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Autore: _Agrifoglio_    04/07/2018    20 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Convalescenza
 
In una delle tante mattine tutte uguali che si susseguivano in quel caldo e monotono giugno di convalescenza, Alain fece capolino nella stanza di André.
Per evitare di dare nell’occhio, erano entrati a Palazzo Jarjayes dall’ingresso di servizio ed erano transitati attraverso l’ala della servitù che era sembrata loro, pur sempre, una reggia, se paragonata alla casa in cui vivevano.
Dopo avere abituato gli occhi alla penombra, Alain scorse André sistemato nel letto, con vari cuscini dietro la schiena che gli consentivano di stare comodamente seduto senza sprofondare.
– Ehi, cieco, sono venuto a trovarti! – esclamò, ridendo, il soldato.
– Guarda che il cieco, in questo frangente, sei tu che hai dovuto abituare lo sguardo alla semioscurità mentre io ti ho visto da subito – rispose André anche lui con una risata – Grazie di essere venuto a farmi visita!
– E non sono solo!
Alain si spostò di lato e, da dietro di lui, spuntò Diane.
– Mademoiselle Diane, che sorpresa! – disse André.
– Monsieur Grandier, dato quello che avete fatto per me, non potevo esimermi dal venirVi a trovare! Vi devo la vita…. Vi devo tutto….
– Mademoiselle Diane, non esagerate! Ho soltanto fatto quello che Voi stessa, a parti invertite, avreste fatto per me. Ma, Vi prego, accomodateVi e anche tu, Alain, prendi posto.
– Questo tenero uccelletto – disse Alain mentre accostava al letto del convalescente una sedia per Diane e un’altra per sé – ti ha cucito un gilet di lana buona e lo ha ricamato con le sue mani, lavorando alacremente giorno e notte e, mentre lo faceva, cantava, come tutti gli uccelletti che si rispettino! Forza, Diane, porgi il gilet a Monsieur Grandier!
– Questo è un pensiero per Voi, Signore, con tutti i sensi della mia gratitudine. Stupidamente, Vi ho fatto un dono che potrete utilizzare soltanto al ritorno dei primi freddi, ma, quando ho visto quella lana e quei fili, non ho resistito.
Diane porse il dono ad André, arrossendo, quasi tremando e guardandolo di sottecchi per la timidezza. Il cuore le batteva forte nel petto e aveva paura che gli altri se ne accorgessero, così da fare la figura della sciocca.
– Ma è una meraviglia, Mademoiselle! In fede e senza piaggeria, Voi siete davvero brava!
– Nostra madre le ha insegnato bene. Tutti i vestiti che indosso sono opera di una di loro due. Per comprare la lana del gilet e i fili per ricamarla, poi, ha dato fondo a buona parte dei risparmi che aveva!
– Alain, per favore – si schermì, imbarazzatissima, Diane – Queste cose non si dicono!
– Non preoccupateVi, Mademoiselle Diane, conosco abbastanza bene Vostro fratello da non fare più caso alla grazia e alla delicatezza di cui è dotato!
I due amici scoppiarono in un’allegra risata mentre Diane li guardava e sorrideva.
Il trio passò insieme una piacevole ora. Diane era timida, ma anche molto simpatica e di ottima compagnia e si intuiva che era una bravissima ragazza sebbene troppo fragile. André non poté fare a meno di confrontarla con Rosalie. Entrambe avevano la freschezza, la tenerezza e quanto di più bello c’è nella gioventù, ma Rosalie, dietro un’apparente delicatezza, celava una forza caratteriale considerevole, per nulla scalfita dalla tendenza al pianto che era la mera conseguenza di un sistema nervoso molto eccitabile. Diane, al contrario, sebbene apparisse calma e gioiosa, inclinava alla malinconia e diede ad André l’impressione di essere una creatura dotata di un equilibrio emotivo alquanto precario.
Quando fu l’ora di accomiatarsi, Alain pregò la sorella di precederlo nel giardino antistante l’ingresso di servizio, con la scusa che, così facendo, avrebbe potuto ammirare le aiuole e i fiori di cui era una grande estimatrice.
