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Autore: StellaMarina5500    06/07/2018    1 recensioni
"L’acqua iniziò lentamente ad inumidirle i lunghi capelli, che sparsi e sciolti le avvolgevano il corpo. Quando la prima goccia le bagnò il viso, solo allora, si concesse di lasciarsi andare."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si spogliò lentamente, come se stesse portando addosso il peso degli anni. Faceva le cose meccanicamente, troppo stanca anche solo per concedersi il lusso di pensare a ciò che stava facendo. Aveva appena vissuto una giornata come le altre, senza particolari avvenimenti, ma si sentiva così fiaccata da voler andare a letto senza cena. Non era quello che viveva con il corpo, ma ciò che provava con l’anima che la rendeva così volubile e stanca. Ciò che provava con l’anima… aprì la doccia. La doccia risolveva sempre tutto. Doveva assolutamente scoprire chi avesse inventato la doccia, e stamparsi una sua gigantografia da appendere in camera. Lei adorava la doccia. L’acqua iniziò lentamente ad inumidirle i lunghi capelli, che sparsi e sciolti le avvolgevano il corpo. Quando la prima goccia le bagnò il viso, solo allora, si concesse di lasciarsi andare. Di pensare, a quello che voleva e come voleva. Solo nella doccia permetteva a se stessa di godere della sua fragilità. Nella doccia poteva essere fragile quanto le piaceva, nessuno l’avrebbe potuta giudicare. A parte, ovviamente, quello shampoo malvagio che la osservava con cattiveria dall’alto della mensola. È normale sentirsi giudicati anche dagli shampoo? Si chiese, passandosi una mano fra i capelli. Certo che era normale, e concepibile, nella sua mente.
Pensò all’anno appena trascorso. Un altro anno. Eppure, la sua pelle era ancora così fresca e giovane. Mentre i suoi pensieri erano già centenari. Aprì lo shampoo, se lo versò nella mano e lo terminò. Con un improvviso guizzo di vitalità, lo fece volare fuori dalla doccia. Così avrebbe imparato la prossima volta a giudicarla. A giudicare i suoi lunghi capelli che andavano tagliati, glielo dicevano tutti, erano rovinati. A giudicare il suo corpo che, beh…. No. Bloccò con un gesto involontario della mano di stizza quel genere di pensieri. Non era la serata dedicata a piangersi addosso per le sue fattezze. Quella serata ce l’avevano tutti i comuni mortali nell’era digitale almeno una volta al mese, ed (apriti cielo!) ad uniformarsi. Non con i pensieri, non in doccia. Non poteva tradire così l’inventore della doccia. Lei aveva effettivamente voglia di piangere, ma non sapeva ancora per cosa. Era il suo cuore a dirle che doveva piangere, sfogarsi, farsi venire un mal di testa grande come una casa e mettersi a letto di filato senza cena. No, non avrebbe pianto. Le eroine dei suoi libri non piangevano. O, perlomeno, non piangevano per motivi non bene identificati, e soprattutto, non sotto la doccia.
L’acqua le scivolava addosso, la lambiva, leniva ogni angolo del suo corpo, ogni goccia la coccolava e tentava di coglierla e racchiuderla dentro quella bolla di tranquillità trasparente. Perché era sempre così indecisa e timorosa di fare una scelta nella sua vita? Per lo stesso motivo per cui nella mensola c’erano un balsamo per capelli ricci, un balsamo per capelli secchi e crespi e un balsamo per capelli lisci, le disse di rimando la seconda boccetta di shampoo che, evidentemente, non riusciva proprio a tollerarla. No, non era un discorso sul balsamo. Lei aveva il terrore di deludere, di essere giudicata. Sennò, non si sarebbe messa a rispondere allo shampoo. Ormai era un quarto d’ora buono che era chiusa nel suo mondo, e ancora non aveva applicato il balsamo. Prese a caso dalla mensola uno dei tre, se ne versò una noce (una noce, certo! C’era scritto di fare così sulla confezione) sul palmo della mano, ed iniziò ad spalmarla dalla radice alla punta dei capelli. Aveva molta paura anche di sbagliare. Sapeva che se avesse sbagliato, o fallito, lei, il suo intero personaggio, tutto quel muro così spesso e invalicabile che era riuscita a costruirsi nel corso degli anni, sarebbe stato distrutto. Lei, non sarebbe stata la perfezione. Perché tutti, a prima vista, la associavano ai libri, alla cultura, alla sapienza. Ma anche alla freddezza, al distacco, alla superiorità. Al ghiaccio. Ma come ghiaccio, come? Lei si sentiva dentro un fuoco, bollente, pronto a bruciare di passione per qualsiasi cosa, pronto ad uscire fuori e travolgere tutti, pronto a… No. E ancora no. Lei non poteva concedersi di uscire dal personaggio, non poteva concedersi di sbagliare, di essere umana, di essere come gli altri. Lei non voleva concederselo. “Ella si va, sentendosi laudare…” era l’unica opzione che si concedeva. Gli altri, sì, gli altri, le avevano lasciato disponibile solo quella maschera da indossare, e lei lo avrebbe fatto fino in fondo. Perché tutto quello che lei faceva, doveva essere svolto alla perfezione. Si sciacquò i capelli, pettinandoseli con le dita. Ripercorreva tutta la loro lunghezza, senza fretta, soffermandosi attentamente sui piccoli nodi che si formavano in punta. E se, per una volta, non fosse stata se stessa soltanto da sola? Se si fosse mostrata al mondo là fuori, per ciò che era? Questo pensiero non sapeva se definirlo più utopico o distopico. All’idea, pettinava meccanicamente sempre la stessa ciocca di capelli. Poter parlare di libri senza sentirsi saccente o sbagliata, poter pensarla liberamente sull’amore, credere ai sonetti petrarcheschi che subito questa società cerca di disincantare, poter sbagliare, poter non essere all’altezza, concedersi l’ebrezza di un’infrazione (come mettere ben due noci di balsamo!). Concedersi, in poche parole, l’umanità, dato che la perfezione in realtà non appartiene all’uomo. Poter essere libera, poter ridere, scherzare, divertirsi. Senza giudizi. Senza preconcetti.
Ormai il balsamo lo aveva rimosso del tutto, e i capelli erano come seta. Ognuno ha il suo ruolo nel mondo, c’è l’artista, la diva, il palestrato… tutti si nutrono di stereotipi, nessuno escluso. E lei comprendeva questa cosa, perché lei stessa si concedeva di essere soltanto lo stereotipo che si era in un qualche modo scelta. Comprendeva che le sue idee romantiche, il suo voler scrivere con il pennino, il suo voler danzare un valzer, il suo soffermarsi davanti ad un’opera per sentirsi parte del tutto, il suo decantare versi per accedere all’anima… non poteva essere rivelato, se non ad un’anima affine. Ad un nobile di cuore. Non cercava colui che sarebbe stato degno, non si voleva porre al di sopra degli altri. Voleva solo essere rivelata. Perché quel suo tentativo di perfezione le pesava così tanto ormai… così tanto. L’acqua finì di scorrere. Indossò la sua maschera. Uscì fuori, agguantando l’accappatoio. Meno male che esisteva la doccia. Doveva assolutamente scoprire chi avesse inventato la doccia, e stamparsi una sua gigantografia da appendere in camera…
   
 
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