitori. Era impossibile, non avevo mai sentito una cosa simile. Avevo letto tantissime storie di figli di un dio e un mortale, ma mai di persone figli di due divinità che avevano anche dei genitori mortali. Non esistevano secondo la mitologia. Io non esistevo. Dopo una decina di minuti mi decisi ad alzarmi in piedi ed aprii l’acqua fredda. Ne presi un po’ fra le mani e me la gettai sul viso. Mi guardai allo specchio. Ero pallida come un fantasma. Mi pizzicai un po’ le guance, per cercare di far affluire un po’ di colore. Non fece miracoli, ma fu d’aiuto. Sembravo decisamente meno morta. Presi un bel respiro e decisi di ritornare da Chirone. Il centauro stava leggendo un libro e non si accorse di me. Non sapevo molto bene cosa fare, non volevo interromperlo mentre leggeva, ma non potevo nemmeno rimanere lì ferma come uno stoccafisso. Quindi mi schiarii leggermente la voce, annunciando la mia presenza. Il centauro si voltò verso di me e sorrise facendomi segno di accomodarmi. Mi sedetti su uno dei divanetti in pelle di fronte al camino spento, mentre Chirone si mise con la sua sedia di fronte a me, guardandomi in attesa. Ovviamente voleva conoscere la storia. Storia che io non sapevo. Calliope aveva fatto proprio un bel lavoro affidando a me tutta la responsabilità e scomparendo. Peccato che io non sapevo nemmeno che loro fossero i miei genitori, figuriamoci se potevo giustificare la mia esistenza.
-Giulia,  so che è difficile, ma vuoi darmi qualche spiegazione? Dimmi tutto quello che sai.- disse, tentando di farmi sentire a mio agio. Io mi misi a gambe incrociate e lo guardai con innocenza
-E cos’è che so io?- domandai a tono. Lui sospirò
-Giulia…- disse in tono ammonitore
-Signore…- lo stavo per far spazientire, ma io non sapevo davvero niente
-Giulia, lo so che non ti puoi ricordare nulla, però i tuoi genitori mi hanno garantito che tu avresti potuto darci qualche spiegazione. Sei molto più speciale di qualsiasi altro semidio qui dentro, è importante capire perché. Anche tu vuoi sapere la verità, nel profondo. Quindi prova a concentrarti, davvero non senti nulla?- insistette. Io sospirai, ero tentata di rispondere con un secco “no”, ma sapevo che non ci avrebbe condotto da nessuna parte, quel centauro poteva essere davvero convincente! Perciò, chiusi gli occhi e provai a concentrarmi, iniziai a sentire come una voce parlarmi, ma ero più che certa di essere l’unica a sentirla. Grandioso, pensai, ora sento anche le voci nella mia testa! Nonostante la stranezza del fatto, decisi di assecondare quella sensazione. Aprii gli occhi e presi un bel respiro. Poi iniziai a parlare
-Mi chiamo Giulia Bianchi, ho quindici anni e sono nata… sull’Olimpo. I miei genitori…- mi si incrinò la voce, era più difficile del previsto –i miei veri genitori, sono Apollo e Calliope, due Dei. Questo dovrebbe far di me una Dea, ma non lo sono e non lo potrò mai diventare, a meno che non mi offrano l’immortalità ovviamente. Io sono una semidea, ma una semidea un po’ diversa. Sono una cosiddetta “Figlia del Cielo”, ovvero una ragazza nata da due genitori divini che per qualche strana ragione hanno dovuto abbandonare il loro bambino sulla terra senza poteri. Siamo quasi una leggenda.- non sapevo veramente quel che stavo dicendo, anzi lo stavo apprendendo in quel momento. Parlavo come in trance, seguendo ciecamente le parole che mi venivano sussurrate all’orecchio. Chirone, rimanendo in silenzio, mi fece segno di proseguire. -Io sono la prima dopo tanti anni. Ma non mi chieda perché io sia qui. Ti prego- le ultime parole le avevo sussurrate. Chirone annuì leggermente, accettando la mia decisione. Non volevo sapere perché i miei genitori mi avevano lasciata andare, non in quel momento. Anche se avevo una mia personale teoria. Secondo me quando l’Olimpo rischiava un sovraffollamento Zeus andava da famiglie a caso e diceva cose del tipo: “Ciao, come butta? Ah sentite, dite addio a vostra figlia. Se volete che viva, domani dovrete spedirla giù dal regno immortale. Ma, ehi, la vita è bella, potrete di sicuro sfornare altri bimbi! Ci si vede!” o cose così. Non era proprio il massimo, ma era lo scenario più piacevole da immaginare.
