La
cioccolata, come le paure, non si lava via
con l’acqua, ma per tutto c’è un rimedio
Mikoto
guardò con sincero affetto i tre uomini che sedevano a
tavola assieme a lei.
Non aveva più senso parlare di ragazzi, perché i
suoi figli oramai si erano
lasciati alle spalle ogni brandello di adolescenza, trasformandosi in
splendidi
giovani uomini di cui era tremendamente orgogliosa.
Lo era
anche di suo marito perché, pur continuando a rimanere la
persona di saldi
principi che aveva conosciuto, era riuscito a cambiare, ad ammorbidirsi
per
riuscire ad accettare le decisioni diverse di Itachi o per dire a
Sasuke quanto
lo ritenesse capace e valido. Non sarebbe mai riuscito ad ammettere
apertamente
il suo affetto, ma i figli lo sapevano e lo accettavano, leggendolo in
tutti i
gesti di riguardo che riservava loro.
Sì,
Mikoto era decisamente orgogliosa di tutti loro.
Itachi
era stato in grado di difendere i suoi sogni e le sue aspirazioni
diventando un
avvocato, dopo anni di silenzio era riuscito a ricostruire un rapporto
con il
padre, inoltre era diventato associato di uno studio legale importante.
Quella
sera infatti erano al ristorante per festeggiare
quell’evento, di cui erano
stati informati solo dopo qualche giorno.
Così
tipico di Itachi, pensò la donna, sapeva bene che il figlio
preferiva tenere
per sé tutto ciò che lo riguardava e che, dietro
lo sguardo acuto e il sorriso
pacato, si nascondevano molte cose.
Guardò
Sasuke e rifletté che anche lui teneva per sé il
proprio mondo interiore, ma a
differenza di Itachi lo faceva per paura. Timore di essere giudicato,
di essere
considerato di poco valore, perché il suo secondogenito era
più sensibile e
fragile di quanto pensasse o gli piacesse ammettere. Tuttavia qualcosa
stava
cambiando in lui, gli vedeva una nuova sicurezza nelle spalle diritte e
nello
sguardo che non si nascondeva più sotto la frangia scura. Le
sembrava anche più
sereno e il suo cuore ne era felice, perché riteneva la sua
famiglia il suo
bene più prezioso.
Posò la
propria mano su quella che Sasuke teneva sul tavolo, confondendosi
quasi col
candore della tovaglia ricamata, gli sorrise nel vedere il suo sguardo
sorpreso
ma non tolse la mano, né la spostò lui.
“Direi
che ci vuole un brindisi” affermò prendendo il
bicchiere con l’altra libera.
“Mamma,
io direi che invece non serve affatto” affermò
Itachi.
“Tu sta’
zitto, non hai voce in capitolo – lo rimbeccò la
donna seppur col sorriso sulle
labbra – ancora non ti ho perdonato di non avermi detto
subito della
promozione, sai?”
“Qualcosa
mi dice che non basterà una vita intera a farti perdonare
– scherzò Sasuke
alzando il bicchiere – a te fratello, con i nostri migliori
auguri.”
I
bicchieri tintinnarono tra loro e tutti bevvero l’ottimo vino
bianco
sapientemente rinfrescato. Il cameriere portò loro i piatti
e, mentre gustavano
le pietanze, Itachi non poté fare a meno di pensare a quando
aveva festeggiato
lo stesso evento con Gaara pochi giorni prima. Erano stati in un pub
poco
pretenzioso, il cibo era stato più semplice e avevano avuto
birra nei loro
bicchieri, eppure gli era piaciuta moltissimo quella serata,
chiacchierare con
lui, scoprire qualcosa in più sul suo conto e sul carattere.
Iniziando
a mangiare, raccontò alla famiglia dei futuri progetti dello
studio, nonché un
paio di aneddoti divertenti causati dai lavori di ristrutturazione
nell’appartamento a fianco, come quando
l’impeccabile Hiashi Hyuga aveva
infilato per sbaglio un piede in un secchio di cemento, così
lo avevano visto
comparire in ufficio con solo una scarpa e una gamba del pantalone
arrotolata
fino a metà polpaccio.
“In
conclusione ha stabilito che non entrerà più
nell’altro appartamento finché non
sarà finito e che a controllare l’andamento dei
lavori sarà esclusivamente il
nostro segretario” sorrise Itachi concludendo il racconto,
perché l’elegante
Hiashi sporco di cemento ed evidentemente imbarazzato nonché
infuriato era
stato uno spettacolo memorabile.
Sasuke
drizzò le orecchie sentendo nominare Gaara anche se di
sfuggita, si morse le
labbra perché in realtà ci sarebbero state tante
cose che avrebbe voluto
chiedere a Itachi, ma non era quello il momento adatto. Probabilmente,
anche se
lo fosse stato, non gliele avrebbe domandate: il suo orgoglio Uchiha
era ancora
piuttosto tenace.
I quattro
continuarono a chiacchierare piacevolmente e verso la fine, sazi e
soddisfatti
dal locale e dalla reciproca compagnia, Mikoto disse:
“Ci voleva
questa serata, erano più di due settimane che non ci
vedevamo e l’ultima volta,
a capodanno… beh, non è stata esattamente una
classica cena in famiglia.”
