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Autore: Carme93    01/07/2018    1 recensioni
Anno 2021.
I Dodici della Profezia si preparano ad adempiere al loro destino, mentre la comunità magica piomba nel caos; ma è il tempo anche di affrontare i problemi e le discriminazioni sociali ignorate per secoli. E ancora una volta toccherà ai ragazzi far aprire gli occhi agli adulti. Ragazzi che a loro volta sono alle prese con i problemi tipici dell'adolescenza e della crescita.
Inoltre si ritroveranno a interagire anche con studenti stranieri e quindi con civiltà e realtà completamente diverse dalla loro. Questo li aiuterà a crescere, ma anche a trovare una soluzione per i loro problemi.
Questa fan fiction è la continuazione de "La maledizione del Torneo Tremaghi" e de "L'ombra del passato", la loro lettura non è obbligatoria ma consigliata.
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Nuova generazione di streghe e maghi | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo trentatreesimo
 
Il falò dell’amicizia
 
 «Sono pazzi! Non ha senso farvi fare una faticaccia in treno, quando potreste benissimo usare una passaporta!» sbuffò Benedetta.
«A chi lo dici!» replicò James. «Parkinson e Jack hanno protestato, ma la Preside non li ha dato ascolto».
«È solo una settimana, ma mi mancherai» disse la ragazza.
«Più dell’Italia?» buttò lì James.
Benedetta roteò gli occhi. «Certo, di più» lo rassicurò, scoccandogli un bacio sulla guancia.
«Mi sa che devo andare» borbottò il Grifondoro, vedendo che ormai erano arrivati tutti i componenti della squadra olimpica. «Mi raccomando, stai attenta».
«Tranquillo, ci sono io» s’intromise Robert, battendogli il cinque.
«Sono in grado di difendermi da sola» sbottò la ragazza, guardando male entrambi. I due ragazzi si affrettarono ad assicurarle che non intendevano insinuare il contrario.
«Non farti buttare fuori» disse Robert.
«Non ne ho nessuna intenzione» replicò James.
«Salutami i miei cugini» soggiunse Benedetta.
James annuì e le rubò un bacio a fior di labbra, facendola arrossire a causa della presenza di molti docenti. Il ragazzo le rivolse uno sguardo malandrino, mentre usciva nell’aria tiepida di aprile.
Tre Auror affiancarono immediatamente il gruppetto diretto fuori dai confini della Scuola. Il Grifondoro li salutò con un cenno, perché li conosceva avendoli visti più volte, quando da piccolo andava a trovare il padre in ufficio.
Questa volta la squadra di Quidditch, qualificatasi per la finale, sarebbe rimasta in Scozia, perciò erano soltanto tredici i ragazzi che si affollarono sulla banchina della stazione di Hogsmeade. La Preside, unica accompagnatrice, scambiò alcune parole con gli Auror di scorta e infine li fece segno di salire sul treno.
«Fermatevi, qui» ordinò la McGranitt, visto che alcuni ragazzi si stavano già impadronendo degli scompartimenti vicini. Le porte del treno si chiusero. «Partiremo fra un minuto. Dividetevi in due gruppi. Uno da sei e uno da sette».
James e i suoi compagni la fissarono perplessi, ma a un suo cenno impaziente, si affrettarono a obbedire.
Albus, Frank, Louis, Jack, Gabriel Fawley e James formarono uno dei gruppi, a cui si aggiunse Rick Lewis, uno dei tre Auror.
«Afferrate tutti la passaporta» ordinò laconicamente l’uomo, porgendo loro una bottiglia di plastica.
Albus, Frank e James si scambiarono uno sguardo sorpreso, ma, vedendo la bottiglia illuminarsi, allungarono la mano insieme agli altri. Proprio nel momento in cui i ragazzi percepirono il consueto strappo all’ombelico, il treno iniziò a muoversi.
«Non hai ancora imparato a non cadere, Potter?» sbottò Jack Fletcher.
James, leggermente stordito dal chiasso che li aveva accolti, gli lanciò un’occhiataccia. Del loro gruppo solo Fawley, Jack e l’Auror Lewis erano riusciti a rimanere in piedi.
«Raggiungete i vostri compagni» ordinò seccamente Lewis.
«Dove siamo, signore?» domandò James curioso, mentre lo seguivano fuori dalla piccola stanza in cui erano giunti.
«Una stazione per le passaporte» replicò l’Auror. «Oh, ecco la professoressa McGranitt».
James si guardò intorno meravigliato. Quello Benedetta non gliel’aveva raccontato! Attraversando delle doppie porte giunsero in una sala più ampia, molto affollata. Non ebbero difficoltà, grazie alle divise, a riconoscere gli studenti delle altre Scuole.
La professoressa McGranitt si diresse verso un uomo, palesemente avanti con l’età. I due si strinsero la mano.
«Mi chiamo Gabriele Cafieri e sono il Vicepreside della Scuola di Magia e Stregoneria Fata Morgana. Benvenuti in Italia».
I ragazzi ringraziarono educatamente e l’insegnante si allontanò per accogliere i ragazzi di Castelobruxo, appena giunti.
Albus s’impose di non voltarsi e cercare, stupidamente, Daila Morales.
Appena tutte le Scuole furono arrivate, il professor Cafieri, affiancato da Valerio D’Abrosca, l’alfiere italiano, li invitò a seguirlo fuori dall’edificio.
Un sole caldo splendeva in cielo e James fu costretto, come quasi tutti i suoi compagni, a togliersi il mantello che indossava. Benedetta l’aveva avvertito che avrebbero trovato un clima molto più caldo. Al mantello presto seguì anche il maglione di lana. Gli Italiani li avevano pregati di indossare vestiti babbani, in modo da non aver problemi a raggiungere la Scuola. E, mentre si spostavano lungo un marciapiede, comprese il perché: si trovavano in un centro babbano.
«Non s’insospettiranno a vedere così tante persone straniere?» borbottò Albus, dietro di lui.
James si strinse nelle spalle. Effettivamente molti passanti si fermavano a osservarli e poi commentavano tra loro.
«Evidentemente non credono che possa costituire un problema» intervenne Jack Fletcher.
«Il professor Finch-Fletchley ha detto che i maghi italiani sono quelli che sono riusciti a trovare il migliore degli equilibri con i Babbani» disse Frank. «È difficile che diano problemi alla Confederazione Internazionale in quest’ambito».
«Quelle navi sono enormi!» sospirò ammirato Albus.
«Insomma, quelle che da Dover vanno a Calais non scherzano» commentò Louis, ma il cugino, troppo meravigliato, nemmeno lo sentì.
Non erano gli unici a trovare insolito lo spettacolo che era apparso improvvisamente ai loro occhi. Una grande nave gialla stava caricando macchine e camions, mentre dei Babbani dirigevano l’operazione.
«Fate attenzione» li richiamò allarmato Lewis, indicando le macchine babbane.
Si trattava di una strada molto trafficata e loro, decisamente, stavano contribuendo ad aumentare la confusione. Molti autisti sembravano parecchio irritati e inveivano contro di loro.
Da lì procedettero verso sinistra e la strada si svuotò lentamente, ma furono costretti a percorrerne una più stretta. Uno specchio d’acqua apparve di fronte ai loro occhi, facendo fremere ulteriormente Albus, tanto che James temette che si facesse trascinare dal suo amore per il nuoto e si tuffasse senza pensarci due volte. Non che lui non l’avrebbe fatto: faceva decisamente troppo caldo!
Era sorprendente, però, come l’alfiere italiano indossasse un giubbotto leggero! Come poteva? James non sopportava neanche più la camicia!
Ciò che, però, lasciò a bocca aperta i ragazzi fu il veliero ancorato alla banchina di pietra. Le vele bianche e quadrate sventolavano al leggero venticello che soffiava e l’imbarcazione oscillava seguendo dolcemente i movimenti del mare, che s’infrangeva contro la pietra scura. Il veliero aveva tre alberi e la vela centrale presentava una farfalla stilizzata, il simbolo della Fata Morgana.
Salirono e furono riuniti sul ponte. Il professor Cafieri era stato raggiunto da un uomo sulla cinquantina, che sorrise loro prima di chiedere il silenzio e prendere la parola.
«Buon pomeriggio e benvenuti in Italia. Io sono il comandante della nave. Mi chiamo Andrea Ascrizzi. Tra pochi minuti salperemo e spero di cuore che il viaggio si rivelerà piacevole per voi». Sembrava una persona simpatica, perciò molti ricambiarono il suo sorriso sincero. «Potete rimanere sul ponte, se vi fa piacere; oppure all’interno troverete sicuramente un ambiente più che confortevole. Vi prego, però, di ricordare che siete su una nave e, in quanto tale, dovrete evitare comportamenti pericolosi: non si corre, specialmente sui ponti e, qui, evitate anche spintoni e simili; non sporgetevi troppo e, naturalmente, rispettate i saloni a cui avrete accesso».
«Partiremo a momenti, perciò mettetevi comodi» aggiunse il professor Cafieri.
Albus corse alla ringhiera e si affacciò. Adorava troppo il mare e, a casa, non aveva molte occasioni di recarvisi. Quand’era piccolo, in estate, i genitori lo portavano spesso; ma da qualche anno, cioè dal momento in cui Bellatrix Selwyn era entrata in scena, suo padre aveva dimenticato il significato della parola ‘vacanza’.
«Jamie» disse notando il fratello a suo fianco.
«Mmm» rispose il più grande, con lo sguardo perso nell’acqua sotto di loro.
«Davvero papà e mamma ti hanno promesso una vacanza in Italia?».
«Se la Selwyn verrà arrestata» sospirò James.
«Faremo in modo che accada. Mi sono stancato di permetterle di condizionare la mia vita» dichiarò Albus a denti stretti.
«A chi lo dici» replicò James.
«Dentro sembra fantastico. Diamo un’occhiata insieme?» li chiamò Louis. Era in compagnia di Frank.
«Adoro esplorare. Andiamo» disse James, stampandosi un sorriso in volto.
Albus non li seguì, desideroso di vedere il veliero prendere il largo.
 