-Sei proprio sicura, Giulia? Questa potrebbe essere l’unica chance rimasta per scoprire la verità- feci un sorriso amaro
-Ho vissuto in una bugia per quindici anni. Credo di poter sopravvivere un altro po’. – feci una pausa -Quello che voglio sapere è perché ora. Perché solo adesso si sono degnati di farsi vivi?-
-Perché ti abbiamo trovata e condotta qui, i tuoi genitori sono stati costretti a riconoscerti. Questo vuol dire che sei in pericolo.- lo guardai confusa –Se hanno fatto in modo che ti trovassimo e se ti hanno riconosciuta è perché sei abbastanza grande. Sei abbastanza grande perché le tue particolari capacità si manifestino. Tutti i semidei hanno qualche potere o abilità ereditata dai propri genitori. Tu hai più o meno il doppio dei poteri di un mezzosangue qualsiasi. Oltre a quelli ereditati, hai dei poteri tuoi e ben presto si manifesteranno. E quando lo faranno saranno tutt’altro che meravigliosi. Avranno una forza disruttiva, pari a quella di una bomba atomica, per essere stati sopiti così a lungo. Dobbiamo fare in modo che tu riesca a contenerli, almeno per il momento. C’è una piccola possibilità che con l’avanzare del tempo si quietino, fino ad essere, per così dire, “passivi”, completamente sotto il tuo controllo.ma fino a quel momento dobbiamo fare qualcosa noi- spiegò andando verso un armadietto. Sospirai
-Come dovrei fare?- Chirone frugò dentro una delle ante e ne tirò fuori un vecchio guanto da arciere, che poi mi lanciò. Io lo afferrai e lo posai immediatamente con un verso di disgusto. Era rivoltante.
-Dai su provalo- insistette lui. Lo presi riluttante in mano e lo squadrai. Era troppo piccolo per entrarmi e troppo rovinato per reggere. Inoltre puzzava di pesce marcio e di vino troppo stagionato. Chirone però lo guardava pieno di aspettative. Poi dal guanto uscì un enorme ragno peloso e, prima che potesse sfiorarmi, lo ributtai sul divano lanciando un gridolino. Se c’era qualcosa che proprio mi terrorizzava, erano i ragni.
-Io questo non lo metto! Non so nemmeno tirare d’arco!- esclamai. Il centauro fece un sorrisetto divertito e prese un arco con faretra.
