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Autore: weremar    05/07/2018    1 recensioni
Lisedore Elaine Nott non è esattamente l'ereditiera ideale di una famiglia Purosangue; è pigra, acida e avrebbe preferito immergere una mano nell'acido piuttosto che capitare in Serpeverde.
Hugo Weasley è l'impeccabile discendente dei gemelli Weasley, con tanto di capelli rossi, ghigno di chi sta per combinartene una e infinito repertorio di scherzi.
Se l'una è il ghiaccio, l'altro è il fuoco; ma non è forse vero che solo attraverso l'unione degli opposti si può ottenere la totalità?
| Non tiene conto degli avvenimenti raccontati ne La Maledizione dell'Erede.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hugo Weasley, Nuova generazione di streghe e maghi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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VI.

«Oh, per tutti i folletti!», squittì Lily Potter. «Sono così nervosa!»

Avrei voluto dire che aveva tutti i motivi per esserlo, dato che si stava per cacciare in un enorme guaio, ma ricordai a me stessa che ero lì perché mi avevano incastrato e non perché io e la Potter eravamo diventate amiche del cuore. Così, mentre guardavo il modo in cui aveva allestito la Torre di Astronomia, mi limitai a tacere.

Hugo alla fine era riuscito a recuperare ben ventisette ragazze ansiose di avere un appuntamento al buio con Albus Potter. A quanto pare, la sua aria da secchione abbinata ai geni Potter aveva un certo fascino sulla popolazione femminile.

Le ragazze ci avrebbero raggiunto solo dopo che Lysander avesse portato Albus sul luogo del delitto; intanto io, Lily e Hugo stavamo sistemando le ultime cose. In realtà non era vero, perché io non stavo facendo assolutamente nulla, la Potter si stava lamentando e il Weasley era stravaccato per terra a leggere qualcosa scritto su un quaderno.

«Spero davvero che serva a qualcosa, voglio dire, ci abbiamo messo così tanto tempo ad organizzare tutto», sospirò la rossa. «James sarebbe fiero di me.»

Trattenni un conato di vomito al pensiero di James Potter e cominciai ad indietreggiare. «Va bene, ehm, credo di aver finito qui.» Poi girai i tacchi. «Fatemi sapere come va a finire.» Non che mi interessasse davvero.

«Nott, aspetta!», sentii urlare da Hugo. Mi arrestai e poco dopo lo sentii raggiungermi. «Non voglio assistere a questo disastro», mi bisbigliò, leggermente preoccupato.

Io repressi un ghigno. Restammo in silenzio fino a quando non raggiungemmo il primo piano; poi mi ritrovai a seguire Hugo anche fuori dal Castello.

Era una giornata piuttosto calda, per essere ottobre. Normalmente cominciavo ad indossare sette strati di vestiti già dalla fine di settembre, ma quell'anno l'inverno sembrava ritardare.

Non ero sicura del perché, ma mi sentii obbligata a cominciare una conversazione.

«Non la prenderà bene Potter, vero?», domandai. Non mi girai per guardare la reazione di Hugo, piuttosto lasciai vagare il mio sguardo sul lago Nero.

«Per niente», ammise Hugo. «Albus è tra le persone più timide che conosca, questa situazione lo metterà davvero in imbarazzo.»

«E allora perché non hai detto niente a Lily?»

Lo sentii girarsi verso di me, poi lui si sedette sul prato, di fronte la riva del Lago. Lo imitai con una certa lentezza, aspettando la sua risposta.

«Perché Lily è troppo testarda, non mi avrebbe ascoltato, piuttosto mi avrebbe escluso ritenendo che le stavo solo rovinando il piano», sospirò. «Preferivo controllare come andavano le cose in prima persona, e mi sono premurato di chiedere soltanto a ragazze affidabili.»

La sua preoccupazione mi lasciò piuttosto interdetta. Più lo conoscevo e più mi rendevo conto che c'erano lati di Hugo Weasley che non mi sarei mai aspettata.

Io tacqui, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi azzurri e puntandolo sulle acque del Lago.

«Sarà un disastro», continuò con tono disperato.

*


Se c'era una cosa in cui ero davvero brava, quella era evitare i disastri.

Mi rinchiusi in camera fino all'ora di cena, e quando scesi in Sala Grande non vidi nessuna testa rossa. Né tantomeno quella scura di Albus Potter, o quella di Lysander. Non la considerai una cosa positiva, ma mi ricordai di non lasciarmi coinvolgere.

