Capitolo
48
(Precarious balance)
Ramo si ritrovò improvvisamente immerso in
una sorta di strana atmosfera.
Un momento prima Kumals
stava entrando nell’appartamento, salutando con rispettosa profonda amicizia
Mordecai, e con un trasporto più libero Ramo stesso; l’istante dopo era fermo
in piedi in mezzo alla stanza, e stava guardando con un’occhiata lunga e
imperscrutabilmente attenta e approfondita Uther. Il quale - Ramo realizzò solo
in quel momento, e con una certa sorpresa - era ancora semplicemente seduto immobile
sul davanzale della finestra, col fucile appoggiato al petto tra le braccia. E
stava sostenendo quell’occhiata come se fosse questione di cercare di guardare
un’ondata enorme che gli stesse venendo incontro, e nei confronti della quale
non avrebbe mai nemmeno lontanamente potuto anche solo desiderare di
sopravvivere.
Infine, Uther distolse lo sguardo. Kumals sembrò limitarsi a prenderne atto, e si diresse
quindi verso la porta aperta della camera da letto. Ramo sentì i suoi piedi
muoversi per seguirlo automaticamente ancora prima di rendersene del tutto
conto. Kumals sostò sulla soglia per quelli che
sembrarono infiniti istanti, guardando il letto in cui giaceva Danny, in
completo silenzio. Ramo si ritrovò ad avere a che fare con un’atmosfera se non
altro familiare: quel momento in cui giusto Kumals
poteva essere capace di venire a patti in totale silenzio con il trovare Danny
ridotto così, come se si prendesse un momento necessario per iniziare
precisamente ad assorbire quella constatazione.
Dopodiché Kumals
si stava avvicinando al letto e stava di nuovo parlando, con un tono
sorprendentemente calmo e pratico che non avrebbe mai smesso di stupire Ramo
quando glielo sentiva usare in quei frangenti, e gli stava già chiedendo
informazioni sulle condizioni di Danny. Ramo gli rispose grazie al suo solito
automatico riportare quel genere di risposte che entrava preziosamente in
funzione in quelle situazioni, mentre Kumals sembrava
in qualche modo capace di ascoltare con attenzione ogni sua singola parola pur
mentre guardava Danny in quel modo, come se stesse immaginando abbastanza
esattamente quello attraverso cui poteva essere passato pur senza di fatto
poterlo sapere con precisione.
Infine, quando Ramo tacque non avendo più
niente da riportare, Kumals rialzò lo sguardo su di
lui, annuì e sorrise, e gli sembrò di colpo un po’ più vecchio del solito.
Kumals tornò verso il
salotto, e Ramo si ritrovò ancora a seguirlo automaticamente, dopo aver
lanciato un’ultima occhiata di rapido controllo a Danny, cercando di nuovo di
ritornare quasi esclusivamente nella sua parte di medico piuttosto che di
amico.
«Ti ringrazio, Mordecai.» disse Kumals, rivolgendosi all’uomo, che si limitò ad accennare
brevemente con il capo un movimento di assenso, come ricevendo il ringraziamento
con tranquillità.
«Sul serio.» insistette Kumals, con serietà profonda e sincera. «E tu puoi capire.
Non credo che riuscirei nemmeno ad essere sufficientemente grato a qualcuno per
quello che hai fatto. Ma fino a dove posso arrivare con l’esserti riconoscente,
lo sono completamente.»
Mordecai semplicemente annuì di nuovo,
stavolta però dopo avergli dedicato un’occhiata particolarmente seria, come a
dare segno che aveva compreso perfettamente che cosa volesse dire.
Kumals tacque per un
momento, guardandosi attorno nella stanza. E Ramo realizzò improvvisamente che
probabilmente quella era la prima volta dopo chissà quanto tempo che l’altro
rimetteva piede in quel luogo dove erano iniziate le attività dei ‘4 di picche’.
