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Autore: _Agrifoglio_    20/06/2018    18 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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In lotta con le tenebre 
 
– André, ragazzo mio, devi essere completamente impazzito! Come puoi pensare di farti operare da un medico appena conosciuto, con pochi anni di esperienza e, per giunta, straniero?
La vecchia governante contraeva il volto e stringeva i pugni mentre presentava le sue rimostranze al nipote che si stava aggiustando il risvolto della redingote primaverile, prima di uscire dall’atrio del palazzo e di recarsi nelle scuderie.
– Ne abbiamo già discusso, nonna – le rispose lui, calmo, ma determinato – Il medicamento che mi ha prescritto e che sto applicando già da quattro giorni si sta rivelando efficacissimo. Sto andando a Parigi per acquistarne un’altra dose dal farmacista e, con l’occasione, fisserò il giorno dell’intervento chirurgico col Signor Vianello.
– Io proprio non ti capisco! Hai a disposizione l’Archiatra di Corte e tutti gli anni di esperienza che ha accumulato. D’accordo, si è sbagliato, ma chi non lo fa? Oltretutto, proprio perché è caduto in errore, potrebbe praticarti un buon onorario oppure rinunciare addirittura al compenso per sdebitarsi.  
– Nonna, te l’ho già detto, sarà sicuramente un medico rinomato, ma l’errore che ha commesso è enorme e io ho perso la fiducia in lui. Ho i miei risparmi, non ti preoccupare.
– Stai molto attento, André, ci sono tanti ciarlatani in giro. Magari, le gocce che ti ha prescritto sono pure velenose e te ne accorgerai quando sarà troppo tardi.
– Tanto, nonna, peggio di così non potrebbe andare.
– Avessi avuto io, da giovane, l’opportunità di farmi curare dall’Archiatra di Corte! Nel mio paese, c’era soltanto un cerusico che faceva anche il barbiere e il calzolaio. Farai entrare quell’estraneo in questa casa?
– Ho già ottenuto il permesso dal Generale. Adesso, scusami, ma devo andare altrimenti farò tardi.
André si accomiatò e uscì dal palazzo mentre la nonna torceva il fazzoletto fra le mani.
– Questi giovani io proprio non li capisco!
 