Frank rimase a bocca aperta: l’interno era molto elegante. Vi era un vasto salone, con divanetti, dall’aspetto comodo, sotto gli oblò e tavolini di legno scuro di fronte a essi. Sulla destra, in fondo, vi era persino una specie di bar.
«Altro che Espresso di Hogwarts» commentò ammirato.
James fischiò altrettanto sorpreso, mentre Louis si guardava intorno con attenzione.
«Quanto ci metteremo ad arrivare secondo voi?» domandò quest’ultimo.
«Meno di venti minuti. Me l’ha detto Benedetta» rispose James.
«Quindi tu sapevi di questo» esclamò Frank, indicando la sala ormai affollata. Alcuni studenti, come quelli di Móshú, Koldovstoretz e Mahoutokoro, stavano, alquanto rigidi, con i loro Presidi; mentre gli altri ragazzi si erano sparpagliati per la nave alla ricerca degli amici delle altre Scuole.
«Non proprio. Benedetta non è mai stata alla Fata Morgana, naturalmente. Mi ha solo riferito alcuni racconti dei suoi cugini» spiegò James in risposta.
I tre ragazzi salutarono alcuni coetanei con cui avevano stretto amicizia.
Una ragazza di Ilvermorny, ormai avevano imparato a distinguere le varie divise, si avvicinò a James e gli disse: «Ophelia Grimditch mi ha chiesto di riferirti un messaggio».
James gemette. La cugina di Molly non faceva che scrivergli lettere, in cui non troppo velatamente gli confidava il suo amore incondizionato verso di lui. Naturalmente Benedetta non apprezzava, ma almeno non se l’era presa con lui. Il ragazzo aveva provato a dirle gentilmente di lasciarlo in pace perché era già impegnato, ma l’Americana era molto testarda.
«Sì, ti capisco. La Grimditch sa essere appiccicosa» sbuffò la ragazza, che lo fissava comprensiva.
«Non sono interessato a lei e ho provato a dirglielo. Anche piuttosto chiaramente» sospirò James.
«Beh, non l’ha capito» ribatté l’altra. «Comunque mi chiamo Clara Matthews. Frequento il settimo anno e rappresento la mia Scuola nel Torneo di Cultura Magica, precisamente mi occupo di Storia della Magia».
«James Potter» si presentò a sua volta. La ragazza ignorò completamente Frank e Louis.
«Quel ragazzo è tuo amico, giusto? Vi ho visto insieme più volte» disse la Matthews.
James seguì il suo sguardo e vide Jack Fletcher intento a parlare con dei ragazzi della Dreamtime.
«Sì» rispose il ragazzo. Riuscivano a sfidarsi e a litigare sulle cose più assurde, ma sì, tutto sommato poteva considerare il Tassorosso un amico.
«È libero?» chiese a bruciapelo la ragazza.
James si accigliò, mentre Louis e Frank ridacchiavano lievemente alle sue spalle. Mancava solo che facesse da segretario a Fletcher.
«Non è impegnato che io sappia. Di solito apprezza molto la compagnia di belle ragazze» rispose sinceramente. Clara Matthews apparve soddisfatta, salutò velocemente e si fiondò sul Tassorosso.
«Andiamo fuori da Al?» domandò Frank.
«Credo sia meglio» borbottò James.
Albus, con occhi luccicanti, osservava il veliero solcare leggiadramente le acque del Mar Mediterraneo e la schiuma bianca che lasciava dietro di sé.
«Che paese è quello?» domandò perplesso Frank.
«La Sicilia» rispose James. «È una regione italiana».
«Noi siamo diretti lì?» chiese Louis.
«Non credo» ribatté James. «Secondo quanto mi ha detto Benedetta, la Fata Morgana si trova su una piccola isola».
«E poi il veliero sta virando verso ovest» aggiunse Albus.
Circa cinque minuti dopo l’isola in questione apparve davanti ai loro occhi, florida e bagnata dal sole primaverile.
«Quella è la nave di Durmstrang!» disse Louis indicando una nave, molto più cupa e quasi spettrale rispetto a quella su cui stavano viaggiando.
«A quanto pare loro non hanno rinunciato al loro classico modo di viaggiare» commentò Albus.
La nave penetrò dolcemente in un’insenatura naturale e, diminuì la sua velocità fin quasi a fermarsi. Alcuni uomini si avvicinarono sulla banchina di legno del porto e collaborarono alle operazioni di ancoraggio, proprio mentre una voce magicamente amplificata, probabilmente quella del comandante Ascrizzi, annunciava l’arrivo.
«Raggiungiamo gli altri e la McGranitt» disse saggiamente Frank.
Albus, che avrebbe preferito rimanere su quel ponte ancora a lungo, li seguì a malincuore.
Il comandante Ascrizzi scese insieme a loro, al professor Cafieri e a Valerio D’Abrosca.
«Spero che il viaggio sia stato di vostro gradimento seppur breve» disse il professore.
«E siete stati fortunati» intervenne il comandante Ascrizzi. «Il mare era calmissimo oggi».
Albus vide un paio di ragazzi russi alquanto contrariati e dal colorito leggermente verdognolo: a quanto pare soffrivano di mal di mare.
«Siamo quasi arrivati. Seguiteci» riprese la parola il professor Cafieri, per poi avviarsi lungo un sentiero ciottolato.
«Benedetta ha detto che è un palazzo molto imponente» disse James agli amici. Il viale che stavano percorrendo, però, era alberato e non riuscivano a spingere lontano lo sguardo.
Pochi minuti dopo la stradina sfociò in un ampio parco, ma non fu quello a colpire i ragazzi: gran parte del palazzo era di vetro e luccicava al sole.
«Oh, Merlino» riuscì solo a dire James.
Erano ben sei piani tutti in vetro e la struttura centrale era circondata da massicce torri.
All’ingresso una donna alta e distinta, con i capelli d’argento, legati in una morbida coda di cavallo, e un dolce sorriso in volto, li attendeva. I ragazzi la conoscevano: era Luana Fernazzaro, la Preside della Scuola.
Le chiacchiere e i bisbigli tacquero all’istante e il sorriso della donna si allargò ulteriormente.
«Benvenuti alla Scuola di Magia e Stregoneria Fata Morgana» esclamò, prima di ricambiare i cortesi saluti dei suoi colleghi.
«Gli studenti mi seguano» disse il professor Cafieri, dopo aver scambiato qualche parola con il comandante Ascrizzi che, a differenza di Valerio D’Abrosca, si fermò all’ingresso senza seguirli all’interno.
«Ha una forma strana quest’edificio» borbottò Albus, guardandosi intorno con interesse. I corridoi erano un tripudio di luce e dava quasi le vertigini guardare fuori dai vetri: sembrava quasi essere all’esterno. E in alcuni tratti il sole creava degli strani giochi di luci colorate che si inseguivano sulle vetrate.
Non si accorsero neanche, in un primo momento, che Cafieri li stava conducendo nuovamente all’esterno, dove la loro meraviglia non poté che aumentare. Entrarono in un anfiteatro, già gremito di studenti. Sugli spalti più alti vi erano gli Italiani, che indossavano la stessa divisa di taglio babbano, che più volte li avevano visto nelle prove precedenti; i posti più in basso, invece, erano quasi tutti liberi. Gli studenti di Durmstrang e Beauxbatons sedevano già compostamente, così come i loro alfieri era sul palco con i vessilli delle loro Scuole, accanto a degli scranni occupati dai loro Presidi. Frank gemette ancor prima che il professor Cafieri invitasse gli studenti appena arrivati a prendere posto gli alfieri di prendere posizione.
Lentamente tutti i Presidi presero posto nei vari scranni a loro riservati finché non ne rimasero due liberi al centro. A quel punto un gruppetto di ragazzi italiani, in piedi sulla sinistra del palco, che fino a poco prima chiacchierava animatamente, si raddrizzò e si schierò di traverso in modo da poter guardare gli altri studenti ma anche i Presidi.
In quel momento la Preside della Fata Morgana salì sul palco insieme a un uomo, avanti con l’età, ma mai quanto lei. Il gruppetto iniziò a cantare qualcosa che James e amici non compresero, ma tutti gli studenti italiani si alzarono in piedi e alcuni si misero anche una mano sul cuore. Allora gli insegnanti stranieri si alzarono in piedi, imitati dai propri allievi.
James si appuntò di chiedere a Benedetta una volta tornato a casa.
Quando smisero di cantare, ognuno tornò al proprio posto dopo un breve applauso e l’uomo, accanto alla Preside, prese la parola.
«Benvenuti in Italia! Per noi è un vero piacere accogliere oggi così tanti giovani e talentuosi maghi. Spero di cuore che il soggiorno sarà di vostro gradimento e vi auguro di dare il meglio nelle prove che affronterete, ma soprattutto di stringere sincere e durature amicizie».
Fortunatamente egli parlò in inglese, così non fu difficile comprenderlo, visto che il suo accento era abbastanza buono.
«Mi piacerebbe assistere alle prove, ma purtroppo vari incarichi istituzionali non me lo permetteranno. Vi invito a gareggiare al massimo delle vostre possibilità e lealmente, come dopotutto è nello spirito delle Olimpiadi» aggiunse indicando il braciere olimpico alle sue spalle. «Immagino siate stanchi, per cui ora lascio la parola alla professoressa Fernazzaro in modo che possa presentarvi il programma della settimana» concluse e sedette su uno dei due scranni vuoti, dopo aver stretto la mano agli altri Presidi e a tutti gli alfieri.
«Ho pensato che non vi sia nulla di meglio per favorire l’amicizia di prendere parte alle lezioni tutti insieme. Gli studenti dal primo al terzo anno seguiranno il programma base insieme ai loro coetanei, mentre quelli dal quarto anno in su avranno la possibilità di scegliere un percorso che più li si addice. Inoltre vi saranno delle particolari lezioni organizzate per gli studenti che partecipano al Torneo di Cultura Magica. Non voglio dilungarmi troppo in questo momento, però. Ognuno di voi riceverà una pergamena con gli orari delle gare e delle lezioni, inoltre ogni Scuola avrà per guida uno dei miei studenti, che sarà pronto a rispondere a ogni domanda. Un attimo di pazienza che ve li presento» disse la Fernazzaro. «Man mano che chiamo la Scuola, vi prego di seguire la vostra guida» soggiunse. James non l’ascoltò perché aveva intravisto una figura familiare.