-Ne sei sicura?- io annuii con vigore -Provare non guasta mai- replicò passandomi le armi ed indicandomi una delle maschere come bersaglio. Io sospirai ed incoccai una freccia. Non appena alzai l’arco con la freccia incoccata, una scarica elettrica mi attraversò il braccio, facendomi quasi perdere la presa sull’arma, ma mi costrinsi a tenere la mano ferma. Stesi al massimo la corda e scoccai la freccia. Non mi impegnai nemmeno a prendere la mira, tanto pensavo che fosse inutile tentare, eppure la freccia andò a conficcarsi esattamente dentro un occhio della maschera. Ne rimasi sbalordita. Come cavolo avevo fatto?! Chirone invece parve soddisfatto
-Non tutti i figli di Apollo sono dotati con l’arco, ma tu dovevi esserlo per forza. Ora sai che fare con quel guanto. Infilalo, oltre ad essere molto comodo per gli arcieri, è magico. Limiterà la tua magia finché non sarà giunto il momento adatto per usarla. Ma non dovrai mai toglierlo. Se lo facessi… potresti esplodere con la forza di una supernova- spigò mentre io riprendevo in mano quel pezzo di cuoio
–Incoraggiante…- sussurrai sarcastica mentre infilavo titubante la mano destra in quel coso. All’improvviso non era più rotto o puzzolente o piccolo. Era uno splendido guanto di cuoio, di quelli che si vedono spesso in televisione durante le prove di tiro con l’arco alle Olimpiadi. Solo che il mio aveva un non so che di antico e mi arrivava più o meno quattro dita sotto il polso. Inoltre era incredibilmente comodo e leggero. Si chiudeva con delle fibbie sul polso e si adattava perfettamente alla forma della mia mano. Come si dice: non giudicare mai un libro dalla copertina. Guardai il vecchio centauro con stupore
-Wow- mi limitai a dire. Lui sorrise ed annuii
-Lo so- si alzò dalla sedia a rotelle, tornando in forma equina, e mi accompagnò fuori dalla Casa Grande.
-Purtroppo non abbiamo una casa dedicata a Calliope, ci capitano di rado, mai a dire la verità, suoi figli. Di solito le muse non hanno figlie con i morta…- si interruppe schiarendosi la voce –comunque abiterai nella cabina di Apollo. Ho informato il capogruppo, Will Solace, hanno già liberato un posto per te- proseguì, leggermente in imbarazzo per quello che stava per dirmi nemmeno cinque secondi prima. Avrei voluto dirgli che non c’era nessun problema, che non mi sarei offesa se avesse detto “Calliope/Apollo di solito non ha figli con i mortali”. Ma era gratificante che per una volta qualcuno si preoccupasse di come mi sentissi. Già, sono una persona orribile da questo punto di vista. Chirone mi indicò una capanna dorata e abbagliante. Dall’interno proveniva un grande chiasso. Mi mise allegria.
-Ci sto- dissi con un sorriso. Chirone sembrò sorpreso dal mio repentino cambio d’umore, però non disse nulla a proposito, si limitò ad accompagnarmi verso quella che sarebbe stata la mia nuova casa. Mi fece anche da guida. Mi spiegò a chi apparteneva ciascuna casa, la disposizione, e tenne un corso avanzato di storia greca. Ora che mi ero tranquillizzata, notai che ero circondata da tutti i miei sogni di bambina. Ero immersa nella mitologia greca, tutto intorno a me trasudava storia e mistero. Io stessa facevo parte di quel mondo che avevo sempre amato. Pensai che forse mi sarei trovata bene lì. Quando arrivammo davanti la capanna bussammo e ci venne ad aprire un ragazzo biondo, alto e con gli occhi azzurri come il cielo.
-Oh, Will! Lei è Giulia Bianchi, Giulia lui è Will Solace- ci presentò Chirone. Will, non appena sentì il mio nome, mi guardo e sorrise ampiamente porgendomi la mano
-Così tu sei la nuova arrivata, è un piacere conoscerti Giulia- disse affabile. Io gli strinsi la mano brevemente, non sapevo mai che dire o fare in circostanze del genere.
-Piacere mio, Will. Così tu sei il capogruppo- osservai. Lui annuì
-Già, in teoria sono chi dirige la cabina ed impedisce ai miei fratelli di attaccare briga con chiunque, in pratica ognuno fa come vuole- disse ridendo. Sorrisi anche io, quel tipo mi piaceva. Chirone mi mise una mano sulla spalla
-Beh allora io vi lascio alle presentazioni, a dopo ragazzi- si congedò per poi ripartire al trotto. Io e Will rimanemmo per alcuni istanti fermi, senza sapere bene cosa dire. Poi lui parlò
-Oh che stupido, entra pure- disse scostandosi dalla porta. Io raccolsi tutto il coraggio e la positività che possedevo ed entrai. La casa all’interno era più grande e sobria di quanto lasciasse intendere dall’esterno. C’erano vari letti a castello, qualche libreria e qualche porticina verso il fondo. Era piena di archi, strumenti musicali, spartiti, bende e medicinali. Avete presente la sensazione di cui vi avevo parlato prima? Del fatto che ero circondata da cose fichissime e che forse mi sarei trovata bene? Ecco, durò più o meno cinque secondi, fino a che non misi piede dentro la cabina e non conobbi lei.
