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Autore: DaisyCorbyn    01/07/2018    1 recensioni
**IN REVISIONE**
[19 anni dopo] [Next Generation]
Dopo gli avventimenti che hanno scosso Alwys alla fine del suo primo anno ad Hogwarts, la Grifondoro si troverà ad affrontare un nuovo nemico: la Luna d'Argento, un fenomeno che causa effetti oscuri ai licantropi. La soluzione sembra la Pozione Antilupo, ma è veramente ciò di cui Alwys ha bisogno?
Tra la ricerca degli ingredienti e le lezioni, Alwys dovrà anche scontrarsi contro quella figura oscura che cercherà di manipolare la sua mente.
ATTENZIONE: questo è il secondo libro della saga Alwys Dewery, il primo lo trovate nel mio account!
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuova generazione di streghe e maghi, Nuovo personaggio, Teddy Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Per sempre


Le parole le morirono sulle labbra, ogni cosa attorno a lei divenne ovattata, distante, come se qualcuno le avesse lanciato un incantesimo per creare una bolla di vetro attorno a lei. Molto probabilmente era sola lì, ma poco le importava: non avrebbe risposto a nessuno, nemmeno a chi si sarebbe preoccupato delle sue lacrime che, senza un contegno, stavano scorrendo lungo le sue guance. Alzò lo sguardo per guardarsi intorno alla ricerca di un appiglio, di qualcuno da prendere per le spalle e scuotere con forza dicendo “È tutto una menzogna, vero?”, ma quella era la realtà e lei, anche se faticava a crederci, non poteva negarlo. I contorni di marmo degli archi erano sfocati, si confondevano con il colore del cielo che, dal blu profondo di prima, era sprofondato in un soffocante grigio. Vide una figura avvicinarsi, che si trascinava dietro un pesante mantello nero: Alwys rabbrividì appena realizzò che non riusciva a scorgerne né la bocca né gli occhi, come se una patina sfocata si fosse poggiata sui su quel viso anonimo. Delle parole lontane, però, riuscirono a scuoterla.
«Alwys!» dicevano, ma a lei, nonostante provasse ad afferrarle, scivolavano via come metropolvere fra le dita «Alwys!»
Il professor Paciock era chinato su di lei: i suoi occhi verdi brillavano in quel grigiore, riscuotendola da quel torpore creato dalle sue lacrime, che le avevano tremendamente riscaldato il viso.
«Cosa è successo?» chiese con tono preoccupato «Qualcuno ti ha presa in giro?» 
Lei scosse la testa con forza: non riusciva a parlare, quindi si limitò ad alzare il libro. Il professore lo prese con cura, come se avesse paura di rompere le fragili dita della ragazzina. Lesse il titolo e rimase in un silenzio così vuoto da risucchiare ogni cosa, compresa Alwys. 
«Vieni con me.»
Le mise una mano sulla spalla accarezzandola dolcemente: lei, ormai inerme e svuotata, si alzò senza protestare, quasi in balia del corso del vento. Neville aveva capito che in quel momento non c’erano parole adatte per confortarla, ma aveva bisogno di mani forti che sostenessero i suoi timidi passi che, incerti, rischiavano di inciampare su sé stessi. Camminarono fra i corridoi che agli occhi di Alwys, parvero tutti uguali e, soprattutto, infiniti. Non si accorse dei brusii che li accompagnarono, o degli sguardi preoccupati, l’unica cosa che le interessava era nascondersi sotto una montagna di terra e non riemergere mai più: sperò che il professore la stesse portando nella Foresta Proibita.
Ma capì quali fossero le sue intenzioni quando si fermarono davanti all’entrata dell’ufficio della preside: Alwys fremette nella paura di essere messa in punizione. Una paura stupida, ma non sapeva più a cosa pensare.
«Tranquilla.»
Lei in risposta abbassò lo sguardo, comprendendo di non poter protestare: soprattutto perché non ne aveva la forza.
«Campo arato.»