Cenai in silenzio, con Gemma che ripassava Difesa contro le Arti Oscure, e quando finimmo ci avviammo insieme in Dormitorio. Ma poi non riuscii più ad evitare la vocina fastidiosa che mi ronzava in testa e dissi a Gemma di proseguire senza di me.

Mentre raggiungevo il settimo piano, mi scontrai con Lysander che veniva nella direzione opposta. La sua solita espressione serafica era stata sostituita da una accigliata, così capii che era andata esattamente come previsto.

Non si mostrò sorpreso di vedermi, né tantomeno si sprecò in domande. «Nella sua stanza.»

Dovetti aspettare parecchio prima di trovare qualcuno disposto a farmi passare, ma quando attraversai il ritratto della signora Grassa non mi fermai a vedere nessuno. Salii verso il Dormitorio femminile e bussai alla porta che ricordavo essere quella di Lily.

Trascorse qualche istante prima che io sentissi la voce della rossa, rotta e tremante, urlare «Va' via, Lysander!».

Rimasi pietrificata. Era stato davvero un disastro se aveva ridotto la spavalda Lily Potter in lacrime.

«Sono Lisedore», bisbigliai, ma ero sicura mi avesse sentito. Dopo qualche istante, il viso della Grifondoro fece capolino dalla porta leggermente aperta.

Aveva gli occhi rossi e gonfi, e sembrava sul punto di scoppiare nuovamente a piangere. Quando ebbe la conferma che ero davvero io e che lo Scamandro non era dietro di me, spalancò la porta. Non aspettò che io entrassi e tornò a sedersi in un angolino della stanza, la testa affondata tra le ginocchia.

Ero la persona meno adatta a consolare le persone, soprattutto Lily, che era così diversa da me. Quando io ero triste, normalmente, non sopportavo che le persone mi stessero attorno e vedessero la mia debolezza. In quei casi, parlare era fuori discussione.

Lily Potter invece aveva bisogno di sfogarsi e l'avevo capito subito.

Così, cercando di non essere indiscreta, le domandai «Cos'è successo?».

Lei alzò leggermente la testa, tirando su con il naso. «È andata malissimo», confessò. Come se non l'avessi capito. «Appena Albus ha capito la situazione si è arrabbiato da morire, non l'avevo mai visto così.» Prima che riuscisse a finire la frase le scappò un singhiozzo, e le lacrime cominciarono a scendere copiose. Feci comparire dal nulla un pacco di fazzoletti e glielo porsi.

Non appena si fu soffiata il naso, continuò. «Albus è la persona più tranquilla che conosca. Se faccio uno scherzo a James so che devo aspettarmi urla e vendette, ma so che invece Albus si metterà a ridere con me. Non mi aveva mai urlato contro.»

Sapevo che, dalle persone come Albus Potter, era ancora peggio ricevere quel tipo di sfuriata. Perché sapevi di averla fatta davvero grossa.

Mia madre Daphne era così. Era sempre così composta, non era mai stata quel tipo di madre che urlava come una psicotica perché avevamo sporcato a terra. Era una vera e propria signora, la perfetta metà di mio padre, che invece non passava mai inosservato, con il tono di voce alto e la tendenza a perdere la pazienza.

Ma questo rendeva ancora peggiori i momenti in cui mamma mi sgridava, perché sapevo di averla delusa.

«Non ha nemmeno aspettato che entrassero le ragazze, se n'è andato e non ha voluto parlarmi per il resto della giornata. Mi odia, Lisedore», scoppiò la rossa, nascondendo di nuovo la testa tra le braccia, le spalle scosse dai singhiozzi.

Mi domandai con orrore se fosse il caso di abbracciarla, ma poi scartai l'idea e mi concentrai su quello che potevo dire.

«Non essere sciocca, Potter», dissi, con tono fermo. «Albus non ti odia, e sai perché? Perché voi due e James siete così legati. Per voi la famiglia è la cosa più importante.» Così come dovrebbe essere per tutti, aggiunsi mentalmente. «Il vostro rapporto di una vita non finirà per un errore. Dagli tempo. Quando capirà che tu volevi solo aiutarlo, ti perdonerà.»

Non sapevo neppure di poter pronunciare un discorso così lungo, e non ero sicura che avesse avuto senso, ma Lily alzò la testa. Aveva gli occhi lucidi ma le lacrime si erano fermate.

«Lo pensi sul serio?», domandò, con una sfumatura di speranza nel tono malinconico.

«Certo che lo penso davvero», risposi sicura.