Quando furono soli, Alain disse, ridendo, all’amico:
– Diavolaccio d’un Grandier, buono buono, zitto zitto e mi hai fatto innamorare la sorella! Non fa che parlare di te e, grazie a te, ha dimenticato quell’altro!
– Alain, ti assicuro che io non ho fatto alcunché di sconveniente e….
– Ma lo so! Figurati! – disse il soldato, grattandosi la nuca con la mano destra – André, mia sorella non appartiene all’alta aristocrazia, non è ricca, non è bionda e non è bella come i dipinti che stanno in Chiesa, ma è, comunque, molto carina e, quel che più conta, è un’ottima ragazza che puoi sposare quando vuoi e non un sogno irraggiungibile! Cucina, lava, stira e cuce molto bene e, con quell’altro, non ha combinato niente, te lo assicuro! Neanche un bacio, figurati! Lo avrà incontrato soltanto tre o quattro volte e sempre alla presenza di nostra madre. Credeva di amarlo perché è giovane e insegue i suoi sogni, ma, dietro quell’amore, non c’era niente di concreto. Stai sicuro che, una volta sposata e con dei figli, sarà la donna più seria, equilibrata e piena di buon senso che il mondo abbia mai conosciuto!
– Alain, io….
– André, non ti sto chiedendo di sposarla ora, ovviamente, ma soltanto di prenderla in considerazione e di non scartarla per partito preso. Diane è innamorata di te mentre tu non lo sei di lei, lo so benissimo. Vorrei soltanto che la tenessi presente come un’eventuale sposa, sapendo che c’è questa possibilità. Quando l’avrai conosciuta bene, non potrai fare a meno di ricambiarla, ne sono sicuro. Ah, ovviamente, mia sorella non sa nulla di questa nostra conversazione.
– Confida nella mia discrezione, Alain.
I due amici si salutarono, Alain, con la solita risata, sorretta da una nuova speranza; André, con un sorriso cordiale e l’agitazione nel cuore.
 
********
 
Andati via Alain e la sorella, André si trovò di nuovo solo, come spesso gli era capitato nel corso di quella lunga e silenziosa convalescenza e i pensieri cominciarono a galoppare a briglia sciolta nella mente di lui, come cavalli selvaggi, felici nella loro libertà, ma esposti a mille insidie proprio a causa di questa. L’atteggiamento che aveva animato il giovane in quelle settimane era stato ispirato, quasi sempre, all’ottimismo e all’entusiasmo per essersi riappropriato della sua vita e del suo futuro e, parallelamente, aveva notato la quasi totale sparizione degli incubi notturni. Certe volte, tuttavia, indugiava in considerazioni più cupe, ma utili per mettere ordine nel suo animo e la scoperta dei sentimenti di Diane, con tutte le implicazioni che ne sarebbero derivate, aveva dato il via a questo secondo tipo di elucubrazioni.
Da giovane – quando ancora pensava di stringere il mondo nelle mani, quando nutriva la presunzione di avere tanta forza nell’anima quanto fiato in gola e aria nei polmoni e quando i battiti impetuosi di un giovane cuore lo illudevano di poter bastare a se stesso – aveva fatto una scelta radicale di cui non aveva ponderato a pieno la portata, sorretto da un entusiasmo alimentato e, al contempo, reso cieco dal vigore degli anni verdi. La mancanza di esperienza, l’ancora acerba attitudine a cogliere i risvolti delle cose e l’incapacità di prefigurarsi le pesanti ripercussioni della consacrazione totale a un amore impossibile avevano fatto sì che egli perseverasse nei suoi sentimenti, alimentandoli e sublimandoli. La forza di volontà lo aveva spinto a proseguire in un cammino impervio e a chiudersi a riccio a ogni diversa visione del mondo, bandendo le esitazioni e tacitando le inquietudini. La determinazione era granitica e le titubanze non la scalfivano. Aveva la gioventù dalla sua parte.