I Gargoyles chinarono la testa e li lasciarono passare. Alwys sbirciò in direzione della mano del professor Paciock e, appena rivide quel libro, sentì le lacrime tornarle agli occhi. Voleva scappare, evadere dalla sua presa, ma sapeva che sarebbe stato del tutto inutile: quell’impotenza era sembrava la stesse divorando dentro. 
La McGranitt era retta davanti alla scrivania, con lo sguardo imperturbabile e attento ad ogni movimento, e ad Alwys diede la sensazione che li stesse aspettando. Quando incontrò il suo sguardo, si sentì tornare in quell’ampia e fredda sala dove si era svolto il processo, nonostante non avesse niente a che fare con lo studio della preside stracolmo di libri e boccette colorate. 
«La ringrazio professore» disse facendo un cenno con il capo «La prego di chiamare il professor Lupin.»
«Anche il signor Paw?»
«Non c’è bisogno.»
Neville fece un cenno d’assenso e, dopo aver accarezzato la guancia umida della studentessa, andò via. Appena la porta si chiuse, il rumore riecheggiò sordo fra le pareti concave. 
«Prendi un biscotto» disse la preside, e un vassoio argentato volò verso Alwys.
La ragazzina lo guardò frastornata e prese un biscotto, ma solo per non andare contro la preside. 
«Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato» continuò avvicinandosi a lei «Mi dispiace che fossi sola.»
«Lo sapevate?» chiese con la voce tremante, come se il groppo delle lacrime le fosse rimasto incastrato in gola.
«Mia cara, qui tutti sanno come si trasmette la licantropia» spiegò poggiandole una mano sulla spalla «Avevamo avvisato i tuoi genitori.»
«I miei genitori?» ripeté come se fosse una parola mai sentita prima.
«Sì, Alwys, i tuoi genitori» disse con insistenza, prendendole il mento per incontrare il suo sguardo «Loro lo sono e ti amano, hanno soltanto sbagliato a non dirtelo.»
«Perché non me lo hanno detto?»
La preside sospirò: sul suo volto l’espressione di una persona che stava per infrangere una promessa.
«Avevano paura della tua reazione.»
«La mia reazione? Perché?» chiese con voce acuta indietreggiando leggermente «Mi hanno morsa da piccola?»
«Non dovrei essere io a dirtelo.»
«Ma io voglio sapere!» urlò così forte da far tremare i muri.
Sentì una strana sensazione alle mani e, quando le guardò, vide dei solchi rossi leggermente profondi: le sue unghie si erano trasformate in artigli. Guardò la preside, il cui sguardo però non sembrava preoccupato o spaventato.
«Devi calmarti» disse con tono pacato «Ti farai solo del male così.»
Alwys abbassò lo sguardo, combattendo contro le lacrime che volevano solcarle le guancie.
«Perché non me lo hanno detto?» chiese di nuovo con più insistenza.
«Ti hanno trovata sull’uscio dell’ingresso il tre Giugno del 2006» raccontò continuando a guardarla negli occhi, nonostante lei evitasse lo sguardo «Ti hanno adottata, non capivano perché ti avessero abbandonata, poi…»
«Mi sono trasformata» finì lei la frase, come se non avesse paura di sentirne il continuo.
«I figli dei Lupi Mannari nascono con fattezze lupine» spiegò la preside «Poi si stabilizzano e la seconda trasformazione avviene circa al primo anno di vita, da lì in poi dipende dall’umore.»
«Quindi i miei genitori biologici sapevano della mia natura» disse con la voce incrinata, che da un momento all’altro si sarebbe spezzata in modo irreparabile «Non mi hanno voluta perché ero un Lupo Mannaro.»
Si portò le mani al viso e incominciò a piangere in modo incontrollato, con la paura di potersi trasformare all’improvviso, ma, a parte i canini e gli artigli, rimase in forma umana. 
«Non ne possiamo essere sicuri» disse la McGranitt avvicinandosi a lei per accarezzarle i capelli.
«Allora perché!» urlò allontanandosi dal suo tocco: le avrebbe graffiato il braccio se la donna non avesse avuto i riflessi pronti.