«Ehi, Potter, datti una mossa» lo scosse Jack Fletcher. «Ci hanno chiamato. Che guardi?».
«L’Auror francese che ho visto sull’Orient Express mesi fa» rispose James, allungando il collo il più possibile.
«Dove?».
Il Grifondoro scosse la testa. «Non la vedo più».
«Dai, muoviamoci» replicò allora Jack.
Un ragazzo di media altezza attese che ci fossero tutti e poi li condusse all’interno; solo quando furono in un’ala più tranquilla del palazzo si fermò e si voltò verso di loro.
«Ciao a tutti!» disse con un accento decisamente pessimo. «Mi chiamo Marcello Terracini e per questa settimana sarò la vostra guida. Ora vi accompagnerò ai vostri Dormitori, in modo che possiate darvi una rinfrescata prima di cena».
A James il nome del ragazzo non era nuovo, così gli si avvicinò, mentre si avviavano lungo il corridoio, ora molto più buio - non si erano accorti fuori, grazie al braciere olimpico e alle torce, che ormai il sole stava tramontando.
«Ciao. Mi chiamo James Potter. Sei uno dei cugini di Benedetta, vero?».
Il ragazzo non si sorprese troppo e gli strinse la mano. «Benedetta ci ha parlato di te. È un piacere conoscerti».
«Il piacere è reciproco» gli assicurò James.
«Vi mostro le vostre stanze, poi a cena ti presenterò il resto della famiglia».
«Ok, grazie» rispose semplicemente James.
«I vostri alloggi sono nella quinta torre» spiegò Marcello. «Al secondo piano».
«Quanti piani sono in tutto?» domandò James.
«Sei. Li ho contati» rispose prontamente Louis, che li stava ascoltando.
«Le torri, in cui sono locati i Dormitori, hanno sette piani; l’edificio centrale ne ha sette, se si conta il seminterrato» lo corresse Marcello pacatamente.
«Che forma ha l’edificio?» chiese Albus.
«Ettagonale. Sette è il numero magico più potente, no?» replicò Marcello. «Eccoci» disse indicando l’entrata della torre. La porta in legno era aperta e dava su un salottino ettagonale, alquanto elegante, che per certi versi ricordava quello del veliero. «A piano terra solitamente dormono i professori. Credo che in questo caso le abbiano riservate sempre per voi delle altre scuole». Al piano superiore vi erano quattro camere e sembravano anche ampie. «Queste due sono le vostre» disse il ragazzo. «Tu, condividerai la stanza con delle Giapponesi e una greca».
Tania Benson, Corvonero del settimo anno, era l’unica ragazza del loro gruppo. Ella annuì, per nulla turbata dall’idea di dover dormire per una settimana con quelle che, in fondo, erano delle perfette sconosciute.
James, Albus, Frank, Louis, Jack e Gabriel Fawley decisero di condividere la stessa camera.
A Frank non dispiaceva quella compagnia, dopotutto conosceva i fratelli Potter e Lou da anni e negli ultimi mesi aveva imparato a conoscere anche Jack; infine Gabriel Fawley, il Prefetto di Serpeverde, e secondo alcuni futuro Caposcuola, gli era sempre parso un tipo tranquillo e riservato.
«Abbiamo anche il bagno in camera» trillò contento Louis.
Frank notò che i loro bagagli erano già stati portati lì e si affrettò a sistemare le sue cose in alcuni cassettoni.
«Che ti ha detto Marcello?» domandò Albus al fratello, che si era trattenuto con il ragazzo italiano, prima di chiudersi la porta alle spalle.
«Di sistemarci con calma e riposarci un poco. Tornerà verso le sette e un quarto per accompagnarci a cena» rispose James.
Frank annuì alle sue parole e si sedette sul letto. Non era stanco, visto, che tra la passaporta e il veliero, il viaggio era stato abbastanza rapido.
«Quanto è stato imbarazzante da 1 a 10 stare lì davanti a tutti?» gli chiese Jack con un ghigno divertito.
«Cento?» ribatté Frank, che non condivideva il suo divertimento.
«Ma che cos’era quella cosa che hanno cantato all’inizio?» domandò Albus, che s’era incuriosito parecchio.
«Oh, per quello che ho capito, il loro inno nazionale».
«E che l’hanno cantato a fare?» chiese James.
«Il signore con la Preside, lo chiamano Magister Maximus e corrisponde al nostro Ministro della Magia. Me l’ha spiegato la Dawson» rispose Frank.
A quel punto bussarono alla porta e, dopo che Jack invitò a entrare, Tania Benson fece capolino nella stanza insieme alle sue nuove compagne di Dormitorio.
«Ragazzi, ho pensato di presentarvi le ragazze» disse con un enorme sorriso. «Glykeria» iniziò indicando quella più abbronzata, che indossava la divisa dell’Accademia greca. «Riko Ogawa». Una ragazzina minuta e dallo sguardo furbo, che fece un lieve inchino verso di loro. «Azuma Sasaki». Frank la conosceva di vista perché avevano sostenuto le prime prove di Storia della Magia insieme, ma non si erano mai parlati. «Yuna Kinura». Ella, a differenza di Riko e Azuma, indossava un kimono giallo. Yuna aveva dei lineamenti molto delicati che immediatamente, piacquero a Jack, che ricambiò il suo inchino con uno sguardo malizioso. Notandolo James roteò gli occhi al cielo: quel ragazzo era un dongiovanni!
«Ragazze, loro sono James e Albus Potter», i due fratelli si limitarono a sorridere. «Frank Paciock e Louis Weasley», i più piccoli della compagnia sorrisero imbarazzati. «E Jack Fletcher». Il Tassorosso era senz’altro il più entusiasta.
Si sedettero sul tappeto, che copriva la parte centrale del pavimento, e iniziarono a chiacchierare. Le ragazze giapponesi non sembravano molto abituate a parlare in inglese e facevano una certa fatica; mentre Glykeria era più sciolta. E così li trovò Marcello, quando tornò da loro.
«È quasi ora di cena» annunciò il ragazzo. «Per caso avete deciso quali corsi volete seguire questa settimana?».
«In realtà non abbiamo capito bene quale sia la differenza tra i vari ‘percorsi’, come li ha chiamati la vostra Preside» rispose Tania Benson, lisciandosi la divisa, leggermente spiegazzata, con le mani.
«Oh, certo, giusto. Avrei dovuto spiegarvelo prima» rispose imbarazzato Marcello. «I ‘percorsi’ sono tre. Per riassumere uno è per chi piace la storia e l’antichità, il secondo per gli amanti delle pozioni e simili, infine uno generale, dove si fanno un po’ tutte le materie. Tecnicamente la scelta dipende da quello che si vuol fare dopo la Scuola, ma non è troppo vincolante».
«Tu quale frequenti?» domandò Albus, mentre si avviavano fuori incrociando altri gruppi.
«Sono interessato all’antichità e agli studi umanistici» rispose Marcello.
Questa volta il ragazzo li guidò verso l’ingresso e un’ampia scalinata.
«Che classe fai?» chiese Louis.
«Ma lì c’è un giardino?» domandò contemporaneamente Albus. Frank era altrettanto interessato.
«Il cortile interno» rispose Marcello seguendo il loro sguardo. «Domani lo visiteremo. Al buio è bello lo stesso, ma non rende pienamente per chi non l’ha mai visto. Dobbiamo salire al piano di sopra» aggiunse. «Ah, io sono all’ultimo anno».
«Quindi seguiremo le lezioni insieme» commentò Tania Benson.
«Dipende quale percorso sceglierai» replicò il ragazzo.
«Ah, giusto. Non mi sa di no, allora. Prediligo di gran lunga Pozioni».
«Vi farò avere un elenco con tutti i piani di studio a fine serata» aggiunse Marcello. «A sinistra».
Quella sala era decisamente diversa dalla loro Sala Grande. Aveva una forma particolare e vi erano diversi tavoli di differente lunghezza.
«Potete prendere posto dove più vi aggrada» disse sorridendo Marcello.
«Non avete posti assegnati di solito?» domandò James.
«Più che altro durante il Banchetto d’inizio anno, dobbiamo stare ognuno con i propri compagni, ma per il resto non è obbligatorio. Questa sera la Preside ha pensato che fosse meglio mescolarci in modo da fare liberamente amicizia» replicò Marcello. «A me farebbe piacere se ti sedessi con me e i miei compagni, James».
«Ah, ok, grazie» rispose subito il Grifondoro che non voleva essere scortese.
Jack andò a sedersi con gli studenti di Uagadou, Clara Matthews e delle ragazze italiane. Frank fu, letteralmente, rapito dalle amiche americane di sua cugina Amy; mentre Louis prese posto insieme ad altri scacchisti con cui aveva iniziato a discutere animatamente. Albus, ben intenzionato a evitare Daila Morales, seguì il fratello.
«Ragazzi, vi presento James e Albus Potter» disse Marcello rivolto a un gruppo di compagni.
Uno di loro saltò su e disse qualcosa in italiano in modo molto entusiasta e divertito, ma naturalmente i due fratelli non compresero.
«Mio fratello Giulio» disse con tono di disapprovazione Marcello, dopo aver lanciato un’occhiataccia al suddetto ragazzo. «Parla malissimo l’inglese». Molti risero all’affermazione, ma Giulio non sembrò farci caso e strinse la mano ai due Potter.
Un ragazzo dall’atteggiamento alquanto pomposo si avvicinò e porse la mano a James. «Ignora i miei cugini. Io sono Leone Leonelli, sarò una guida migliore, se lo desideri».
James gli strinse la mano più per educazione che per altro. Benedetta gli aveva parlato di lui e non in termini molto lusinghieri.
Giulio, infatti, si scurì in volto e gli sbraitò qualcosa in italiano. E non dovevano essere dei complimenti dalla reazione indignata dell’altro.
«Quella è la nostra sorellina, Teresa» intervenne Marcello, per cambiare argomento. James non si sorprese di vederla al tavolo con Louis, Benedetta le aveva detto che era una ragazzina intelligente e perspicace. «Più tardi ve la presenterò. Dai, sedetevi».
James e Albus, presi dalle presentazioni, erano rimasti in piedi, così leggermente imbarazzati obbedirono.
Molti altri ragazzi si presentarono, ma i due dimenticarono ben presto i loro nomi, perciò si limitarono a conversare gentilmente con tutti.
 
