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Autore: Lila May    05/07/2018    2 recensioni
/ Sequel di Disaster Movie / romantico, slice of life, comico (si spera) /
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10 anni dopo la terribile, anzi, mostruosa convivenza con i ragazzi della Unicorno, Esther Greenland passeggia per le strade di New York a tacchi alti e mento fiero. Il suo sogno più grande si è finalmente realizzato, e tutto sembra procedere normale nella Grande Mela americana.
Eppure, chi l'avrebbe mai detto che proprio nel suo luogo di lavoro, il gelido bar affacciato sulla tredicesima, dove non va mai nessuno causa riscaldamento devastato, avrebbe riunito le strade con una delle persone più significative della sua vita?
Il solo incontro basterà per ribaltare il destino della giovane, che si vedrà nuovamente protagonista del secondo disastro più brutto e meraviglioso della sua esistenza.
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❥ storia terminata(!)
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bobby/Domon, Dylan Keith, Eric/Kazuya, Mark Kruger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter twentytwo.
 
Let me play my match
 
 
Eccola lì, la sua ex fidanzata.
Davanti al cancello di casa, col braccio posato pigramente sul finestrino aperto di una Maserati color crema che Mark, ne era sicuro, non ricordava di aver mai visto in tutta la sua vita. Un orribile reggaeton di pessimo gusto – e parole – proveniva dall'abitacolo, facendo tremare vistosamente il muso tirato a lucido da una passata recente dal car-wash. Kruger socchiuse gli occhi chiari quando la vide uscire sbattendo la portiera, lei e la sua coltre di capelli nerissimi. Non attese in un messaggio di avviso. Acciuffò la valigia della ragazza, un sacco grigio e la raggiunse in pantaloncini e maglietta ancora profumata di sale marino. Appuntamento ore otto e quattordici, luogo: inferriate di un cancello. Tutto normale per due isterici masochisti come loro. La salutò con educazione, e il tipo che stava stravaccato al volante abbassò il volume e si sporse appena, per curiosare e studiare il nuovo arrivato. Mark si lasciò ammirare. -Ti aspettavo.- disse poi, e sorrise piano alla ragazza, aprendo il cancello dall'interno.
Melanie non rispose. Quando il blocco di ferro si tolse tra di loro, gli strappò la valigia di mano << Dammi i vestiti! >> si prese il sacco incazzata nera e lo aprì, per controllare che ci fosse tutto.
Mark rise e si portò i palmi ai fianchi, sollevando un po' il capo per permettere ai raggi del sole di riscaldargli le clavicole lasciate esposte dallo scollo a V. << non ti preoccupare Mel, ci ho speso dietro due ore, mi sono fatto anche aiutare. C'è tutto. >>
<< Vaffanculo. >>
<< Anche a te. >>
<< Brutto bastardo. >>
Gli dispiaque molto sentirsi chiamare così, non perché avesse chissà quale senso di colpa nei suoi confronti, o altro. Semplicemente, nella ragione c'era lui, mica Melanie. Perché non accettava di aver perso e basta? Prima o poi sarebbe dovuta finire lo stesso, la loro “relazione”.
Così o in un altro modo, non aveva più tanta importanza. << Stammi bene, Mel. >>
<< Sta zitto... sta zitto, la tua voce mi da sui nervi. >>
<< Melanie, c'mon. Take it easy. >>
Melanie gli fece un clamoroso segnaccio al sapore di smalto scrostato, segno che il suo take it easy poteva andarsene bellamente nel paese dei balocchi, e dopo aver sistemato le valigie sul retro, montò nella Maserati. Poi picchiò il braccio del tipo, che si esibì in una paurosa retromarcia prima di sgommare lontano.
Mark richiuse il cancello e rientrò in casa.
Sorrideva.
Lui, che aveva appena consegnato i vestiti alla sua ex. Che l'aveva persa per sempre.
Sorrideva.
Non vedeva l'ora di riprendersi in mano la sua vita.
 

Quando Esther si svegliò quella mattina, le sembrava di aver ricominciato a vivere da zero, di aver finalmente terminato la lettura di un libro complesso e buio. L'aria che entrava dalla finestra semiaperta profumava di Natale, di nuovo, e la inalò tutta dentro ai polmoni, la testa immersa nella morbidezza del cuscino e le labbra schiuse in un mezzo sospiro assonnato.
Si stiracchiò sul letto che una volta era appartenuto a Mark e protestando contro sé stessa, riuscì a mettersi a sedere. << Cavolo, che dormita. >>
La prima dormita serena di tutte quelle vacanze natalizie, forse. Nel giro di una settimana erano successe talmente tante cose che ora le faceva così strano essere immersa in un'atmosfera tanto quieta, poter respirare tranquilla. Si tolse di dosso le lenzuola e balzò giù dal materasso, poi si fiondò sulla valigia e cominciò a passare in rassegna tutti i vestiti per scegliere con cura l'outfit del giorno.