Un velo
di imbarazzato disagio calò sul tavolo e Sasuke si mosse
scomposto sulla sedia,
cercando una nuova posizione. Non avevano ancora mai parlato di quanto
successo
quella sera, ma il nuovo anno aveva portato molto lavoro a cui badare e
non
avevano avuto occasione di rivedersi prima di quella sera.
Dall’espressione che
fece Fugaku fu palese che avrebbe anche continuato a non parlarne senza
alcun
problema, sia quella sera che in futuro.
“Già, non
so che diavolo sia saltato in mente a quel ragazzo –
commentò suo malgrado,
oramai l’argomento era stato tirato in ballo – i
suoi genitori erano già sul
punto di divorziare, questa è stata la classica goccia di
troppo che ha fatto
traboccare il vaso. Il padre non vuole più saperne, mentre
la madre lo difende…
che brutte faccende” sospirò.
“Mi
sembra quantomeno esagerato affibbiare tutti i problemi di una coppia
alle
azioni del figlio – intervenne Itachi, pacato come sempre
– si sarebbero
separati anche senza il coming out di Ryuji. E se per essere felice lui
ha
sentito il bisogno di fare quella confessione, allora ha fatto
bene” concluse.
“Itachi,
ma come fai a dire una cosa simile? Ha mandato sua nonna in ospedale,
rovinato
a tutti il capodanno, portato scompiglio e vergogna sulla nostra
famiglia. La
notizia si è già diffusa, come pensi che altre
famiglie possano giudicarci?”
replicò Fugaku a cui non era certo piaciuto il coming out di
quel nipote.
Mikoto
non diceva nulla, ma si limitava a fissare marito e figli e le parve
che Sasuke
fosse un po’ più pallido di prima, ma forse era
solo una sua impressione.
Itachi
invece era impassibile, si limitò a prendere un altro sorso
di vino prima di
rispondere:
“E
allora? Dovremmo essere superiori alle voci e i pettegolezzi da mercato
della
gente, non sono i gusti sessuali di una persona a definire quello che
è. Per me
Ryuji è lo stesso ragazzo timido e impacciato con cui
giocavo da bambino, anche
se era più grande di me, e che dopo mi aiutava con i compiti
di arte; non è
certo diventato un mostro all’improvviso.”
Fugaku
scosse la testa, evidentemente contrariato:
“Come fai
a dire non sono le nostre inclinazioni a definire quello che siamo?
Come potrai
mai fare una famiglia con un altro uomo? – disse a bassa
voce, nemmeno si
trattasse di una bestemmia in un luogo sacro – Cosa mi
rispondi? Senza una
moglie e dei figli cos’è un uomo? Non è
giusto, né corretto.”
“Non
tutti hanno gli stessi desideri, ma per un genitore la
felicità di un figlio
non dovrebbe avere la priorità su tutto? Se ti dicessi che
io sono più felice
al fianco di un uomo che di una donna, cosa faresti? Anche tu
minacceresti di
diseredarmi o lasceresti che altri parenti mi ricoprano di insulti
com’è
accaduto a Ryuji?” replicò Itachi serafico.
Fugaku lo
fissò interdetto, dietro quelle
parole e lo sguardo pacato c’era una sfida più che
evidente che lui però non
aveva intenzione di raccogliere, non sarebbe retrocesso dalle sue idee,
non
quella volta, era troppo per una mente tradizionale come la sua.
“Itachi
stai dicendo un mucchio di sciocchezze, come se fosse mai possibile! I
miei
figli gay, che assurdità! – scosse la testa per
negare e allontanare con
fermezza una simile eventualità – Certo, non
è stato bello che alcuni tuoi zii
lo abbiano insultato a quel modo, ma nemmeno lui si è
comportato bene.”
“Capisco”
replicò Itachi asciutto. Finì il vino nel
bicchiere e poi fece un sorriso
morbido al padre, aggiungendo “Hai ragione, è
proprio un’eventualità
impossibile.”
Per tutto
quel dialogo non aveva mai guardato Sasuke, ma non ne aveva avuto
bisogno per
sapere che il fratello stringeva i pugni sotto la tovaglia mentre si
sentiva
morire.
Sasuke
dopo essersi lavato le mani si bagnò anche il viso.
Slacciò un altro bottone
della camicia che portava senza cravatta e sentì le
goccioline fresche
scivolare lungo il collo. Avrebbe voluto mettere tutta la testa sotto
il getto
e poi scrollarsi, lanciando acqua tutt’attorno e liberarsi
allo stesso modo dei
suoi pensieri; purtroppo era impossibile, quelli non erano idrosolubili.
Aveva
lasciato il resto della famiglia al tavolo alle prese col dolce e si
era
rifugiato in bagno, tanto lui non l’avrebbe mangiato, la sua
avversione per le
cose zuccherose era nota.
Si stava
asciugando con una salvietta, quando vide la porta aprirsi e suo
fratello
entrare con una vistosa macchia di cioccolato sulla giacca.
“Itachi?”
mormorò perplesso, mai lo aveva visto sporcarsi al contrario
suo.
“Che c’è?
Sono stato sbadato, capita” replicò
l’altro facendo spallucce e andando al
lavandino al suo fianco, notando il suo volto pallido e i capelli umidi
sulla
fronte.