Jack cercò tutta la sera notizie di Kymia e alcuni compagni di classe della ragazza gli risposero educatamente, ma senza dargli troppe informazioni. O almeno non quelle che avrebbe voluto. Andy gli aveva detto che non era normale la sua ossessione per quella ragazza, ma secondo Jack sì: insomma l’aveva quasi ucciso, sebbene involontariamente. Quando l’avevano raccontato a Mary, ella si era limitata a sghignazzare e dire ‘maschi’, con quel tono da so-tutto-io che assumevano troppo spesso le femmine.
 
*
 
James e Jack alla fine avevano scelto lo stesso percorso generale, nessuno dei due desideroso di complicarsi la vita per una sola settimana. Una volta tornati a Hogwarts ci avrebbero pensato i loro insegnanti a rompere le pluffe con la storia degli esami sempre più vicini. Che poi non dovevano mica sostenere i M.A.G.O. quell’anno!
Il Grifondoro aveva scelto anche su consiglio di Giulio Terracini, che si era rivelato molto simpatico.
«Ma in questo programma ci sono solo due ore di Difesa contro le Arti Oscure!» esclamò indignato. Jack sembrava altrettanto sconvolto, ma prima che Giulio desse loro una spiegazione dovettero ripeterglielo altre tre volte. Decisamente l’inglese non era il suo forte.
Il ragazzo, infine, fece spallucce come se non si fosse mai posto il problema. Chiamò un ragazzo e gli disse qualche parola nella loro lingua.
«Mi chiamo Ambrogio Milanesi» disse il ragazzo, alto quanto Giulio, ma dall’inglese decisamente migliore. «Solitamente Difesa viene approfondita all’Accademia Auror o alla Scuola di Polizia Magica. Chi è particolarmente interessato e pensa che in futuro intraprenderà simili carriere di solito s’iscrive al Club dei Duellanti. Io e Giulio ne facciamo parte, se vi va pomeriggio c’è un incontro».
«Va bene, grazie» rispose Jack per entrambi.
«Arriva la Tarabini» annunciò in inglese, a beneficio di tutti, un ragazzo di nome Manfredi.
«Comunque noi non abbiamo mai seguito Aritmanzia» borbottò James a Giulio e Ambrogio, seduti dietro di loro.
«Meglio per voi» rispose il secondo, mentre Giulio annuiva solennemente. «La Tarabini, poi, è pesante».
«Ma che senso ha per noi?» sbuffò Jack che avrebbe preferito di gran lunga allenarsi.
«Alzatevi» li consigliò Ambrogio.
James e Jack sospirarono. Decisamente ogni paese aveva le sue usanze, solo che non avevano mai avuto modo di sperimentarlo pienamente: in Grecia, quelle poche lezioni che avevano seguito, erano state leggermente confusionarie per via di tanti studenti diversi; mentre in America il modo di comportarsi era quasi identico al loro, anche se magari meno formale. A quanto pare, qui, avrebbero dovuto comportarsi proprio come studenti della Scuola. E gli Italiani avevano l’abitudine di alzarsi all’ingresso degli insegnanti in aula, strofinando rumorosamente e fastidiosamente le sedie sul pavimento e bofonchiando, poi, un saluto a mezza bocca.
Oltre Jack e James, avevano scelto di seguire quel corso anche tre ragazzi cinesi, membri della squadra di Quidditch – che non si erano mostrati molto amichevoli, nonostante Ambrogio e altri avessero tentato di chiacchierare con loro – Glykeria, che si era seduta nel banco davanti al loro; Rachel Kelly della Dreamtime, giocatrice di scacchi.
«Voi avete mai studiato questa materia?» sussurrò James alle due ragazze, mentre la professoressa chiamava l’appello.
Rachel sedeva con le spalle appoggiate alla parete e si fissava le unghie smaltate e si limitò a scuotere la testa; Glykeria si girò quel tanto che bastava per rispondere. «No».
«Siete strani voi Italiani» borbottò James ad Ambrogio e Giulio. Insomma che senso aveva seguire tutti le stesse materie?
«Avete intenzione di chiacchierare per tutta l’ora?». La voce leggermente stridula della Tarabini, li fece sobbalzare tutti, tranne Rachel che continuava a interessarsi alle sue mani.
«Gli insegnanti sono tutti uguali però» sbuffò Jack, facendo ridacchiare i ragazzi vicini.
«Fletcher, giusto?» domandò la professoressa dopo aver dato un’occhiata a un foglio che aveva davanti. «Tu, Potter, Kelly e Kalamira avete scelto di seguire questo corso. Come ve la cavate in Aritmanzia?».
Fortunatamente Glykeria era una ragazza tranquilla, perciò rispose lei per tutti e gli altri tre gliene furono grati. «Non abbiamo mai seguito questa materia, professoressa. Infatti siamo un po’ stupiti dal fatto che dobbiamo farlo adesso».
«Sono solo due ore» replicò la donna in tono molto pratico. «È stato fatto per farvi vivere per una settimana esattamente come i compagni italiani. Sono sicura che Giulio Terracini sarà felicissimo di spiegarvi le basi della disciplina, quanto meno vi servirà come cultura generale».
Giulio non sembrò contento e rispose qualcosa in italiano, suscitando le risatine di alcuni compagni, compreso Ambrogio. La Tarabini non fu contenta della sua risposta e lo rimproverò. Quando la professoressa chiamò un ragazzo di nome Valentino Fedele, Ambrogio si sporse in avanti e tradusse il precedente battibecco a beneficio di James e compagni. A quanto pare Giulio si era rifiutato affermando che fosse troppo complesso farlo in inglese. Il ragazzo appariva molto soddisfatto di sé e sorrise loro. Valentino era molto più bravo, ma James dubitava che a parte Glykeria, per pura educazione, e Jack, curioso di natura, qualcun altro lo ascoltò veramente.
«Siete fantastici» sbottò Ambrogio «La Tarabini non ha segnato compiti. Credo sia la prima volta in tutta la sua carriera!».
Quella mattina seguirono anche Incantesimi, Francese e Pozioni.
«Il vostro insegnante di Pozioni è davvero antipatico» sbuffò James.
Ambrogio e Giulio risero. «Ti assicuro che è stato gentile perché ci siete voi» disse il primo.
«A che ora è il club dei Duellanti?» domandò Jack, stiracchiandosi e dirigendosi verso la Sala da Pranzo. A differenza del Grifondoro, aveva trovato molto preparato il professor Villmer, sebbene egli possedesse un sarcasmo da Serpeverde.
«Alle cinque e mezza. La Sala Duelli si trova nei sotterranei» rispose Ambrogio.
«Che fate dopo pranzo? Io andrò a vedere la partita di scacchi. Uno degli sfidanti è mio cugino» disse James.
«In teoria dovremmo fare i compiti, in pratica non potremmo non essere ospitali, perciò vi faremo compagnia» replicò Ambrogio.
Jack preferì andare ad allenarsi da solo nel pomeriggio, così James raggiunse l’Aula Magna, ove si disputavano le partite di scacchi, insieme ai due nuovi amici. Qui vi trovò Frank e Albus, entrambi tranquilli e soddisfatti della loro prima giornata alla Fata Morgana.
James non seguì molto la partita di Louis, perché la trovava troppo noiosa. Riko Ogawa fu certamente un’avversaria all’altezza del piccolo Corvonero, ma alla fine quest’ultimo dichiarò: «Scacco matto!».
James era naturalmente molto felice per lui, ma rimanere lì fermo, per più di un’ora!, era stata un’agonia per lui; perciò fu felice di correre al Club dei Duellanti con Ambrogio e Giulio.
Jack era già arrivato e palesemente impaziente d’iniziare. Anche altri studenti stranieri, più piccoli e più grandi di loro, si erano recati all’incontro. James adocchiò Jiao Mao, il ragazzo di Móshú, che avrebbe dovuto affrontare di lì a qualche giorno.
Il professore di Difesa contro le Arti Oscure, Corrado De Gregori, sembrava molto abile e si lasciò coinvolgere in qualche duello da James e Jack, certamente i più sfacciati tra i presenti. I ragazzini più piccoli li ammirarono parecchio e probabilmente avrebbero discusso di loro per lungo tempo.
«Nessuno avrebbe mai trovato il coraggio di sfidare De Gregori» borbottò Ambrogio, che fissava James quasi fosse Merlino redivivo.
«Perché? A me sembra molto alla mano» replicò il Grifondoro asciugandosi i capelli sudati con un asciugamano.
«Sembra. Basta non contraddirlo» ribatté Ambrogio.
Conclusero la giornata facendo un bel po’ di chiasso nella loro stanza e in generale nella torre, visto che le camere di Giulio e compagni erano al piano superiore rispetto al loro.
 