********
 
Maria Antonietta era seduta in poltrona, in uno dei raffinati e luminosi salottini del Petit Trianon. Indossava una semplice gaulle di mussola bianca, fasciata, all’altezza della vita, da un grosso nastro di seta color verde salvia. I capelli non erano incipriati né acconciati con pietre preziose o con perle, ma risplendevano del loro colore naturale ed erano abbelliti da freschi fiori di campo che la stessa Regina aveva raccolto nei giardini. Poggiato sul divano, vi era un grosso cappello di paglia, ornato soltanto da un fiocco di seta e da alcune piume, in tinta col nastro del vestito, che la Sovrana si era tolta dopo il suo rientro dal parco.
Stava leggendo un nuovo spartito, quando il maggiordomo le annunciò la visita del Brigadier Generale Oscar François de Jarjayes.
Oscar si mise sull’attenti davanti alla Regina che, dopo averla salutata, la invitò a sedersi sulla poltrona collocata davanti alla propria.
– Almeno qui, evitiamo le eccessive formalità, Madamigella Oscar e comportiamoci da amiche.
– Vi ringrazio, Maestà. Mi usate sempre una cortesia di gran lunga superiore ai miei meriti. Detesto venirVi a tediare in questo luogo ameno, dove Voi cercate la lontananza dalla corte e la vicinanza dei Vostri figli, ma accadimenti gravi e importanti mi inducono a infrangere, per qualche istante, la Vostra quiete.
Maria Antonietta corrugò lievemente la fronte, memore degli eventi legati a una collana di brillanti che, qualche anno prima, avevano distrutto quel poco di serenità che le era rimasto. Ciò nonostante, chiese a Oscar di andare avanti, consapevole del fatto che nulla di ciò che proveniva dall’amica potesse essere inutile o procrastinabile.
Oscar raccontò alla Regina, in modo breve e, nel contempo, esauriente, ciò che era successo nelle ultime settimane, facendo, innanzitutto, un breve riepilogo degli strani disordini cagionati dai falsi soldati della Guardia Metropolitana di cui le due donne avevano già avuto occasione di parlare e proseguendo con la narrazione delle indagini che ne erano seguite e che avevano portato all’operazione di polizia in Rue Buffon. Le parlò anche della morte di Robert Brasseur per mano del cecchino, del ritrovamento dell’arsenale e dei brandelli di lettera, strappati all’opera divoratrice di un camino curiosamente acceso alla fine di maggio, dello strano ordine che l’aveva privata della sorveglianza dei locali e della custodia delle armi, per finire con la scoperta dell’intercapedine dove erano custoditi il tornio, i libelli e la lettera indirizzata all’Ambasciatore inglese a Parigi.
Maria Antonietta ascoltò tutto impassibile, mantenendo una dignitosa imperturbabilità anche quando Oscar le consegnò le lettere e, arrossendo, uno dei libelli.
La Regina sfogliò, con una calma che rivelava un’abitudine ormai consolidata, quelle pagine diffamatorie e l’unica cosa che, con straordinaria delicatezza d’animo, alla fine, disse fu:
– Mi dispiace, Madamigella Oscar, che siate stata travolta da questo fiume di immondizia, ma, a quanto pare, il caro cugino detesta Voi quasi quanto il Re e me. Ero a conoscenza della slealtà del Duca d’Orléans, ma non avevo mai acquisito una prova così diretta e inoppugnabile, grazie, oltretutto, a un testimone come Voi, al di sopra di ogni sospetto.
– Cosa ordinate di fare, Maestà?
– Per ora, nulla, Madamigella Oscar. A tempo debito, agiremo. Le lettere conservatele Voi, dato che, nelle Vostre mani, saranno più al sicuro che nelle mie. So per certo che le spie, purtroppo, infestano anche questi luoghi di pace. Il libello, invece, lasciatemelo. Dirò alle cameriere di usarne i fogli per raccogliere le defecazioni dei miei cani.
La Regina sorrise debolmente e, poi, chiese a Oscar:
– Finirà mai questa eterna lotta contro le tenebre?
– Soltanto se la luce del sole sarà più forte e Voi siete il sole della Francia, Maestà.
– Vorrei che aveste ragione, Madamigella Oscar, ma, in questo momento, grandi nubi cariche di pioggia offuscano il cielo. E’ nei momenti di maggiore difficoltà che la Francia ha bisogno dei suoi migliori paladini, di animi valorosi che si battano con tutte le loro forze affinché il bene e la giustizia trionfino. Voi siete uno di questi prodi eroi, Madamigella Oscar. Voi siete la leonessa di Francia. 
 