-Benvenuta nella cabina 7, Giulia.- disse –Ragazzi, un po’ d’attenzione per favore!- urlò, richiamando l’attenzione dei presenti su di me.
-Lei è Giulia Bianchi, è la nuova figlia di Apollo, datele il benvenuto- tutti stettero zitti a guardarmi, era piuttosto imbarazzante. Soltanto la ragazza che aveva urlato prima “papà” si fece avanti, squadrandomi da capo a piedi
-Sappiamo bene chi è. Come non potremmo? Tutto il Campo ti conosce, carina- disse. Io rimasi in silenzio, so per esperienza che è molto meglio non rispondere alle provocazioni. Lei aggrottò la fronte, assumendo un’espressione tra lo scocciato e il divertito
-Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?- si rivolse agli altri –Ragazzi, siamo proprio sicuri che lei sia una specie di Dea? Non ha un aspetto molto divino. In effetti assomiglia molto di più ad un sacco di patate.- disse facendo ridere due o tre ragazzi all’interno della capanna. Rimasi a guardarla
-Allora mi senti sì o no?- chiese scandendo bene
-Destiny…- iniziò Will. Così si chiama Destiny
-E tu sei proprio sicura di essere una semidea? Non hai un aspetto molto eroico. In effetti assomigli molto di più ad una zanzara. La voce è fastidiosa al punto giusto.- risposi a tono, suscitando qualche risolino qua e là. Destiny zittì tutti con un gesto della mano
-Senti tu, piccola insulsa…- non seppi mai cosa dovevo sentire, poiché Will si mise in mezzo a noi
-Okay, okay! Destiny, basta. Torna a fare qualsiasi cosa tu stessi facendo e lasciala perdere. Dai su- disse cercando di sembrare il più autoritario possibile. Destiny mi lanciò un ultimo sguardo di fuoco e si voltò, facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi. Ringraziai mentalmente Will per essere intervenuto. Quest’ultimo si voltò verso di me e mi guardò con sorriso un po’ sbieco
-Come fai ad essere qui da soli cinque minuti ed aver già litigato con qualcuno?- alzai le spalle
-Dote naturale. Allora, Chirone aveva detto che avevate già liberato un posto per me. Dove mi sistemo?-
-Oh si giusto, vieni pure. Da oggi questo sarà il tuo letto, puoi sistemare le tue cose in questo baule o nelle mensole lì sopra. Ti lascio al tuo lavoro, ciao- disse con un sorriso, per poi allontanarsi e cominciare ad armeggiare con un kit del pronto soccorso. Mormorai un “grazie” e mi misi a disfare il mio bagaglio. Stavo sistemando il mio blocco da scrittura, quando vidi Destiny avvicinarsi a me
- Senti, carina. Non credo che tu debba stare qui con noi- disse. Io mi voltai a guardarla, di ragazze come lei ne avevo viste a milioni: snob, presuntuosa e invidiosa marcia.