Sasuke si
portò una mano sul viso, non era sicuro di poter controllare
i suoi muscoli facciali
dopo l’improvvisa comprensione che lo aveva colto.
“Certo, e
pensare che ti credevo repellente allo sporco –
sospirò – sto bene, non serviva
che venissi”
Non
serviva che ti sporcassi apposta per avere
una scusa plausibile per seguirmi nei bagni; non serviva che ti
preoccupassi
per me; non serviva, ma… grazie.
Itachi
gli tolse la mano dal viso e si ritrovò a fissare i suoi
occhi scuri
evidentemente turbati e, delicatamente, gli carezzò i ciuffi
di capelli che gli
facevano da frangia.
“Quanta
importanza che ti dai” ironizzò facendolo sbuffare
e alzare lo sguardo al soffitto.
“Ma hai ragione – continuò – e
mi spiace che tu abbia dovuto sentire certe cose
da nostro padre; conoscendolo non potevo aspettarmi niente di diverso,
è stato anzi
fin troppo conciliante. Mi spiace ancora di più
perché avrei potuto rivelarmi,
dire che anch’io non sono quell’esempio di fulgida
eterosessualità che crede,
ma… non ce l’ho fatta. Avevo le parole sulla punta
della lingua, ma non ci sono
riuscito.”
Fu
difficile ammettere quella sua debolezza e lo fu maggiormente farlo
continuando
a guardarlo negli occhi, vedendo sbocciare lo sconcerto e la paura nei
suoi.
Sasuke infatti
afferrò il bavero della sua giacca con entrambe le mani,
stringendolo forte ed
esclamò:
“Sei
impazzito? Non devi, non devi assolutamente, tu…”
Rimase
senza parole, con la gola che si contraeva dolorosamente ed era
incapace di
seguire i suoi comandi. Poggiò la fronte contro la sua
spalla, sentendo i suoi
capelli lunghi contro la guancia. “Non devi arrivare a tanto
per me, Itachi,
non voglio che ti rovini la vita, perché è questo
che accadrebbe se papà
sapesse la verità – disse con la voce attutita
dalla stoffa – ci vuole bene, ma
una cosa simile va oltre la sua comprensione, stasera l’ho
capito con
chiarezza. Mi fa male sapere che non potrà mai accettarmi
del tutto, che gli dovrò
sempre tenere nascosta questa parte di me, ma… va bene
così. Io sto imparando
ad accettarmi e poi ho te; te che sai tutto e mi sento già
fortunato così.”
Fu
davvero difficile ammettere quelle verità, non che si fosse
mai illuso di
potersi confessare coi genitori, soprattutto con Fugaku, ma quella sera
ne
aveva avuto la prova inconfutabile e non era stato così
semplice inghiottire
quel boccone amaro.
Però poi
arrivava Itachi e gli diceva che per lui sarebbe stato anche disposto a
distruggere quel rapporto col padre faticosamente ricostruito,
perché giudicava
il loro e lo stesso Sasuke più importante, forse
più importante di qualsiasi
altra cosa. Si sentì così stupido per averlo
odiato in passato, per quelle
energie sprecate inutilmente oltre al tempo che nessuno gli avrebbe mai
restituito.
Itachi
gli poggiò una mano sulla nuca, spingendoselo di
più contro, intrecciando le
dita lunghe ed aggraziate coi suoi capelli scuri, un abbraccio
incompleto ma
perfetto per loro che erano tanto disabituati al contatto fisico e ad
esprimere
l’affetto.
“Allora
va bene così, io ci sarò sempre.”
“Lo so,
lo so” mormorò Sasuke. Rialzò la testa
e poggiò lievemente le labbra contro la
sua guancia, sentendo l’odore della sua pelle e
dell’acqua di colonia discreta
ma presente che gli piaceva tanto.
Itachi invece
gli scompigliò i capelli per poi risistemarglieli, un
sorriso aleggiava sul suo
viso solitamente composto mentre diceva:
“Sarà
meglio tornare di là, o ci daranno per dispersi.”
“Ok –
rispose Sasuke lasciandolo fare come voleva – ma la tua
macchia?”
Itachi si
guardò la giacca, poi fece spallucce:
“Ci
penserà la lavanderia, in fondo dove si è mai
visto togliere del cioccolato
solo con solo dell’acqua?”
Sasuke lo
seguì fuori dal bagno sorridendo perché, in
fondo, prima era stato Itachi a
seguirlo e lo avrebbe fatto mille volte ancora; ne era certo.
***
Sasuke
era nervoso. Ovviamente lo stava mascherando bene sotto alla solita
facciata di
stoicismo e indifferenza.
Quella
mattina, dopo non poche tribolazioni mentali, dubbi e ripensamenti,
aveva
afferrato il cellulare per chiamare Gaara. Il ragazzo era a lavoro, ma
gli
aveva risposto lo stesso e lui gli aveva augurato buona fortuna per
l’esame del
pomeriggio per poi proporgli di vedersi la sera per festeggiare, certo
che lo
avrebbe superato. Il segretario aveva tentennato qualche istante, ma
poi aveva
accettato, lasciandolo in uno stato di confusa contentezza che era
durata tutto
il giorno.