********
 
– André, vecchio mio, ma cosa mi combini? Non ci si può fare incarcerare un attimo che gli amici decidono di farsi operare agli occhi!
Seduti al tavolino di una taverna parigina, André e Alain discutevano della prossima operazione del primo. André, dopo essere andato ad acquistare altre dosi del medicamento da applicare all’occhio destro e avere fissato l’operazione a quello sinistro per il lunedì successivo, si era recato a fare visita ad Alain che aveva da poco terminato di scontare la settimana agli arresti per la rissa in taverna. Il soldato, quella mattina, non era di guardia e, così, i due amici avevano deciso di trascorrere mezz’ora in compagnia, bevendo l’uno una birra e l’altro un caffè.
– Ma chi è, poi, questo medico di campagna, giovane, straniero e neppure laureato? La salute è una cosa seria e non ci si scherza. Fossi in te, non disdegnerei il consiglio di tua nonna: ingoierei il rospo e mi farei operare dall’Archiatra, sfruttando l’errore in cui è caduto e il desiderio di rifarsi per ottenere delle cure più sollecite e per spuntare un buon onorario.
– Si tratta, forse, della scelta più razionale, ma io ho perso la fiducia.
– Perché, di quell’altro ti fidi? Da come me lo hai descritto, mi è parso uno che gioca a fare il galletto.
– Non ha, di certo, un bel carattere e proprio per questo sono portato a fidarmi. E’ troppo sgarbato per essere disonesto.
– Potrebbe anche essere uno dei tanti giovani padreterni in circolazione che fanno la ruota finché la vita non li costringe a guardare in faccia la realtà, dando loro una bella randellata sui denti. Cerca di non essere tu la randellata sui denti di quel tizio!
– Non si tratta del solito individuo smargiasso e millantatore. Maggiori umiltà e cortesia gli farebbero, sicuramente, molto più onore, ma è estremamente competente. Capisce al volo i problemi e impiega poco tempo a inquadrare la situazione. Il colloquio col Dottor Lassone ha, poi, confermato la bontà della diagnosi di lui.
– Già, il caro Dottor Lassonne ha fatto proprio la figura del presuntuoso e dell’imbecille, da come mi hai descritto il vostro dialogo dell’altro giorno. Tieni anche presente, però, che il tuo dottorino – che neppure dottorino è – dopo avere seguito qualche mese di lezioni alla Sorbona, se ne tornerà nel Veneto mentre tu potresti avere bisogno di assistenza anche dopo l’intervento.
– Sì, ci avevo pensato. Vorrà dire che, in quel caso, mi rivolgerei a un medico di Parigi, facendo la stessa cosa di chi, trasferitosi in un’altra città, deve, per forza, trovarsi dei nuovi interlocutori.
– Va bene, ci rinuncio, gli occhi sono i tuoi e la vita pure. Quando ti metti in testa una cosa, sei cocciuto come il nostro Comandante!
Alain tacque un momento, essendosi accorto del lieve rossore sul volto dell’amico e, poi, cambiò discorso:
– Ma cosa hai fatto alla mia sorellina Diane?
– Be’, mi sono, fortunatamente, trovato nel luogo giusto e al momento giusto per salvarla….
– E non te ne sarò mai grato a sufficienza! Se solo fossi stato più presente…. Ho passato la vita a fare il caporione in caserma e il fanfarone in taverna e, intanto, non mi sono accorto che un uomo indegno stava calpestando il cuore di mia sorella…. E chi sa quanti altri problemi mi sono perso e quanto aiuto non le ho dato….
– Quel che è fatto è fatto, Alain, non ti rimproverare e, d’ora innanzi, stalle più vicino che puoi.
– Tu, però, che cosa le hai fatto? – insistette, ridendo, il soldato – Non fa altro che parlare di te e decantare le tue lodi: “Monsieur Grandier di qua…. Monsieur Grandier di là…. Con un rapido colpo di spada, ha reciso la corda cui era appesa la mia vita…. Mi ha accolta fra le sue possenti braccia, evitandomi di cadere rovinosamente al suolo….” e, ogni volta che ne parla, diventi sempre più bello e più alto. Attualmente, sei alto venti piedi e risplendi come il sole ad agosto! – concluse Alain, con una fragorosa risata.
– Alain, ma che dici? – si schermi André, con un sorriso imbarazzato – Lo sai che, per te e per la tua famiglia, io sarò sempre un amico sincero sul quale fare completo affidamento.
 