Poi ne vide lo sguardo distogliersi come
se lo strappasse via con determinazione ad un inizio di potenziale perdersi nei
ricordi, e focalizzarsi su Uther. Che stava di nuovo guardando fuori.
«Bene.» esordì allora Kumals,
con tono pratico e quasi leggero, battendo le mani insieme. Era un tono molto
più familiare a Ramo quello, e se ne sentì sollevato. «Allora, mi piacerebbe
iniziare dalle solite domande di routine… tipo che diavolo è esattamente
successo qui…»
Ramo cominciò ad accorgersi solo allora
che il suo tono stava iniziando a prendere una piega gradualmente tagliente, di
quel tipo che sapeva c’era da temere da parte sua.
«E specialmente in riferimento a come mai
Danny sia al momento conciato in quel modo.» puntualizzò Kumals,
la sua intonazione che virava ora con più decisione su un’incisività che
sembrava sapere perfettamente dove voleva andare a parare e a colpire.
E Ramo capì che, anche se genericamente
rivolte, quelle parole sembravano indirizzate soprattutto ad uno di loro in
particolare.
Uther voltò la testa e fissò il suo
sguardo dritto su Kumals. Uno sguardo che non
prometteva niente di particolarmente buono e che iniziò ad inquietare
notevolmente Ramo. La tensione nell’aria sembrava starsi gonfiando con una
rapidità impressionante.
«Ma mi rendo conto che potrebbe essere una
storia molto lunga e complessa, per quanto, ne sono sicuro, certamente
affascinante a modo suo.» proseguì Kumals, e al di
sotto della superficie ora palesemente di finta affabilità colloquiante, stava
diventando sempre più dirompentemente corposa una sincera alterazione.
«Quindi… tralasciamo per ora questa
parte…» disse ancora l’uomo, e c’era qualcosa nel suo tono e nel modo in cui il
ritmo delle parole rallentò appositamente e studiatamente che sembrava
indubbiamente rivolto a beneficio di Uther.
Questi continuava a fissarlo come se fosse
determinato a non retrocedere nemmeno di mezzo passo, come se quelle parole
stessero evocando una sepolta riserva di enorme rabbia meglio di un piffero
suonato da un esperto ipnotizzatore di serpenti. La sua espressione già
indurita sembrava stare peggiorando di secondo in secondo, di parola in parola.
«E piuttosto andiamo al sodo.» continuò
imperterrito Kumals. «Più precisamente, suppongo che
ci sia un accampamento di mezzi lupi potenzialmente e capricciosamente
pericolosi e fuori controllo a cui potrebbe essere il caso di dare una
controllatina. Oh…» aggiunse alla fine, chiaramente ora intento a recitare la
parte di qualcuno che sia appena stato colpito da un’idea «A meno che
naturalmente non abbiate già provveduto prima che arrivassi. A trattare
quell’attendamento come andrebbe trattato, intendo. Ovvero come sostanzialmente
un vulcano sull’orlo di una possibile esplosione con conseguente tragica colata
di lava rovente su tutta la città. In altre circostanze sarei quasi sicuro che
sarebbe esattamente così che questa situazione è stata affrontata qui. Ma,
chissà perché, sarà il mio irrecuperabile vizio di dubitare di ogni cosa per
sicurezza, sarei molto più tranquillo se qualcuno mi dicesse che cosa ne pensa
in proposito. Perché sono sicurissimo che ci devono essere ottime motivazioni,
dopotutto. Anzi, sono certissimo che ci devono essere come minimo
eccellentissime spiegazioni.»
Ramo era ora in preda a quella familiare e
suo malgrado quasi irresistibile tentazione di andare a rifugiarsi da qualche
parte. Almeno in un'altra stanza, per cominciare, magari anche direttamente
sotto ad un letto o ad un armadio. Era qualcosa che aveva decisamente a che
vedere col modo in cui quel tono di Kumals riusciva a
risultare insopportabile come un archetto di violino strisciato ripetutamente e
insistentemente direttamente sui nervi nudi, e allo stesso tempo minaccioso
come qualcosa di terribilmente pericoloso e così sprediugidicatamente
perverso da fingersi con ottimo risultato – ma solo volutamente e solo
superficialmente – totalmente innocuo.