Alwys per un attimo si dispiacque, ma subito dopo la rabbia tornò ad accecarla. Le porte si spalancarono, attirando l’attenzione di entrambe, e Ted e Damien entrarono dentro lo studio: il primo aveva il fiato corto, il secondo sembrava a suo agio.
«Alwys!» disse Ted avvicinandosi alla ragazzina, ma lei alzò le mani davanti a sé per fargli capire che non doveva.
«E quelli?» chiese Damien sarcastico guardando gli artigli «Qualcuno ha avuto una brutta giornata?» 
«Sta’ zitto Damien» disse l’altro per poi girarsi verso Alwys «Mi dispiace tantissimo che tu lo abbia dovuto scoprire così.»
«Lo avrebbe scoperto prima o poi» snocciolò il licantropo «Sappi che è stato davvero difficile tenertelo nascosto.»
«Come vorrei lanciarti una fattura in faccia» disse Alwys stringendo i denti.
«Ti ricordo che sono un tuo superiore» rispose Damien corrucciando le sopracciglia «Ti posso mettere fuori gioco soffiandoti.»  
«Bambini ora basta» li richiamò la McGranitt battendo le mani «Ricordiamoci perché siamo qui.»
«Perché i miei genitori mi hanno abbandonata? Ah, vero, nessuno lo sa» rispose Alwys, ma subito si pentì del suo tono sarcastico.
«Alwys lo so che sei arrabbiata» disse la preside «Ma arrabbiarti non cambierà nulla: Clarissa e Alexander ti amano e non sapremo mai perché i tuoi genitori ti hanno lasciata sull’uscio di quella porta. Ciò che sappiamo è che volevano che tu fossi felice e lo sei.»
La ragazzina non sapeva come controbattere: si sentì spiazzata, immaginò ci si potesse sentire in quel modo solo dopo essere stati quasi sfiorati da un bolide. Rilassò le braccia lungo i fianchi e sentì gli artigli ritrarsi. 
«Alwys…» la voce di Ted attirò il suo sguardo «Ora sei qui, con noi, è questo ciò che conta.»
Ed era vero, ma in quel momento i volti offuscati dei suoi genitori erano padroni della sua mente: chi erano? Erano dei maghi? O facevano parte di un branco? Sono vivi?
«I miei capelli…» sussurrò quasi tra sé e sé «E se loro sapessero perché sono così?»
«Non sapremmo come contattarli» rispose la McGranitt facendola precipitare nella realtà. 
«E ha importanza?» continuò Ted avvicinandosi di più a lei «Sei perfetta così, un po’ ammaccata, ma perfetta così… imparerai a controllarti, imparerai ad usare la magia e starai con noi, cosa ti manca?»
«Il mio passato» rispose lei con lo sguardo perso.
«Il passato è per piangere» disse la McGranitt «Il presente per vivere e il futuro per costruire.»
Alwys finalmente incontrò il suo sguardo: i due smeraldi che aveva incastonati nel viso splendevano di una luce strana, come un tesoro rimasto nascosto per troppo tempo. La Grifondoro si lasciò coinvolgere da quella determinazione e quelle parole incominciarono a pulsarle nelle orecchie al ritmo del suo cuore. 
«Posso parlare con i miei… genitori?»
«Certo» rispose la preside «Oggi pomeriggio vi incontrerete a Godric’s Hollow.»
Alwys annuì: ringraziò il fatto che non fosse il giorno dopo, non avrebbe resistito così a lungo. Subito dopo spostò lo sguardo verso Ted, ormai vicino a lei. Vide nei suoi occhi la voglia di toccarla, ma anche la paura di essere respinto. Alwys, senza pensarci, si buttò fra le sue braccia, sprofondando in quel tepore familiare dove sempre si sarebbe sentita protetta.
«Non lasciarmi mai» disse contro la sua camicia.
«Mai.»
Lui la strinse con forza, come se la volesse proteggere da qualsiasi cosa, ma allo stesso tempo come se volesse trasmetterle un po’ di forza per aiutarla ad affrontare le difficoltà. Si staccarono solo quando Alwys si sentì meno stordita e riuscì a stare in piedi da sola; Damien nel frattempo stava giocherellando con delle boccette, invece la McGranitt aveva osservato la scena sorridendo.
