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Autore: Sunako_7    05/07/2018    2 recensioni
Sasuke e Gaara si frequentano da qualche mese, nonostante abbiano un dialogo quasi inesistente. Basterà questo per riuscire ad andare avanti o lo scontro con i problemi della vita e i fantasmi di un passato mai dimenticato li schiaccerà, costringendoli a separarsi? E se quel passato tornasse più reale che mai? E se altre persone entrassero nella vita dei due protagonisti? Un viaggio complicato e irto di ostacoli nella vita di questi due ragazzi chiusi, diffidenti, incapaci di comunicare eppure bisognosi di affetto e amore.
Questa ff è il continuo della mia one-shot "If I had a heart" anche se non è indispensabile leggerla per seguire questa long, ma alcuni dettagli potranno essere più chiari.
[GaaraxSasuke][Itachix?][accenni HidanxDeidara]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Itachi, Sabaku no Gaara, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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every 14

La cioccolata, come le paure, non si lava via con l’acqua, ma per tutto c’è un rimedio

 

 

Mikoto guardò con sincero affetto i tre uomini che sedevano a tavola assieme a lei. Non aveva più senso parlare di ragazzi, perché i suoi figli oramai si erano lasciati alle spalle ogni brandello di adolescenza, trasformandosi in splendidi giovani uomini di cui era tremendamente orgogliosa.
Lo era anche di suo marito perché, pur continuando a rimanere la persona di saldi principi che aveva conosciuto, era riuscito a cambiare, ad ammorbidirsi per riuscire ad accettare le decisioni diverse di Itachi o per dire a Sasuke quanto lo ritenesse capace e valido. Non sarebbe mai riuscito ad ammettere apertamente il suo affetto, ma i figli lo sapevano e lo accettavano, leggendolo in tutti i gesti di riguardo che riservava loro.
Sì, Mikoto era decisamente orgogliosa di tutti loro.
Itachi era stato in grado di difendere i suoi sogni e le sue aspirazioni diventando un avvocato, dopo anni di silenzio era riuscito a ricostruire un rapporto con il padre, inoltre era diventato associato di uno studio legale importante. Quella sera infatti erano al ristorante per festeggiare quell’evento, di cui erano stati informati solo dopo qualche giorno.
Così tipico di Itachi, pensò la donna, sapeva bene che il figlio preferiva tenere per sé tutto ciò che lo riguardava e che, dietro lo sguardo acuto e il sorriso pacato, si nascondevano molte cose.
Guardò Sasuke e rifletté che anche lui teneva per sé il proprio mondo interiore, ma a differenza di Itachi lo faceva per paura. Timore di essere giudicato, di essere considerato di poco valore, perché il suo secondogenito era più sensibile e fragile di quanto pensasse o gli piacesse ammettere. Tuttavia qualcosa stava cambiando in lui, gli vedeva una nuova sicurezza nelle spalle diritte e nello sguardo che non si nascondeva più sotto la frangia scura. Le sembrava anche più sereno e il suo cuore ne era felice, perché riteneva la sua famiglia il suo bene più prezioso.
Posò la propria mano su quella che Sasuke teneva sul tavolo, confondendosi quasi col candore della tovaglia ricamata, gli sorrise nel vedere il suo sguardo sorpreso ma non tolse la mano, né la spostò lui.
“Direi che ci vuole un brindisi” affermò prendendo il bicchiere con l’altra libera.
“Mamma, io direi che invece non serve affatto” affermò Itachi.
“Tu sta’ zitto, non hai voce in capitolo – lo rimbeccò la donna seppur col sorriso sulle labbra – ancora non ti ho perdonato di non avermi detto subito della promozione, sai?”
“Qualcosa mi dice che non basterà una vita intera a farti perdonare – scherzò Sasuke alzando il bicchiere – a te fratello, con i nostri migliori auguri.”
I bicchieri tintinnarono tra loro e tutti bevvero l’ottimo vino bianco sapientemente rinfrescato. Il cameriere portò loro i piatti e, mentre gustavano le pietanze, Itachi non poté fare a meno di pensare a quando aveva festeggiato lo stesso evento con Gaara pochi giorni prima. Erano stati in un pub poco pretenzioso, il cibo era stato più semplice e avevano avuto birra nei loro bicchieri, eppure gli era piaciuta moltissimo quella serata, chiacchierare con lui, scoprire qualcosa in più sul suo conto e sul carattere.
Iniziando a mangiare, raccontò alla famiglia dei futuri progetti dello studio, nonché un paio di aneddoti divertenti causati dai lavori di ristrutturazione nell’appartamento a fianco, come quando l’impeccabile Hiashi Hyuga aveva infilato per sbaglio un piede in un secchio di cemento, così lo avevano visto comparire in ufficio con solo una scarpa e una gamba del pantalone arrotolata fino a metà polpaccio.