E vorrei tanto avere lo stesso rapporto che avete voi Potter con Adeline. Vorrei che fossimo il tipo di sorelle che si scambia i vestiti, che parla di ragazzi, che dorme insieme quando una delle due è triste. Quel tipo di sorelle che sanno tutto l'una dell'altra, e che saranno per sempre migliori amiche.

Mi guardai bene dal pronunciare questo tipo di confessione, ma comunque Lily Potter non sembrò aspettarsela. Tirò su con il naso e si aprì in un sorriso debole. «Grazie, Lise», fiatò debolmente.

E io rimasi in silenzio.
 

*


Nei giorni seguenti, Lysander mi informò sulla situazione anche quando non era richiesto (cioè sempre). In realtà avevo cominciato ad avere a cuore il caso dei fratelli Potter, ma non l'avrei mai ammesso.

Sembrava che Albus fosse davvero incazzato, perché a cinque giorni di distanza continuava ad evitarla e a non parlare con lei. Ogni giorno che passava vedevo gli occhi di Lily spegnersi sempre di più e, a quel punto, avevo già deciso.

Non avevo mai rivolto più di due parole ad Albus Potter, questo perché mi ero resa conto di metterlo terribilmente in soggezione. Non ero sicura fosse un atteggiamento che aveva solo con me o con tutte le persone del sesso opposto; comunque, non mi sorpresi di vederlo arrossire come un peperone quando piantai i piedi davanti a lui e resi palese che volevo parlargli.

«Potter», sentenziai gelida.

Lui spalancò gli occhi. «L-Lisedore», salutò. Non sembrava avere la minima idea del perché gli stessi rivolgendo la parola.

«Possiamo parlare?»

Lui annuì, leggermente stranulato, e mi seguì verso la Torre di Astronomia. Arrivati lì, non lo lasciai proseguire né mettersi comodo. Lo fermai per un braccio e lo fulminai con un'occhiata.

«Che intenzioni hai con Lily?», sparai.

Lui sembrò sorpreso, ma si irrigidì. «In che senso?»

«Per quanto tempo hai ancora intenzione di tenerle il broncio?», ribadii, scandendo bene le parole.

Doveva essere ancora piuttosto arrabbiato, perché dimenticò il suo imbarazzo.

«Non credo siano affari tuoi.»

«E invece lo sono, perché Lily è mia amica. Ma non lo sto facendo per lei, lo sto facendo per entrambi. Voi non avete la minima idea di cosa significhi non andare d'accordo con la propria sorella, vivere ogni vacanza come se fosse una punizione, passare le giornate intere cercando di evitarla e sapere che avete rovinato ogni tipo di rapporto che avreste potuto avere con lei», sputai tutto d'un fiato. «Non rovinare tutto per una sciocchezza; cerca di parlarle e chiarire con lei piuttosto. Non ne vale la pena.»

E, prima di riuscire a leggere la sua espressione, voltai i tacchi e tornai verso il mio Dormitorio.

*

Quando, la sera, Lily annunciò entusiasta che lei e Albus avevano (finalmente) fatto pace, mi congratulai con me stessa. Probabilmente il Potter mi aveva ascoltato soltanto perché aveva preso tutto il mio discorso come una minaccia e perché temeva possibili ripercussioni, ma mi piaceva pensare che invece le mie parole l'avessero convinto.

Anche perché, con me e Adeline, tutta la questione del chiarire e del parlare non aveva mai funzionato. Adeline era il tipo di persona che sfogava tutto urlando senza ascoltare cosa l'altro aveva da dire, poi se ne andava sbattendo la porta e non ti rivolgeva la parola per almeno una settimana; anche quando avevo davvero intenzione di salvare il nostro rapporto non ero mai riuscita ad avere un dialogo con lei, così col tempo avevo rinunciato.

I cugini pel di carota ci avevano dato appuntamento nell'aula in disuso dopo cena, ma non era ancora arrivato nessuno; stavo giusto per aprire la porta e tornare soltanto quando ci fosse stato qualcuno tra me e il ragno gigante che Hugo fece il suo ingresso.

«Hey, Nott», salutò con un mezzo sorriso. «Come va?»

Alzai lo sguardo su di lui e cercai di non soffermarmi troppo sulla parte di petto che la camicia leggermente sbottonata lasciava intravedere; gli lanciai un'occhiata di sufficienza e non risposi.

Lui non sembrò prendersela e si stravaccò su una sedia, appoggiando i piedi sul tavolo e portando le braccia dietro la testa. Sembrava stanco.