In quel
momento però Sasuke era solo nervoso: Gaara era in ritardo
di circa mezz’ora.
Seduto al bancone del locale, controllò di nuovo il
cellulare, erano le venti e
ventotto e non c’era nessun messaggio da parte sua.
Si
sentiva a disagio, stupido addirittura per essere lì da solo
ad attendere
qualcuno che non sarebbe arrivato, perché ormai era evidente
che Gaara aveva
cambiato idea, decidendo che non valeva nemmeno la pena avvertirlo.
Guardò la
pinta di birra davanti a sé e pensò che, una
volta finita, se ne sarebbe andato
e non lo avrebbe più cercato. Finora aveva scavalcato
più di una volta il suo
orgoglio perché pensava che ne valesse la pena, ma forse si
era sbagliato.
Sentì una
sorta di scontentezza cosmica, un’amarezza in bocca che
niente aveva a che fare
con la birra scura e si domandò a che pro arrivare fino a
lì, venendo illuso e
basta. Si diede poi dello stupido: non aveva iniziato quel percorso
avvalendosi
della psicoterapia per Gaara, per riparare ai suoi errori o
chissà che altro,
lo aveva fatto per se stesso, per non affondare in mezzo ai propri
problemi; il
resto era solo una diretta conseguenza dei suoi cambiamenti. Avrebbe
dovuto
farsi una ragione di questo fallimento, archiviarlo e andare avanti, in
fondo
lui e Gaara non si erano fatti nessuna promessa. Però se ci
pensava faceva
male, anzi faceva maledettamente male.
Fissava
il bicchiere in cui rimanevano pochi sorsi, quando sentì una
voce al suo fianco
dirgli:
“Scusa il
ritardo.”
Sasuke
alzò sorpreso lo sguardo e vide Gaara con le guance rosse, i
capelli più
scarmigliati del solito, il cappotto ancora addosso e la faccia di chi
aveva
avuto proprio una giornata di merda. Lo fissò qualche
istante, quasi incredulo,
avvertendo le ondate di freddo provenire dal suo corpo.
“Pensavo
non venissi più” ammise.
Gaara
rimase in maglione e si sedette sullo sgabello al suo fianco, poggiando
lo
zaino a terra e l’altra roba sopra di esso.
“Scusa,
una serie di imprevisti, mi si è anche scaricato il telefono
e non ho avuto
modo di avvisarti – gli spiegò passando la mano
tra i capelli tentando di
sistemarli – sinceramente stavo per non venire, credevo fossi
già andato via.”
Sasuke
gli mostrò il bicchiere non ancora del tutto vuoto:
“Stavo
finendo la mia birra – lo guardò – stai
bene?”
“No”
ammise secco Gaara non aggiungendo altro. Ordinò al barista
una tequila sale e
limone e questi posò sul bancone davanti a lui
l’occorrente senza dire una
parola.
Anche
Sasuke stette zitto e lo osservò posarsi del sale sul dorso
della mano, vicino
al pollice, leccarlo via per poi bere d’un fiato il liquore e
addentare infine
lo spicchio di limone.
Gaara era
turbato, non era necessaria la sua ammissione per capirlo, eppure
Sasuke lo
fissava ipnotizzato, trovando sensuali quei gesti, ricordando quando
quella
lingua e la bocca avevano indugiato il suo corpo. Si morse le labbra
tentando
di calmarsi e vide l’altro chiedere un bis così,
dopo che ebbe bevuto anche il
secondo shot, si decise a parlare o se lo sarebbe trovato ubriaco nel
giro di
dieci minuti.
“Cos’è
successo? Vuoi che ti accompagni a casa? Possiamo vederci
un’altra volta.”
Gaara si
voltò a guardarlo, con gli occhi lievemente umidi a causa
dell’alcool e
dell’acidità del limone, e sembrò quasi
risvegliarsi da una sorta di trance.
Sospirò, posando la fettina dell’agrume su un
piattino e rispose:
“Scusa”
disse guardandolo. Poi fece una mezza risata breve “Sembra
che stasera non
faccia altro che scusarmi. Ad ogni modo adesso va meglio e sinceramente
non ho
voglia di tornare a casa.”
Avrebbe
trovato solo un appartamento vuoto e, quella sera tra tante, proprio
non aveva
voglia di affrontare la solitudine. Si leccò le labbra su
cui aleggiava il
sapore acido del limone e quello pungente della tequila e dovette
trattenersi
per rimanere lucido, per non gettare alle ortiche la
razionalità e fare cose
stupide. Come baciare Sasuke e poi scoparselo, perché aveva
una fottuta voglia
di spegnere il cervello, lasciarsi andare
e dimenticare anche se per poco ogni cosa.
Non era
vero che il suo cellulare aveva la batteria scarica, lo aveva
semplicemente
spento per non ricevere altre chiamate sgradite e non era vero che
stava per
non andare all’appuntamento. Era rimasto fuori dal locale a
lungo, indeciso se
presentarsi, perché quella sera non si sentiva a posto con
se stesso, ma
l’alternativa era stata l’appartamento vuoto,
così alla fine si era fatto
coraggio appellandosi a tutta la freddezza e la razionalità
di cui disponeva.
Forse bere due tequila non era stata una grande idea, ma almeno si
sentiva meno
teso.
