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Autore: Enchalott    20/06/2018    7 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La partenza
 
Eudiya portò le dita al pugnale falcato, sganciando il fodero prezioso e saggiandone l’impugnatura. Assunse la posizione di attacco. Il messaggio di quella mattina le aveva inflitto una pesante angoscia. Non era consuetudine delle tribù nomadi inviare lettere, piuttosto si sarebbe aspettata di vederle giungere in carne e ossa.
Il re, nel breve scritto, era stato definito un “gradito ospite”, ma le parole successive avevano destato in lei ansia e irritazione: finché la Profezia non farà chiarezza.
Gli abitanti del deserto non giocavano nascondino. Erano diretti, non si trinceravano dietro alla diplomazia. Quella frase asciutta aveva gettato un aspetto sinistro sulla ribellione dei Guardiani del Mare. La Profezia non brillava per trasparenza, ma i fatti non erano sconosciuti e Adara stava partendo per il Nord. La famiglia reale non poteva essere rimproverata o ritenuta scorretta.
Eudiya dedusse che la missiva indirizzata a Stelio fosse stata intercettata da un esploratore Aethalas, che l’aveva consegnata al suo capotribù. Era Varsya che aveva firmato lo scritto, definendosi fedele alla corona. Una contraddizione. O qualcosa di più sottile.
La regina lo conosceva: era un uomo intelligente e pacato, ma sapeva mostrarsi cocciuto e inflessibile, se necessario. Il fatto che suo marito fosse custodito da Varsya da una parte la rincuorò. E ora un guerriero Aethalas si presentava in un momento delicato, in solitaria e per giunta armato.
 
Aska Rei avanzò con la spada sguainata, lasciando intendere che non avrebbe consentito ulteriori mosse.
«Presentati com’è costume!» ordinò secco «Sei alla presenza della nostra sovrana e del principe della corona!»
Il giovane nomade sollevò uno sguardo per nulla intimorito. Posò l’arco a terra e si inchinò in modo formale.
«Il mio nome è Narsas, della gente degli Aethalas» disse, suscitando il mormorio degli astanti «Non è mia intenzione gettare lo scompiglio su quest’assemblea e vi prego di perdonarmi, se il mio arrivo inaspettato ha destato la vostra apprensione. Porgo i miei rispetti alla regina di Elestorya e al suo sangue.»
Aska Rei aggrottò la fronte: il guerriero non aveva salutato né Shion né Adara, se non con una breve menzione indiretta.
Se è sua intenzione provocarci…
«Narsas?» fece Eudiya sorpresa «Sei il figlio di Varsya?»
«Sì, mia signora.»
La regina avrebbe voluto scendere di corsa la scalinata, afferrarlo per il bavero e scrollarlo per farsi spiegare il motivo per cui suo marito era tenuto prigioniero nel deserto. Oppure sbatterlo ai ferri e usarlo come merce di scambio. Ma avrebbe creato un’interferenza sulla partenza programmata e sua figlia avrebbe fatto fuoco e fiamme per andare a liberare il padre. Inoltre un atteggiamento aggressivo o marziale avrebbe potuto mettere in pericolo la vita di Stelio, di cui non aveva notizie certe.
Sicuramente Narsas era giunto a Erinna conoscendo la situazione e i rischi legati alla sua presenza. Non pareva né turbato né superbo, tantomeno armato di pessime intenzioni. L’arco posato a distanza era un segno di pace. Forse era latore di una proposta.
«Cosa ti porta lontano dalla tua terra, Narsas?»
«La Profezia
Ancora!?
Eudiya serrò i pugni irata, pregando che il giovane non menzionasse la cattività del reggente difronte a Adara.
«Spiegati!»
Il ragazzo chinò il capo e il pendente scarlatto baluginò rossastro tra le ciocche brune.
«Chiedo di partecipare alla spedizione per il Nord, mia regina.»
«Cosa!?» sbottò Aska Rei «La tua sfacciataggine è incredibile!»
Eudiya sollevò una mano.
«È la campionessa del Regno a scegliere, secondo la regola. Devi ottenere il suo consenso.»
Narsas aggrottò le sopracciglia, ma fu solo un attimo e l’espressione del suo viso tornò imperturbabile.