«Io…» disse la Grifondoro cercando le parole adatte «Mi dispiace.»
«Tutti siamo stati adolescenti» rispose la preside agitando la mano destra.
«E a me non chiedi scusa?» chiese Damien divaricando le braccia.
Alwys avrebbe tanto voluto rispondere a dovere, ma sapeva di essersi già spinta troppo oltre.
Essere trafitti da cento lame sarebbe stato meno doloroso di dire quelle parole «Mi dispiace, Damien.»
«Così va meglio» rispose lui con un sorrisetto soddisfatto sul volto «Ora possiamo parlare della Luna d’Argento?»
«La Luna d’Argento?» fece eco Alwys. 
«Adesso è meglio di no» rispose la preside «La signorina Dewery ha altro a cui pensare.»
«Ancora?» chiese Damien scocciato «Dopo l’abbraccio strappalacrime non dovrebbe stare meglio?»
Ted e la McGranitt alzarono gli occhi al cielo contemporaneamente, facendo ridere Alwys. 
«Preferisco andare nella Sala della Memoria» disse poi la Grifondoro «Ho troppi pensieri per la testa.»
«La Luna d’Argento è una questione importante» insistette Damien facendosi serio «Dobbiamo parlarne.»
«Abbiamo tempo» rispose la McGranitt sospirando «Ma domani ne parleremo, Damien ha ragione.»
Alwys annuì sconfitta: sperava in un anno tranquillo, ma forse non lo avrebbe avuto mai.
Accompagnata da Ted uscì dall’ufficio, mentre Damien rimase a discutere con la McGranitt, probabilmente di quella misteriosa “Luna d’Argento”.
«Un problema alla volta» disse Ted intuendo i suoi pensieri dall’espressione contratta.
Lei annuì, ma si sentiva la testa così pesante e piena da sentirsi stordita, visto che fino a poco fa, al contrario, si era sentita completamente vuota. 
In fondo lo sapeva, ma non lo aveva mai voluto ammettere: prima di andare ad Hogwarts aveva cercato su internet delle informazioni sulla sua natura e tutti i siti dicevano il contrario di quello detto dai suoi genitori, ma loro usavano la scusa del “chiunque può scrivere su internet” e lei ci credeva; poi c’era la lettera del nonno scomparsa e tanti piccoli indizi, come anche l’indisposizione della madre nei confronti della sua natura. Si sentì così stupida per non averlo capito prima.
Perché non me lo hanno detto loro?
Quella era la domanda che le stava tormentando la testa ma, siccome sapeva di non poter avere la risposta subito, aveva preferito andare nella Sala della Memoria per rilassarsi un po’ con Remus e Ninfadora, così che quelle domande diventassero soltanto un lieve sussurro simile al vento che faceva tremare le fiammelle delle torce. 
Salutò i dipinti come in qualsiasi altra giornata normale, nonostante il suo sguardo fosse chiaramente altrove, intrappolato fra i contorni indefiniti di due volti che non avrebbero mai conosciuto la luce.
«Io starò per sempre con te» disse Ted stringendole la mano «Se tu vuoi.»
«Oggi e domani.»
«Ripetuto ogni giorno.»
I due si misero a ridere ed Alwys si aggrappò al suo braccio, la cui presa salda sembrava le stesse promettendo che non l’avrebbe mai più lasciata.
Dopo i consigli di Remus e le risate con Ninfadora, arrivò il momento di andare: il cuore di Alwys cominciò a battere velocemente, rendendole difficile camminare con tranquillità. 
«Prendi un respiro profondo.»
Fece come Ted le aveva detto, ma sembrò fare poco, soprattutto dopo che il suo sguardo aveva incontrato quello della preside. Damien non c’era e ciò, fortunatamente, fece rilassare leggermente la ragazzina.
«Pronta?»
Alwys annuì senza proferire parola, come se i pensieri avessero preso possesso anche della parte di cervello adibita al linguaggio.
«Ci smaterializzeremo, ok?» disse Ted con il suo solito sorriso dolce.