Faceva fresco quella mattina, per questo optò per una semplice felpa di cotone grigia con un piccolo fiocchetto rosa sul seno sinistro e un paio di jeans casual. Sì, lei aveva anche abbigliamento normale. Stupiti? Corse in bagno, si lavò, si cambiò e poi infilò i piedi in un paio di tennis dalla suola morbida e vellutata, perché il taglio alla caviglia che si era procurata ieri le limitava fortemente la scelta delle scarpe. Non aveva voglia di truccarsi, ma le mani corsero lo stesso alla pochette, e afferrate le armi magiche si imbrattò le ciglia di mascara e le labbra di un opaco rosa confetto.
Quando fu pronta per presentarsi al mondo scese in sala e si lasciò guidare in cucina da due voci maschili nel pieno di un combattimento; le riconobbe con un sorriso.
Quella rauca di Erik e quella troppo cresciuta e adulta di Mark, intente a confabulare in un inglese talmente rapido da mangiarsi addirittura le finali. Mentre si sporgeva dalla porta tentò di captare qualche frase, ma a nulla valsero i suoi sforzi.
Parlavano davvero veloce.
Troppo.
<< Ragazzi? >>
I due si interruppero e si voltarono in contemporanea a fissarla, perplessi.
<< Che succede? >>
Fu Erik a parlare per primo, e gli occhi placidi di Mark ne approfittarono della calma ritrovata per controllare un attimo la caviglia ferita dell'amica. Fu un sollievo per lui vederla già stare perfettamente in piedi.
<< Morning Est! >>
Esther salutò il castano con la mano, ma non staccò gli occhi da Mark neanche un istante. Era così bello saperlo finalmente single a tutti gli effetti, che sembrava aver aquistato ancora più splendore di prima. O forse era lui che da ieri notte era cresciuto all'improvviso, che a cuor leggero si era mostrato per quello che era realmente, un ragazzo libero, onesto e forte che non vedeva l'ora di riprendere a scrivere da dove si era fermato.
Gli sorrise e lui ricambiò, appoggiato al pannello della cucina. << Ciao. >>
<< Ciao Mark! >>
<< Stavamo organizzando la giornata di oggi. >> le spiegò lui. << Ti abbiamo svegliata? >>
<< No figurati! >>
<< Well boy >> Erik infilò le mani nelle tasche dei jeans e ritornò a rivolgersi al compagno. << Mary è uscita con Dylan, non torneranno prima di sera. Non ha senso aspettarlo, che dici? Andiamo solo noi tre. >>
<< Perché, dove pensavate di andare? >>
<< A fare un saluto al nostro allenatore. Mac. >> disse Mark sorridente. << Tra poco è Natale e mi sembra doveroso passare anche dalla nostra vecchia sede. Sei invitata pure tu. >>
Esther batté forte le mani, entusiasta. Un altro tuffo nel passato, di nuovo con Mark. Non le sembrava vero, presto avrebbe rivisto i muri che l'avevano ospitata per tre lunghi mesi estivi, gli stessi che avevano visto di tutto, che avevano assorbito ogni singola risata, ogni pianto. Che avevano assistito anche al loro secondo bacio, e il solo pensiero di quel lontanissimo giorno la fece arrossire appena mentre spostava gli occhi dal viso di Mark alle sue spalle piegate in avanti. << But first >> esordì il biondo, e si spostò per indossare la giacca con uno scatto agile delle braccia.
<< Colazione. Andiamo? >>


 
Esther attaccò le labbra rosee alla cannuccia bicolore e cominciò a sorseggiare l'acqua ghiacciata che le era stata servita non appena si era seduta a quel tavolo. Per fortuna non avevano dovuto girare troppo per trovare un ihop sufficientemente libero da potersi accomodare senza dover fare necessariamente la fila. Normalmente in quei posti era sempre così, si affollavano come nulla.
<< Ihop! >> fece Erik mentre tornava dal bagno con le mani odoranti di vaniglia. << International house of pancakes. >> prese posto di fronte alla ragazza e la guardò con un sorriso. << sono felice di vedere Mark così energico, sai? E' la prima volta che piscia parlandomi. Di solito se ne sta zitto. >>
Esther scoppiò a ridere e si mise a giocherellare con la cannuccia, divertita. Anche lei era contenta di sentirlo così di buonumore. Era davvero un ragazzo splendido.
<< Voglio dire... sarà bello ritornare a pattugliare con lui senza doverlo sentire lamentarsi per colpa di Melanie. >>
<< Immagino che tu ti sia tolto un bel peso da sorbire! >>
Il castano rise di gusto, gli occhi neri che brillavano colpiti dai raggi del sole che facevano capolino dalle finestre aperte. << Non sai quanto! Magari ora inizierà a parlare di te. Non so quale delle due cose sia peggio. >>
<< D-dai Eagle! >>
<< Ahahah! Voglio proprio vedere come diavolo torneremo a New York, damn. Siamo partiti in un modo, ma chi ci dice che torneremo uguali? >>
Esther serrò gli occhi, mentre un dolce sorriso carico di adrenalina le andava a solcare il volto impreziosito di fard, in tinta con la sua pelle color crema. Erik aveva ragione; dopo tutto quel trambusto, le era quasi impossibile paragonarsi alla stessa ragazza che era partita da New York furiosa e stressata.