Adara osservò il giovane, che dimostrava qualche anno più di lei: possedeva un fisico asciutto e muscoloso, si vedeva che era abituato a combattere e a sopportare le difficoltà. I bracciali di cuoio ai suoi polsi erano consumati dall’addestramento. Gli abiti, che avevano la sfumatura aranciata della sabbia, non riuscivano a celare la forza che emanava dal suo essere. La fascia di seta rossa e oro tra i suoi capelli era un segno di aristocrazia tribale. Gli occhi erano attenti, pur abbassati rispettosamente al suolo, e sapeva moderare le parole. Le sembrava un uomo deciso e valoroso. Quando incontrò il suo sguardo, si sentì attraversare da un’anomala corrente.
«Accetterò la tua presenza in cambio di due prove» propose «Nessuno è dotato con l’arco quanto gli Aethalas, potresti essere un valido aiuto. Ti chiedo di dimostrare la tua abilità personale, scoccando una freccia sul bersaglio più lontano che ritieni di riuscire a centrare.»
Lui recuperò l’arma da terra con fare algido.
«Con il vostro permesso.»
Scelse una freccia dalla faretra e la bilanciò sulla mano, la incoccò con una mossa carica di familiarità, puntandola verso l’alto. Adara lo osservò sorpresa.
Per lui l’obiettivo è il cielo stesso?
Lo strale partì con un sibilo, diretto alla torre più alta del palazzo, quella su cui sventolava il vessillo reale con le tre Gemme sacre.
La principessa si schermò gli occhi per vincere il riverbero del sole mattutino: la bandiera ebbe un sussulto e si squarciò a metà, colpita in pieno nella Pietra centrale.
Dalla folla si levò un brusio d’ammirazione.
«Perdonate il danno» fece lui pungente «Qual è la seconda richiesta?»
«Il vostro motivo. Perché volete raggiungere il Nord?»
Narsas si raddrizzò, soppesando con cura le parole che gli avrebbero garantito o negato il consenso della principessa. Trasse il fiato e appoggiò la mano sul cuore.
«La Profezia parla di un amore finito in pezzi, di una maledizione e di una punizione, di una reincarnazione e di un tempo in cui tutto ciò dovrebbe avere fine. Tuttavia accenna anche a un tradimento. È la parte più controversa, quella che nessuno riesce ad attribuire a un personaggio specifico della vicenda millenaria che ci è stata tramandata. Noi Guardiani del Mare sappiamo che chi si è macchiato di un atto tanto abietto si reincarnerà per interferire sull’esito delle antiche parole, per portare a termine il piano. Costui è stato congelato, non distrutto dalla risoluzione di Amathira, pertanto il tempo è giunto anche per chi ha tramato contro l’esistenza di questo mondo. Desidero raggiungere Iomhar per impedire che ciò avvenga, poiché possiedo gli indizi per individuare l’interferenza. La Profezia conservata a Jarlath potrebbe fornirmi ulteriori elementi per fermare il Traditore.»
Adara sentì il cuore accelerare i battiti: se avrebbe dovuto guardarsi anche da un essere infido e falso, una persona in più le avrebbe fatto comodo. Eppure qualcosa nel discorso del guerriero del deserto non l’aveva convinta. Era come se l’Aethalas stesse omettendo un dettaglio importante.
«Gli indizi di cui parli sembrano certezze sulle tue labbra, Narsas» osservò «Sarebbe fondamentale che tu ci comunicassi i tuoi sospetti quale atto di fiducia,»
L’arciere strinse la stoffa che stava sfiorando con le dita e si inchinò ancora.
«Perdonatemi, non posso rivelare altro. Un giuramento di sangue mi impedisce di rispondere alla vostra richiesta, almeno per il momento.»
La ragazza serrò le mani sulle redini. Il cavallo fremette impaziente, fermo da troppo tempo in quell’atmosfera tesa.
«Voglio credere in te, guerriero Aethalas. Verrai con noi e seguirai le mie direttive.»
«Ve ne sono grato, mia signora.»
Eudiya scrutò la scena a metà tra la speranza e la preoccupazione: Narsas avrebbe potuto essere un sostegno ma anche un pericolo mortale. Alzò la mano.
«Sellate un cavallo per il tredicesimo uomo! Aska Rei» aggiunse poi «Seguitemi, ordini aggiuntivi.»
 
«Che cosa!!?»
«Non fatevi udire, comandante» lo rimproverò la regina.
«Il re è prigioniero e noi accettiamo un Aethalas tra le fila della spedizione?!»