*
 
Albus, a differenza di James e Jack, era rimasto piacevolmente colpito dall’organizzazione scolastica degli Italiani. L’idea di seguire le varie materie sempre con gli stessi compagni non era male, insomma era più semplice saldare i legami di amicizia; naturalmente se gli studenti non avessero fatto amicizia, sarebbe stato un tormento. Il Grifondoro, però, si rese conto che, anche i caso di attriti, i ragazzi erano perfettamente in grado di trovare un equilibrio tale da permettere la creazione di un clima sereno durante la giornata scolastica.
In più Albus fu felice di fare lezione in compagnia di Tobia Roveni e Lorenzo, di cui non aveva capito il cognome, con cui aveva legato fin dalla prima tappa in Grecia.
Il ragazzo, il giorno precedente, aveva trovato molto interessanti materie come il latino e il diritto magico che non aveva mai studiato. Era molto curioso di seguire le lezioni del martedì, ma dovette rinunciarci a causa della lezione speciale di Erbologia che coinvolgeva tutti i ragazzi che gareggiavano in quella sezione.
«Ciao, Albus».
«Ciao, Marta» replicò il Grifondoro sorpreso che la ragazza si ricordasse il suo nome. Daila Morales, non l’aveva persa di vista nemmeno per un istante, chiacchierava con Xian Zhang di Móshú. «Hai qualche idea su quello che ci faranno fare?» chiese allora, tanto per scambiare qualche parola.
Si trovavano vicino alle serre e all’orto. Anche qui c’erano molti alberi intorno a loro.
«No» rispose semplicemente Marta con un sorriso di scuse. «È arrivata l’Arduini. Presto il mistero sarà svelato».
Albus le sorrise in risposta e con lei si avvicinò di più all’insegnante.
«Buongiorno!» trillò la professoressa, che sembrava molto giovane. Era accompagnata da Valdemar Fernandes, il Preside di Castelobruxo. «Quest’oggi abbiamo organizzato per voi una passeggiata alla scoperta della macchia mediterranea. Permettetemi di chiamare l’appello prima d’iniziare». Srotolò una pergamena e chiamò: «Aoki Daiki». Un ragazzo, sui quindici anni e con una veste gialla, s’inchinò leggermente. I Giapponesi s’inchinavano spesso, sia quando salutavano che quando ringraziavano. O almeno era quello che Albus aveva notato. «Benatar Begum». Una ragazzina minuta e sorridente, rispose ‘presente’ in un inglese un po’ farraginoso. «Cafieri».
«Presente» rispose tranquillamente la ragazza.
«Parli bene l’inglese» commentò Albus.
«Grazie» replicò timidamente Marta.
Nel frattempo l’Arduini aveva chiamato la ragazza greca, con cui James stava facendo amicizia, un ragazzo di Durmstrang e una ragazzina americana tutto pepe.
«Morales Daila».
Albus non si trattenne e le gettò un’occhiata veloce: era sempre molto bella e rispose con quel suo accento ispanofono alquanto suadente.
Per ultime furono chiamate una ragazza francese del sesto anno, Zenjia Verbeke, e Xian Zhang. A quel punto il Grifondoro azzardò un’altra occhiata a Daila. Era così carina!
«Bene, se siete pronti possiamo andare» dichiarò la professoressa Arduini con entusiasmo.
«Faremo un giro nel bosco» sospirò Marta.
«Non sei contenta?» chiese perplesso Albus.
«L’abbiamo già fatto anni fa. Sarà noioso ascoltare le stesse cose di nuovo. Fortunatamente è una bella giornata oggi».
«Pensavo che tutti i ragazzi del nostro gruppo fossero degli appassionati della materia» disse Albus sinceramente. Era qualcosa che gli ronzava nella testa da ottobre. Durante i primi anni di Scuola Erbologia era stata una delle sue materie preferite, ma non l’aveva mai amata quanto Trasfigurazione e, quando aveva iniziato a studiare Antiche Rune, era passata direttamente al terzo posto.
Marta si strinse nelle spalle. «Me la cavo bene in questa materia. Del mio anno nessuno è particolarmente appassionato, però. Lorenzo, che già conosci, è sicuramente il più bravo, ma si occupa di Storia della Magia; mentre Aurora, anche lei molto brava, gioca a scacchi».
«Capisco. D’altronde credo che sia difficile trovare qualcuno veramente appassionato a una disciplina così particolare» commentò Albus. Marta annuì.
«Bene, ragazzi, chi di voi sa dirmi che cosa s’intende per macchia mediterranea?».
Marta e Daila furono le uniche ad alzare la mano. La professoressa diede la parola a Daila.
«La macchia è uno dei principali ecosistemi mediterranei. È una formazione arbustiva, costituita tipicamente da specie sclerofille, caratterizzate da foglie persistenti poco ampie, coriacee e lucide, di altezza media variabile dai 50 centimetri ai 4 metri» rispose Daila.
Non solo era bella, ma anche intelligente, non poté fare a meno di pensare Albus.
«Molto bene, grazie Daila» disse la professoressa Arduini. «Marta, vuoi aggiungere qualcosa?».
La ragazza fu presa in contropiede, perché stava pensando a bene altro. Albus le sorrise a mo’ d’incoraggiamento ed ella sembrò apprezzare.
«La macchia si può dividere in alta e bassa» rispose Marta. «Quella alta è caratterizzata dagli alberi che raggiungono all’incirca i 4 metri, ma in alcuni casi, come il genere Phillyrea, anche 6-7 metri, altri anche di più; mentre la macchia bassa è composta da arbusti che non superano i 2-3 metri».
«Molto bene. Per rendere più divertente questa lezione, io e il professor Valdemar abbiamo pensato di organizzare una piccola gara. Vi divideremo in cinque coppie. Un ragazzo terrà un erbario con tutte le piante tipiche della nostra piccola foresta; l’altro segnerà quelle che riuscite a trovare e ne raccoglierà un campione. Mi raccomando piccolo, rispettate le piante. Avete tre ore di tempo. La coppia che trova più esemplari, avrà un premio» spiegò la professoressa Arduini.
«Ora sì, che è più divertente» esclamò Marta.
«Le coppie sono le seguenti: Morales-Zhang, Potter-Aoki, Kalemira-Korhornem, Verbeke-Kolvasky e Benatar-Cafieri» elencò rapidamente il professor Valdemar, parlando per la prima volta.
«Peccato che non siamo insieme» commentò Marta.
«Già» replicò Albus altrettanto scontento. Non aveva nulla contro i ragazzi giapponesi, ma erano tra quelli che meno sapevano parlare inglese ed era molto difficile comunicare con loro. Fortunatamente non l’avevano messo in coppia con Daila, probabilmente sarebbe morto di vergogna.
«Potete iniziare. Se dovessero esserci problemi, sparate in aria delle scintille rosse. Per piacere evitate la zona ovest, non è il caso» aggiunse l’Arduini.
«Ma ci sono creature magiche nella foresta?» Albus chiese frettolosamente a Marta, prima di raggiungere il suo compagno di squadra. Insomma, il suo modello di foresta era la Foresta Proibita.
«Qualcuna, ma non sono pericolose» rispose perplessa Marta. Naturalmente ella non poteva capire che cosa vuol dire ritrovarsi per sbaglio nella tana di acromantule affamate. «Buona fortuna».
«Grazie. Anche a te» rispose prontamente Albus.
«Ciao» disse Daiki Aoki con un inchino.
«Ciao, sono Albus piacere» replicò il Grifondoro porgendogli la mano. Il gesto, però, mise a disagio entrambi. Il giapponese dopo un attimo di titubanza gliela strinse. A quel punto, specialmente per evitare ulteriori gaffe, si avvicinarono ai due insegnanti: Albus prese l’erbario e Daiki delle piccole forbicine e un raccoglitore, dove avrebbero dovuto sistemare i loro campioni.
«Allora, Daiki, cominciamo dagli alberi?» propose Albus. Il compagno gli lanciò una strana occhiata, ma annuì. «Immagino, che questo sia un leccio. È altissimo non riesco a vedere la cima» continuò meravigliato.
Staccarono una foglia e la inserirono nel raccoglitore. Fecero lo stesso con un rovere e la roverella, tra le specie più diffuse di quercia in Italia; il lentisco, il ginepro rosso che li colpì per la forma strana delle sue radici. Questo per fare solo qualche nome. Albus ne rimase abbastanza affascinato, dopotutto era una giornata piacevolmente calda e il cielo, sorprendentemente per il Grifondoro, era chiaro e senza nemmeno una nuvola. Quell’isola era il tripudio del sole.
Per classificare gli arbusti più alti impiegarono più di un’ora del tempo loro concesso; ma cercare le piante più basse fu decisamente più difficile: erano tante specie diverse e spesso si confondevano con l’erba.
«Potter-kun, quella» Daiki all’improvviso attirò l’attenzione di Albus, indicando un fiore giallo.
Albus fu abbastanza sorpreso di essere chiamato per cognome e con quella strana aggiunta alla fine, ma forse era per questo che prima l’altro l’aveva guardato male: non avrebbe dovuto chiamarlo per nome?
«Ginestra dei carbonai» assentì il Grifondoro, decidendo di rimandare a dopo qualsiasi discussione sui nomi.
Presero un campione anche di questa e procedettero.
All’improvviso Albus percepì un rumore lontano e, curioso, si spinse verso i confini della foresta. Daiki si accigliò e lo seguì a distanza. Il Grifondoro comprese che si stavano allontanando dalla foresta nel momento in cui alla terra si sostituì la sabbia. Aumentò il passo, ignorando i richiami del compagno, e finalmente superò l’ultima fila di alberi. Una distesa azzurra apparve ai suoi occhi: il mare. Il ragazzo sorrise, mentre un venticello fresco gli scompigliava i capelli.
«Non è bellissimo?» sospirò, girandosi verso Daiki.
«Noi non stare qui» borbottò Daiki.
Albus si strinse nelle spalle: non aveva idea se fosse vietato o meno, ma immaginava di sì, visto che probabilmente gli Auror non avrebbero saputo dove cercarli, ma non gli interessava. Era uno spettacolo troppo bello!
«Andiamo» tentò Daiki.
«Va bene» assentì Albus a malincuore, chiedendosi se gli Italiani li avrebbero portati in spiaggia, come avevano fatto i Greci a ottobre. «Credo sia ora di tornare indietro» disse, appena furono nuovamente nella foresta. «Non manca molto a mezzogiorno».
«Sì» rispose semplicemente l’altro ragazzo.
Non fu per nulla facile ritornare indietro, tanto che a un certo punto Albus credette che si fossero persi. Fortunatamente incontrarono Marta e Begum Benatar e la prima li guidò fuori senza problemi.
«Wow, la conosci bene la foresta!» commentò Albus.
«È divertente passeggiarci durante le belle giornate» replicò ella arrossendo leggermente.
Consegnarono i loro raccoglitori ai professori.
«L’erbario potete tenerlo, lì ce n’è un plico per chi non ce l’ha» disse la professoressa Arduini sorridendo.
Albus e Daiki ringraziarono, quest’ultimo sempre con un inchino.
Attesero una decina di minuti prima che tutto le coppie ritornassero, infine i professori si presero del tempo per decidere i vincitori.
«Senz’altro i migliori sono stati Daila Morales e Xian Zhang» annunciò l’Arduini. Valdemar appariva molto soddisfatto della prova della sua allieva. Albus non ne era sorpreso, perché aveva capito quanto Daila fosse brava in quel campo. Daiki sembrò dispiaciuto, ma non si lamentò.
«Sono affamata, tu no?».
Albus arrossì violentemente alle parole inaspettate e improvvise di Daila e si limitò a balbettare un sì. Doveva decisamente darsi una regolata, se non voleva fare una figuraccia internazionale!
 