“In conclusione ha stabilito che non entrerà più nell’altro appartamento finché non sarà finito e che a controllare l’andamento dei lavori sarà esclusivamente il nostro segretario” sorrise Itachi concludendo il racconto, perché l’elegante Hiashi sporco di cemento ed evidentemente imbarazzato nonché infuriato era stato uno spettacolo memorabile.
Sasuke drizzò le orecchie sentendo nominare Gaara anche se di sfuggita, si morse le labbra perché in realtà ci sarebbero state tante cose che avrebbe voluto chiedere a Itachi, ma non era quello il momento adatto. Probabilmente, anche se lo fosse stato, non gliele avrebbe domandate: il suo orgoglio Uchiha era ancora piuttosto tenace.
I quattro continuarono a chiacchierare piacevolmente e verso la fine, sazi e soddisfatti dal locale e dalla reciproca compagnia, Mikoto disse:
“Ci voleva questa serata, erano più di due settimane che non ci vedevamo e l’ultima volta, a capodanno… beh, non è stata esattamente una classica cena in famiglia.”
Un velo di imbarazzato disagio calò sul tavolo e Sasuke si mosse scomposto sulla sedia, cercando una nuova posizione. Non avevano ancora mai parlato di quanto successo quella sera, ma il nuovo anno aveva portato molto lavoro a cui badare e non avevano avuto occasione di rivedersi prima di quella sera. Dall’espressione che fece Fugaku fu palese che avrebbe anche continuato a non parlarne senza alcun problema, sia quella sera che in futuro.
“Già, non so che diavolo sia saltato in mente a quel ragazzo – commentò suo malgrado, oramai l’argomento era stato tirato in ballo – i suoi genitori erano già sul punto di divorziare, questa è stata la classica goccia di troppo che ha fatto traboccare il vaso. Il padre non vuole più saperne, mentre la madre lo difende… che brutte faccende” sospirò.
“Mi sembra quantomeno esagerato affibbiare tutti i problemi di una coppia alle azioni del figlio – intervenne Itachi, pacato come sempre – si sarebbero separati anche senza il coming out di Ryuji. E se per essere felice lui ha sentito il bisogno di fare quella confessione, allora ha fatto bene” concluse.
“Itachi, ma come fai a dire una cosa simile? Ha mandato sua nonna in ospedale, rovinato a tutti il capodanno, portato scompiglio e vergogna sulla nostra famiglia. La notizia si è già diffusa, come pensi che altre famiglie possano giudicarci?” replicò Fugaku a cui non era certo piaciuto il coming out di quel nipote.
Mikoto non diceva nulla, ma si limitava a fissare marito e figli e le parve che Sasuke fosse un po’ più pallido di prima, ma forse era solo una sua impressione.
Itachi invece era impassibile, si limitò a prendere un altro sorso di vino prima di rispondere:
“E allora? Dovremmo essere superiori alle voci e i pettegolezzi da mercato della gente, non sono i gusti sessuali di una persona a definire quello che è. Per me Ryuji è lo stesso ragazzo timido e impacciato con cui giocavo da bambino, anche se era più grande di me, e che dopo mi aiutava con i compiti di arte; non è certo diventato un mostro all’improvviso.”
Fugaku scosse la testa, evidentemente contrariato:
“Come fai a dire non sono le nostre inclinazioni a definire quello che siamo? Come potrai mai fare una famiglia con un altro uomo? – disse a bassa voce, nemmeno si trattasse di una bestemmia in un luogo sacro – Cosa mi rispondi? Senza una moglie e dei figli cos’è un uomo? Non è giusto, né corretto.”
“Non tutti hanno gli stessi desideri, ma per un genitore la felicità di un figlio non dovrebbe avere la priorità su tutto? Se ti dicessi che io sono più felice al fianco di un uomo che di una donna, cosa faresti? Anche tu minacceresti di diseredarmi o lasceresti che altri parenti mi ricoprano di insulti com’è accaduto a Ryuji?” replicò Itachi serafico.
 Fugaku lo fissò interdetto, dietro quelle parole e lo sguardo pacato c’era una sfida più che evidente che lui però non aveva intenzione di raccogliere, non sarebbe retrocesso dalle sue idee, non quella volta, era troppo per una mente tradizionale come la sua.
“Itachi stai dicendo un mucchio di sciocchezze, come se fosse mai possibile! I miei figli gay, che assurdità! – scosse la testa per negare e allontanare con fermezza una simile eventualità – Certo, non è stato bello che alcuni tuoi zii lo abbiano insultato a quel modo, ma nemmeno lui si è comportato bene.”
“Capisco” replicò Itachi asciutto. Finì il vino nel bicchiere e poi fece un sorriso morbido al padre, aggiungendo “Hai ragione, è proprio un’eventualità impossibile.”
Per tutto quel dialogo non aveva mai guardato Sasuke, ma non ne aveva avuto bisogno per sapere che il fratello stringeva i pugni sotto la tovaglia mentre si sentiva morire.