Adesso che si accostava alla soglia dell’età matura, tenere a bada i dubbi gli risultava ogni giorno più difficile. Accantonare gli interrogativi, voltarsi dall’altra parte e fingere di non accorgersi delle controindicazioni del cammino che aveva intrapreso non gli era più possibile. La volontà era sempre la stessa, ma insidiata da un esercito di perplessità e da una visione più realistica della vita. L’esperienza accumulata gli aveva mostrato che le cose non sono mai bianche o nere e che tutto si riduce a un forse scialbo, ma sicuramente autentico, colore grigio.
L’amore c’era ancora ed era grande, ma non lo metteva al riparo dal senso di vuoto che provava, ogni sera, quando si coricava da solo.
Accontentarsi di un’unione di comodo, anche se basata sull’amicizia e sulla stima, non gli sarebbe mai bastato e inorridiva al pensiero di un’altra donna accanto a sé, per tutta la vita o soltanto per un’ora, ma, allo stesso tempo, sentiva che la presenza di una famiglia, formata con una brava anche se imperfetta ragazza, gli avrebbe recato sollievo da tante afflizioni e regalato uno stimolo in più per affrontare le giornate.
Da ragazzo, pensava che la dedizione totale a Oscar sarebbe stata mille volte preferibile a una famiglia “vera” che avrebbe potuto essergli strappata improvvisamente, con la stessa rapidità e la stessa inesorabilità con cui gli era stata tolta quella d’origine. Da uomo adulto e quasi maturo, non poteva non ammettere che addurre sempre degli inconvenienti è il modo migliore per rimanere immobili e non prendere mai posizione.
Era penoso tornare negli alloggi a lui destinati, chiudervisi dentro e restarci solo fino alla mattina successiva. Era penoso dovere ammettere che, forse, aveva sbagliato tutto, che aveva rinunciato a tutto per niente, che si era auto ingannato. Era penoso realizzare che la solitudine e la castità hanno un senso soltanto se inserite nel contesto di una vita consacrata, resa sublime dalla vocazione e dal sacrificio in nome di qualcosa di superiore mentre, da sole, portano all’isolamento e all’insoddisfazione. Altrettanto penoso era sorprendersi a elaborare questi pensieri e vergognarsene, come se fossero stati una bestemmia all’Amore e un oltraggio a Oscar.
In certi momenti di quella lunga, solitaria e inoperosa convalescenza, malediceva di averla incontrata, ma, in altri, pensava che la vita sarebbe stata molto più incolore e priva di significato senza di lei. Avrebbe voluto dimenticarla, ma, allo stesso tempo, pensava che sarebbe stato mille volte meglio impazzire con l’idea di lei fissa in testa che vivere cento anni sereno, in un’atarassia fatta di nulla.
Quando, come in quei momenti, si trovava impigliato in simili riflessioni, si sforzava di pensare che c’era chi stava peggio di lui, perché non aveva la possibilità di recuperare la vista con un’operazione e, tanto meno, di mettere del cibo nello stomaco; pensava che doveva ben guardarsi dal ricadere nel baratro del suo inconcludente dolore e che, come lo aveva esortato la nonna, sarebbe dovuto crescere. Quando, malgrado ogni considerazione, la solitudine prevaleva e l’afflizione aveva la meglio, delle lacrime gli spuntavano, ma egli le ricacciava indietro, affinché non lavassero via le dolorose medicazioni cui quotidianamente si sottoponeva e, con esse, le fatiche di quel medico strampalato.
 
********
 
La sala da pranzo piccola di Palazzo Jarjayes era un delizioso gioiello di stile rococò, arredato con mobili in noce, intarsiati con decorazioni floreali dorate. Al centro di essa, era collocato un tavolo rettangolare, circondato da sedie tappezzate di seta rosa antico, sovrastato da uno splendido lampadario di cristalli di Boemia e adagiato sopra un grande tappeto persiano, beige al centro, rosa ai bordi e adornato con decorazioni floreali rosa e azzurre. Alla parete più corta, opposta alla porta, era appoggiata una credenza – sormontata da una specchiera dorata e curvilinea – sulla quale erano appoggiati dei candelieri anch’essi dorati mentre quella lunga esterna era impreziosita da una vetrina, affiancata, su entrambi i lati, da due grandi finestre, coperte da tende color crema e da sopra tende dorate. La parete lunga interna recava, al centro, un grande camino di marmo – sormontato da un alto specchio, rettangolare e dorato – sulla cui mensola era appoggiato un bell’orologio, pure dorato, a sua volta, affiancato da vasi da fiori di alabastro. Ai lati del camino, si notavano, in basso, delle sedie e, in alto, dei dipinti a olio, effigianti delle nature morte. 