 
*

Frank, proprio come Albus, aveva scelto di seguire il corso in cui si dava largo spazio alle discipline umanistiche. Non aveva legato particolarmente con i compagni di classe, a causa della sua timidezza, ma tutto sommato si era trovato bene in quanto le lezioni, rigorosamente in inglese, per quanto alcuni insegnanti non fossero molto bravi, erano state interessanti. Quella mattina, però, avrebbe seguito una lezione speciale di Storia della Magia insieme agli altri nove ragazzi che partecipavano al Torneo di Cultura Magica in quella sezione.
A parte due ragazzi, Axel Nilsson di Durmstrang ed Elliott Castle della Dreamtime, erano tutti più grandi di lui. Si avvicinò proprio a loro, visto che i più grandi, per lo più dell’ultimo anno, chiacchieravano tra loro.
«Ciao» disse sperando di non infastidirli.
Sia Axel sia Elliott risposero tranquillamente.
«Hai idea di quello che ci faranno fare?» chiese Elliott, probabilmente tentando di avviare una conversazione.
«No» rispose Frank, che se l’era chiesto più volte. Era molto teso, perché temeva di far fare brutta figura alla professoressa Dawson. La decisione di Percy Weasley si era fatta attendere più di quanto era stato previsto, voci di corridoio affermavano che ciò dipendesse dall’intervento della Preside e di Hermione Weasley in persona.
«Appena in tempo» sospirò, sopraggiungendo a passo svelto, Lorenzo, un ragazzo del quinto anno, che aveva stretto amicizia con Frank e Albus fin dalla prima prova svoltasi in Grecia.
«In realtà sei in ritardo» gli fece notare Axel Nilsson.
«Tanto per cambiare» intervenne una voce severa.
I tra alzarono gli occhi su un uomo sulla settantina che Frank aveva già avuto modo di conoscere: Corrado Airaghi, uno dei professori di Storia della Magia della Fata Morgana. Ed era stato lampante anche per il Grifondoro, che aveva seguito le sue lezioni solo un paio di volte, che odiasse i ritardatari.
Lorenzo gli rivolse uno sguardo colpevole e si scusò.
L’insegnante lo ignorò e fece cenno al gruppo di entrare in Aula Magna.
«Oggi mi darà una mano la professoressa Carsen» esordì il professore. Gran parte dell’Aula Magna era al buio. Frank notò immediatamente delle pesanti tende di broccato coprire le vetrate. Più che una lezione di Storia della Magia gli sembrò di Difesa contro le Arti Oscure. L’oscurità avrebbe potuto celare benissimo qualche creature oscura! Ok, sì, forse era un tantino paranoico.
Meghan Carsen sedeva a gambe incrociate al centro della sala e sorrideva loro. Il che rendeva certamente il tutto meno inquietante, visto che comunque ella era una bella ragazza poco più che trentenne.
«Bene, ragazzi, avete intenzione di rimanere in piedi tutto il tempo?» intervenne la professoressa. I dieci si affrettarono a sedersi, rendendosi conto che sul pavimento ci fosse un cuscino per ognuno di loro. «Io sono Meghan. Insegno inglese. E, confesso, la storia non è mai stata la mia materia preferita». E qui lanciò un’occhiata divertita al professore più anziano. «Perciò il mio supporto a questa lezione sarà meramente linguistico».
«Per me possiamo cominciare» le disse il professor Airaghi.
Meghan annuì e si rivolse ai ragazzi. «In un certo senso questa sarà quasi una simulazione della prova olimpica, per cui fate attenzione». Li contò muovendo elegantemente la mano e sorrise. «Perfetto, ci siete tutti. Allora, come immagino saprete, la terza prova sarà orale. Vi saranno poste delle domande sulla storia magica mondiale del Novecento oppure i giudici vi mostreranno fotografie/immagini di personaggi famosi o anche luoghi, o ancora dei documenti. Abbiamo ritenuto di dover fare questa simulazione perché molti di voi non sono abituati a esporre oralmente».
A Frank non piaceva molto l’idea e non sapeva neanche che la terza prova sarebbe stata orale! E dall’espressione degli altri ragazzi, non era il solo!
«Non lo sapevate?» domandò Meghan notando la loro sorpresa.
«No, professoressa» rispose per tutti Clara Matthews di Ilvermorny.
«Potete chiamarmi Meghan» disse l’insegnante. «Beh, a maggior ragione questa lezione sarà molto utile. A turno vi faremo vedere delle immagini. Durante la gara potrete parlare nelle vostre lingue, ma in questo caso preferirei che usaste l’inglese in modo che tutti possano beneficiare delle vostre risposte».
Frank vide l’espressione scontenta di Lorenzo, il quale probabilmente non apprezzava minimamente quest’ultima richiesta. Era un ragazzo molto affabile e cortese, ma proprio non andava d’accordo con l’inglese.
«Io farò una traduzione simultanea in italiano al professor Airaghi, affinché possa verificare la correttezza di quanto dite» continuò Meghan. «Bene, chi vuole iniziare?» domandò a bruciapelo. A un gesto della bacchetta del professore un tendone si aprì illuminando una serie di immagini fluttuanti. Frank le contò rapidamente: erano dieci. Una per ciascuno. Le osservò attentamente, a primo acchito pensò che rappresentassero la guerra contro Lord Voldermort, ma qualcosa in verità non gli tornava: il luogo dello scontro non sembrava proprio la Gran Bretagna.
Intanto Axel Nilsson aveva alzato la mano e ottenuto la parola. Era un ragazzo estroverso e ridanciano, ma in quel momento aveva uno sguardo di fuoco.
«Rappresentano tutte momenti salienti dell’ascesa e della sconfitta di Gellert Grindewald».
Frank strabuzzò gli occhi: non ci sarebbe mai arrivato da solo o, comunque, non così velocemente. Alcuni ragazzi si accigliarono.
«Non è giusto che la prova si basi sulla storia europea» si lamentò la studentessa di Móshú.
«Grindewald è stato anche negli Stati Uniti» la corresse Clara Matthews.
«Sì, ma io ho dovuto studiare tutta la vostra storia, voi non avete fatto quasi nulla della mia» si lagnò ancora la ragazza cinese.
Frank era leggermente sorpreso: non ricordava di averla mai sentita parlare prima di quel momento, figuriamoci lamentarsi. Meghan apparve perplessa di fronte alle sue lamentale e si rivolse al collega, traducendogli in italiano il breve scambio di battute.
«Perché voi non avete mai avuto una mago così oscuro!» sbottò Axel. Ed era veramente arrabbiato.
«Non litigate» intervenne Meghan con fermezza. «Le regole della gara non le abbiamo scritte noi. Yang, se non sei d’accordo devi lamentarti con gli organizzatori delle Olimpiadi».
Airaghi fece cenno ad Axel di parlare e il ragazzo fu molto preciso e articolato. Frank comprendeva la sua partecipazione emotiva, per quanto ai tempi di Grindewald non fosse ancora nato, il mago oscuro aveva creato dolore e sofferenza quasi quanto Lord Voldermort. Axel fu fermato appena iniziò a parlare dell’immagine successiva. Dopotutto erano una per ciascuno. Il Grifondoro fu abbastanza fortunato in quel caso, perché a lui rimase l’ultima più che riconoscibile: il duello tra Grindewald e Albus Silente. Per quanto facesse parte del programma del settimo anno, la Dawson gliel’aveva fatto studiare in previsione della prova, perciò Frank ritenne di essersela cavata bene per quanto non fosse abituato a esporre oralmente.
Furono parecchi i periodi che vennero affrontati, naturalmente non mancarono le due guerre magiche contro Voldermort, ma a differenza di quanto aveva criticato Yang Hu, nessun paese era stato trascurato: in Australia all’inizio del ‘900 era stato deportato un mago oscuro inglese, niente in confronto a Grindewald o Voldermort s’intende, ma sufficientemente potente da suscitare il panico almeno finché Auror inglesi e i primi australiani non l’avevano catturato. 
Inoltre il giovane Grifondoro riconobbe all’istante l’immagine che ritraeva Cornelius Caramell durante il passaggio di consegne a Rufus Scrimgeour.
Più difficoltà ebbe a riconoscere un gruppetto di maghi vestiti di nero. In prima istanza aveva pensato ai Mangiamorte, ma non portavano la maschera e, al contrario, mostravano fieramente il loro viso. Lorenzo, seduto accanto a lui, però aveva compreso e appariva particolarmente turbato, tanto che prese la parola solo quando il suo insegnante glielo chiese esplicitamente, ma fu molto conciso.
«Sono Oscuri» mormorò senza neanche guardare l’immagine. «Xelisia e Nimueh Negri, le streghe più oscure che l’Italia abbia conosciuto nell’ultimo secolo e mezzo, se non di più». Solo su esortazione della Carsen aggiunse: «Inizialmente gli Oscuri erano una setta elitaria, molto apprezzata dalla comunità magica. Solo i più colti e i più dotati magicamente vi erano ammessi. I suoi membri approfondivano tutti i rami della magia, compreso quello della magia nera. Poi, come spesso accade, gli Oscuri superarono il limite e il governo intervenne. Da quel momento gli Oscuri continuarono ad agire nell’illegalità e a sfidare il governo legittimo, sperando di poterlo sostituire. È una storia molto recente e, per quanto i capi siano tutti morti e i loro uomini in galera, comunque molti ne sono ancora negativamente ammaliati».
L’oscurità ammaliava sempre, non poté fare a meno di pensare Frank e in Gran Bretagna lo stavano provando sulla loro pelle.
 