Un istante dopo la porta si spalancò e Lily entrò come un tornado, seguita da un pacato Lysander.

I due erano piuttosto curiosi, visti vicino: Lily, con i capelli rosso fuoco e l'espressione furba di chi sta per combinarne una, e Lysander, con i capelli chiari e il sorriso trasognato, di chi invece non si lascia scomporre da nulla.

«Ciao a tutti», cinguettò la Potter. Non si fermò neppure ad aspettare una risposta. «Vi abbiamo qui riuniti per annunciare ufficialmente che siamo alla vigilia di quella che io e Hugo abbiamo definito La settimana degli orrori. Che è un titolo di merda, ma non avevamo voglia di applicarci.»

Si scostò una ciocca di capelli che le era caduta davanti agli occhi e la sua espressione infinitamente tranquilla mi mise quasi paura.

«Lise, sta pur sicura che a Clarissa Jenkins passerà la voglia di mettersi quella maglietta rosa», annunciò solenne. «È inutile che vi dica che nel nostro programma di scherzi è inserito una piccola nota di eventi spiacevoli diretti a coloro che fanno la spia, ma sono sicura che non c'era bisogno di dirvelo.» Poi ci rivolse un sorriso angelico.

«Abbiamo basato la nostra serie di... scherzi», cominciò Hugo, calcando il tono ironico sull'ultima parola. Aveva un mezzo ghigno stampato in faccia che mi ricordò terribilmente quello di un Serpeverde. «sul disgusto, più che altro, perché la Jenkins è una gallina che si rifiuta di fare Erbologia quando una pianta è viscida.»

«E ci siamo serviti anche di qualche piccolo innocuo scherzo babbano», aggiunse la cugina.

«Giorno uno: pellicola trasparente sul WC. Praticamente si farà tutta la pipì addosso senza accorgesene, e poi sarà ripresa in momenti particolarmente imbarazzanti da una delle piccole mosche videocamere che io e Lils abbiamo progettato», elencò Weasley.

«Ovviamente la foto più ridicola apparirà magicamente nelle mani di tutti gli studenti di Hogwarts», precisò l'altra. «Giorno due: il getto della doccia non sarà più la cosa più rilassante del secolo, ma un altro mezzo dove inserire l'aroma di vomito. Per questo abbiamo ideato una serie di incantesimi di riconoscimento, quindi voi altre potrete fare la doccia tranquillamente.»

Cominciavo a pentirmi di essermi rivolta a loro due. Erano davvero le persone più perfide che avessi mai conosciuto.

«Giorno tre: Streeler nella biancheria intima. Ovviamente non in quella che indossa», continuò Hugo. Continuavo a non avere idea di cosa fosse uno Streeler. «In realtà io e Lily non abbiamo deciso se metterli nella biancheria intima o nei vestiti normali, però pensiamo che andare in giro senza mutande sia abbastanza scomodo.»

Aggrottai la fronte, ma non commentai.

«Giorno quattro: petofono squillante. Praticamente simulerà spiacevoli flatulenze in ogni momento della giornata, ma non è un incantesimo, quindi non potrà curarsi in infermeria.»

«Wow», sospirò Lysander. «Cattiveria pura.»

«Giorno cinque: abbiamo pensato di somministrare una versione un po' modificata di Amortentia a tutti i ragazzi più imbarazzanti di Hogwarts, come Connoll. Così lei sarà costretta a schivare le loro palpate continuamente», spiegò Lily con un sorriso malefico. Okay, questo era davvero troppo. Cercai di immaginarla torchiata da individui bavosi e brufolosi, e mi venne quasi il senso di colpa.

«Giorno sei...», cominciò Hugo, ma lo interruppi.

«No, no, credo sia abbastanza.» No, non era senso di colpa, giuro. Però era davvero abbastanza. «Tirarla per le lunghe è troppo rischioso.»

La rossa mise il broncio. «Ma allora saranno i Cinque giorni dell'orrore, non la settimana! Non è neanche lontanamente figo come La settimana dell'orrore, sembra più che altro il ciclo mestruale», si lamentò.

Sogghignai. «Mi dispiace, Potter. Ma questi cinque giorni saranno sufficienti.»

Cercai di non sentirmi esageratamente in colpa quando lasciai la stanza.

 

Giorno uno: pellicola trasparente sul WC.

 

Non ero sicura di cosa aspettarmi, se un urlo, delle lacrime o richieste di aiuto. In realtà nel periodo in cui la Jenkins entrò in bagno fino a quando ne uscì, paonazza in volto, ci fu solo silenzio.