«Vi ho messo al corrente della situazione affinché lo teniate d’occhio. Non è detto che le sue intenzioni siano nocive. Forse i Guardiani del Mare sono davvero preoccupati e Narsas, che conosce la verità, è la possibilità che ci hanno inviato. Non è un uomo qualunque, fa parte dell’élite. Se si sentirà accolto e destinatario della nostra fiducia, magari deciderà di rivelare i particolari che ha tralasciato.»
«E Adara? Ehm, voglio dire…»
«La principessa non dovrà sospettare nulla di suo padre. O perderà la lucidità necessaria a svolgere il delicato compito cui è stata chiamata. Ho informato voi poiché mia figlia si fida del vostro giudizio ed è necessario che qualcuno conosca tutti i fatti, prima di qualsiasi risoluzione.»
«Comprendo, maestà. Vigilerò con  costanza.»
«Vi ringrazio, Aska Rei. E non temete…»
Gli occhi grigi del comandante si spalancarono in attesa. Eudiya indicò il nastro verde che portava legato al polso sinistro.
«…avrò cura io di lei. Sono sua madre prima di essere la sua regina.»
Aska Rei avvampò: era la fascia che gli aveva regalato Dionissa come pegno della promessa che si erano scambiati, per essere sempre con lui e come augurio di buona sorte. Si inchinò.
 
Dalla torre del palazzo, Dionissa osservò la fila dei cavalli in movimento con sua sorella e Aska Rei in testa. La paragonò a un meccanismo inceppato che riprende a funzionare senza che nessuno vi abbia messo mano. Si sentì sollevata e inquieta al tempo stesso. Con quella partenza il sentiero tracciato dalla Profezia diventava più visibile e gli eventi volgevano inesorabili verso il fine programmato. Eppure… tredici uomini, non dodici.
Non era riuscita a udire le parole che si erano scambiati i presenti sul piazzale, ma aveva scorto l’Aethalas scoccare la freccia e poi aggregarsi al seguito diretto al Nord. Ne avrebbe parlato con la madre.
Aveva colto lo sguardo malinconico di Rei, che le aveva rivolto un saluto prima di girarsi verso le montagne; lei aveva alzato il braccio per accompagnare il suo viaggio. Quanto mi mancherà! Lotterò con tutta me stessa contro il mio male, pur priva del suo sorriso. È mio compito vegliare sui sacri testi e cogliere i segnali del divenire.
Quando l’Aethalas era giunto, aveva percepito uno strappo. Come se non fosse contenuto nel futuro. Il suo intuito le diceva che la sua presenza sarebbe stata fondamentale per tutti loro.
I cavalli erano ormai dei puntini lontani, sfumati dal sole. Dionissa rientrò nelle sue stanze, pensierosa e carica di aspettative.
«Che Amathira ti protegga, Adara.»
 
 
Il destino non poteva essere scritto e statico. Indicato, assegnato, atteso… ma non ineluttabile. Neppure in quel mondo congelato che per lui era casa, era vita, era carcere.
Le montagne di ghiaccio non consentivano di scorgere oltre Jarlath, strette ad artiglio intorno alla capitale: per vedere ciò che era Iomhar, bisognava scalare i picchi percossi dal vento e fissare il confine tra cielo e terra, in mezzo alla tempesta perenne. Un’impresa ritenuta fatale.
Non per me.
Irkalla non aveva bisogno di prendere la strada tortuosa che si insinuava in volute bianche di neve tra le vette. Gli bastava pensare e subito riusciva ad andare dove desiderava.
Ai suoi piedi si stendeva la landa desolata e pressoché disabitata del Nord, un paesaggio che assomigliava ad una lastra di vetro spoglio, sul quale si specchiava un sole pallido e velato.
Aveva accettato la sua pena più di mille anni prima. Non si era opposto, poiché era certo che Amathira l’avrebbe perdonato e che la sua ira sarebbe sbollita.
Così non è stato.
Perché, per un istante, il dio della Distruzione aveva pensato alla necessità di essere assolto? Aveva eseguito il suo dovere perché il mondo, che pur lei amava, era corrotto irrimediabilmente. L’aveva dissolto e aveva posto le condizioni affinché ripartisse privo della cancrena e della perfidia che lo aveva reso odioso agli occhi degli dei. Non era stato un capriccio, un dispetto o una dimostrazione di superiorità nei suoi confronti. Quelle creature erano malvage, avevano ordito contro il creato e contro le divinità che lo governavano. Gli erano state fornite prove inconfutabili.