Ritta in piedi accanto alla credenza e con le spalle rivolte alla parete, Marie Grandier scrutava l’insolito trio seduto intorno al tavolo, ricoperto, per l’occasione, da una pregiata tovaglia di pizzo di Burano e, se fosse stata sola, avrebbe senz’altro scosso la testa. Il Generale e Madamigella Oscar avevano invitato Lucilio Vianello a desinare e mai, in tanti anni di servizio, la vecchia governante aveva assistito a una riunione conviviale così male assortita. L’insolito ospite aveva passato al setaccio, con gli occhi, i piatti di porcellana di Sèvres, i bicchieri di cristallo di Baccarat, le posate d’argento, i sottopiatti e i sottobicchieri d’oro, la tovaglia di pizzo, i candelieri d’argento adagiati sul tavolo e le superbe decorazioni floreali che occhieggiavano, in fila, fra un candelabro e l’altro e, più di una volta, era stato colto nell’atto di accennare un risolino sarcastico o di scuotere la testa. Per tutta la durata del pranzo, il Generale e il Signor Lucilio erano stati impegnati in una conversazione, a tratti, accesa e, a tratti, caustica. L’inconciliabilità di vedute, fra i due, era palese. Oscar, invece, era rimasta pressoché in silenzio, distratta dai pensieri che correvano sempre ai recenti accadimenti che l’avevano tenuta occupata. Aveva limitato i suoi interventi a qualche frase di circostanza, finalizzata, più che altro, a stemperare l’eccessiva durezza dei toni, nel timore che il degenerare della conversazione potesse nuocere alla sollecitudine delle cure da prestare ad André.
– La Vostra visione del mondo è antica quanto fanciullesca, Signor Generale. Non è Dio che domina il creato, ma la ragione umana, liberata dalle tenebre della superstizione e coltivata con la lettura dei vecchi storici e dei nuovi filosofi.
– Siete in errore, Signor Vianello. L’unico ordine che governa il creato è quello impresso da Dio che tutto domina e tutto muove. Sostituire a questa verità indiscussa le fandonie di moderni ciarlatani è causa di disordine sociale e morale.
– Le Vostre convinzioni sono puerili e ottenebrate dalla superstizione, Signor Generale. Non è a un Dio nascosto e silente che dobbiamo la nostra venerazione, ma alla ragione che ci distingue dalle bestie brute. La ragione ci rende signori delle nostre passioni e non schiavi di esse. Gli uomini non devono obbedienza a Dio, ma ai migliori fra di loro. Per necessità naturale, i minori devono cedere ai maggiori, i deboli ai forti, i vigliacchi ai magnanimi, i semplici agli accorti. Il temperamento porta il grande al comando e il piccolo al dispregio.
Detto ciò, si rivolse al cameriere che lo stava servendo e gli disse:
– Voi, come potete fare questo?
– Cosa ho fatto, Signore? In che cosa ho mancato? – balbettò quello, sorpreso e costernato.
– Come potete adattarvi a questo ruolo succube e ornamentale senza neanche tentare di affermare il vostro spirito?
– Continuate Laurent – gli ingiunse Marie Grandier, con aria infastidita e quasi sprezzante mentre il Generale smaniava nell’attesa che il pranzo finisse e Oscar soffocava un sorriso per l’involontaria comicità della scena.
– In quale dispregio tenete la ragione! – proseguì il Signor Lucilio – Con gli ingenti denari impiegati nell’acquisto di quest’oro, di quest’argento, dei mobili di noce intarsiati, dei lampadari, dei pizzi e dei cristalli, si sarebbero potute acquistare intere biblioteche!
– Questo palazzo vanta una biblioteca fornitissima – rispose il Generale – Una delle più ricche e antiche di tutta la Francia. Non Vi ci siete imbattuto, nel Vostro incessante peregrinare all’interno della mia proprietà?