Clarissa Jenkins non emise un suono neppure quando, la sera stessa, un enorme foto di lei con i pantaloni bagnati e un'espressione orripilata comparve in Sala Grande. La foto si autodistrusse poco prima che i professori potessero entrare in Sala, ma fu vista da un sufficiente numero di persone.

 

Giorno due: doccia all'aroma di vomito.

 

Questa volta l'urlo lo sentii eccome. Erano passati pochi minuti da quando si era chiusa la porta del bagno alle spalle che sembrò aver trovato il cadavere del suo cagnolino. Quando mia sorella e le altre corsero a spalancare la porta, preoccupate, la trovarono nuda e circondata dal suo stesso vomito.

 

Giorno tre: Streeler nelle mutande.

 

A quanto pare gli Streeler erano delle disgustose lumache la cui bava era – oltre che schifosa – anche corrosiva, motivo per cui Clarissa Jenkins si ritrovò le mutande bucate e piene di disgustosa bava.

«La bava di lumaca fa bene alle rughe», commentò incerta Perrie Parkinson, nel disperato tentativo di consolare l'amica.
 

Giorno quattro: petofono squillante

 

Nessuno sembrò credere alla povera Clarissa Jenkins quando, dopo l'ennesimo rumore molesto, scoppiò a piangere dichiarando di essere perseguitata da un Poltergeist.

Mia sorella strinse gli occhi, in un'espressione gelida che mi preoccupò leggermente. «Non è un Poltergeist, Clary.»

 

Giorno cinque: molestatori brufolosi

 

Be', quello fu il giorno in cui mi sentii seriamente in colpa. Forse perché una serie di cattiverie ad un certo punto non si augurano a nessuno, e Greg Connoll che cerca di baciarti alitandoti in faccia è una di queste.

Alla fine della giornata la Jenkins se ne stava stesa sul letto immobile a fissare il soffitto, con un viso così devastato che oltre che in colpa mi sentii anche soddisfatta.

Almeno fin quando anche questo sprazzo di emozione fu strappato via da Adeline, che mi fermò prima che riuscissi ad uscire dalla stanza.

«Clarissa potrà anche credere di essere perseguitata da spiritelli maligni o, peggio, lei può anche credere alle coincidenze», sputò gelida, a bassa voce. «Ma io so benissimo chi è stato, quindi dici ai tuoi amichetti di darsi una calmata o giuro su Salazar che la mia vendetta sarà molto più cattiva di una serie di scherzetti delle elementari.»
 

*


Dopo i cinque giorni dell'orrore, Clarissa Jenkins si riprese alla perfezione. Pian piano le persone smisero di parlarne, e lei ritornò a sculettare nei corridoi e a ridacchiare con le altre galline. Anche le ultime tracce di senso di colpa si dissolsero, perché non sembrava mostrare alcun tipo di trauma permanente, ma almeno io avevo avuto un po' di soddisfazione. Negli ultimi giorni, poi, non avevo avuto tempo di pensarci, perché Scorpius mi stava tormentando per finire gli ultimi preparativi della festa. Con l'alcol avevamo finito – con mio grande dispiacere: Mr. Nott non aveva ancora acquisito legalmente il mio cognome – ma lui voleva che lo aiutassi anche con le decorazioni. In realtà tutto quello che dovevamo fare era stare fermi sull'uscio della porta a pensare a cosa volevamo e quella appariva, ma era estenuante, perché ad ogni cosa che compariva Scorpius faceva una smorfia e la faceva scomparire. «Troppo pacchiano», diceva scuotendo la testa. «Troppo banale», continuava poi, rivolto a qualcos'altro. Io non mi facevo mai scomporre da nulla, solitamente, ma neppure avevo voglia di essere lì e lui non me la rendeva più facile. Nella Stanza c'erano anche altri ragazzi del settimo anno, con i rispettivi beta, ma sembrava essere Scorpius a decidere.