E non aveva idea, pertanto, come Uther
fosse capace invece di restarsene semplicemente ad ascoltare in silenzio quelle
parole e quel tono, che non si facevano troppo mistero di essere rivolte particolarmente
e miratamente a lui, e soprattutto sostenendo lo sguardo dell’altro. Quello era
un particolare del rapporto dei due che era sempre andato ampiamente oltre ogni
capacità di comprensione di Ramo.
Il silenzio sembrò prolungarsi in un’estenuante
durata, anche se doveva essere passata solo qualche decina di secondi: secondi che,
alle orecchie di Ramo, avevano qualcosa di sgradevolmente rassomigliante ad una
specie di conto alla rovescia.
«D’accordo. Molto bene.» disse infine Kumals, come se avesse raggiunto una sua personale
conclusione, sistemando meglio la valigia che si era portato appresso in un
angolo della stanza contro al muro, e fermandosi poi vicino alla porta, prima
di tornare a fissare direttamente Uther.
«Ora puoi anche smetterla di startene lì
ammantato nel tuo drappo di autocommiserazione mentre fingi di fare qualcosa di
utile come se veramente pensassi che lo sia, perché sinceramente…» iniziò a
dire.
«Che diavolo pensi di saperne esattamente,
tu?» esplose Uther, anche se il suo tono suonò poco più che un sibilo tra i
denti, ma caratterizzato da una notevole ferocia. Sembrò prendere fiato per
dire qualcos’altro e molto più di quello, ma non ne ebbe l’opportunità.
Kumals alzò la voce così
di colpo, abbandonando il suo tono scorrevole e superficialmente pratico e
semplice che aveva fino ad allora tutto sommato sostenuto, che Ramo sussultò
suo malgrado.
«Perché non ho tempo per le tue stronzate
Uther, non ora! Quindi fammi il favore di non provarci nemmeno. Qualsiasi
accidenti di cosa sia esattamente successa qui, adesso è l’ora, sì, questa è
sicuramente la tua chiamata: quindi scendi dal tuo dannato trespolo e riatterra
nella realtà, hop hop! Perché dobbiamo occuparci di
un dannato mucchio di mezzi lupi che potrebbero stare decidendo di fare una
strage qui intorno, e dobbiamo farlo adesso! La realtà non ha tempo per nessuna
delle tue stronzate, e nemmeno io. Quindi, ora, finiamola qui e andiamo.» disse
Kumals, come se stesse semplicemente continuando
quello che aveva iniziato a dire, e con incredibile autocontrollo nonostante
l’evidente alterazione, spalancando la porta con un deciso movimento del
braccio sul finire di quella tirata piuttosto breve e decisamente poco posata
per essere una delle sue.
Con totale sorpresa di Ramo, Uther non si
mosse di un millimetro, ma era dopotutto ammutolito. Questo non significava che
non stesse fissando Kumals con uno sguardo penetrante
e che potenzialmente avrebbe potuto essere capace di incenerire qualcuno sul
posto.
Ramo iniziò a riconsiderare la possibilità
di cercare di raggiungere la camera da letto e infilarsi sotto di esso per ogni
evenienza; più razionalmente e maturamente, si stava sforzando di trovare
qualcosa da dire, qualsiasi cosa a quel punto. Ma non riusciva a farsi venire
in mente niente, a tutti gli effetti, e sospettava che quella metà della sua
capacità di trovare le parole che non era al momento paralizzata dall’alta
tensione che permeava l’aria tra i due - e sulla quale probabilmente passandoci
attraverso si sarebbe potuti rimanere semplicemente fulminati sul colpo - fosse
paralizzata dal fatto che non aveva precisamente idea di che cosa stessero
parlando.