Sembravano due Esther totalmente diverse; era possibile maturare così tanto in talmente pochi giorni?
Chissà come sarebbe rientrata.
Cosa sarebbe successo una volta che l'aereo sarebbe atterrato sull'asfalto gelido della Grande Mela.
E Mark?
Mark, che era partito con una speranza, come sarebbe tornato?
L'idea di non dover più sopportare Melanie per cinque ore d'aereo la fece rilassare sullo schienale imbottito. << Che bello. >>
Finalmente Kruger uscì dal bagno, anche lui con le mani profumate, e scivolò accanto ad Esther con uno scatto fulmineo dei fianchi.
La mora arrossì a quella decisione presa con tanta naturalezza, e si fece di qualche centimetro più in là per permettergli di stendere le braccia sul tavolo. << Woah che fila che c'è nei bagni. >>
<< Sì, bestiale guarda. >>
Una cameriera vestita di rosso arrivò per prendere le ordinazioni, ed Esther chiese la stessa cosa di Mark, guadagnandosi una sua occhiata stupita. Non era ferrata con le ordinazioni, non sapeva perché, ma le coglieva sempre una strana ansia che le faceva dimenticare del tutto l'inglese.
Si perse a fissarlo parlare con Erik, lo guardò negli occhi azzurri, come gesticolava con la mano ampia che fendeva l'aria calda di quella mattina di dicembre. Già, come ci sarebbero tornati a New York?
Insieme o separati?
C'erano troppe virgole lasciate in sospeso, e Esther non vedeva l'ora di ricevere una risposta.


 
La sede della Unicorno era proprio come la ricordava, esattamente uguale a dieci anni fa. Un edificio a forma di rettangolo allungato, serio come una caserma militare i cui mattoni erano stati intonacati da poco di uno smagliante color cioccolata. Solo una cosa era cambiata, e fu quella che lasciò Esther stupita dinanzi all'ingresso per minuti interi; sopra le due porte di legno dal tendaggio azzurro cenere, la scritta “Players” brillava illuminata da luci blu e rosse attraversate da stelle che come comete scendevano in verticale dalla P alla s. << Wow, Mark, e questo? >>
Un treno passò non poco distante da loro, coprendo le voci dei passanti con il suo pressante movimento meccanico. Esther non ricordava di una ferrovia così vicina alla sede, poi però le tornarono in mente le notti passate in bianco per colpa del casino, e allora sì che ricordò, eccome se lo fece.
<< Mi sembra di venire dalla preistoria. >> fu l'unico commento di Mark, che si aiutò col gomito per staccare le spalle dall'auto e avvicinarsi a lei. << Vamos? >>
<< Vamos! >>
Erik si fiondò sulla porta e bussò con mano febbrile, titubante; durante l'attesa che ne susseguì, il biondo ne approfittò per domandarsi chi fosse diventato il nuovo Capitano della Unicorno. Era curioso di conoscerlo, vederlo e soprattutto, verificare di persona se intercorresse una qualche somiglianza tra loro. Oppure si trattasse semplicemente di un leader del tutto diverso, cosa che gli augurò con tutto il cuore, perché se c'era stato un capitano peggiore di Mark Kruger, quello era stato solo e soltanto Mark Kruger.
Non vedeva l'ora di osservare i volti dei nuovi membri che componevano la squadra degli U.S., la voglia lo stava consumando, e quando uno di loro aprì la porta ci fu uno scambio di sguardi piuttosto...
Esther scoppiò a ridere di tono, portandosi le mani ai fianchi.
Non seppe come definirlo, seppe solo che fu stupendo. Un fulmine.
<< Tu.. >> il ragazzo balzò all'indietro sui tacchetti scivolosi e spostò gli occhi castani da Erik a Mark, Mark a Erik, Erik e di nuovo Mark, scioccato. << V-voi... v-... >>
Voltò il capo e gridò qualcosa in inglese a quello che doveva essere il Capitano della Unicorno. Si presentò dinanzi a loro con una folta chioma bionda e un paio di radiosi occhi neri che brillavano sotto uno spesso strato di ciglia color del tramonto. La fascia turchina gli stringeva il bicipite destro, asciutto come le gambe snelle che si estendevano per centimetri e centimetri di vertiginosa altezza.
Anche lui rimase senza parole, le labbra schiuse in un fruscio di ammirazione mista a stupore.
<< Porca... puttana! Mark Kruger! >>
<< My pleasure! >> disse Mark sorridendo sorpreso.
<< Oddio, quello è... E-Erik... Eagle?! >>
<< Ehilà! Possiamo entrar--
<< What the fuckin' hell! >> il ragazzo scappò dentro con un gemito emozionato, che catturò l'attenzione di tutti i presenti seduti al lungo tavolo che un tempo aveva ospitato le pizze giganti di Bobby e i calzini sporchi di Michael. Non ci fu bisogno di convenevoli, perché i due ex membri, divertiti dalle due reazioni appena viste, si fecero avanti da soli all'interno della sede, e lanciarono sorrisi da casanova a destra e manca.
I ragazzi rimasero sbalorditi, due graziose giovani in tacchetti si strinsero i polsi a vicenda, trattenendo un respiro eccitato.