********
 
André picchiò leggermente sulla porta che separava il corridoio dagli appartamenti di Oscar, facendo attenzione a non rovesciare il contenuto del vassoio che recava con sé.
Erano molte settimane che non provvedeva a quella grata incombenza, a causa della vita in caserma e del raffreddamento dei rapporti con Oscar. Fra pochissimi giorni, però, sarebbe stato operato e, malgrado l’ottimismo che aveva ostentato con la nonna, con Alain e finanche con se stesso, era troppo intelligente per non rendersi conto che qualcosa sarebbe potuto andare male: il cuore avrebbe potuto cedergli, il laudano e l’oppio avrebbero potuto farlo cadere in un sonno senza risveglio, qualcosa, nell’organismo, avrebbe potuto reagire in maniera inaspettata all’oltraggio dei ferri chirurgici e, se anche l’intervento fosse riuscito, una febbre avrebbe potuto consumarlo fino alla morte. L’ultima volta che aveva incontrato Oscar, la conversazione era degenerata in un alterco e i loro rapporti, in genere, si erano molto guastati da quella brutta sera di marzo per la quale non avrebbe mai finito di rimproverarsi. Voleva che il loro ultimo incontro prima dell’intervento fosse sereno, lontano dal senso di vergogna e di rimorso che era seguito a quella maledetta sera e dalla mortificazione derivata dalla parentesi di cecità che lo aveva colto sulla riva del Reno e che aveva messo in pericolo la vita di tante persone, portando al congedo di lui dall’esercito. Rischiare la vita lo impauriva, ma non voleva più essere un peso per gli altri, un pungolo al cuore per sua nonna e una costante fonte di rimorso per Oscar: i tempi erano ormai maturi per lasciarsi definitivamente alle spalle la vicenda del cavaliere nero. Oltre a ciò, non voleva essere motivo di vergogna per se stesso: non avrebbe trascinato i suoi restanti giorni da malato o da mendico; non sarebbe stato lui il prossimo uomo della Senna, il cantastorie storpio e semicieco che la vita aveva spezzato e al quale altro non restava che consegnare un canto di amarezza e di dolore alle placide acque del fiume e al torpore alla notte. Temeva la morte, ma anche condurre una vita da infermo lo avrebbe lentamente ucciso. Avrebbe rischiato il tutto per tutto, nella consapevolezza di non avere molto da perdere. In fin dei conti, mettere da parte la titubanza e la paura e prendere decisioni importanti, pericolose, drastiche e difficili, dalle quali sarebbe potuto dipendere il buon esito di più esistenze, rientrava in pieno nel perfetto stile de Jarjayes, nel quale era stato cresciuto.
– Avanti – disse Oscar, con tono deciso, ma gentile.
Aperta la porta, vide lei, seduta alla poltrona, con le gambe accavallate e il volto disteso, intenta a leggere un libro. Sul tavolino accanto alla poltrona, c’era un bel mazzolino di mughetti e di nontiscordardime che, quella mattina, aveva acquistato per lei, prima di lasciare Parigi e che aveva sistemato in un vaso, quando ella era ancora in caserma.
Oscar non si voltò né sollevò lo sguardo dal libro, ma si accorse ugualmente che era lui, dal tocco leggero sulla porta, dall’incedere garbato e dalla constatazione che, a quell’ora, non poteva essere che André, coi suoi vassoi carichi di bevande calde e di biscotti fragranti, per adempiere un loro rito che si protraeva dall’adolescenza. C’era, in quel portarle il vassoio, qualcosa che trascendeva l’esigenza di lei di ristorarsi e il compito di lui di servirla. C’era un desiderio di prendersi cura di lei, di rifocillarla, di comunicarle pace, sicurezza e quotidianità, con un gesto semplice, ma gradito e protettivo, perché legato ai ricordi dell’infanzia e alla passione di lei per cose piccole e deliziose, come il the e la cioccolata.
– Grazie, André, per il vassoio e anche per i fiori.
– Figurati, Oscar, li ho visti questa mattina, passando davanti alla bottega di un fiorista e non ho potuto fare a meno di acquistarli, sebbene il giardino del palazzo, in questa stagione, abbondi di ogni tipo di fiori.
Ella sollevò lo sguardo e André non potè fare a meno di notare che le iridi di lei erano di un colore molto simile a quello dei nontiscordardime. Era, probabilmente, quella la ragione che lo aveva spinto all’acquisto. Avendo percepito la calma nella voce di lei e la serenità nel volto, decise di non sciupare quei momenti, evitando di affrontare questioni come il pallore, la stanchezza e la necessità di riguardarsi, che avrebbero potuto suscitarne l’insofferenza.
– Sbrigati a mangiare i biscotti. Escono adesso dal forno e sono ancora caldi.
– Quindi, sei proprio deciso – disse lei, cambiando discorso – Lunedì, ti farai operare da quel medico sconosciuto.
– Sì, Oscar.
– Mio padre ha detto che hai declinato l’offerta di lui di pagarti l’operazione. Se non vuoi che paghi mio padre, lascia, almeno, che sia io a farlo. In fin dei conti, ti sei sbendato per venire a salvarmi.
– Non preoccuparti, Oscar, voglio pagare io. La mia salute riguarda me e, poi, la mia incoscienza fu tanto grande quanto inutile, perché ti saresti salvata benissimo da sola. Avevi elaborato un ottimo piano, preparando una geniale imboscata al cavaliere nero e me ne stavo accorgendo a mie spese, visto che mi sei piombata addosso dall’alto. Stavo per rischiare l’osso del collo oltre alla vista!
I due scoppiarono in una risata allegra e liberatoria. Nell’aria, l’odore dei biscotti si era mescolato a quello dei mughetti e tutto ricordava la loro infanzia spensierata e protetta.
– André, volevo dirti che il tuo sacrificio non fu inutile e che la tua presenza costante è sempre stata utilissima e, a tratti, salvifica e provvidenziale per me.
– Ti ringrazio, Oscar, sei molto gentile. Ti auguro la buona notte – rispose lui, col calore nella voce e la gioia nel cuore.
 