–E perché?- chiesi fingendomi interessata. Lei abbassò la voce
–Perché tu non sei una figlia di Apollo, tu sei diversa, pericolosa. Tu non puoi stare con noi.- sibilò. Io la ignorai ma sentii la rabbia prendere possesso di me. Aveva colpito nel segno. Ero diversa, ero sempre stata diversa. Ed ora che avevo trovato delle persone come me, ecco che spuntano i miei genitori e mi dicono che sono diversa. Lei mi prese la mano con il  guanto e lo ispezionò
–Dove lo hai preso? Serve per caso a qualcosa?- indagò. Io tirai via il braccio e buttai sul letto le foto che stavo attaccando
–Qual è il tuo problema?- chiesi, fingendo che le sue parole non mi avessero ferita
-Tu- rispose acida, in un sussurro per non farsi sentire
-Senti non ho chiesto io di venire qui, né di avere questa vita. Non me la sono scelta, anzi ne avrei fatto volentieri a meno. Tu non sai niente di me, quindi non ti permettere mai più di giudicarmi o di intromettermi nei miei affari personali. Ah, e notizia bomba: qui siamo tutti diversi.- sibilai. Lei mi guardò sbigottita e aprì la bocca per ribattere, ma non le diedi il tempo poiché uscii di buon carriera dalla capanna, lasciando che la porta sbattesse dietro di me. Prima che mi allontanassi troppo sentii Destiny urlare qualcosa sul fatto che io fossi una pazza, ma non le diedi ascolto e continuai la mia “fuga”, ignorando anche tutte le occhiate che gli altri semidei mi rifilavano al mio passaggio. Salii sulla collina più alta che trovai e mi sedetti sulla cima, godendomi l’aria fresca e pulita, che seppe darmi un po’ di calma. Chiusi forte gli occhi e mi distesi sull’erba umida, lasciando che qualche ciuffo d’erba, spostato dal vento, mi solleticasse il volto e che il sole mi illuminasse completamente. Stranamente non mi dava fastidio, anzi, mi dava un senso di calore molto piacevole. Dopo pochi minuti di pace sentii dei passi venire verso di me, tuttavia lasciai perdere. Non mi interessava molto sapere chi mi avesse seguita, poiché questo avrebbe implicato parlarci. O litigarci. La misteriosa figura si parò davanti a me, oscurando il sole. Io rimasi immobile, gli occhi chiusi. Nonostante non potessi vederlo, avevo la sensazione di sapere chi fosse.
-Mi vuoi degnare di uno sguardo, principessa?- chiese ironico Will. Io aprii soltanto un occhio, per poi richiuderlo immediatamente con un lieve sorriso.
-Cosa vuoi, Solace?- chiesi. Lo sentii sospirare e sedersi di fianco a me
-Sai devi perdonare Destiny. Non le piacciono i nuovi arrivati, soprattutto se si sente minacciata da loro- mi alzai a sedere, guardandolo negli occhi. Il sorriso era sparito dal mio volto
-Come potrebbe sentirsi minacciata da me?- chiesi, impassibile. Lui accennò una risata
-Dai che ci arrivi. Sei qui da quanto? Mezza giornata? E: sei stata riconosciuta appena messo piede al Campo, tutti qui dentro ti conoscono e sei una Figlia del Cielo. Sei la figlia prediletta. Sei la figlia che nessuno dimenticherebbe mai di avere. Tu sei tutto quello che Destiny vorrebbe essere. Tutto quello qualsiasi semidio vorrebbe essere.- disse. Io scossi la testa, mestamente. Sei la figlia che nessuno dimenticherebbe mai di avere. pensai E allora perché mi hanno riconosciuta solo ora?
-Non è così semplice. Non è così bello come sembra.- dissi seria. Lui aggrottò la fronte perplesso
-Cosa non dovrebbe essere bello?- chiese. Io mi mordicchiai il labbro spostando lo sguardo a terra, indecisa se dirgli tutto o meno. Lo conoscevo da così poco. Potevo fidarmi?
-Giulia?- mi chiamò lui. Io presi un bel respiro ed incatenai il mio sguardo al suo, seria più che mai
-Devi promettermi che quello che sto per dirti non lo dirai a nessuno, potrebbe creare parecchio scompiglio. Puoi farlo?- chiesi. Forse era un’azzardata dirgli quel segreto, ma sentivo che se non avessi potuto dirlo a lui, non lo avrei mai potuto dire a nessun altro.