 

Sasuke dopo essersi lavato le mani si bagnò anche il viso. Slacciò un altro bottone della camicia che portava senza cravatta e sentì le goccioline fresche scivolare lungo il collo. Avrebbe voluto mettere tutta la testa sotto il getto e poi scrollarsi, lanciando acqua tutt’attorno e liberarsi allo stesso modo dei suoi pensieri; purtroppo era impossibile, quelli non erano idrosolubili.
Aveva lasciato il resto della famiglia al tavolo alle prese col dolce e si era rifugiato in bagno, tanto lui non l’avrebbe mangiato, la sua avversione per le cose zuccherose era nota.
Si stava asciugando con una salvietta, quando vide la porta aprirsi e suo fratello entrare con una vistosa macchia di cioccolato sulla giacca.
“Itachi?” mormorò perplesso, mai lo aveva visto sporcarsi al contrario suo.
“Che c’è? Sono stato sbadato, capita” replicò l’altro facendo spallucce e andando al lavandino al suo fianco, notando il suo volto pallido e i capelli umidi sulla fronte.
Sasuke si portò una mano sul viso, non era sicuro di poter controllare i suoi muscoli facciali dopo l’improvvisa comprensione che lo aveva colto.
“Certo, e pensare che ti credevo repellente allo sporco – sospirò – sto bene, non serviva che venissi”

Non serviva che ti sporcassi apposta per avere una scusa plausibile per seguirmi nei bagni; non serviva che ti preoccupassi per me; non serviva, ma… grazie.
Itachi gli tolse la mano dal viso e si ritrovò a fissare i suoi occhi scuri evidentemente turbati e, delicatamente, gli carezzò i ciuffi di capelli che gli facevano da frangia.
“Quanta importanza che ti dai” ironizzò facendolo sbuffare e alzare lo sguardo al soffitto. “Ma hai ragione – continuò – e mi spiace che tu abbia dovuto sentire certe cose da nostro padre; conoscendolo non potevo aspettarmi niente di diverso, è stato anzi fin troppo conciliante. Mi spiace ancora di più perché avrei potuto rivelarmi, dire che anch’io non sono quell’esempio di fulgida eterosessualità che crede, ma… non ce l’ho fatta. Avevo le parole sulla punta della lingua, ma non ci sono riuscito.”
Fu difficile ammettere quella sua debolezza e lo fu maggiormente farlo continuando a guardarlo negli occhi, vedendo sbocciare lo sconcerto e la paura nei suoi.
Sasuke infatti afferrò il bavero della sua giacca con entrambe le mani, stringendolo forte ed esclamò:
“Sei impazzito? Non devi, non devi assolutamente, tu…”
Rimase senza parole, con la gola che si contraeva dolorosamente ed era incapace di seguire i suoi comandi. Poggiò la fronte contro la sua spalla, sentendo i suoi capelli lunghi contro la guancia. “Non devi arrivare a tanto per me, Itachi, non voglio che ti rovini la vita, perché è questo che accadrebbe se papà sapesse la verità – disse con la voce attutita dalla stoffa – ci vuole bene, ma una cosa simile va oltre la sua comprensione, stasera l’ho capito con chiarezza. Mi fa male sapere che non potrà mai accettarmi del tutto, che gli dovrò sempre tenere nascosta questa parte di me, ma… va bene così. Io sto imparando ad accettarmi e poi ho te; te che sai tutto e mi sento già fortunato così.”
Fu davvero difficile ammettere quelle verità, non che si fosse mai illuso di potersi confessare coi genitori, soprattutto con Fugaku, ma quella sera ne aveva avuto la prova inconfutabile e non era stato così semplice inghiottire quel boccone amaro.
Però poi arrivava Itachi e gli diceva che per lui sarebbe stato anche disposto a distruggere quel rapporto col padre faticosamente ricostruito, perché giudicava il loro e lo stesso Sasuke più importante, forse più importante di qualsiasi altra cosa. Si sentì così stupido per averlo odiato in passato, per quelle energie sprecate inutilmente oltre al tempo che nessuno gli avrebbe mai restituito.
Itachi gli poggiò una mano sulla nuca, spingendoselo di più contro, intrecciando le dita lunghe ed aggraziate coi suoi capelli scuri, un abbraccio incompleto ma perfetto per loro che erano tanto disabituati al contatto fisico e ad esprimere l’affetto.
“Allora va bene così, io ci sarò sempre.”
“Lo so, lo so” mormorò Sasuke. Rialzò la testa e poggiò lievemente le labbra contro la sua guancia, sentendo l’odore della sua pelle e dell’acqua di colonia discreta ma presente che gli piaceva tanto.
Itachi invece gli scompigliò i capelli per poi risistemarglieli, un sorriso aleggiava sul suo viso solitamente composto mentre diceva:
“Sarà meglio tornare di là, o ci daranno per dispersi.”
“Ok – rispose Sasuke lasciandolo fare come voleva – ma la tua macchia?”
Itachi si guardò la giacca, poi fece spallucce:
“Ci penserà la lavanderia, in fondo dove si è mai visto togliere del cioccolato solo con solo dell’acqua?”
Sasuke lo seguì fuori dal bagno sorridendo perché, in fondo, prima era stato Itachi a seguirlo e lo avrebbe fatto mille volte ancora; ne era certo.