Era il suo ruolo. Amare la dea del Cielo non significava perdere la propria identità, per quanto terrificante dovesse apparire il connubio di amore e morte.
Fine e inizio, io sono questo. Anche se del mio essere tutti ricordano e nominano solo l’epilogo. Mai il prologo.
La rabbia si fece strada nel suo animo, dettata dalla mancanza e dalla condanna.
Era stato innamorato di lei, aveva pensato che fosse sufficiente, ma Amathira aveva perso la fiducia in lui. L’aveva compreso da come l’aveva fissato negli occhi, mentre pronunciava la maledizione nella notte dei tempi precedenti. L’amore si era spento.
Non l’aveva combattuta perché in fondo aveva pensato di meritarselo e che la sua accettazione le avrebbe dimostrato che i suoi sentimenti non erano simulati. Aveva atteso per mille anni in quello stato di nulla per incarnarsi e così era avvenuto: era contenuto in un corpo mortale, ma era Irkalla.
Aveva atteso mille anni per poterla rivedere, ma di lei non aveva notizie. Neppure i suoi prediletti, le Sette tribù del deserto, avevano indizi. Tuttavia la conosceva bene. Ci sarebbe stata allo scoccare del tempo, quando il suo cuore si sarebbe spezzato e sarebbe morto nella disperazione di chi è sconfitto. Però avrebbe lottato. Non sarebbe rimasto passivo come nell’occasione precedente. Era un dio. Era adirato e offeso e carico di risentimento.
Amathira.
In quella vita, nel presente, Irkalla non aveva avuto amore e neppure ne aveva dato. Ma era certo che in qualche modo esso sarebbe giunto per infliggergli il colpo finale e la dea del Cielo lo avrebbe guardato soffrire. Come se non fosse già stato sufficiente perderla. Come se fosse stato volutamente crudele. Come se la fine non comportasse l’inizio. Come se l’amore vero potesse terminare.
Amathira.
Ricordava il loro primo incontro, i suoi capelli biondi che sfioravano l’orlo della veste, splendenti come stelle. I suoi occhi turchesi, lucenti sulla pelle candida, il suo sorriso incantevole, quello che l’aveva stregato. E la falce di luna dorata sulla sua fronte. La sua mano delicata sotto le sue labbra, i loro sguardi pieni di passione. Tutto perduto.
Ma il destino no, quello non poteva stabilirlo neppure la dea del Cielo.
Io, Irkalla, rifiuto di piegare imbelle il capo alla sorte.
Avrebbe lottato per esistere, per uscire dal ghiaccio che lo attanagliava, per un’altra strada che l’avrebbe condotto lontano da lì.
Dolore e rabbia, tristezza e furia gli si attanagliarono nel profondo. Era stato subito consapevole della propria identità. Aveva faticato a occultare i poteri divini e talvolta non c’era riuscito, nel timore che qualcuno lo individuasse prima del necessario. Prima di scorgere il passaggio per una nuova possibilità. Ora che l’aveva distinta con chiarezza, avrebbe potuto rivelarsi.
No, invece. Aspetterò ancora.
Il vento del Sud, giunto come il termine della Profezia, lo sferzò con violenza, trasportandogli la lontana visione dei colori caldi di Erinna.
Il dio della Distruzione iniziò a scendere attraverso la fenditura che si trasformava nella ripida strada che riconduceva alla capitale. Il lungo mantello strisciava nella neve e il cappuccio sollevato si gonfiava a ogni folata. Avrebbe dovuto pensare alla sua dimora e ci si sarebbe ritrovato all’istante, ma desiderava camminare per accompagnare le proprie riflessioni. Gli stivali producevano un suono scricchiolante e ovattato a contatto con la coltre bianca. Quel freddo insopportabile, lo stesso che respingeva grazie alla sua natura immortale, lo faceva sentire vivo. Voleva assaporarlo per ricordare a se stesso di non rinunciare, di combattere sino allo stremo.
La via era una fascia lucida e azzurrina, che sfumava sotto le mura grigie di Jarlath. Irkalla oltrepassò la barriera di pietra, impalpabile come un fantasma, inoltrandosi per la città deserta, celato sotto la spessa cappa di lana chiara.