– Per, poi, non parlare della servitù – continuò, imperterrito, l’altro – Che bisogno c’è di un cameriere dietro a ogni commensale? E’ un inutile spreco di risorse che si sarebbero potute impiegare più proficuamente nell’agricoltura.
– Lo stesso potrebbe dirsi di certi adepti ad arti e mestieri.
– Io, Signor Generale, più ci penso e più mi corroboro nella convinzione che i marmi, i mobili, i lampadari, le tende siano un pietoso surrogato di un tragico vuoto, un risibile espediente volto a spostare l’attenzione sull’opulenza e a distoglierla dalla pochezza di spirito di chi se ne avvale.
– Siete nuovamente in errore, Signor Vianello, giacché lo spirito di chi si circonda di tali arredi è ampiamente testimoniato dalla forza di sopportazione con cui intrattiene i suoi ospiti.
Pronunciata quest’ultima frase, tutti guardarono, con sollievo, i camerieri recare in mano alcuni vassoi carichi di frutta di stagione, segno inequivocabile che il pranzo volgeva, ormai, al termine.
 
********
 
Il Generale de Jarjayes attraversò, a rapidi passi, l’ala della servitù, diretto all’alloggio di André.
Il vecchio ufficiale era stato informato del coraggio con cui l’ex attendente della figlia aveva affrontato l’intervento operatorio, della forza d’animo che gli aveva fatto sopportare, una dopo l’altra, le dolorose medicazioni cui era stato sottoposto e della pazienza con cui il giovane uomo aveva affrontato quelle lunghe settimane, imprigionate in una forzata inoperosità e avvolte nella penombra. La mente stoica dell’anziano soldato si era compiaciuta per quelle manifestazioni di solidità caratteriale che, già molte volte, aveva avuto modo di apprezzare in André.
Giunto nell’anticamera della stanza del convalescente, ne incrociò la nonna che stava andando via, dopo avere riposto della biancheria nel comò e sistemato degli abiti nell’armadio. Di solito, a quelle incombenze, provvedeva una cameriera, ma, durante le settimane di convalescenza, la vecchia Marie aveva deciso di dedicarcisi personalmente, per avere l’opportunità di scambiare qualche parola in più col nipote e per evitare che le chiacchiere di qualche domestica sortissero l’effetto di rivelargli delle notizie che potessero agitarlo e indurlo a sbendarsi e a uscire da palazzo.
– Signor Generale, siete gentile nel venire a fare visita ad André! – disse la vecchia al nobiluomo.
– Come sta tuo nipote?
– Migliora di giorno in giorno, per fortuna! Risponde bene alle cure e, questa volta, appare determinato a seguire coscienziosamente le indicazioni del medico. Per una volta tanto, le cose stanno andando bene! L’unica nota stonata è quell’insopportabile dottorino, petulante e pieno di sé, che non fa altro che pontificare e ficcare il naso da per tutto!
– Ah, non parlarmene! Si riempie la bocca di quelle sue “rancide dottrine di tirannia ereditaria” e, intanto, mangia al mio desco….
Dopo avere preso commiato dalla governante, il Generale bussò alla porta della stanza di André che lo invitò a entrare. I due uomini si trovarono l’uno di fronte all’altro.
André accolse il Generale con le labbra sorridenti e con l’occhio destro, ormai completamente guarito dall’infezione, sprizzante gioia. L’occhio sinistro, ancora avvolto dalle bende, non gli dava più fastidio da una decina di giorni.
Sedutosi su una sedia accanto al letto del convalescente, il Generale iniziò la conversazione, chiedendogli delucidazioni sulle condizioni di salute in cui versava e ottenendo da lui delle informazioni più precise di quelle già ricevute dalla vecchia Marie. In breve, l’operazione era perfettamente riuscita, i tessuti si erano ben cicatrizzati e, già da una decina di giorni, l’infermo non provava alcun dolore durante le medicazioni. Il medico aveva previsto il pieno recupero delle funzioni visive e, secondo lui, le bende si sarebbero potute rimuovere anche subito, ma, per precauzione, ne aveva suggerito l’utilizzo per altre due settimane.