 

***

 
Sasuke era nervoso. Ovviamente lo stava mascherando bene sotto alla solita facciata di stoicismo e indifferenza.
Quella mattina, dopo non poche tribolazioni mentali, dubbi e ripensamenti, aveva afferrato il cellulare per chiamare Gaara. Il ragazzo era a lavoro, ma gli aveva risposto lo stesso e lui gli aveva augurato buona fortuna per l’esame del pomeriggio per poi proporgli di vedersi la sera per festeggiare, certo che lo avrebbe superato. Il segretario aveva tentennato qualche istante, ma poi aveva accettato, lasciandolo in uno stato di confusa contentezza che era durata tutto il giorno.
In quel momento però Sasuke era solo nervoso: Gaara era in ritardo di circa mezz’ora. Seduto al bancone del locale, controllò di nuovo il cellulare, erano le venti e ventotto e non c’era nessun messaggio da parte sua.
Si sentiva a disagio, stupido addirittura per essere lì da solo ad attendere qualcuno che non sarebbe arrivato, perché ormai era evidente che Gaara aveva cambiato idea, decidendo che non valeva nemmeno la pena avvertirlo. Guardò la pinta di birra davanti a sé e pensò che, una volta finita, se ne sarebbe andato e non lo avrebbe più cercato. Finora aveva scavalcato più di una volta il suo orgoglio perché pensava che ne valesse la pena, ma forse si era sbagliato.
Sentì una sorta di scontentezza cosmica, un’amarezza in bocca che niente aveva a che fare con la birra scura e si domandò a che pro arrivare fino a lì, venendo illuso e basta. Si diede poi dello stupido: non aveva iniziato quel percorso avvalendosi della psicoterapia per Gaara, per riparare ai suoi errori o chissà che altro, lo aveva fatto per se stesso, per non affondare in mezzo ai propri problemi; il resto era solo una diretta conseguenza dei suoi cambiamenti. Avrebbe dovuto farsi una ragione di questo fallimento, archiviarlo e andare avanti, in fondo lui e Gaara non si erano fatti nessuna promessa. Però se ci pensava faceva male, anzi faceva maledettamente male.
Fissava il bicchiere in cui rimanevano pochi sorsi, quando sentì una voce al suo fianco dirgli:
“Scusa il ritardo.”
Sasuke alzò sorpreso lo sguardo e vide Gaara con le guance rosse, i capelli più scarmigliati del solito, il cappotto ancora addosso e la faccia di chi aveva avuto proprio una giornata di merda. Lo fissò qualche istante, quasi incredulo, avvertendo le ondate di freddo provenire dal suo corpo.
“Pensavo non venissi più” ammise.
Gaara rimase in maglione e si sedette sullo sgabello al suo fianco, poggiando lo zaino a terra e l’altra roba sopra di esso.
“Scusa, una serie di imprevisti, mi si è anche scaricato il telefono e non ho avuto modo di avvisarti – gli spiegò passando la mano tra i capelli tentando di sistemarli – sinceramente stavo per non venire, credevo fossi già andato via.”
Sasuke gli mostrò il bicchiere non ancora del tutto vuoto:
“Stavo finendo la mia birra – lo guardò – stai bene?”
“No” ammise secco Gaara non aggiungendo altro. Ordinò al barista una tequila sale e limone e questi posò sul bancone davanti a lui l’occorrente senza dire una parola.
Anche Sasuke stette zitto e lo osservò posarsi del sale sul dorso della mano, vicino al pollice, leccarlo via per poi bere d’un fiato il liquore e addentare infine lo spicchio di limone.
Gaara era turbato, non era necessaria la sua ammissione per capirlo, eppure Sasuke lo fissava ipnotizzato, trovando sensuali quei gesti, ricordando quando quella lingua e la bocca avevano indugiato il suo corpo. Si morse le labbra tentando di calmarsi e vide l’altro chiedere un bis così, dopo che ebbe bevuto anche il secondo shot, si decise a parlare o se lo sarebbe trovato ubriaco nel giro di dieci minuti.
“Cos’è successo? Vuoi che ti accompagni a casa? Possiamo vederci un’altra volta.”
Gaara si voltò a guardarlo, con gli occhi lievemente umidi a causa dell’alcool e dell’acidità del limone, e sembrò quasi risvegliarsi da una sorta di trance. Sospirò, posando la fettina dell’agrume su un piattino e rispose:
“Scusa” disse guardandolo. Poi fece una mezza risata breve “Sembra che stasera non faccia altro che scusarmi. Ad ogni modo adesso va meglio e sinceramente non ho voglia di tornare a casa.”
Avrebbe trovato solo un appartamento vuoto e, quella sera tra tante, proprio non aveva voglia di affrontare la solitudine. Si leccò le labbra su cui aleggiava il sapore acido del limone e quello pungente della tequila e dovette trattenersi per rimanere lucido, per non gettare alle ortiche la razionalità e fare cose stupide. Come baciare Sasuke e poi scoparselo, perché aveva una fottuta voglia di spegnere il cervello, lasciarsi andare  e dimenticare anche se per poco ogni cosa.