-Promesso.- dichiarò Will. Iniziai a dirgli tutto quello che era successo con Chirone alla Casa Grande e che quel guanto serviva a limitare la mia magia, che se me lo fossi mai tolta avrei potuto fare del male a qualcuno. Mentre parlavo, Will non mi aveva mai interrotta. Era rimasto in silenzio ad ascoltare con attenzione, come solo un vero amico o un familiare sa fare, e mentre gli raccontavo il tutto avvertii una strana sensazione di benessere. Come se sfogarmi con lui fosse la cosa giusta, come se Will fosse l’unica persona in grado di potermi capire e consigliare. Finita la storia Will mi guardò serio prendendomi la mano con il guanto e stringendola fra le sue, in un gesto rassicurante. Quando lo fece sentii una strano calore attraversarmi il corpo. Lo stesso calore che avevo avvertito quando mi avevano abbracciato quella mattina entrambe le mie famiglie. Quella sensazione che solo la tua famiglia può scaturire. In un certo senso capii che lui era molto speciale per me, che non avrei permesso a nessuno di fargli del male. E dalla sua espressione vidi che lui aveva avvertito la stessa cosa. E ci conoscevamo solo da un giorno, vi sembra strano? Forse lo è, ma in fondo, l’amore non può essere controllato.
-Adesso penserai che sono una specie di mostro- dissi, preoccupata. Lui rimase serio, aumentando la stretta sulla mia mano
-Giulia, non penserei mai e poi mai che tu sia un mostro. Tu sei una semidea, sei mia sorella, la mia sorellina. Non un mostro- disse. Le parole “sei la mia sorellina” furono un’esplosione di felicità dentro di me. Avevo sempre desiderato un fratello maggiore e poi Will era così gentile e premuroso. Era un fratello perfetto ed ero felicissima che mi considerasse già sua sorella, anche se mi sembrava strano. Sorrisi leggermente
-La tua sorellina?- chiesi, la voce leggermente incrinata dall’emozione. Anche lui sorrise
-Ovvio. Di chi altri se no?- rise ammiccando. Rimasi a guardarlo sentendo gli occhi farsi lucidi e poi, senza alcun preavviso, lo abbracciai, iniziando poco dopo a singhiozzare sulla sua spalla. Le emozioni di quella lunga giornata erano state fortissime e troppe tutte insieme ed io non avevo ancora avuto modo di sfogarmi con qualcuno. Will ricambiò l’abbraccio tenendomi stretta e accarezzandomi i capelli, con fare fraterno. Non disse nulla, si limitò ad aspettare che mi sfogassi del tutto. Quando finalmente mi calmai, lo lasciai andare e mi asciugai i residui di lacrime, leggermente imbarazzata per aver pianto di fronte a lui, ma Will sembrò non averci fatto troppo caso.
-Stai meglio?- chiese. Io annuii
-Sì, grazie per la tua pazienza- ringraziai, poi mi venne in mente una cosa che aveva detto Chirone nella Casa Grande “Sull’Olimpo sono, come dire, in agitazione. Hanno chiuso i battenti. Si hanno loro notizie soltanto quando devono riconoscere qualche semidio. Sono in condizioni pessime, stanno impazzendo lentamente. Combattendo tra la loro natura greca e quella romana” –Senti posso farti una domanda? Prima Chirone mi ha accennato qualcosa sul vecchio direttore del Campo, il signor D. Ha detto che è stato richiamato sull’Olimpo e che gli Dei hanno chiuso i battenti, che stanno impazzendo, combattendo tra la natura greca e romana. Che significa? Perché?- continuai, piena di curiosità. –Esiste un altro Campo, per semidei romani. Noi non ci siamo mai incontrati prima e sarebbe dovuto continuare ad essere così. Ma quest’inverno i Campi si sono mischiati. La divina Era, o Giunone, ha mandato uno del Campo Giove qui, e ha mandato Percy, uno dei nostri, da loro. Ha fatto un bel casino. In questo modo ha fatto scontrare non solo i Campi, ma anche le personalità degli Dei. Stanno malissimo a quello che so, la personalità greca vuole vincere quella romana e viceversa.-
-Perché Era ha fatto una cosa simile?-
-Diciamo che ci sono una dea psicopatica della terra e i suoi figli giganti assassini che vogliono dominare il mondo e far estinguere la razza umana. La regina degli Dei voleva soltanto cercare di dare una mano, visto che l’unica salvezza è che i greci e i romani si alleino. Solo che i romani ci odiano fino alla morte, sentimento contraccambiato, e potrebbero voler scatenare una guerra e ucciderci in modo atroce se qualcosa va storto nell’operazione di salvataggio. E sarebbe molto sconsigliato. Abbiamo già a che fare con i giganti, non possiamo affrontare pure i romani. In più siamo ancora spossati dalla guerra dell’anno scorso con i titani, gli altri figli della dea psicopatica in questione. Possiamo parlare d’altro ora?-
-Dea della terra psicopatica… Gea! Quella che ha fatto uccidere Urano!- Will si agitò sul posto.