Esther notò compiaciuta che finalmente anche la divisa era stata smantellata e ricreata dall'inizio, quella vecchia proprio non si poteva vedere, bianca come un cadavere ingrigito dal tempo.
La nuova era blu elettrico, col colletto bianco inamidato e i bordi delle maniche striati di rosso.
I pantaloncini del medesimo colore terminavano con un paio di calzetti blu e scarpe azzurro zucchero che ricordavano tanto le ali di un bellissimo pegaso pieno di forza.
Molto più colore, molto più fasto, la mora della Tripla C rimase incantata dal fascino dei novelli giocatori.
<< Quella sì che è una divisa fatta bene, Mark. Non come la tua, grigia. Cosa mi rappresenta il grigio? >>
Le due ragazze ridacchiarono, le uniche che ebbero il coraggio di fiatare dinanzi a due dei del calcio come Erik e Mark Kruger.
<< Diamine che depressione che mi faceva venire. >>
<< OOH, parla quella che passava le notti abbracciata alla mia felpa piangendo il mio nome. >>
Esther gli tirò una spallata. << Ti sarebbe piaciuto, tesoro. Volevo anche venderla. >>
<< Lo so. Ma non l'hai fatto. >>
<< Ma avrei potuto. >>
Lo sguardo di Mark si fece malizioso, come il suo sorriso. << MA non l'hai fatto. >>
<< MA avrei potuto. >>
<< MA--
<< Ancora litigate, Esther and Mark? >> all'improvviso, dalle scale comparve un volto ben noto, che mosse appena le acque cristallizzate del momento; Mac Scride sorrise ai suoi vecchi, piccoli giocatori della Unicorno, e Mark ed Erik si illuminarono come due bambini nel vederlo.
<< Allenatore! >> esclamarono in coro, incapaci di muoversi per l'emozione.
Non era cambiato neanche un po', continuava a vestirsi in modo estroso, mostrando i pettorali muscolosi al sole di Los Angeles come aveva sempre fatto. La bandana rossa gli cingeva i capelli biondi, talmente lunghi da essere finiti intrappolati in un elegante elastico nero. Mark non sapeva che dire, e lo strinse con uno slancio delle braccia, emozionato.
<< Non sapete come sono felice di vedervi, ragazzi miei. Siete cresciuti tantissimo, mi sembra un sogno... >>
<< Anche noi lo siamo allenatore. >>
<< Che leccaculo che sei, Kruger. >> fece Esther, suscitando le risate di Mac, e proprio mentre stava per salutarlo, quest'ultimo le strinse con vigore la mano lattea, anticipandone il gesto amichevole. Toccarla fu per la Greenland una grande gioia, nonché un tremendo tuffo nel passato che le chiazzò le pareti del pensiero di mille colori e sfumature. Nelle lenti scure dei suoi occhiali da sole si rivide a tredici anni, accanto a Mark e al resto della truppa che aveva reso quell'estate un meraviglioso sogno.
<< Greenland, dico bene? Difficile dimenticarti. >>
<< Rimango ben impressa nelle menti delle persone, lo so. >>
Le loro mani si sciolsero sotto i raggi del sole che entravano dalle vetrate, e per la prima volta Esther sentì che non si era trattato di una stretta di addio, bensì di benvenuto.
Benvenuta in America, Esther.
Benenuta di nuovo nella vita di Mark.

<< Beh, Keith dove l'avete lasciato? Si è perso in giro per casa? >>
<< Ha da fare con la figa. >> rispose Erik, e Mac scoppiò a ridere.
<< Bobby? >>
<< Ha da fare con la moglie. >>
<< Oh, my God, son! Fategli gli auguri. Ora, se permettete... >> Mac ne approfittò del momento di silenzio che era calato per presentare i due centrocampisti di quella che era stata la nazionale giovanile che aveva rappresentato gli Stati Uniti nel FFI. << ragazzi! Mark Kruger ed Erik Eagle. >>
I due giovani si voltarono verso la nuova Unicorno, che ai sorrisi amichevoli delle stars del calcio americano reagì con un secondo, impacciatissimo sussulto di sorpresa. In effetti, ritrovarsi davanti agli occhi, per puro caso, l'ex capitano della squadra accompagnato da una delle sue punte più forti, non capitava certamente tutti i giorni. Non a Los Angeles, e non vicino a Natale.
Rimasero per un po' a guardarsi, a scrutarsi, due generazioni calcistiche a confronto, e Mark si focalizzò di nuovo sul capitano. Gli sorrise e sollevò un sopracciglio, ricevendo un cenno confuso in risposta.
<< E così sei il Capitano eh? Colui che ha preso il mio posto. >> incise in modo particolare su quel “mio”, per provocarlo, e tutti si voltarono a guardare il diretto interessato, che istintivamente portò la mano alla fascia e incrociò le caviglie.
<< Spero tu sia all'altezza del ruolo che rappresenti. >>
La zazzera biondiccia del giovane si mosse quando questo allungò il collo in direzione di Mark e, infervorato, gridò un temibile “certo” che Esther giurò di perdere l'udito.