Sasuke lo
osservò, gli dispiacque che avesse qualche problema di cui
sicuramente non gli
avrebbe parlato, ma d’altronde nemmeno lui si era mai aperto
in precedenza. Non
poteva pretendere di diventare all’improvviso dei
chiacchieroni e di piangere
l’uno sulla spalla dell’altro; fece una smorfia a
quel pensiero, visto che in
realtà nemmeno con Naruto si confidava a quel modo, come una
piagnucolosa
adolescente.
“Ok,
allora possiamo fare quello che vogliamo” disse e vide gli
occhi chiari velarsi
di turbamento, ma quando Gaara parlò la sua voce era pacata
e non lasciava
intendere nient’altro.
“Oh,
addirittura? Che ne dici di un giro attorno al mondo?”
scherzò.
“Credo
che non torneremmo entro domani mattina, ma possiamo sempre pianificare
un
viaggio, quando hai le vacanze?” rispose Sasuke con un
sorriso, stando al gioco
ma anche serio. Forse allontanarsi dalla loro città, dalla
routine e dalla vita
di tutti i giorni non sarebbe stata una brutta idea.
Gaara
sospirò, con le sue finanze attuali il massimo che poteva
programmare era
un’escursione ai giardinetti, ma ovviamente non
rivelò niente di ciò:
“Credo ad
agosto, quando chiuderà lo studio. Se mi assentassi ora
penso che imploderebbe,
già quando mi prendo mezza giornata per gli esami al mio
ritorno sembra che io
non ci sia stato una settimana; non oso immaginare se stessi veramente
via una
settimana.”
Era stato
ironico, ma aveva detto la verità: al di là del
lavoro riguardanti le pratiche,
gli avvocati sarebbero morti senza nessuno che gli facesse prenotazioni
di
viaggi, ristoranti, gli ritirasse le camicie dalla lavanderia e tutta
un’altra
serie di stupide cose di cui si sarebbero potuti occupare da soli ma
che invece
ricadevano su Gaara.
“Mi
sembra alquanto ingiusto – osservò Sasuke
– dovrebbe esserci almeno un altro
segretario per uno studio così grande. Se stai male cosa
succede?”
“Qualche
mese fa c’era una donna, ma era un incapace. Ho sentito gli
avvocati che si
dispiacevano per la sua partenza solo perché non avrebbero
più visto le sue
tette, mentre io… – si passò una mano
sul petto più che piatto – quindi sono
rimasto da solo. Poi c’è stato
l’acquisto dell’altro appartamento, i lavori di
ampliamento ed altre spese a carico della società. Quando ho
detto a Hiashi del
mio progetto di iscrivermi all’università, mi ha
detto chiaramente che questo
non doveva interferire col lavoro o avrebbero cercato qualcun altro,
quindi
figurati se posso anche solo suggerire di assumere un secondo
segretario.”
Sasuke
non fece fatica a credere che l’altro fosse così
stanco, aveva un carico di
responsabilità molto pesante da gestire, più una
vita privata a cui badare nei
ritagli di tempo libero.
“Beh, se
vuoi un nuovo posto di lavoro puoi venire nel mio studio, qualcuno con
le tue
capacità ci può fare sempre comodo.”
Gaara lo
guardò serio, anche se la proposta era stata scherzosa, era
certo che se gli
avesse detto di sì Sasuke lo avrebbe fatto assumere senza
battere ciglio.
Questo lo lasciò interdetto: era veramente una bella
differenza rispetto a
pochi mesi prima quando non aveva tollerato la sua presenza il giorno
della
laurea, nemmeno lasciando che si confondesse tra i suoi amici o gli
altri
spettatori. Adesso invece gli paventava la possibilità di
vedersi tutti i
giorni, lavorare fianco a fianco sotto gli occhi del padre.
Anche se
apparentemente Sasuke appariva sempre uguale, con quell’aria
di strafottente
distacco dipinta in volto, in realtà era cambiato, lo
dimostravano i gesti e le
parole che, per quanto implicite, lasciavano intendere molti sottintesi.
“Ti
ringrazio, ma ho intenzione di rimanere lì, sarà
comodo una volta che mi sarò
laureato – gli spiegò – anzi,
sarà meglio per loro: se non mi assumeranno
subito faccio mettere una bomba da Deidara, sai è un
appassionato di esplosivi”
concluse scherzando.
“Beh, in
effetti non ha tutte le rotelle a posto quello”
borbottò Sasuke, ripensando al
barman biondo e a come lo aveva cacciato dal locale quando ci aveva
rimesso
piede. Nessuno aveva mai osato tanto con lui, era stato un bello shock.
Dal
bancone si spostarono a un tavolino e ordinarono qualcosa da mangiare
mentre
Gaara ripiegava su una birra, qualcosa di ben più leggero
rispetto alla tequila
con cui aveva iniziato la serata. Aveva sempre presente il proposito di
rimanere lucido e razionale, ma una parte di lui invece premeva per
perdere il
controllo. Gli pareva di avere qualcun altro dentro che non faceva che
sussurrargli di smettere di razionalizzare tutto, di cedere ai suoi
impulsi, di
prendere Sasuke e scoparselo anche lì su quel tavolino,
fregandosene delle
conseguenze, in un momento tanto delicato come quello in cui stavano
cercando
di superare il passato e vedere se poteva esistere un futuro assieme.