O meglio, in via di massima lo sapeva,
aveva abbastanza informazioni per capirlo razionalmente. Ma conoscendo quei due
e le loro usuali reazioni in condizioni di pressione dovute ad una situazione
di pericolo del genere, era quanto mai sicuro che ci doveva essere un’intera
miniera di cose fondamentali che lui non sapeva o non riusciva ad afferrare per
farli comportare così. Per qualche motivo, la necessità di evitare che
arrivassero al punto di dire qualcosa di anche peggio - o di ricorrere ad altre
modalità di scontro ben più fisiche - non riusciva a convincerlo del tutto del
fatto che, teoricamente, avrebbe dovuto aver bisogno di avere almeno una vaga
idea di tutti quei sottintesi non detti, per poter fare qualcosa di abbastanza
efficace per riuscire ad evitarlo. In altre parole, non era proprio sicuro di
voler sapere tutto ciò che poteva starsi nascondendo tra le righe di quello che
poteva essere un enorme, colossale corpo implicito del discorso; specialmente
se poteva evitare di doverlo sapere, insomma.
E si ritrovò a dire qualcosa senza nemmeno
pensarci due volte, né avere quindi l’opportunità di sottoporre ad una
preventiva recensione più accuratamente critica le sue stesse parole.
«Qualsiasi cosa esattamente stiate
pensando di fare… potete giusto evitare di svegliare Danny? Ha bisogno di
riposare parecchio per riprendersi.»
Si ritrovò concentrati addosso gli sguardi
di entrambi di colpo. La sensazione gli fece tornare alla mente singolarmente
un’immagine precisa: quella delle due sfingi de ‘La storia infinita’*
che si fronteggiavano senza battere ciglio né muoversi di un millimetro, ma che
fulminavano a morte immediata con lo sguardo lanciante veri e propri lampi
mortali chiunque osasse passare tra loro. Se non fosse stato così impegnato a
cercare di capire che cosa ne sarebbe stato di lui a quel punto, probabilmente
avrebbe trovato divertente quel paragone spuntato da un remoto ricordo di
infanzia.
Si trattenne dal chiudere gli occhi per prepararsi
istintivamente al peggio, e quando si azzardò a ricambiare direttamente lo
sguardo dei due fisso su di lui, registrò con incredulo principio di sollievo
che buona parte del belligerante modo in cui si stavano fissando tra loro poco
prima sembrava essersi perso per strada nel rivolgersi verso di lui ora.
Deglutì corposamente, cercando di non darlo troppo a vedere.
Poi Kumals
sospirò e si passò una mano sul volto, guardando altro e in nessuna direzione
in particolare, come se stesse cercando la forza di riprendere meglio
padronanza di sé.
Ramo spiò verso Uther, registrando che
anche lui aveva distolto lo sguardo, ma non sembrava affatto in procinto di
decidersi a fare o dire alcunché.
Allora si costrinse a cercare
qualcos’altro da dire; probabilmente non avrebbe dovuto ritentare la fortuna,
ma se era riuscito a dire qualcosa che poteva funzionare puramente di istinto,
forse poteva andargli bene una seconda volte, e servire perlomeno a far
scendere giusto un altro poco quell’enorme tensione che improvvisamente
saturava la stanza.
«Credo che… cioè, naturalmente hai
ragione, Kumals. Ma penso che Uther stia… insomma,
facendo qualcosa di utile. Sta sorvegliando delle sentinelle che ci stanno
spiando in strada. Sono dei mezzi lupi. E…»
Qualcosa nel modo in cui Kumals lo stava guardando lo fece esitare e perdere il
filo. Non era affatto uno sguardo intimorente; sembrava più un tipo di
espressione che suggerisse che gli stesse completamente sfuggendo un enorme
particolare determinante.