Non era vero che il suo cellulare aveva la batteria scarica, lo aveva semplicemente spento per non ricevere altre chiamate sgradite e non era vero che stava per non andare all’appuntamento. Era rimasto fuori dal locale a lungo, indeciso se presentarsi, perché quella sera non si sentiva a posto con se stesso, ma l’alternativa era stata l’appartamento vuoto, così alla fine si era fatto coraggio appellandosi a tutta la freddezza e la razionalità di cui disponeva. Forse bere due tequila non era stata una grande idea, ma almeno si sentiva meno teso.
Sasuke lo osservò, gli dispiacque che avesse qualche problema di cui sicuramente non gli avrebbe parlato, ma d’altronde nemmeno lui si era mai aperto in precedenza. Non poteva pretendere di diventare all’improvviso dei chiacchieroni e di piangere l’uno sulla spalla dell’altro; fece una smorfia a quel pensiero, visto che in realtà nemmeno con Naruto si confidava a quel modo, come una piagnucolosa adolescente.
“Ok, allora possiamo fare quello che vogliamo” disse e vide gli occhi chiari velarsi di turbamento, ma quando Gaara parlò la sua voce era pacata e non lasciava intendere nient’altro.
“Oh, addirittura? Che ne dici di un giro attorno al mondo?” scherzò.
“Credo che non torneremmo entro domani mattina, ma possiamo sempre pianificare un viaggio, quando hai le vacanze?” rispose Sasuke con un sorriso, stando al gioco ma anche serio. Forse allontanarsi dalla loro città, dalla routine e dalla vita di tutti i giorni non sarebbe stata una brutta idea.
Gaara sospirò, con le sue finanze attuali il massimo che poteva programmare era un’escursione ai giardinetti, ma ovviamente non rivelò niente di ciò:
“Credo ad agosto, quando chiuderà lo studio. Se mi assentassi ora penso che imploderebbe, già quando mi prendo mezza giornata per gli esami al mio ritorno sembra che io non ci sia stato una settimana; non oso immaginare se stessi veramente via una settimana.”
Era stato ironico, ma aveva detto la verità: al di là del lavoro riguardanti le pratiche, gli avvocati sarebbero morti senza nessuno che gli facesse prenotazioni di viaggi, ristoranti, gli ritirasse le camicie dalla lavanderia e tutta un’altra serie di stupide cose di cui si sarebbero potuti occupare da soli ma che invece ricadevano su Gaara.
“Mi sembra alquanto ingiusto – osservò Sasuke – dovrebbe esserci almeno un altro segretario per uno studio così grande. Se stai male cosa succede?”
“Qualche mese fa c’era una donna, ma era un incapace. Ho sentito gli avvocati che si dispiacevano per la sua partenza solo perché non avrebbero più visto le sue tette, mentre io… – si passò una mano sul petto più che piatto – quindi sono rimasto da solo. Poi c’è stato l’acquisto dell’altro appartamento, i lavori di ampliamento ed altre spese a carico della società. Quando ho detto a Hiashi del mio progetto di iscrivermi all’università, mi ha detto chiaramente che questo non doveva interferire col lavoro o avrebbero cercato qualcun altro, quindi figurati se posso anche solo suggerire di assumere un secondo segretario.”
Sasuke non fece fatica a credere che l’altro fosse così stanco, aveva un carico di responsabilità molto pesante da gestire, più una vita privata a cui badare nei ritagli di tempo libero.
“Beh, se vuoi un nuovo posto di lavoro puoi venire nel mio studio, qualcuno con le tue capacità ci può fare sempre comodo.”
Gaara lo guardò serio, anche se la proposta era stata scherzosa, era certo che se gli avesse detto di sì Sasuke lo avrebbe fatto assumere senza battere ciglio. Questo lo lasciò interdetto: era veramente una bella differenza rispetto a pochi mesi prima quando non aveva tollerato la sua presenza il giorno della laurea, nemmeno lasciando che si confondesse tra i suoi amici o gli altri spettatori. Adesso invece gli paventava la possibilità di vedersi tutti i giorni, lavorare fianco a fianco sotto gli occhi del padre.
Anche se apparentemente Sasuke appariva sempre uguale, con quell’aria di strafottente distacco dipinta in volto, in realtà era cambiato, lo dimostravano i gesti e le parole che, per quanto implicite, lasciavano intendere molti sottintesi.
“Ti ringrazio, ma ho intenzione di rimanere lì, sarà comodo una volta che mi sarò laureato – gli spiegò – anzi, sarà meglio per loro: se non mi assumeranno subito faccio mettere una bomba da Deidara, sai è un appassionato di esplosivi” concluse scherzando.
“Beh, in effetti non ha tutte le rotelle a posto quello” borbottò Sasuke, ripensando al barman biondo e a come lo aveva cacciato dal locale quando ci aveva rimesso piede. Nessuno aveva mai osato tanto con lui, era stato un bello shock.