– In tutta questa vicenda, una sola cosa mi addolora, André – disse il Generale – Che tu non mi abbia consentito di pagare le spese mediche. In fin dei conti, il tuo ferimento fu la conseguenza del tentativo di salvare mia figlia.
– Signor Generale, quando mi sbendai per correre in aiuto di Oscar, sapevo a cosa sarei potuto andare incontro. Non ho alcunché da recriminare ed è mia ferma intenzione pagarmi l’intervento da solo.
– Insisto.
– Anch’io, Signore. La mia salute è un problema cui devo fare fronte da solo.
– Vedo che sei irremovibile, André. Cosa pensi di fare dopo esserti ristabilito? Ti arruolerai di nuovo fra i soldati della Guardia Metropolitana?
– Non credo, Signore. Oscar vuole badare a se stessa e, a ben riflettere, quella vita non mi è congeniale.
– André, l’amministratore delle mie proprietà e di quelle di mia moglie, Monsieur Roland, è, ormai, anziano e, fra due anni, prenderà congedo. Ti interesserebbe affiancarlo, per, poi, sostituirlo? E’ un incarico delicato che richiede competenza, attenzione, buon senso e affidabilità e tu possiedi tutte queste doti. Oltretutto, sei qui da una vita e già conosci molte delle caratteristiche delle proprietà di famiglia.
– Ne sarei onorato, Signore. Appena il medico mi avrà dato il permesso, riprenderò la vita attiva e inizierò ad affiancare Monsieur Roland.
Il Generale fu piacevolmente stupito: André aveva accettato l’incarico senza esitazioni e senza mettersi a contrattare sull’onorario. Lo aveva davvero educato bene, con solidi principi e onesti ideali!
– Ritengo doveroso dirti una cosa, André, una cosa importante. Ecco, se tu fossi stato un nobile, avrei visto di buon occhio un matrimonio fra te e Oscar. Anzi, avrei caldeggiato quest’unione dal più profondo del cuore, perché so che l’avresti fatta felice. Spero che tu ti ristabilisca al più presto, lo desidero davvero, André.
– Vi ringrazio molto, Signor Generale – rispose André, con lo sguardo che gli brillava dalla commozione.
 
********
 
Oscar faceva scorrere l’archetto sulle corde del violino, con movimenti ora rapidi, ora sinuosi. Lo strumento vibrava al tocco sapiente di quella musicista amatoriale, ma ispirata, diffondendo nell’aria una sonata mozartiana saltellante e briosa.
Alcune sere, al ritorno dalla caserma, se non era troppo stanca o impegnata, Oscar si recava nella stanza di André, per tenergli un po’ di compagnia nel corso di quella lunga convalescenza e suonava melodie vivaci oppure leggeva dei brani divertenti che rallegrassero il morale di lui. Talvolta, giocavano a scacchi o discutevano e lei aveva sempre cura di non far scivolare la conversazione su argomenti tediosi o angoscianti.
Quel giorno, Oscar aveva portato il violino nella stanza del convalescente e si stava cimentando in un piacevole allegretto.
André la ascoltava deliziato, facendosi trasportare da quelle note, rese ancora più gradite da colei che le suonava. Era felice che Oscar gli dedicasse parte del suo tempo e che si prendesse tanta cura nel distrarlo dalla pesante condizione di infermo seppure in via di guarigione. Quelle note avevano il potere di farlo volare in un mondo pieno di pace, di speranze e di buoni sentimenti ed era mille volte grato a lei che esercitava su di lui quell’influenza ristoratrice. Per un breve, struggente momento, non poté fare a meno di pensare che, se Oscar, un giorno, si fosse sposata, quelle soavi melodie avrebbero rallegrato le orecchie di un altro uomo, ma si riscosse quasi subito da quel triste pensiero. Si era riproposto di non indulgere in riflessioni che avrebbero potuto precipitarlo nello scoramento e che sarebbero state dannose e inutili, non avendo egli il potere di influire sul corso degli eventi. Dopo essere stato malmenato in armeria, in uno stato di semi incoscienza, aveva supplicato Oscar di non sposarsi, ma non voleva più essere egoista, sperando che lei trascinasse il resto della sua vita in solitudine per non suscitare in lui la gelosia. Nulla aveva da offrirle e sarebbe stato crudele augurarsi che un altro uomo non le donasse ciò che lui non poteva darle. Stava recuperando la vista e voleva essere semplicemente grato a Dio e alla vita che gli avevano fatto quello splendido dono. Il resto lo avrebbe affrontato giorno per giorno, un paso alla volta, a mano a mano che il singolo problema gli si fosse presentato. Il futuro non si poteva presagire né chiudere dietro la porta, ma, oggi, quelle note erano tutte per lui.