Kumals chiuse gli occhi
per un momento, e con notevole sforzo di calma nel tono, sebbene tutto il suo
decisamente spazientito trasporto avesse tutta l’aria di essere ancora rivolta
unicamente in direzione di Uther, disse «Non c’è nessuna sentinella, o spia, o
sorveglianza, o comunque la si voglia chiamare, là fuori.»
Per qualche motivo e tuttavia con
sorpresa, Ramo non riuscì a provare un effettivo stupore di fronte a quello.
Una parte di lui se l’era aspettato. Era qualcosa a che vedere con ciò che in
Uther gli sembrava fuori posto e diverso, e che non riusciva esattamente a
ricollocare con precisione, non ancora perlomeno.
«Oh.» fu tutto ciò che disse.
Poi aggrottò la fronte e sembrò sul punto
di dire qualcos’altro, ma Kumals lo guardò con
improvvisa pazienza familiare e sinceramente affettuosa nonostante tutto, e gli
disse, come se fosse stato capace quasi di leggergli nel pensiero «E sì, ne
sono sicuro. E no, non verrai tu con me perché sei chiaramente molto stanco e
perché sai bene almeno quanto me che è molto meglio se resti qui a controllare
le condizioni di Danny, per sicurezza.»
Ramo richiuse la bocca, realizzando che
non gli veniva in mente nient’altro da replicare.
«Allora verrò io con te.» intervenne Mordecai,
con il suo tono di composta e totale calma gentile.
Kumals lo guardò, e
sembrò rifletterci per un lungo momento, nel corso del quale lanciò un rapido
sguardo di sbieco di nuovo in direzione di Uther, e Ramo si trattenne dal
portarsi una mano dietro la schiena e incrociare le dita. E infine Kumals sospirò e sembrò arrendersi definitivamente.
«D’accordo. Grazie, Mordecai.» fu tutto
ciò che disse, prima di uscire seguito dal necromante.
La porta si richiuse dietro di loro, ma
Ramo rimase per qualche altro secondo completamente fermo e in silenzio. Come
se stesse inconsciamente temendo che la porta potesse riaprirsi di colpo da un
momento all’altro, o come se non riuscisse del tutto a capacitarsi che fosse
bastato così poco per mettere fine a quello che era appena successo, o come se
stesse realizzando più esattamente che non aveva ancora idea di che cosa fosse
appena successo esattamente. Probabilmente si trattava di una combinazione di
tutte queste cose assieme, per la verità.
Alla fine sospirò, e si
lasciò ricadere di nuovo a sedere sul divano, perché in quelle ultime ore a
quanto pareva l’unica certezza vera e propria rimastagli era la stanchezza.
Da lì seduto, tornò infine a scoccare un
altro sguardo in direzione di Uther, il quale sembrava avere sviluppato
ultimamente un’inconcepibile capacità di non farsi notare al punto da rendere
facilmente dimenticabile la sua presenza non appena si era anche solo un poco
concentrati su qualsiasi altra cosa; una lampada sarebbe stata molto più capace
di attirare l’attenzione di lui in quel momento. Il che era assurdo a ben
pensarci, considerò Ramo, dal momento che se ne stava appollaiato su una
finestra tenendo un fucile carico in grembo e due pistole altrettanto cariche
appoggiate a portata di mano sul davanzale. Ma a volte trovava sorprendente il
semplice fatto di essere ancora in grado di stupirsi di qualcosa, dopo il tempo
che aveva passato a più stretto contatto con i componenti degli ex ‘4 di picche’, e nel bel mezzo di ciò in cui erano capaci di
ritrovarsi, avendolo deciso oppure no.