Dal bancone si spostarono a un tavolino e ordinarono qualcosa da mangiare mentre Gaara ripiegava su una birra, qualcosa di ben più leggero rispetto alla tequila con cui aveva iniziato la serata. Aveva sempre presente il proposito di rimanere lucido e razionale, ma una parte di lui invece premeva per perdere il controllo. Gli pareva di avere qualcun altro dentro che non faceva che sussurrargli di smettere di razionalizzare tutto, di cedere ai suoi impulsi, di prendere Sasuke e scoparselo anche lì su quel tavolino, fregandosene delle conseguenze, in un momento tanto delicato come quello in cui stavano cercando di superare il passato e vedere se poteva esistere un futuro assieme.
Era stanco, scombussolato e triste e si maledisse per aver risposto a quella fottuta telefonata; se non lo avesse fatto la serata sarebbe stata diverso, lui stesso lo sarebbe stato.
Cercò tuttavia di mascherare il turbamento e di continuare a conversare come aveva fatto finora. Parlarono di argomenti leggeri, a nessuno dei due saltò in mente di tirare fuori questioni che non sarebbero stati in grado di affrontare. Fu una serata piacevole tutto sommato e, quando venne il cameriere a portare via i piatti sporchi, rimasero in un silenzio lievemente imbarazzato, guardandosi in faccia senza nulla da dire.
“Allora… ancora non mi hai detto com’è andato l’esame” esordì Sasuke, riuscendo a spezzare quel momento di disagio.
Gaara sembrò trasalire a quelle parole e, annuendo con la testa, replicò:
“Già, hai ragione. È andato bene, niente di eccezionale.”
“Non ci credo, avrai preso il massimo come negli altri due” insistette l’Uchiha.
Gaara si chinò a prendere lo zaino e ne tirò fuori il libretto che gli porse:
“Puoi controllare coi tuoi occhi”
Sasuke aprì il libretto e notò che effettivamente l’esame di quel pomeriggio aveva una votazione mediocre. Non c’era da stupirsene con tutte le cose a cui Gaara doveva badare, evidentemente aveva avuto poco tempo per studiare, rifletté sfogliando le altre pagine bianche fino ad arrivare alla  prima con i dati anagrafici. Campeggiava una fototessera che ritraeva il ragazzo serio, con quell’aria lievemente truce che lo contraddistingueva, lesse anche il suo indirizzo che conosceva bene e una data che gli fece corrucciare la fronte.
“Oggi è il tuo compleanno?”
Gaara riprese il libretto e lo chiuse con uno scatto irritato, per poi riporlo nello zaino:
“Già, il diciannove gennaio di ventiquattro anni fa venivo al mondo.”
Guardò Sasuke e notò la sua faccia perplessa, una domanda negli occhi scuri che però non arrivava a sfiorare le labbra. Desiderò che nel suo bicchiere ci fosse qualcosa di più forte della birra, come che quel pomeriggio Kankuro non lo avesse chiamato con la scusa di fargli gli auguri. Credeva di essere riuscito a gettarselo alle spalle, invece sentire la sua voce gli aveva fatto tornare in mente quanto successo l’ultima volta, la disperazione profonda che aveva sperimentato; quell’assoluto senso di abbandono e inutilità che aveva faticosamente superato si era ripresentato in tutta la sua prepotenza e Gaara ne era stato travolto.
Aveva minacciato Kankuro di denunciarlo per molestie se lo avesse cercato ancora, aveva le conoscenze giuste grazie agli avvocati e lo avrebbe fatto perché era stufo di non essere ascoltato; non era più lo stesso ragazzino che era stato vessato in orfanotrofio e che stava sempre zitto qualunque cosa accadesse.
Ritornò al presente e, con le sopracciglia rade aggrottate, rispose alla domanda muta dell’altro:
“Non mi piace festeggiare il mio compleanno, in orfanotrofio non lo facevamo, eravamo troppi. E anche adesso per me rappresenta un giorno come un altro, è solo un caso se ci siamo visti proprio oggi, solo perché tu mi hai chiamato stamattina.”
Sasuke tacque, pensieroso, e bevve un sorso dal bicchiere perché aveva la gola arida come il deserto.
“Capisco e mi dispiace. A me invece piace molto, quando ero piccolo era un giorno speciale perché di solito Itachi lo trascorreva con me e facevamo qualcosa insieme, era raro avere la sua attenzione, sai?”
Quella confessione gli era salita spontaneamente alle labbra, forse perché anche l’altro aveva condiviso con lui qualcosa di più personale, tuttavia vagò con lo sguardo per il locale, imbarazzato. Si chiedeva se Gaara non lo stesse giudicando stupido e infantile, era più che evidente il divario e le differenze delle loro vite.
Gaara però non stava pensando niente di tutto ciò, era solo sorpreso e anche incuriosito dalle orecchie improvvisamente rosse dell’Uchiha, sicuramente non era colpa del caldo nel locale.
“Mi sembra strano da credere, Itachi ti vuole molto bene, mi sembra un fratello maggiore fantastico”
Lui lo sapeva bene, sapeva maledettamente bene fin dove Itachi si sarebbe spinto per suo fratello.
Sasuke tentennò un attimo prima di guardarlo di nuovo e dire:
“Lo è, ma diciamo che fino a poco tempo fa le cose erano un po’ diverse tra noi e in generale in famiglia. Non è sempre facile un rapporto tra due fratelli anche se si vogliono bene.”
Gaara non avrebbe potuto essere più d’accordo, ma non disse nulla per timore di scoprirsi, così fu Sasuke a chiedere ancora:
“Il tuo malessere di oggi è legato al tuo compleanno?”
“Sì, una persona mi ha chiamato per farmi gli auguri e avrei voluto che non lo facesse, non avrebbe dovuto.”
Strinse forte tra le mani il bicchiere ormai vuoto, con qualche gocciolina di condensa superstite che gli lambiva le dita, carezzevole come la lingua di un amante.
“Era un tuo ex?” domandò Sasuke cauto per tastare il terreno e capire fin dove spingersi con lui. Gli parve di essere nei panni del suo psicologo ed avere a che fare con un enigma racchiuso in un vaso di finissimo cristallo. Voleva leggere la soluzione che si nascondeva all’interno, ma riuscirci senza rompere nulla era tremendamente difficile.
“In un certo senso… – rispose Gaara e tornò a guardare i suoi occhi – il mio primo uomo.”
Vide Sasuke deglutire a vuoto, i muscoli di quel bel collo pallido contrarsi, e si domandò perché gli avesse rivelato quei segreti, si sentiva esposto anche se non gli aveva detto di chi si trattava, eppure ebbe paura che l’altro potesse leggere qualcosa nei suoi occhi.
“Capisco – mormorò l’architetto in difficoltà – ne sei ancora innamorato?” domandò perché non capiva il motivo di tutto quel turbamento.
Ebbe paura della risposta perché, se fosse stata affermativa, cosa avrebbe dovuto fare? Tirarsi indietro o insistere? Quali erano i suoi reali sentimenti per quel ragazzo dai capelli rossi, cosa lo spingeva verso di lui? Solo attrazione fisica? Erano così riduttivi i suoi sentimenti, oppure poteva davvero definirli in qualche altro modo più serio?
La sua sequela di domande venne troncata dalla voce sempre pacata di Gaara:
“No, non più. È passato molto tempo, ma… ecco, risentirlo mi fa tornare alla mente molti ricordi sgradevoli e mi devi scusare se stasera sono stato scostante.”
A Sasuke sembrò di riuscire improvvisamente a respirare molto meglio, come quando dopo una lunga malattia il naso si libera e si riesce di nuovo a fare respiri profondi, assaporando l’odore del mondo.
Alzò una mano davanti a sé, come a respingere la sua affermazione:
“No, non devi dire così, mi spiace solo che tu stia male, anzi sono sorpreso che tu abbia accettato comunque di vederci.”
Lo vide sorridere e scrollare le spalle, non aveva altro da aggiungere così continuò a parlare lui: “Facciamo così: anche se a te non piace il tuo compleanno, io voglio farti un regalo. Puoi prenderti un fine settimana libero, giusto?”
“Sì, ma…”
Sasuke non lo lasciò finire e riprese:
“Allora vieni un weekend in montagna con me. Abbiamo uno chalet di famiglia, di solito viene usato durante il periodo natalizio, il resto dell’anno siamo di solito troppo impegnati per andare. Partiamo venerdì sera e domenica torniamo qui, che ne dici?”
Gaara era confuso, preso letteralmente alla sprovvista e iniziò a cercare una via di fuga:
“Ma no Sasuke, non serve. Insomma io non sono nemmeno mai stato sulla neve…”
“Perfetto, sarebbe una nuova esperienza, mica male, no? – sorrise poi, più serio, aggiunse – Mi farebbe davvero piacere se accettassi, ma solo se ti va. Se te la senti di passare altro tempo insieme a me, io… voglio dire che le cose tra noi sono un po’ strane e difficili, ma ho capito che vorrei conoscerti meglio. Mi sento bene quando sono in tua compagnia.”
Fece un respiro profondo e si sforzò di non spostare lo sguardo ma di tenerlo su di lui, nonostante si sentisse morire dall’imbarazzo. Di sicuro quello era l’invito più esplicito e spettacolare che avesse mai fatto per i suoi standard; adesso era tutto nelle mani di Gaara. Stava a lui accettarlo o meno, decidere se mettere piede in quel teatro di nome Sasuke.
Gaara lo guardava con quegli occhi chiari che in quel momento sembravano ancora più verdi e trasparenti, chiaramente senza parole. Si passò una mano sul viso, si stropicciò le palpebre e poi lo guardò di nuovo; Sasuke era ancora lì, non era un sogno né un’allucinazione e continuava a guardarlo con l’espressione seria e contratta.
“Lo sai che quello psicologo vale fino all’ultimo centesimo?” gli domandò.
La sua frase ebbe l’effetto di spezzare la tensione che si era creata ed entrambi risero, anche se Sasuke cercò di riacquistare subito il suo cipiglio e borbottò un “Vaffanculo” che però non intaccò il sorriso di Gaara.
“Va bene, ci sto. Ma un po’ più in là, ho altri due esami, poi sarò un po’ più libero. A fine febbraio c’è ancora neve? Oppure è tardi?”
Sasuke stentava a credere alle proprie orecchie, ma era vero: Gaara aveva accettato l’invito, stringeva tra le dita il foglio della partecipazione e non lo avrebbe lasciato andare, non se ne sarebbe disfatto come carta straccia.
“Sì, sì certo che è possibile” rispose ancora incredulo, ma felice. Gli sembrava che quel giorno il compleanno fosse il suo e che gli avessero fatto un bellissimo regalo.