********
 
La mattina era, ormai, inoltrata e l’intervento di André si stava protraendo da un paio d’ore.
Oscar e il Generale erano seduti in un salottino del palazzo tappezzato di verde e ingannavano l’attesa parlando di operazioni militari. Era singolare come, nonostante la palese agitazione, entrambi riuscissero a serbare un signorile distacco nei modi e una grande lucidità nei ragionamenti. La vecchia Marie, invece, si aggirava nervosa per la stanza, con la scusa di portare via un vassoio o di riempire nuovamente un piattino di macarons e di amaretti, ma affaccendandosi, per lo più, a vuoto.
– L’operazione sta durando davvero troppo!
– Ma cosa ne sai tu della giusta durata di un’operazione agli occhi?
– Sta durando troppo e basta, Signor Generale…. Glielo avevo detto a quel testone di mettersi nelle mani dell’Archiatra. Ha sbagliato la diagnosi, è vero, ma chi di noi, nella vita, non ha mai commesso errori? Invece, lui, no, si è fissato con quello sbarbatello di medico che neppure è un medico. Testardo come un mulo! Testardo come suo nonno!
Oscar e il Generale si guardarono, per quanto la situazione lo consentisse, divertiti, domandandosi, simultaneamente, in cuor loro, a quale componente della famiglia Grandier spettasse di diritto la palma del più ostinato. 
Dopo un attimo di ilarità, sufficiente a smorzare un poco la tensione, Oscar disse:
– Mi raccomando, Nanny, André non dovrà essere rimproverato né inquietato in alcun modo. Questa volta, le prescrizioni mediche dovranno essere osservate alla lettera. Soprattutto, dovrà essere preservato da qualsiasi colpo di testa. Qualunque cosa dovesse succedere a me, a mio padre, alla Francia o al mondo intero, egli dovrà esserne tenuto completamente all’oscuro, in modo da evitare altre sciagure. Visto che il passato non si può mutare, che almeno ci faccia da maestro.
– Sì, Madamigella Oscar – disse la vecchia governante punta sul vivo, giacché era stata lei, circa sei mesi prima, a commettere la leggerezza di annunciare la sparizione di Oscar al nipote convalescente.
Passò un’altra mezz’ora, nel corso della quale i membri della casa continuarono a lottare contro l’ansia e André contro le tenebre.
A un tratto, un valletto introdusse nel salottino verde Lucilio Vianello che, con l’aria distaccata e superiore che tutti, in pochissimo tempo, avevano imparato a detestare, annunciò l’esito fausto dell’intervento.
– L’operazione è tecnicamente riuscita. Non resta, adesso, che aspettare la risposta del paziente. Onde evitare infezioni, si renderanno necessarie delle lavande e delle medicazioni giornaliere cui provvederò io stesso. La convalescenza durerà dalle quattro alle sei settimane, durante le quali l’occhio sinistro dovrà rimanere costantemente bendato e il paziente soggiornerà nella penombra.
Tutti tirarono un sospiro di sollievo per il sopraggiungere di quella lieta notizia che fece passare in secondo piano l’immane seccatura di doversi sorbire le quotidiane visite del giovane veneto.
   
 
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