<< Ottimo. >> Kruger aumentò l'ampiezza del sorriso, quello che faceva sempre quando la situazione si scaldava, e che gli trafiggeva il viso donandogli l'aspetto di una volpe in attesa di vincere il suo bottino di guerra. << Perché non mi mostri di che pasta siete fatti tu e la tua nuova squadra? >>
<< Ora? >>
<< Proprio ora. >>


 
E così erano finiti di nuovo lì. Su quella panchina. In quell'enorme campo da calcio, quello che si raggiungeva passando dalle scale, ancora recintato, che dava ad una pineta sul lato destro e da cui si poteva scrutare il romantico e antico Downtown in lontananza.
La Unicorno aveva cominciato ad allenarsi sul prato verdolino, osservata rispettivamente dall'epressione seria di Mac e gli occhi curiosi e attenti di Mark Kruger; i tacchetti scivolavano, le gambe scattavano sotto il sole invernale che di invernale aveva solo il nome, i capelli fendevano l'aria satura di sogni.
Esther, seduta sulla panchina insieme ad Erik, sorrise nel realizzare che quell'anno dentro la Unicorno ci erano finite due ragazze. Si muovevano elegantemente tra i coni fluoerescenti, intrecciando le caviglie con delicatezza e forza al contempo. << Sono bravissime. Sembrano promettenti. >> disse, e guardò Mac, in cerca di conferma.
<< Sono eccezionali. >> l'uomo le fece cenno di raggiungerlo e lei lo fece, affiancandosi alla figura di Mark che si slanciava snella sul prato verde smeraldo. << Allora? >>
<< Allora cosa? >>
<< Come mai di nuovo insieme voi due? Che avete combinato per avvicinare due continenti? >>
Mark si distrasse dagli allenamenti e mostrò i canini in un sorrisetto soddisfatto. << Esther vive a New York, adesso. >>
Mac mise su un'espressione sorpresa, ed Esther lo colse come un incitamento a raccontare la sua storia a grandi linee, cosa che fece subito dopo. Spiegò del bar-ristorante, del suo sogno di realizzarsi in America, di Mary, del Black Friday. Persino Mark, che già sapeva tutto, prestò nuova attenzione alle sue parole, sorridendo quando i dettagli sembravano tornargli alla memoria.
Quando la Greenland ebbe finito il breve racconto, il braccio di lui le cinse le spalle con fare affettuoso, avvicinandola.
Fu un gesto inaspettato, ma che le riempì il petto di gioia in un millesimo di secondo. Arrossì selvaggiamente mentre la guancia si schiantava contro le clavicole del biondo, sentì di non capire più niente mentre il suo cuore pompava e batteva e ruggiva contro il suo orecchio. Volle sprofondare nel calore di quella pelle abbronzata, lasciarsi avvolgere e proteggere, accarezzare, ma si trattenne.
<< Così, eccovi qui, entrambi. Inseparabili come ai vecchi tempi? >>
La mano di Mark le si posò con finta rabbia sulla testa, scompigliandole un po' i boccoli color prugna. << Già >> disse, e la cercò con lo sguardo, sorridente.
Esther avrebbe voluto nascondersi, minimizzare il rossore, ma fu impossibile tutelare l'evidenza dei suoi sentimenti per lui. Per questo non parlò, si limitò a fingersi scocciata per quel gesto tanto improvviso quanto dolce.
<< Ora ce l'avrò sempre tra i piedi. >>
Fece schioccare le labbra carnose e lui la strinse ancora, con più vigore, come se lasciarla andare avesse potuto comportargli una sofferenza troppo grande.
<< Invece sono sicura che sarai tu quello a starmi addosso, adesso che sai che abitiamo nella stessa città. >>
<< Maybe. >>
Mac esplose a ridere. << Vedo che non siete cambiati proprio per niente, e mi fa piacere cazzo. >>
"Anche a me fa piacere", pensò Esther rilassandosi contro la spalla calda e ampia di Mark che ancora non aveva smesso di tenerla stretta a sé.
Era come se con quel gesto il biondo avesse voluto farle capire che era tutto okay, adesso. Che era tutto finito, che erano liberi di avvicinarsi e allontanarsi fino alla nausea, fino a farsi girare la testa, e le bastò guardarlo una volta per sapere che era così.
Per sapere che aveva la strada spianata.
<< Invece dimmi Mark, che ne pensi della nuova squadra? >>
L'americano spostò lo sguardo da Esther al campetto, e quando incrociò gli occhi del nuovo capitano sollevò un sopracciglio. << Come si chiama? >>
<< Gavin. >>
<< E' bravo. >> ritornò a fissare quello che un tempo era stato il suo allenatore. << Ma se permetti, in quanto ex capitano della Unicorno >>
<< Ecco che se la tir...!--
Mark tappò la bocca ad Esther e proseguì il trafiletto come se nulla fosse accaduto.
<< Vorrei testare personalmente le sue abilità. Sul campo. >>
Mac gli tirò un pugno contro la spalla, gli occhi luminosi dietro la spessa lente nera degli occhiali. Quello era il suo Mark, quello tenace e calcolatore. E solo dio poteva sapere quanto gli fosse mancato; e non parlava della grande perdita a livello calcistico che tutta la Unicorno aveva subito, già sconvolta dall'abbandono di Erik.