Oscar terminò la melodia, appoggiò il violino e l’archetto sul comò e si sedette su una sedia accanto ad André.
– So che hai accettato la proposta di mio padre di diventare il nuovo amministratore delle proprietà di famiglia.
– Sì, mi sembra un’ottima occupazione, ora che i miei giorni fra i soldati della Guardia sono finiti e che tu non hai più bisogno di un attendente. Affiancherò Monsieur Roland finché non avrò preso piena dimestichezza con i segreti del mestiere e, poi, lui si metterà a riposo e io continuerò da solo.
– Ti ci vedo ad amministrare le nostre proprietà: sei preciso e ordinato e credo che queste terre non abbiano mai avuto un amministratore migliore di te.
Oscar si scostò una ciocca di capelli dalla fronte e, poi, continuò a parlare, cambiando discorso:
– Sai, i soldati sono molto contenti che tu stia recuperando la vista.
– Mi mancano i ragazzi. Nonostante l’inizio burrascoso, con alcuni di loro, alla fine, avevo stretto dei buoni rapporti. Procede tutto bene là?
– Sì, grazie. Le indagini hanno avuto un’ottima svolta, ma questo già lo sapevi.
Oscar si guardò bene dallo scendere nei dettagli o dal fare cenno alla mattinata trascorsa nei bassifondi parigini, a causa dell’improvvida richiesta della Regina. André, dal canto suo, pur vedendo Oscar stanca e affaticata, non mise in risalto la cosa, nel timore che lei si innervosisse e andasse via. Dopo la sua completa guarigione, avrebbe affrontato l’argomento con le parole più adatte e si sarebbe prodigato nel convincerla a farsi visitare.
– André, anch’io sono molto contenta che tu stia recuperando la vista.
Oscar pronunciò quelle parole accompagnandole a un debole sorriso e reclinando gli occhi. Era tornata stanca e irritata dalla caserma e, nei suoi appartamenti, era stata colta da un violento attacco di tosse, terminato il quale aveva preso il violino e si era diretta nella stanza di André. Non era tranquilla e, quando iniziava a chiedersi di che cosa potessero essere messaggeri quegli accessi, si rabbuiava. Troppe persone aveva visto morire, divorate dall’etisia. André era rimasto menomato a causa di uno dei tanti colpi di testa di cui si era resa protagonista e, adesso, era in procinto di ristabilirsi mentre c’erano delle fondate possibilità che lei stesse inesorabilmente scivolando nel vortice della consunzione. Se così fosse stato, come scambio, le sarebbe sembrato più che onesto.







Continua, col capitolo odierno, il cross-over con “Le confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo.
Le frasi: “I minori devono cedere ai maggiori, i deboli ai forti, i vigliacchi ai magnanimi, i semplici agli accorti” e “Il temperamento porta il grande al comando e il piccolo al dispregio”, pronunciate da Lucilio Vianello, vengono da là.
L’idea di fare diventare André amministratore delle proprietà dei de Jarjayes, invece, viene da Tixit.
Al seguente collegamento ipertestuale, potrete ammirare le fotografie dalle quali ho tratto ispirazione per descrivere la sala da pranzo piccola di Palazzo Jarjayes. Nella mia descrizione, gli arredi sono stati riveduti e corretti per ragioni di opportunità. Sotto al tavolo, p.es., ci sono due tappeti, ma io, per semplicità, ne ho descritto uno solo, così come ho sostituito le poltrone, non settecentesche, con una parete con camino.
Buona lettura!
 

   
 
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