 

Sasuke fermò la macchina sotto casa di Gaara. Usciti dal locale lo aveva riaccompagnato e non aveva avuto bisogno di indicazioni perché sapeva bene dove l’altro abitava, si ricordava ancora bene la strada. Spense il motore e sbirciò il palazzo, vedendo che le finestre del suo appartamento erano tutte scure, non ci doveva essere nessuno.
Si voltò a guardare Gaara che si era tolto la cintura di sicurezza e si stava infilando il cappotto, inutile nell’abitacolo riscaldato. La serata si era conclusa, si stavano per salutare con la promessa di rivedersi e di passare un weekend in montagna. Sasuke non avrebbe potuto immaginare un epilogo migliore per quell’appuntamento, eppure sentiva una sorta di insoddisfazione che proprio non voleva andare via.
Lo guardò e pensò che voleva baciarlo, baciarlo ancora e accompagnarlo fino alla porta di casa e poi oltre, fino alla soglia della sua stanza, entrarci per non uscirne più.
Si morse le labbra per darsi una calmata.
Anche Gaara avvertiva quella tensione e il desiderio che lo aveva accompagnato tutte quelle ore si era amplificato, sebbene fosse diverso dal passato: non aveva più voglia di rifugiarsi nel sesso per dimenticare e alleggerire il peso di una vita difficile, bensì voleva affondare in lui e continuare a farlo, vedendo un nuovo mattino sorgere.
“Beh, allora grazie per la serata – gli disse guardandolo – ci sentiamo.”
Sasuke guardò i suoi capelli rossi che parevano più scuri alla luce fioca dei lampioni e rispose:
“Sì, ci sentiamo. Buonanotte.”
Non aspettò un suo saluto, né un gesto, non attese ulteriormente e scivolò sul sedile verso di lui, per baciarlo. Non voleva rovinare tutto, né affrettare i tempi, ma voleva un bacio, per cancellare il ricordo di quello furioso e velenoso che si erano scambiati l’ultima volta.
Gaara non lo respinse anche se sulle prime rimase immobile, poi però si lasciò andare e ricambiò il suo bacio che era calmo, lento e non chiedeva nulla, voleva solo essere ciò che era: la fine perfetta per la loro serata.
Sasuke gli posò una mano sul busto lasciato scoperto dal cappotto ancora slacciato, sentì le sue costole al di sotto del maglione e se ne dispiacque: non era il solo ad essere cambiato in quei mesi, in quel periodo erano successe molte cose anche a Gaara.
Fu quest’ultimo ad allontanarsi delicatamente, ma non disse nulla, si limitò a guardarlo.
Sasuke si strinse nelle spalle e con un sorriso che non gli aveva mai mostrato prima disse:
“Buon compleanno, scusa ma non ho fatto in tempo a prenderti nessun’altro regalo.”
“Un bacio come regalo, eh?” mormorò Gaara sfiorandosi le labbra ancora umide e calde, del calore che avevano condiviso assieme. “Beh, ne ho avuti di peggiori – concluse con un sorriso, chiudendo poi il cappotto – buonanotte Sasuke.”
“Buonanotte Gaara.”
Lo vide scendere e dirigersi verso il portone, una figura scura che si confondeva nel buio della notte, ma che lui riusciva a scorgere.
Mise in moto, pensando che non aveva più bisogno di fantasticare e di sperare di poter tornare indietro alla notte in cui si erano incontrati, perché quella era stata perfetta e da lì sarebbero ripartiti.
Intanto Gaara, fermo davanti alla porta con le chiavi in mano, guardò i fanali della sua auto allontanarsi nell’oscurità e scosse la testa:
“Maledetti Uchiha, sono fissati col regalare baci.”
Rise da solo, decisamente un altro rispetto al ragazzo triste che aveva deciso di entrare nel locale e di rivedere Sasuke. Ringraziò però quel vecchio se stesso: senza di lui non sarebbe esistito il Gaara che ora sorrideva e aspettava che gli esami finissero per poter andare sulla neve.

 

 

 

 

L’angolino oscuro: Se ci fosse ancora qualcuno all’ascolto chiedo perdono per il ritardo cosmico di questo aggiornamento, ma come sempre la vita mette i bastoni tra le ruote anche alle migliori intenzioni.
Le cose stanno iniziando davvero a smuoversi, non solo tra Gaara e Sasuke, ma anche tra i due fratelli Uchiha, in fondo tra di loro c’è un vero affetto profondo, solo che non sono proprio capaci di dimostrarselo. Spero di tornare presto col prossimo capitolo e che continuiate a seguire questa storia, alla prossima!

 

 

 

 

   
 
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