Parlava anche a livello emotivo.
Aveva sempre provato una certa empatia nei confronti di Mark. Lo aveva sempre protetto, ed era felice di rivederlo così grande e così rilassato, perché per lui equivaleva a riaprire la porta di casa ad un figlio cresciuto lontano. << Prima di metterti contro di lui ti consiglio di allenarti un po'. E' tosto, anche se non sembra. >>
Esther si liberò della mano di Mark premuta contro le labbra, il rossetto integro per miracolo. << Ci penso io ad allenare l'agente Kruger! >>
<< W-what? >>
Si voltò e gli afferrò entrambe le mani in un gesto che voleva essere amichevole, ma che a giudicare dal rossore che prese il volto di Mark, somigliò più ad un invito a baciarla.
E forse, in un certo senso, lo era anche. << Certo Mark. Come una volta. >> sorrise, e gli strinse con forza quelle dita, così calde che avrebbero potuto scioglierla come un cubetto di cioccolata lasciato esposto al sole.
<< Ricordi? >>


 
Mark incrociò le braccia al petto e posò il piede sinistro su un pallone che Mac aveva rimediato per la “super veloce seduta di allenamento”, dubbioso. Non che ne avesse molto bisogno, in realtà, di quell'allenamento. Il calcio lo aveva praticato fino a diciassette anni, necessitava solo di rispolverare un po' di tecniche. Ciò che lo preoccupava era la caviglia di Esther.
Solo ieri aveva rischiato di lasciarci molto più sangue di quello che aveva perso, e non gli era sfuggita affatto l'andatura un po' zoppicante della giovane. In tutta franchezza, di farle provare dolore non se la sentiva neanche un po'.
Eppure la signorina gli sembrava molto rilassata. Molto convinta, come se quel taglio non fosse mai esistito, come se l'incidente di ieri le si fosse già cancellato dalla mente.
Anche lui aveva rimosso tutto. Tutto, tranne il momento in cui l'aveva vista scivolare via.
<< Fai impressione con le scarpe da tennis, sai? >>
Esther sollevò il piede destro divertita, e se lo guardò come se fosse fatto d'oro. << Ti piacciono? Nike! Rosa, perlopiù! >>
<< Bleah. >>
<< Ma che ne potete sapere voi maschi, del rosa. >>
<< Senti >> Mark si passò una mano tra i capelli biondi, sollevandosi la frangia per far respirare la fronte. << sicura di volerti allenare? Non voglio fare paranoie, ma non mi piace per niente quel taglio. >>
<< E' solo un taglio, appunto. >>
<< Ti impedisce di muoverti come dovresti. Ho paura che tu possa farti male. >>
<< Io ho paura per te, dopo che ti avrò fregato quella palla dai piedi. >>
Mark sorrise e mosse il pallone sotto la suola liscia delle Converse sfilacciate e slacciate. Ah, beh, positiva lo era di sicuro, proprio come la ricordava. << Esther, sono serio. >>
Lei si diede persino la decenza di saltellare sul piede ferito, inscenando solo un po' di lieve dolore... << Sono seria anche io. E infatti, ora te lo mostro volentieri! >> …poi si esibì in una tremenda scivolata, alla quale Kruger non seppe rispondere con dovuta velocità. Avrebbe potuto sollevare la palla con la punta del piede, portarsela al ginocchio e schivare l'attacco difensivo, e lo avrebbe fatto, davvero. Se non fosse che la tacconata della Greenland si schiantò contro il pallone con talmente tanta forza che l'unica cosa che riuscì a fare fu scivolarci sopra con grandissimo stile, come un perfetto idiota. In un attimo si ritrovò a un pelo dalle labbra di Esther.
La guardò sconvolto, e lei si fece piccola sotto le sue spalle larghe.
La guardò e si rese conto che era molto bella, da vicino, e che aveva delle labbra carnose davvero invitanti. Liberò un sospiro e la fissò come si fissano i cani che hanno appena fatto i bisogni sul parquet nuovo di pacco, splendido e lucido di sapone profumato. << Non ero pronto, non vale. >>
Esther però non rispose, ansante per la tremenda strategia appena messa in atto.
Averlo sopra, anche se accaduto per sbaglio, aveva mosso in lei qualcosa nel fondo dello stomaco.
Qualcosa che ora sapeva spiegarsi bene, e che era amore misto ad emozione, e che faceva fatica a tenere a bada.
Farfalle di eccitazione le salirono fin nella gola, dove si sparpagliarono per gridare a tutti gli organi quello che le stava succedendo. Quello che stava provando, e che solo Mark sapeva accenderle.
Allungò una mano, gli sfiorò la frangia bionda e gliela scostò dal viso, solo per guardarla riprendere il suo posto.
E Mark glielo permise.
E gli permise anche di allungarsi verso di lui, stringerlo in un abbraccio forte, affondare la testa nel suo collo e realizzare che erano lui e lei e basta, soli, in un campo che li aveva visti litigare tantissime volte, li aveva visti piangere e gioire per tutto ciò che ora sembrava ridicolo e assurdo. Ansimava ancora, ma questa volta non era per colpa della scivolata, e lo sapeva.