-Giulia… piano con i nomi, soprattutto il suo…- alzai gli occhi al cielo
-Sì sì, i nomi sono potenti e bla, bla, bla. Perché Era, se sapeva che avrebbe potuto scatenare un enorme problema, ha deciso di agire lo stesso?- chiesi. Will si diede una manata in fronte, rassegnato all’idea che non avrei smesso di fare domande. O di pronunciare nomi.
-Perché è una dea! Credeva di dare una mano, ovviamente non per noi semidei ma per salvare le sue divine chiappe, e non le importava se tutto poteva andare storto. Perché tanto poi non sarebbe toccato a lei sistemare le cose, ma a noi. Lei ci disprezza per la maggior parte, non le importa se rischiamo la vita per rimediare ai suoi casini.- disse per poi guardare il cielo come aspettandosi una sorta di punizione, che non arrivò, facendolo tranquillizzare Will –Preghiamo gli Dei che abbiano recuperato Percy senza problemi…-
-Aspetta.- lo interruppi. Will mi guardò interrogativo –Alto, capelli neri, occhi verdi, fisico da sogno?-
-Sì, perché?-
–Sette adolescenti e un satiro sono venuti a prelevarmi e c’era anche un certo Percy. - dissi. Lui mi guardò felice e mi strinse in un abbraccio grandissimo
–Oh miei Dei! Se l’operazione è andata a buon fine abbiamo un problema in meno! Grazie per la notizia, sorellina!- disse. Io ricambiai la stretta brevemente per poi tornare a guardarlo negli occhi
–Non sono nemmeno sicura che sia andato tutto bene, so solo che c’era questo Percy  e che andavano tutti molto di fretta. Sembravano agitati per qualcosa, in verità.- l’entusiasmo di Will scemò un poco, ma sembrava non essersi perso completamente d’animo
-Beh, sperare non costa nulla, no?- replicò alzandosi e porgendomi la mano. Io non l’afferrai, nonostante la nostra chiacchierata e il fatto che mi avesse chiamato “sorellina”, e mi tirai in piedi per conto mio.
-Dai vieni. Devi finire di sistemare le tue cose prima di cena- disse sorridendo, ma si vedeva che era inquieto per quello che avevo detto. Feci finta di non notarlo e sorrisi anche io
-Affare fatto- ridemmo ed iniziammo ad incamminarci giù per la collina. Non facemmo in tempo a fare due passi che nel Campo risuonò un grido agghiacciante.
 
 
*questo è un pezzo originale del libro “l’Eroe perduto”
 
*Angolo Autrice*
 Ehilà gente! Come promesso, eccomi con il nuovo capitolo, siete contenti? Allora, che ve ne pare? Personalmente, la cosa che ho preferito scrivere è stata la parte finale. Adoro il rapporto che hanno Will e Giulia. È proprio genere di rapporto che due fratelli hanno, almeno per il momento. Chi lo sa quello che succederà poi… (io, ma shhhh). Beh, non vi rompo più le scatole, grazie mille per aver letto e spero che la storia vi stia piacendo
Un abbraccio ed un bacio enormi,
Willie
   
 
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