La lezione extra si protrasse fino all’ora di pranzo. Una volta congedati Frank si recò in Sala da Pranzo in compagnia di Axel, Elliott e Lorenzo. Nel pomeriggio raggiunse Albus, Louis e Jack nella Sala Duelli per assistere al duello tra James e Jiao Mao di Móshú.
Jiao Mao aveva una tecnica alquanto aggressiva e nemmeno un pizzico dello spirito di James: quest’ultimo duellava quasi per divertimento, mentre il primo era concentrato come se quello fosse un vero duello tra maghi e ne valesse della loro stessa vita.
James usò un semplice Flipendo e lo mise in difficoltà.
«Perché?» chiese perplesso Albus a Jack, mentre con un ghigno il fratello maggiore disarmava l’avversario.
«Perché Flipendo è un incantesimo che si studia al primo anno, ma di solito i duellanti, quelli esperti almeno, non lo usano. Jiao Mao non se l’aspettava e si è fatto fregare» rispose Jack scuotendo la testa e stringendo la mano a James, che contento li aveva raggiunti.
Il Preside di Móshú non sembrava molto contento e Jiao Mao si lamentava indicando James.
«Non mi piacciono le persone troppo seriose. Utilizzava incantesimi troppo avanzati. Chi si crede di essere?» commentò James, rivolto soprattutto a Jack. «Ho trovato divertente sconfiggerlo con un incantesimo banale. Avete visto la sua faccia?».
L’unica nota stonata di quella giornata fu la sconfitta della squadra di gobbiglie.
 
*
 
Jack prese l’asciugamano, che una sorridente Clara Matthews gli porse. Si tamponò leggermente il volto e il collo sudati, ben intenzionato ad andare a farsi la doccia.
«Complimenti, Jack. Hai davvero un’ottima tecnica».
Tania Benson gli porse la mano e il Tassorosso la strinse senza esitazione.
«Sei molto brava anche tu. È un vero peccato che siamo stati costretti ad affrontarci».
La Corvonero fece spallucce come a dire che ormai era fatta. «Vado a darmi una sistemata» gli disse.
«Sì, ho anche io quest’intenzione» replicò il ragazzo.
«I miei compagni stanno organizzando un falò sulla spiaggia. Verrai, vero?» gli domandò, accostandosi, Arianna D’Abrosca, una duellante della Fata Morgana, che era stata sconfitta pochi giorni prima da Niki Charisteas, il campione greco.
Jack si accigliò. «E avete l’autorizzazione di un docente?». Non che gli interessasse, a Hogwarts non l’avrebbe neanche chiesto, ma sarebbe uscito di nascosto, mettendo ‘in imbarazzo’ la McGranitt davanti ai colleghi stranieri, solo se avesse deciso di suicidarsi. Ma, decisamente, ancora ci teneva sufficientemente alla sua vita.
«Sì, Tobia ha fatto le cose per bene. Non che tutti i professori fossero d’accordo, anzi, ma la Preside ha approvato quasi subito» replicò Arianna.
«Certo, grazie. Mi farà piacere venirci» rispose allora il Tassorosso. «Ora se non ti dispiace, avrei bisogno di una doccia».
«Oh, certo. Capisco. E complimenti per la vittoria».
Jack ringraziò e finalmente raggiunse gli spogliatoi. Qui come previsto lo aspettava Tanwir Hagan.
Il Tassorosso recuperò i libri dalla sua borsa e glieli restituì velocemente, temendo che entrasse qualcuno e li vedesse.
«Complimenti» disse Tanwir.
«Grazie. Anche a te. So che hai passato il turno» replicò Jack.
Il ragazzino confermò e lo ringraziò.
A quel punto Jack gli pose la domanda che gli era ronzata in testa non solo in quei giorni, ma per mesi. «Come sta Kymia? È un po’ che non risponde alle mie lettere».
«Oh» Tanwir apparve sinceramente sorpreso dal suo interesse. «Lei… ehm…».
Per un attimo Jack pensò che il ragazzino avesse difficoltà a rispondere in inglese, sebbene non fosse mai accaduto in precedenza.
«Lei cosa?» insisté allora notando il suo disagio. Non voleva essere insensibile, ma avrebbe ottenuto le informazioni che cercava.
«Ha lasciato la Scuola, almeno per ora».
Jack rimase a bocca aperta. E gli venne in mente quello che era accaduto molti mesi prima a Hogwarts. Appoggiò una mano sul cuore e chiese a Tanwir: «È stata espulsa?».
«No» rispose il ragazzino senza esitare. «È complicato. Riguarda la sua famiglia. La Scuola non c’entra. Anzi il professor Johnson ha provato a impedirlo ai suoi genitori, ma…».
«Non capisco» insisté Jack.
«Suo padre vuole che si sposi» confessò allora Tanwir.
Jack conosceva le manie dei Purosangue di combinare i matrimoni ai figli pur di mantenere puro il loro sangue, ma solitamente le nozze veniva celebrate dopo il diploma. «Ma se non ha manco quindici anni!».
Tanwir si strinse nelle spalle. «Lo so, ma ai suoi non interessa».
«Non è possibile!» sbottò Jack. «Non glielo permetterò!». Dimenticandosi completamente della doccia, corse fuori dagli spogliatoi.
«Che succede?» gli urlò dietro James allarmato. Sapeva che avrebbe dovuto restituire i libri al ragazzo di Uagadou ed era rimasto nelle vicinanze per assicurarsi che tutto filasse liscio. «Dove va?» chiese a Tanwir.
«Non lo so» rispose quello altrettanto sconvolto da una simile reazione repentina.
Jack, però, non aveva intenzione di perdere tempo con nessuno. Ignorò i richiami degli altri compagni che tentavano di fermarlo per complimentarsi. Con il fiato corto raggiunse la Sala Professori, dove, come previsto, si erano radunati tutti gli insegnanti in attesa della cena. Si fermò sulla soglia e tutti lo fissarono scioccati, ma il Tassorosso non ascoltò neanche la McGranitt quando gli chiese se vi fosse qualche problema.
James e Tanwir lo raggiunsero, Jack era conscio della loro presenza alle sue spalle, ma continuò a ignorarli.
«Professor Johnson». Jack fece fatica a mantenere normale il tono della voce. L’uomo lo fissò stranito, lasciando poi vagare gli occhi su James e sul suo allievo. «Come può permettere una cosa del genere!?».
«Fletcher, ma che ti prende?» sbottò la McGranitt.
«Di che stai parlando?» chiese perplesso il Preside Johnson.
«Di Kymia!» ribatté a denti stretti Jack.
Un misto di sorpresa e comprensione balenò sul volto del l’uomo. La Sala Professori era in totale silenzio. «Non dipende da me. Non posso trattenere una studentessa contro il volere dei suoi genitori» replicò pacatamente, dopo qualche secondo di riflessione.
«A lei non interessa, vero? Lascerà che le facciano del male impunemente!» quasi gridò Jack.
«Fletcher, ora stai esagerando» lo richiamò la professoressa McGranitt.
Ancora una volta non l’ascoltò: evidentemente aveva inclinazioni suicide più di quanto pensasse.
«Sì, che m’interessa» ribatté con fermezza Johnson. «Ho denunciato l’accaduto alle autorità competenti e ho provato io stesso a parlare con i genitori di Kymia. Solo non posso andare lì e rapirla, sarebbe un atto di forza e, soprattutto, un rapimento».
A quel punto intervenne James, colto probabilmente da un’ispirazione divina, e ringraziò il professore scusandosi per l’irruenza dell’amico. E poi trascinò via il Tassorosso. E fu un bene, perché Jack avrebbe cominciato a insultarlo nel giro di due secondi.
Con il cuore in tumulto, Jack minacciò il povero Tanwir: «Mi terrai informato!».
James lo fissò come se avesse perso il senno, mentre il ragazzino di Uagadou annuiva terrorizzato.
 