Riprese corpo e si lasciò alle spalle la voragine che una volta era Odhran, scivolando leggero nei vicoli che portavano alla piazza centrale della città fortezza.
Alcune bancarelle, annidate sotto i porticati di legno e roccia, vendevano mercanzie e cibarie, sfidando il gelo e la povertà estrema, che incombeva sul Nord più delle parole tracciate dalla Profezia.
L’odore della focaccia alle erbe appena cotta gli giunse alle narici, risvegliando i sensi della sua forma mortale. Seguì il profumo e individuò il fornaio affaccendato al focolare. Gli fece un cenno e questi, un omone infagottato nella pelliccia con dei folti baffi di saggina e con negli occhi la rassegnazione di chi è giunto al limite, gli porse una porzione generosa e fumante.
Il dio della Distruzione elargì alcune monete, facendo segno di non volere alcun resto. Poi la sua attenzione si accentrò su un vasetto di vetro rosa, dentro il quale languiva un Campanello delle Nevi, l’unico fiore in grado di sopravvivere al gelo di Iomhar. I suoi petali celesti e ricurvi verso il basso, dai quali sporgeva il pistillo dorato che dava il nome al vegetale, gli ricordarono lei.
Amathira.
Adorava quel fiore, anche quando il freddo regno delle brine non esisteva. Scorgerlo dopo tutti quei secoli fu come cogliere un segno della presenza della dea in quel luogo dimenticato. Forse non se n’era andata. O forse era un modo per tormentarlo.
«È spuntato tra le erbe della nostra serra» precisò il venditore, cogliendo il suo sguardo nell’ombra del cappuccio «L’ha trovato mia figlia e l’ha raccolto, ritenendolo di buon auspicio. Sono rarissimi a quanto si dice.»
Lui annuì e lo prese tra le dita, lasciando sul tavolo di legno un dubron d’oro. Poi continuò per la sua strada, lasciando una fila di orme nella neve.
«Ma chi era?» domandò la moglie del fornaio, avvicinandosi intimidita e osservando lo sconosciuto perdersi nel bianco mimetico e accecante del mattino.
«Non saprei…»
«Non uno iomharese! A giudicare dalle monete d’oro che ti ha lasciato, deve essere un signore straniero… di uomini facoltosi, qui non ce ne sono.»
Il venditore scosse la testa e allargò le braccia, tornando ad impastare la sua focaccia alle erbe, mentre la donna ravviava il fuoco.
«Forestiero o meno» borbottò turbato «A me è parso che il suo sguardo terribile fosse pura disperazione.»
 
 
Anthos aprì gli occhi, lasciando defluire la concentrazione simile alla trance in cui si era avviluppato. Passò la mano sul bacile nero, che risucchiò la luce fosforescente di Leu-Mòr, riprecipitandola nell’oscurità. L’acqua lattiginosa tornò in stato di quiete.
La principessa di Elestorya era partita con dodici uomini al seguito. Aveva scorto l’arrivo del guerriero Aethalas e c’era stata un’interferenza discordante nella linea della Profezia. Era comparsa come la sensazione di una fitta allo stomaco, come se gli fosse stato assestato un colpo fisico. Non era mai accaduto, poiché il suo potere lo preservava da qualunque nemico. Qualcosa si era mosso in modo imprevisto.
Sorrise alla propria immagine riflessa. Non si era sbagliato, dunque. Le antiche carte non erano così precise e vincolanti… o il guerriero del deserto non sarebbe stato accolto tra le fila della delegazione diretta al suo palazzo. Non era certo che la variazione fosse avvenuta a suo vantaggio. Avrebbe dovuto usare la testa più delle sue doti per verificarne lo scopo.
Le iridi color ambra scintillarono minacciose.
La principessa veggente, Dionissa. Anthos aveva notato la sua espressione sconcertata davanti all’arrivo dell’Aethalas, perciò neppure a Erinna si aspettavano quella novità. Era stato tentato di comunicare con lei attraverso lo stato di trance, ma aveva cambiato idea. In quel modo l’avrebbe messa in allarme e non era intenzionato a fornire alcun indizio sulle proprie intenzioni. Tantomeno a collaborare. Quella ragazza era sveglia, non fosse stato per la malattia che la stava uccidendo, il suo Kalah le avrebbe fatto scorgere ben oltre le apparenze.
Il principe strinse tra le dita il Medaglione.
Vi attendo con ansia.
   
 
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