Quei diavoli dei burocrati
Intellettuali d'oggi idioti di domani
ridatemi il cervello che basta alle mie mani,
profeti molto acrobati della rivoluzione
oggi farò da me senza lezione.
Odiava molte cose quel giovane, tra cui sentirsi un idiota.
Chi tentava di prenderlo in giro per l’ignoranza che mostrava, quando le prime volte che cercava onesti prezzi d’affitto e li tiravano dinnanzi quelle scartoffie così strane, piene di parole di cui non si fidava: come se ne accorgevano quelli che non avrebbe potuto leggere i termini dell’accordo.
Pareva che fossero tutti coinvolti in un subdolo gioco di cui era la vittima, anche quando cercava, con tutta l’onesta che tanto amava, di procurarsi le medicine per le cicatrici, e vi trovava quelle istruzioni che lo deridevano, in quei segni tanto piccoli e poco decifrabili, per colpa delle quali ogni volta si ritrovava addosso più segni di prima –e come li avrebbe rimossi quelli?– che un giorno si limitò a bendare.
Nessuno l’avrebbe più deriso. Quando quel giorno ebbe commesso il suo primo furto –una chiara e larga felpa con cappuccio per il capo s’intende, nemmeno si trattasse di viveri– s’era promesso di non farsi beffeggiare, e nemmeno farsi guardare in volto: quella era una trappola con la quale quei vergognosi lettori delle menti smascheravano tutta la sua incapacità di firmar contratti e affrontar quel mondo di uomini d’ufficio e schifosi ricchi borghesi.
Quello era uno dei motivi per cui alla fine aveva accettato di buon grado l’insolita proposta che gli era stata fatta sull’occupazione del piano B6: nessuna firma, nessun contratto, e nessun burocrate, ma solo un’altra figura anonima e senza viso, come lui.
La verità era che a quel dannato orfanotrofio aveva imparato poco: spalare cadaveri aiutava a formar braccia forti e sane, ma non un gran cervello.
A quell’età non parlava molto con gli altri ragazzini, ma poteva comunicare con loro quando capitava che incrociasse lo sguardo con qualcuno, e entrambi poi dirigevano i loro occhi verso i muri cadenti, il pavimento che scricchiolava, e la furtività che si condivideva nel girar di notte senza farsi notar dai direttori!
Capitava che delle sere sentisse dalle camere degli altri –condividevano uno spazio comune a sua differenza, che rimaneva solo– lamentele sulle condizioni in cui si trovavano, e qualcuno cominciava perfino a parlar di una ribellione.
Ogni sera s’affacciava a quelle porte per sentir meglio, e sebbene si rifiutasse di aprirla e mostrarsi, per dar forma a quelle voci, comunque quei discorsi stavano a dargli una sorta di speranza.
Ascoltava con entusiasmo quanto veniva detto, ed ogni battito era figlio di una sola parola d'ira: l'ira di quegli altri alimentava il suo entusiasmo.
Poiché per una vita avrebbe pensato di ascoltar i soliti discorsi morti come l'anima indossata da quei mille corpi, l'uno uguale all'altro, tanto grigi.
Come quando aveva visto, dopo la ribellione fallita e le misere frustrate ricevute da quei poveracci, lo schermo bianco e pien di polvere riempirsi di sangue vischioso, e di risate dell'assassino.
Dannazione, come avrebbe voluto ridere a quel modo!
Ci provò, stette a provarci tutta la vita: non era mai riuscito ad ottenere un gran riso soddisfatto, e per questo si odiava. Si sentiva tutta la disperazione nelle sue risa; e per questo non avrebbe mai reso delle verità quelle sporche accuse della ragazza.
Era ben felice di distinguersi e portare a sé tutta l'attenzione, proprio come quell'assassino.
Questa era la Storia del Terrorista che ebbe visto morir compagni e poi vendicarli.
Questa era la Storia del Terrorista che prima di tutto vendicò se stesso, ben felice fu di vendicarsi di quegli orchi, crudeli uomini d’affari, ribaltando i loro cuori e le interiora, i loro fegati e cervelli che maciullò come loro ebbero fatto per troppi anni.
Questa era la Storia del Terrorista che angosciava i ben pensanti e gli istruiti, caste che non avrebbe mai raggiunto.
Questa era la Storia di un Rinnegato.