Gli strinse la maglietta e sorrise nel sentirlo ricambiare impacciato. Sorrise nel sentirlo vicino corpo e mente, dopo il gelo di dieci anni. << Che succede? >> sentì chiederle, ma non gli rispose. Lo abbracciò più forte, lo tenne stretto a sé, fregandosene della caviglia pulsante che la pregava di metterla nell'acqua fredda, dei nervi che premevano contro il taglio.
Come se quel gesto potesse colmare il vuoto che c'era stato tra loro. Sperò accadesse, e quando cominciò a sentire i vuoti al cuore ripristinarsi sotto il petto frenetico di Mark, lasciò andare un mezzo respiro.
Non c'era niente da dire, era risuccesso e basta.
Era innamorata di lui.


 
Erik strinse il pallone tra le mani, lo guardò. Guardò le sue cuciture forti, il suo cuoio profumato su cui si estendevano pentagoni bianchi e neri.
Poi spostò gli occhi neri su Mark, che dopo la sfida – vinta, ovviamente – si era messo a dare consigli al novello capitano, mostrandogli alcune finte tattiche. Su Esther, che si era fermata a conoscere le ragazze, a farle ridere raccontando chissà quali cattiverie sulla vecchia Unicorno che aveva fatto la storia del calcio giovanile.
E infine li riposò sulla palla, il suo sogno più grande. Poterla inseguire, poterla spedire in porta e far gridare di passione la gente.
Non fu necessario sapere a chi appartenesse la mano che gli si posò all'improvviso sulla spalla. Sorrise. << Allenatore. >>
<< Erik. >> Mac prese posto sulla panchina e si perse a fissare l'orizzonte. << Il mio asso nella manica. >>
<< Ancora? Non credo. >>
<< Come stai? >>
Già, come stava? Bella domanda.
Non lo sapeva.
Non lo sapeva, e tenere quel pallone tra le mani lo faceva sentire molto strano, limitato.
Lo lasciò cadere sull'erbetta sintetica e con un debole calcio lo allontanò, di modo che non potesse più farlo sentire incapace. << Sto bene. >>
<< Sai, quando Mark mi dice che sta bene, gli credo. Quando me lo dice Dylan, gli credo. E anche quando me lo dice Bobby. >>
Allenatore ed ex stella promettente del calcio si guardarono con uno scatto dello sguardo, scatto in cui Erik lesse tutta la preoccupazione del mondo. Arrossì. Si sentiva quasi cattivo a fingere che andasse tutto bene. A mentire agli altri, pur di non dar loro il peso dei suoi stupidi problemi amorosi. << Ma quando Erik Eagle dice di stare bene... mah. Non mi fido tanto di lui, sai. >>
<< E fa bene, mister. >>
<< Immagino tu non voglia dirmi il perché. >>
Erik fece spallucce. << E' per la mia condizione. >>
Ed era vero. O almeno, lo era in parte.
Ma con quel disagio fisico aveva imparato a conviverci, si trattava solo di prendere alcune medicine la mattina. Per il resto, non c'erano poi così tanti limiti; in fin dei conti, era riuscito comunque a diventare poliziotto insieme a Mark.
Finché non si trattava di giocare una partita di novanta minuti, scalare montagne o fare il corridore, poteva comportarsi da persona quasi normale.
Era alla mancanza di Silvia che non ci aveva ancora fatto l'abitudine, ed era una cosa che gli lasciava su l'impronta di una vergogna troppo grande.
E il fatto con Mary, poi. Cristo, doveva assolutamente parlare con quella ragazza.
Dirle che era un mostro, ma che le voleva bene davvero. Chiedere scusa almeno a lei, per ciò che aveva cercato di fare, senza nemmeno riuscirci.
<< Non credo sia solo per la tua condizione. >>
Si passò le mani tra i capelli castani, sospirando. Magari cazzo. Magari.
<< Ho dei problemi in amore. E con un'amica. >>
<< Posso aiutarti? >>
<< Non ci è riuscito Mark, che è l'unico che sembra capirmi in questo periodo. Perché dovrebbe riuscirci lei. >>
<< Ti prego dammi del tu. Mi fai sentire vecchio. >>
Mac riuscì a strappargli un sorriso, che però svanì subito dopo.
<< Sono solo problemi. >>
<< Se sono solo “problemi”, allora affrontali. >>
<< Aaaah, facile. >>
<< Molto più di quanto credi. >>
Erik batté le ciglia, senza smettere di fissare Mark che continuava a saltellare da un lato all'altro, la palla tra i piedi e Gavin a pendergli dalla bocca.
Facile, infatti. Sulla luna, forse.
Perché per lui non era affatto facile chiamare Silvia, anche solo provarci. Non era facile invitarla a credere di nuovo in loro, perché era passato troppo tempo, e il tempo cura e allontana tutti, sempre.
Non era facile parlare con Mary, perché l'aveva fatta sentire come un giocattolo.
Aveva cercato in lei una donna che non poteva più avere.
O forse era davvero facilissimo.