Era
stanco, scombussolato e triste e si maledisse per aver risposto a
quella
fottuta telefonata; se non lo avesse fatto la serata sarebbe stata
diverso, lui
stesso lo sarebbe stato.
Cercò tuttavia
di mascherare il turbamento e di continuare a conversare come aveva
fatto
finora. Parlarono di argomenti leggeri, a nessuno dei due
saltò in mente di
tirare fuori questioni che non sarebbero stati in grado di affrontare.
Fu una
serata piacevole tutto sommato e, quando venne il cameriere a portare
via i
piatti sporchi, rimasero in un silenzio lievemente imbarazzato,
guardandosi in
faccia senza nulla da dire.
“Allora…
ancora non mi hai detto com’è andato
l’esame” esordì Sasuke, riuscendo a
spezzare quel momento di disagio.
Gaara
sembrò trasalire a quelle parole e, annuendo con la testa,
replicò:
“Già, hai
ragione. È andato bene, niente di eccezionale.”
“Non ci
credo, avrai preso il massimo come negli altri due”
insistette l’Uchiha.
Gaara si
chinò a prendere lo zaino e ne tirò fuori il
libretto che gli porse:
“Puoi
controllare coi tuoi occhi”
Sasuke
aprì il libretto e notò che effettivamente
l’esame di quel pomeriggio aveva una
votazione mediocre. Non c’era da stupirsene con tutte le cose
a cui Gaara
doveva badare, evidentemente aveva avuto poco tempo per studiare,
rifletté
sfogliando le altre pagine bianche fino ad arrivare alla prima con i dati
anagrafici. Campeggiava una
fototessera che ritraeva il ragazzo serio, con quell’aria
lievemente truce che
lo contraddistingueva, lesse anche il suo indirizzo che conosceva bene
e una
data che gli fece corrucciare la fronte.
“Oggi è
il tuo compleanno?”
Gaara
riprese il libretto e lo chiuse con uno scatto irritato, per poi
riporlo nello
zaino:
“Già, il diciannove gennaio di ventiquattro anni
fa venivo al mondo.”
Guardò
Sasuke e notò la sua faccia perplessa, una domanda negli
occhi scuri che però
non arrivava a sfiorare le labbra. Desiderò che nel suo
bicchiere ci fosse
qualcosa di più forte della birra, come che quel pomeriggio
Kankuro non lo
avesse chiamato con la scusa di fargli gli auguri. Credeva di essere
riuscito a
gettarselo alle spalle, invece sentire la sua voce gli aveva fatto
tornare in
mente quanto successo l’ultima volta, la disperazione
profonda che aveva
sperimentato; quell’assoluto senso di abbandono e
inutilità che aveva
faticosamente superato si era ripresentato in tutta la sua prepotenza e
Gaara
ne era stato travolto.
Aveva
minacciato Kankuro di denunciarlo per molestie se lo avesse cercato
ancora,
aveva le conoscenze giuste grazie agli avvocati e lo avrebbe fatto
perché era
stufo di non essere ascoltato; non era più lo stesso
ragazzino che era stato
vessato in orfanotrofio e che stava sempre zitto qualunque cosa
accadesse.
Ritornò
al presente e, con le sopracciglia rade aggrottate, rispose alla
domanda muta
dell’altro:
“Non mi
piace festeggiare il mio compleanno, in orfanotrofio non lo facevamo,
eravamo
troppi. E anche adesso per me rappresenta un giorno come un altro,
è solo un
caso se ci siamo visti proprio oggi, solo perché tu mi hai
chiamato stamattina.”
Sasuke
tacque, pensieroso, e bevve un sorso dal bicchiere perché
aveva la gola arida
come il deserto.
“Capisco
e mi dispiace. A me invece piace molto, quando ero piccolo era un
giorno
speciale perché di solito Itachi lo trascorreva con me e
facevamo qualcosa
insieme, era raro avere la sua attenzione, sai?”
Quella
confessione gli era salita spontaneamente alle labbra, forse
perché anche
l’altro aveva condiviso con lui qualcosa di più
personale, tuttavia vagò con lo
sguardo per il locale, imbarazzato. Si chiedeva se Gaara non lo stesse
giudicando stupido e infantile, era più che evidente il
divario e le differenze
delle loro vite.
Gaara
però non stava pensando niente di tutto ciò, era
solo sorpreso e anche
incuriosito dalle orecchie improvvisamente rosse dell’Uchiha,
sicuramente non
era colpa del caldo nel locale.
“Mi
sembra strano da credere, Itachi ti vuole molto bene, mi sembra un
fratello
maggiore fantastico”
Lui lo
sapeva bene, sapeva maledettamente bene fin dove Itachi si sarebbe
spinto per
suo fratello.
Sasuke
tentennò un attimo prima di guardarlo di nuovo e dire:
“Lo è, ma
diciamo che fino a poco tempo fa le cose erano un po’ diverse
tra noi e in
generale in famiglia. Non è sempre facile un rapporto tra
due fratelli anche se
si vogliono bene.”