Ebbe di nuovo la sensazione che avrebbe
dovuto provare a dire qualcosa, perlomeno tentare di rivolgere la parola ad
Uther. Così come aveva anche la sensazione che praticamente qualsiasi cosa che
avrebbe potuto dire sarebbe stata facilmente semi-ignorata, o perlomeno avrebbe
completamente fallito nel proposito di ottenere una vera e propria reazione da
parte dell’altro, a giudicare dal modo in cui gli appariva in quel momento.
Sembrava decisamente a miglia da lì, affondato da qualche altra parte.
Non avrebbe saputo dire con certezza se Kumals aveva centrato il punto parlando di
‘auto-commiserazione’, perché l’espressione di Uther, specialmente dopo quel
confronto appena avvenuto, sembrava più che altro preda di una cocente e
furente rabbia a stento repressa; anche se, sì, aveva una sfumatura che la
faceva sembrare almeno in buona parte come una rabbia auto-rivolta contro se stesso. Ma gli sembrava che Kumals
avesse centrato il punto giusto e se non altro a riguardo del fatto che Uther
sembrava disconnesso, relegato in qualche luogo altro rispetto alla semplice concretezza
del qui e ora. E doveva essere un luogo decisamente molto lontano, ovunque
fosse, se Ramo stesso, con tutta la sua stanchezza e il suo riuscire a stento a
restare ancora connesso alla lucidità, riusciva a notarlo così distintamente.
Alla fine, seppure sospettando che non
fosse quella la cosa più giusta da fare, si ritrovò a desistere senza nemmeno
provarci. Più che altro perché aveva la netta impressione che, se anche gli
avesse risposto, Uther non gli avrebbe detto niente di particolarmente utile in
quel momento. Perciò giunse alla conclusione che probabilmente quella non era
semplicemente la circostanza adatta per cercare di capire meglio alcunché,
foss’anche semplicemente che cos’era successo esattamente nelle ultime ore, e
perché e percome Danny versasse in quelle condizioni nella stanza accanto.
Ramo sospirò nuovamente e si costrinse ad
alzarsi dal divano e a trascinarsi a dare un’altra occhiata di rapido controllo
a Danny. Quando tornò nel salotto, si accorse con sorpresa che Uther lo stava
guardando. Senza nemmeno pensarci disse allora semplicemente e automaticamente «È
fuori pericolo.»
Vide Uther annuire e tornare a guardare
fuori, come se effettivamente ci fosse bisogno di fare la guardia. E anche se
ormai, a guardarlo meglio e sotto la nuova prospettiva che Kumals
aveva sottolineato con tanta sicurezza, a Ramo sembrava che lui stesse
mantenendo quella posizione semplicemente per cercare – peraltro forse senza
troppo successo – di tenersi occupato e impedirsi di pensare troppo, d’altro
canto non era sicuro che Kumals avesse completamente
e indubbiamente ragione, né su che cosa esattamente potesse averla.
Perciò, Ramo si trascinò semplicemente di
nuovo sul divano, ci si lasciò cadere sopra pesantemente, e dopo un ultimo vago
tentativo di raccogliere abbastanza gli elementi in suo possesso per prendere
una definitiva risoluzione a proposito del da farsi, si sistemò sdraiato il
meno scomodamente possibile e chiuse gli occhi.
Se l’unica certezza vera e propria che gli
era rimasta in quel momento era dopotutto quella di essere esausto, tanto valeva
iniziare da quella, iniziare dal recuperare un po’ di forze riposandosi per
qualche momento. Dopodiché, se non altro avrebbe potuto poi cercare di avere a
che fare con quant’altro dovesse succedere con un po’ più di energie.
Soundtrack: Jerk it out (Caesars Palace)
Note
per la comprensione e disclaimer:
* LA
STORIA INFINITA: il riferimento è proprio a ‘La storia infinita’
(titolo originale: The neverending story) di Michael Ende.
Note
dello scribacchiatore: Ancora
sostanzialmente dal punto di vista di Ramo, forse perché quando capita finisco
per affezionarmici al suo punto di vista, ma anche perché mi sembrava adatto in
questo punto.