Forse era lui a non esserne in grado.
<< Sai. >>
Si voltò verso il suo allenatore, si aggrappò a ciò che stava per dire come se le parole che presto avrebbe udito avessero potuto sistemare tutta la sua vita in un fascio di luce profumato di violetta.
<< E' stato un piacere allenarti, Erik. >>
<< Mister? >>
Mac si cinse le ginocchia con due mani. << Eri un ragazzo carismatico, Erik, un giovane portento del calcio, pieno di vita. Eri un osso duro, non ti fermavi mai. Sembrava che niente potesse distruggerti. Che nessun camion del mondo potesse veramente investirti, fino a quando la tua anima rimaneva così saldamente ancorata al coraggio. >>
<< Che termini alti, ehi. Mi spaventi. >>
<< Eri un esempio per tutti Erik. Anche per Mark. Lo trascinavi, nonostante fosse il tuo capitano. Trascinavi tutta la squadra, con la tua determinazione, verso la vittoria, verso la sconfitta, non importava a nessuno. Hai sempre fatto tutto da solo. Più ne prendevi, più ti rialzavi. La vita ti prendeva in giro e tu prendevi in giro lei mille volte di più, Erik. >>
Erik ebbe un brivido, che gli scosse tutti i muscoli del corpo. Gli sembrava di non rivedersi più in quell' Eagle che un tempo aveva modellato le sue tragiche sventure in gradini per raggiungere l'obbiettivo.
In quel ragazzino che cadeva, si rialzava e si diceva, sudato “andiamo, non è finita. Sono vivo, respiro, e sono io”.
In quel giovane che quando la vita recitava, lui la registrava divertito.
<< Ed è questo il consiglio che ti do, Erik. Prendi esempio da té stesso. >>
<< L'orgoglio è un bastardo. >>
La pacca amichevole arrivò come un pugnale, facendolo sobbalzare.
<< Tu sei più bastardo del tuo orgoglio. Hai raggirato tutto, non riesci a sfottere un po' di altezzosità? Se è la donna che vuoi, riprenditela. Se è la vita che vuoi, mettila al suo posto. >>
Erik lo guardò. Provò a sorridere, ma il pizzicore agli occhi gli abbassò con forza gli angoli delle labbra, impedendogli di farlo.
Sentiva di voler piangere, come un bambino dimenticato.
Sentiva di voler gridare contro tutti, ma rimase muto a chiedersi perché tutte le disgrazie del mondo dovevano sempre capitare a lui e lui soltanto. Forse era l'ennesima sfida del diavolo che gli lanciava la vita?
Voleva metterlo alla prova?
Vedere quanto sarebbe resistito?
All'improvviso capì che non erano le pillole a limitarlo, non erano i postumi incancellabili di quell'incidente.
Non era Silvia, né Suzette poverina, né Mary.
Ma lui.
E quando se ne rese conto, si prese la testa tra le mani, respirando piano.
Non sapeva da dove partire.
Tantomeno quale meta raggiungere.
Non lo aveva mai saputo, del resto.
Eppure, ce l'aveva sempre fatta.

 
______________________________________
nda
ieri ho detto “ehi, è il 4 Luglio, la festa d'indipendenza degli USAeGETTA, pubblichiamo in onore dei cinquantuno stati più belli del mondo, sì, DAI, PUBBLICHIAMOH! E invece poi non ho avuto voglia, rip.
Come andiamo? Una fermata alla sede della Unicorn era da fare, ragazzi. Ceh, d'obbligo, proprio. Quante avventure hanno vissuto i nostri eroi in quelle quattro mura di mattoni? In quel campetto fiko circondato da una rete? I feels. Il design della sede – e dintorni – l'ho preso da quello presente nel gioco di Inazuma Eleven 3, che poi è sputato identico all'anime, ma con l'aggiunta di una ferrovia poco distante che a me ha sempre affascinato troppo – senza contare la discarica di vecchie macchine, muoio –. E nulla, adesso che Mark è a posto se non per il fatto che rimane sempre Mark, rimane il grosso problema di Erik: Silvia. Eehehe, e non vi faccio spoiler su come andrà a finire, anche perché ricordate che Mark l'ha invitata – pregata strisciando – a fare un salto negli USA, per far ragionare un attimo l'amico. Chissà se la bambozza sarà in grado di risolvere la situazione, uuh, chissà chissà, perché Eagle è preso molto male. 
E intanto Mary continua a tenergli il broncio come se fosse santa, capito.
Poi, per chi non lo sapesse, l'ihop è una specie di catena di "tavole calde(?)?" americana, e le sue sigle significano, appunto, international house of pancakes, perché te li fanno di tutti i tipi, con tutti gli sciroppi che vuoi. Io ci sono stata a tentare l'obesità, diverse volte (?); non male. Anche se l'aria condizionata sparata a mille con l'acqua congelata servita in un bicchierone da venti litri non ci stava per niente xd.
Nulla, se volete anche voi un mini Mac-psicologo nella vostra vita, non esistate  a lasciarmi una recensione; la spedizione è gratuita
ci sentiamo al prossimo aggiornamento!
byee!

Lila
   
 
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