Gaara non
avrebbe potuto essere più d’accordo, ma non disse
nulla per timore di
scoprirsi, così fu Sasuke a chiedere ancora:
“Il tuo
malessere di oggi è legato al tuo compleanno?”
“Sì, una
persona mi ha chiamato per farmi gli auguri e avrei voluto che non lo
facesse,
non avrebbe dovuto.”
Strinse
forte tra le mani il bicchiere ormai vuoto, con qualche gocciolina di
condensa
superstite che gli lambiva le dita, carezzevole come la lingua di un
amante.
“Era un
tuo ex?” domandò Sasuke cauto per tastare il
terreno e capire fin dove
spingersi con lui. Gli parve di essere nei panni del suo psicologo ed
avere a
che fare con un enigma racchiuso in un vaso di finissimo cristallo.
Voleva
leggere la soluzione che si nascondeva all’interno, ma
riuscirci senza rompere
nulla era tremendamente difficile.
“In un
certo senso… – rispose Gaara e tornò a
guardare i suoi occhi – il mio primo
uomo.”
Vide Sasuke
deglutire a vuoto, i muscoli di quel bel collo pallido contrarsi, e si
domandò
perché gli avesse rivelato quei segreti, si sentiva esposto
anche se non gli
aveva detto di chi si trattava, eppure ebbe paura che l’altro
potesse leggere
qualcosa nei suoi occhi.
“Capisco
– mormorò l’architetto in
difficoltà – ne sei ancora innamorato?”
domandò
perché non capiva il motivo di tutto quel turbamento.
Ebbe
paura della risposta perché, se fosse stata affermativa,
cosa avrebbe dovuto
fare? Tirarsi indietro o insistere? Quali erano i suoi reali sentimenti
per
quel ragazzo dai capelli rossi, cosa lo spingeva verso di lui? Solo
attrazione
fisica? Erano così riduttivi i suoi sentimenti, oppure
poteva davvero definirli
in qualche altro modo più serio?
La sua
sequela di domande venne troncata dalla voce sempre pacata di Gaara:
“No, non
più. È passato molto tempo, ma… ecco,
risentirlo mi fa tornare alla mente molti
ricordi sgradevoli e mi devi scusare se stasera sono stato
scostante.”
A Sasuke
sembrò di riuscire improvvisamente a respirare molto meglio,
come quando dopo
una lunga malattia il naso si libera e si riesce di nuovo a fare
respiri
profondi, assaporando l’odore del mondo.
Alzò una
mano davanti a sé, come a respingere la sua affermazione:
“No, non
devi dire così, mi spiace solo che tu stia male, anzi sono
sorpreso che tu
abbia accettato comunque di vederci.”
Lo vide
sorridere e scrollare le spalle, non aveva altro da aggiungere
così continuò a
parlare lui: “Facciamo così: anche se a te non
piace il tuo compleanno, io
voglio farti un regalo. Puoi prenderti un fine settimana libero,
giusto?”
“Sì, ma…”
Sasuke
non lo lasciò finire e riprese:
“Allora
vieni un weekend in montagna con me. Abbiamo uno chalet di famiglia, di
solito
viene usato durante il periodo natalizio, il resto dell’anno
siamo di solito
troppo impegnati per andare. Partiamo venerdì sera e
domenica torniamo qui, che
ne dici?”
Gaara era
confuso, preso letteralmente alla sprovvista e iniziò a
cercare una via di
fuga:
“Ma no
Sasuke, non serve. Insomma io non sono nemmeno mai stato sulla
neve…”
“Perfetto,
sarebbe una nuova esperienza, mica male, no? – sorrise poi,
più serio, aggiunse
– Mi farebbe davvero piacere se accettassi, ma solo se ti va.
Se te la senti di
passare altro tempo insieme a me, io… voglio dire che le
cose tra noi sono un
po’ strane e difficili, ma ho capito che vorrei conoscerti
meglio. Mi sento
bene quando sono in tua compagnia.”
Fece un
respiro profondo e si sforzò di non spostare lo sguardo ma
di tenerlo su di lui,
nonostante si sentisse morire dall’imbarazzo. Di sicuro
quello era l’invito più
esplicito e spettacolare che avesse mai fatto per i suoi standard;
adesso era
tutto nelle mani di Gaara. Stava a lui accettarlo o meno, decidere se
mettere
piede in quel teatro di nome Sasuke.
Gaara lo
guardava con quegli occhi chiari che in quel momento sembravano ancora
più
verdi e trasparenti, chiaramente senza parole. Si passò una
mano sul viso, si
stropicciò le palpebre e poi lo guardò di nuovo;
Sasuke era ancora lì, non era
un sogno né un’allucinazione e continuava a
guardarlo con l’espressione seria e
contratta.
“Lo sai
che quello psicologo vale fino all’ultimo
centesimo?” gli domandò.
La sua
frase ebbe l’effetto di spezzare la tensione che si era
creata ed entrambi
risero, anche se Sasuke cercò di riacquistare subito il suo
cipiglio e borbottò
un “Vaffanculo” che però non
intaccò il sorriso di Gaara.
“Va bene,
ci sto. Ma un po’ più in là, ho altri
due esami, poi sarò un po’ più libero.
A
fine febbraio c’è ancora neve? Oppure è
tardi?”