Alwys non era molto convinta: dopo l’esperienza con Damien si era ripromessa di non volersi smaterializzare più, ma aveva come l’impressione di non avere molta scelta. Annuì in silenzio, prendendo per mano Ted. La preside alzò un braccio, a cui il ragazzo si strinse, e subito dopo le loro figure furono sostituite da un vortice di foglie secche.
Arrivati nel paesino, Alwys si dovette aggrappare a Ted per non cadere: fortunatamente, però, non aveva nausea. Il suo sguardo, rivolto verso terra, scorse il cemento bagnato, come se avesse piovuto da poco, nonostante avessero lasciato ad Hogwarts un clima mite. La stradina in cui si erano materializzati era silenziosa e stretta, quasi opprimente: sembrava abbandonata, poiché le finestre che si affacciavano su essa erano sbarrate da tavole di legno scuro. Ted la prese per mano e, seguendo la McGranitt, si addentrarono in quel labirinto di cunicoli e vie.
I miei genitori come sono arrivati fino a qui?
Si fermarono davanti ad una casa cadente, anche se alcune assi erano state sostituite con altre di un altro colore e i buchi sul tetto tappati da un incantesimo che creava una patina trasparente. Alwys guardò Ted perplessa ma lui, dopo aver riso per la sua espressione, non parlò. La preside batté tre colpi sulla porta malandata e, poco dopo, si sentirono dei frettolosi e goffi passi. 
«Chi è?» chiese una voce femminile.
«Minerva.»
La porta si aprì cigolando e, dietro essa, spuntò una donna alta e slanciata, con corti capelli color cenere. 
«Sono già qui.»
Alwys incontrò il suo sguardo dorato e le sorrise cordialmente. 
Appena varcarono l’ingresso, la Grifondoro si sentì come congelata da un vento improvviso: nell’altra stanza c’erano i suoi genitori, ma qualcosa le stava impedendo di andare da loro. La McGranitt e la donna dai capelli grigi erano già andate avanti, e così poté notare che quest’ultima zoppicava leggermente.
«Andiamo?» chiese Ted, che era rimasto accanto a lei.
Alwys annuì, come se il suo sguardo le avesse infuso la forza necessaria. La casa, il cui interno caldo e accogliente stonava con l’esterno, era molto piccola, composta solo dall’ingresso e altre due stanze: Alwys, vedendola da fuori, aveva creduto ci fosse un secondo piano, ma non c’erano scale. 
«Vuoi entrare da sola?» chiese la preside fermandosi davanti alla porta.
La Grifondoro non sapeva cosa rispondere ma, dopo un profondo respiro, annuì prontamente. Guardò Ted e poi prese il pomello con la mano destra, sorprendendosi del fatto che non fosse freddo come si aspettava. Dopo il cigolio della porta, due coppie di occhi attirarono la sua attenzione: i suoi genitori erano seduti su un divano e, appena realizzarono che era lei, li vide fremere. Clarissa si stava torturando le unghie, invece Alexander aveva il viso contratto; solo durante la luna piena li aveva visti con quelle espressioni. 
«Alwys…» sussurrò il padre.
I due si alzarono ma non si mossero. Avevano paura che scappasse via. 
«Non importa» disse Alwys dopo un asfissiante silenzio «Perché io vi amo.»
«Anche noi ti amiamo: sei e rimarrai per sempre la nostra bambina, quella che distruggeva tutti i vestitini comprati dalla mamma, che si vergogna delle sue orecchie a punta, che riempie le nostre giornate con le sue risate» rispose il padre muovendo qualche passo «Sei la mia principessa e nessun orco cattivo riuscirà a strapparti dalle mie braccia.»
Alwys corse verso di loro e li intrappolò in un goffo abbraccio, ma che riuscì a coinvolgerli entrambi: la madre incominciò ad accarezzarle i capelli fra le lacrime, invece il padre strinse tutte e due a sé, in un abbraccio che si erano negati per troppo tempo.
La famiglia non è stata decisa dal tuo sangue, ma dal tuo cuore.

   
 
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