«Scorpius, è Halloween. Ad Halloween ci sono le zucche e i fantasmi. Tutta la festa è banale», ribattei spazientita.
Lui mi scoccò un'occhiata di fuoco. «È la mia festa, Dory. Dev'essere indimenticabile. Non voglio fantasmini ridicoli, voglio cadaveri in putrefazione e mostri agghiaccianti.»
Roteai gli occhi e soppressi l'idea di ucciderlo ed esporre lui, come cadavere in putrefazione.
Una sera rimanemmo a “lavorare” fino alle due di notte, e lì decisi di aver toccato il fondo. Mentre allungavo il passo per raggiungere i Sotterranei il prima possibile (quella scuola di merda era enorme, e ancora dovevano mettere gli ascensori) e lasciarmi Scorpius alle spalle, venni fermata da una voce.
«Lise, hey!», mi sentii chiamare. Mi arrestai, lanciando un'occhiata supplicante al ragazzo. Era Isaac Thorne, un altro beta. Mi aveva rivolto la parola un paio di volte, che per me erano più che sufficienti, ma invece no. Le persone sociali non le avrei mai capite.
Avevo solo voglia di andare a dormire. E invece dovevo socializzare.
«Ciao», salutai, nonostante tutto cercando di non sembrare troppo scocciata. Lily mi diceva sempre che se non tendessi a spaventare le persone, avrei avuto molti più amici. Non che mi interessasse avere più amici, ma non volevo spaventare le persone.
«Abbiamo fatto un ottimo lavoro, vero?», domandò con un sorriso, infilandosi le mani nelle tasche. Quel gesto mi ricordò molto Hugo.
Mugolai in risposta, cosa che poteva interpretare come voleva – da parte mia, era una richiesta di aiuto.
«Senti, mi stavo chiedendo... questo sabato vai ad Hogsmeade con qualcuno?»

Oh, no. No, no, no. Non mi stava chiedendo di uscire, vero? I ragazzi non mi chiedevano di uscire, non lo facevano. Era un accordo comune: loro non lo chiedevano e io non gli rispondevano di no. E Isaac Thorne l'aveva appena rotto.

L'unico ragazzo con cui avevo mai accettato di uscire, al quarto anno, era stato Roy. Roy Wallace, Corvonero del settimo anno, mi aveva totalmente fritto il cervello. Era bello, intelligente, con un sorriso malandrino e sempre con un libro sotto al naso. Non riuscivo a credere che si fosse interessato ad una come me. Siamo stati insieme un anno, anche di più, fin quando poi ho scoperto che occasionalmente in biblioteca non ci andava solo per studiare. Da allora tutti i ragazzi sapevano di non dovermi chiedere di uscire, perché li avrei fulminati con uno sguardo e poi sarei passata avanti senza neppure rispondere. Avevano smesso da mesi. Perché Isaac Thorne aveva deciso di fare questa mossa suicida?
Probabilmente, pochi mesi prima, l'avrei trattato con la stessa aria di sufficienza con cui trattavo tutti. Ma ero cambiata più di quanto volessi ammettere.
«In realtà sì, ho un appuntamento con Gemma... sai, per comprare i vestiti per la festa.» Era una scusa piuttosto lunga e articolata. Non mi ero mai impegnata così tanto per non ferire una persona.

Lui fece un «Oh», deluso, ma non sembrò aver preso una batosta troppo grande, perché subito dopo si aprì in un altro sorriso. «Be', sarà per la prossima volta!»

Eravamo giunti fuori la Sala Comune. Mentre lui pronunciava la parola d'ordine persi qualche istante a osservarlo. Era alto e ben piazzato, con i capelli scuri e gli occhi color nocciola. La mascella squadrata era ricoperta da una leggera barba, e mi resi conto che era davvero un bel ragazzo.

Dovevo davvero restare attaccata al ricordo di Roy per il resto della vita? Non tutti i ragazzi finivano a limonare con Dominique Weasley in biblioteca. Dovevo pur riprendermi, no?

E così, prima di salire verso il mio Dormitorio, gli risposi: «Va bene.»

Sperai solo di non pentirmene.




Spazio autrice:
Ciao a tutti e scusatemi infinitamente per il ritardo!
Purtroppo negli ultimi mesi non ho capito nulla causa esami, ma adesso sono una donna libera e pronta a pubblicare, promesso!
In questo capitolo troviamo molte novità: prima di tutto abbiamo finalmente l'atteso appuntamento al buio di Albus... che non è andato esattamente come previsto, ma ha portato Lise a consolare ed aiutare Lily. Lise che finalmente si confronta con il timidissimo Albus, che sembra solo arrossire e balbettare in sua presenza. Chissà come mai?
Infine, Clarissa Jenkins sembra ottenere quello che si merita... e questo Isaac da dove salta fuori? AHAHAH

Fatemi sapere come sempre cosa ne pensate del capitolo, e un grazie speciale a chi si preoccupa sempre di recensire <3

Un bacio, alla prossima!

  
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