Sasuke
stentava a credere alle proprie orecchie, ma era vero: Gaara aveva
accettato
l’invito, stringeva tra le dita il foglio della
partecipazione e non lo avrebbe
lasciato andare, non se ne sarebbe disfatto come carta straccia.
“Sì, sì
certo che è possibile” rispose ancora incredulo,
ma felice. Gli sembrava che
quel giorno il compleanno fosse il suo e che gli avessero fatto un
bellissimo
regalo.
Sasuke
fermò la macchina sotto casa di Gaara. Usciti dal locale lo
aveva
riaccompagnato e non aveva avuto bisogno di indicazioni
perché sapeva bene dove
l’altro abitava, si ricordava ancora bene la strada. Spense
il motore e sbirciò
il palazzo, vedendo che le finestre del suo appartamento erano tutte
scure, non
ci doveva essere nessuno.
Si voltò
a guardare Gaara che si era tolto la cintura di sicurezza e si stava
infilando
il cappotto, inutile nell’abitacolo riscaldato. La serata si
era conclusa, si
stavano per salutare con la promessa di rivedersi e di passare un
weekend in
montagna. Sasuke non avrebbe potuto immaginare un epilogo migliore per
quell’appuntamento, eppure sentiva una sorta di
insoddisfazione che proprio non
voleva andare via.
Lo guardò
e pensò che voleva baciarlo, baciarlo ancora e accompagnarlo
fino alla porta di
casa e poi oltre, fino alla soglia della sua stanza, entrarci per non
uscirne
più.
Si morse
le labbra per darsi una calmata.
Anche
Gaara avvertiva quella tensione e il desiderio che lo aveva
accompagnato tutte
quelle ore si era amplificato, sebbene fosse diverso dal passato: non
aveva più
voglia di rifugiarsi nel sesso per dimenticare e alleggerire il peso di
una
vita difficile, bensì voleva affondare in lui e continuare a
farlo, vedendo un
nuovo mattino sorgere.
“Beh,
allora grazie per la serata – gli disse guardandolo
– ci sentiamo.”
Sasuke
guardò i suoi capelli rossi che parevano più
scuri alla luce fioca dei lampioni
e rispose:
“Sì, ci
sentiamo. Buonanotte.”
Non
aspettò un suo saluto, né un gesto, non attese
ulteriormente e scivolò sul sedile
verso di lui, per baciarlo. Non voleva rovinare tutto, né
affrettare i tempi,
ma voleva un bacio, per cancellare il ricordo di quello furioso e
velenoso che
si erano scambiati l’ultima volta.
Gaara non
lo respinse anche se sulle prime rimase immobile, poi però
si lasciò andare e
ricambiò il suo bacio che era calmo, lento e non chiedeva
nulla, voleva solo
essere ciò che era: la fine perfetta per la loro serata.
Sasuke
gli posò una mano sul busto lasciato scoperto dal cappotto
ancora slacciato,
sentì le sue costole al di sotto del maglione e se ne
dispiacque: non era il
solo ad essere cambiato in quei mesi, in quel periodo erano successe
molte cose
anche a Gaara.
Fu quest’ultimo
ad allontanarsi delicatamente, ma non disse nulla, si limitò
a guardarlo.
Sasuke si
strinse nelle spalle e con un sorriso che non gli aveva mai mostrato
prima
disse:
“Buon
compleanno, scusa ma non ho fatto in tempo a prenderti
nessun’altro regalo.”
“Un bacio
come regalo, eh?” mormorò Gaara sfiorandosi le
labbra ancora umide e calde, del
calore che avevano condiviso assieme. “Beh, ne ho avuti di
peggiori – concluse
con un sorriso, chiudendo poi il cappotto – buonanotte
Sasuke.”
“Buonanotte
Gaara.”
Lo vide
scendere e dirigersi verso il portone, una figura scura che si
confondeva nel
buio della notte, ma che lui riusciva a scorgere.
Mise in
moto, pensando che non aveva più bisogno di fantasticare e
di sperare di poter
tornare indietro alla notte in cui si erano incontrati,
perché quella era stata
perfetta e da lì sarebbero ripartiti.
Intanto
Gaara, fermo davanti alla porta con le chiavi in mano,
guardò i fanali della
sua auto allontanarsi nell’oscurità e scosse la
testa:
“Maledetti
Uchiha, sono fissati col regalare baci.”
Rise da
solo, decisamente un altro rispetto al ragazzo triste che aveva deciso
di
entrare nel locale e di rivedere Sasuke. Ringraziò
però quel vecchio se stesso:
senza di lui non sarebbe esistito il Gaara che ora sorrideva e
aspettava che
gli esami finissero per poter andare sulla neve.
L’angolino
oscuro:
Se ci fosse ancora qualcuno all’ascolto chiedo
perdono per il ritardo cosmico di questo aggiornamento, ma come sempre
la vita
mette i bastoni tra le ruote anche alle migliori intenzioni.
Le cose
stanno iniziando davvero a smuoversi, non solo tra Gaara e Sasuke, ma
anche tra
i due fratelli Uchiha, in fondo tra di loro c’è un
vero affetto profondo, solo
che non sono proprio capaci di dimostrarselo. Spero di tornare presto
col
prossimo capitolo e che continuiate a seguire questa storia, alla
prossima!