*
 
James e Jack, ma certamente non furono   gli unici, rimasero scioccati scoprendo che gli Italiani facevano lezione anche il sabato. La giornata, però, trascorse molto velocemente.
I due nel pomeriggio assistettero alla partita di Quidditch tra Móshú e Dreamtime, valida per la finale. Albert Abbott, Capitano dei Tassorosso e della squadra della Scuola, si era raccomandato, solo un miliardo di volte, di assistere alla partita con molta attenzione e di prendere appunti sulle tattiche e la formazione delle due squadre, visto che avrebbero dovuto affrontare la vincitrice in finale.
Vinse Móshú, ma solo perché il loro Cercatore ebbe un colpo di fortuna e riuscì a prendere il boccino prima degli avversari.
Jack era ancora di cattivo umore e aveva evitato persino le ragazze, che avevano tentato di provarci con lui. I ragazzi italiani degli ultimi anni nel week end avevano la possibilità di visitare il villaggio vicino, ma lui si era rifiutato e aveva preferito la solitudine della sua stanza. Possibile che non sconvolgesse nessuno che una quattordicenne fosse costretta a sposarsi, probabilmente con un vecchio?
Comunque il sabato sera fu in un certo senso costretto a partecipare al falò, in quanto era stato organizzato proprio per concludere al meglio quell’esperienza e salutarsi.
«Avanti, datti una mossa» disse James, cercando di domare i suoi capelli neri. «Albus, Frank, quanto ci vuole?» soggiunse rivolto agli altri due. Louis era già uscito.
Quella sera avevano avuto il permesso di indossare vestiti babbani affinché la divisa non fungesse da elemento separatore.
«Sembrate gemelli» borbottò Jack, suscitando le risatine di Frank.
Albus e James si scambiarono una rapida occhiata e fecero spallucce.
«Potrà anche essere uguale a me fisicamente, ma non avrà mai il mio stile» sentenziò James avviandosi verso la porta.
«S’è per questo, tu non avrai mai i miei occhi verdi» ribatté Albus con un ghigno.
«Come se ne avessi bisogno!» replicò James. «Benedetta dice che i miei occhi color cioccolata sono dolcissimi!».
Albus roteò gli occhi e lo superò raggiungendo Tobia e Lorenzo, che lo aspettavano all’ingresso.
«Beh, ci si vede in giro. Mi aspetta Arianna D’Abrosca» disse Jack, allontanandosi a sua volta.
«Tu, Frank?» domandò James.
«Ci sono dei ragazzi del quarto anno che mi aspettano. Tu sei solo?» rispose il ragazzino.
«No, con Giulio e Marcello» rispose James. «Allora a dopo».
I ragazzi più grandi, aiutati dalla magia, avevano acceso il fuoco e vi si affaccendavano intorno per mantenere la fiamma e controllarlo.
La serata era senza vento e il rumore del mare in sottofondo fu molto insolito per chi era abituato a vivere in zone interne. In un primo momento i ragazzi si divisero in piccolo crocchi, poi quando qualcuno mise la musica, lentamente iniziarono a ballare tutti insieme.
Frank, che normalmente era molto timido, riuscì a stringere amicizia con i gemelli Nilsson ed Elliot Castle.
«Avete visto i risultati?» domandò Elliott. «Io, Frank e il ragazzo italiano siamo terzi a pari merito».
«Sì, ho visto» replicò Frank, abbastanza soddisfatto di sé. «Axel, comunque, sei stato bravissimo. Migliore persino di quelli del settimo anno!».
Axel sorrise e scrollò le spalle. «Rimaniamo in contatto via gufo?» chiese invece.
«Sì» assicurò Elliott Castle all’istante. «Inoltre la prossima volta saremo da me in Australia».
«Mi farebbe piacere» rispose tranquillamente Frank.
Come molti altri, ben presto stanchi di ballare, si sedettero sulla spiaggia e iniziarono a conoscersi meglio, raccontandosi delle loro Scuole, dei loro amici e vecchi aneddoti divertenti.
James, dopo essersi divertito insieme ai fratelli Terracini a far scherzi agli altri ragazzi e a giocare un po’ con un vecchia pluffa, notò nuovamente l’Auror francese. L’aveva cercata a lungo in quei giorni! Stavolta non gli sarebbe sfuggita!
Il Grifondoro la raggiunse a passo svelto e le si parò davanti. «Ti ho beccato» sbottò.
Ella lo fissò con sufficienza. «Solo perché ti ho permesso di farlo».
«È tutta la settimana che provo a parlarti!» replicò James.
«Senti, ragazzino…».
«Sono maggiorenne!» la interruppe il ragazzo.
La donna si accigliò. «Non ha importanza. Non devi impicciarti di cose che non ti riguardano!».
«Certo che mi riguardano! Bellatrix Selwyn e Thomas Rosier stanno seminando morte e terrore nel mio paese, mica in Francia!» sbottò James.
«Abbassa la voce» sibilò la giovane Auror, sempre più irritata.
«Vi siete fatti scappare Rosier, vero? Ecco perché nessuno sa del vostro intervento sull’Orient Express!».
«Basta!» esclamò l’Auror. «Non sono affari tuoi quello che accade in territorio francese. E se non vuoi che dica tutto alla tua Preside e meglio che giri a largo!».
James le lanciò un’occhiataccia e si allontanò senza nemmeno salutarla. Era stata una delusione, eppure gli era apparsa simpatica a novembre. Raggiunse il fratello, seduto dove la luce delle lanterne galleggianti non giungeva, e gli diede una pacca sulla spalla.
«Che succede? Sei tutto rosso».
«Daila ha capito che mi piace».
«Ah, e quindi?».
«Quindi niente!» borbottò Albus. «Siamo e rimarremo solo amici».
James annuì e gli diede un’altra pacca sulle spalle per consolarlo.
«Come fa Jack?» chiese dopo un po’ Albus.
James seguì il suo sguardo e vide il Tassorosso impegnato con Michelle Davids, l’alfiere della Dreamtime. «Non lo so» rispose sinceramente. Albus sospirò.
Sotto un cielo stellato, mentre la nostalgia di Benedetta s’insinuava sempre più intensamente nel più grande, per la prima volta da giorni i due fratelli, ma anche Frank e Jack, pensarono solo a quanto fosse complicato crescere. Per qualche ora dimenticarono di essere i protagonisti di un’assurda profezia e di avere responsabilità molto più grandi di loro.
 
   
 
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