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Autore: Sinkarii Luna Nera    07/07/2018    2 recensioni
Prequel di ''Reflecting Mirrors"
Una Lusan, un Hakaishin e tutto ciò che è avvenuto prima che centinaia di milioni di anni, assieme a centinaia di milioni di situazioni complesse, portassero al presente per come lo conosciamo -nel bene e nel male.
(Ignoro il motivo per cui l'amministrazione si sia divertita a cancellare un'intro che è stata qui per anni, ma non abbia ancora cambiato il mio nick. Misteri della fede.)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Champa, Lord Bills, Nuovo personaggio, Vados, Whis
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Reflecting Mirrors'
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Era da un po’ che Dolmer se ne stava inginocchiato lì, in preghiera di fronte a un piccolo altare dedicato a Q’thulu, la Bestia dai Molti Tentacoli che i Lusan della valle, fin dall’antichità, avevano continuato ad adorare pur conoscendo l’esistenza degli Hakaishin e dei Kaioshin.

La sola fonte di luce nella stanza era la fiamma tremolante di una candela accesa, che muovendosi creava curiosi giochi di ombre sul corpo e il volto del Kahzameer a-ghekavary.

«Perché?»

Pur avendo sentito perfettamente la domanda di quella che ormai era diventata sua moglie, e pur sapendo che in teoria averla alle spalle mentre lui era in ginocchio non era precisamente consigliabile, Dolmer non si voltò. «Perché no, Calida? C’è chi in attesa di una battaglia mangia, c’è chi beve, c’è chi si allena, chi cammina, chi fa del sesso… e io prego».

«Ricordare di aver vinto contro Moriameer dovrebbe darti forza a sufficienza, anche se è passato del tempo».

Calida aveva ragione: della città di Moriameer ormai rimanevano più che altro case vuote, giardini devastati ed eventuali schizzi di sangue rappreso sulle pareti, assieme ai pochi brandelli di interiora che gli animali, dopo tutto quel tempo, non avevano ancora consumato.
L’alleanza tra Ulthmeer e Kahzameer, pur se nata abbastanza improvvisamente, aveva dato i suoi frutti nel completare il lavoro che Calida aveva iniziato col massacro di una famiglia intera -e relativa crisi di governo.

«Io sono abituato a fare così. Finora mi ha portato del bene, squadra che vince non si cambia. Cercavi qualcosa di specifico?»

«Deduco che non apprezzi la mia presenza».

Dolmer si voltò a guardarla. « Non sono infastidito. Di rado cerchiamo una la presenza dell’altro solo per scambiare due chiacchiere, tu e io di solito parliamo di guerra -com’era logico aspettarsi- quindi la mia domanda è legittima. Cerchi qualcosa di specifico o per una volta cerchi solo compagnia?»

Calida non cercava qualcosa di specifico, non sul serio. Dopo aver passato diverso tempo in solitudine, preparandosi psicologicamente all’assalto contro Sarumeer previsto per il giorno dopo, si era sorpresa a chiedersi dove potesse essere finito Dolmer.
Aveva detto a se stessa di essersi fatta quella domanda perché non era conveniente perderlo di vista: erano alleati, marito e moglie, ma era veramente saggio lasciarlo tutto quel tempo senza sorveglianza, dandogli modo di concertare chissà cosa con chissà chi?

Dirigendosi verso il luogo in cui era stato allestito quel piccolo altare, sapendo benissimo che lo avrebbe trovato lì, aveva dovuto riconoscere di star mentendo a se stessa.
Non lo stava cercando per quella ragione, né per parlare nuovamente della battaglia che si avvicinava: lo stava facendo solo perché aveva la curiosa volontà di passare del tempo con una persona che aveva imparato a conoscere un po’, alla cui presenza aveva finito quasi per abituarsi.

In fin dei conti se Calida aveva scelto di stringere un’alleanza e sposarsi con Dolmer era anche perché tra i capi di città che in precedenza le avevano fatto un’offerta di matrimonio lo trovava una persona abbastanza “degna” e, almeno in quel periodo di tempo trascorso dalle nozze, non aveva avuto ragione di ricredersi. Non la amava, esattamente come lei non lo amava, ma l’aveva sempre trattata con rispetto, e lei aveva fatto altrettanto.
Sorprendeva il modo in cui erano riusciti abbastanza facilmente a trovare un equilibrio pur essendo stati nemici fino a poco tempo prima.

«Nella Bestia dai Molti Tentacoli credono un po’tutti, però a credere e praticare siete pochi, e quei pochi di solito sono imparentati con i Sagartaibh che abbiamo nella valle. Vale anche per te, Dolmer?»

«Se poi io ti facessi una domanda sullo stesso tema, come reagiresti?»

Calida fece spallucce. «Non in maniera controproducente».

Il Lusan tornò a osservare la candela. La piccola statua intarsiata di Q’thulu sembrava quasi fissarlo con sguardo severo: se fosse per consigliargli il silenzio o meno, non era dato sapere.

«Sono effettivamente imparentato con un sacerdote» ammise Dolmer, dopo un po’ «Era mio zio. In teoria sarei dovuto diventare a mia volta un religioso, cosa che a me andava benissimo, e il titolo di Kahzameer a-ghekavary era destinato a mia sorella maggiore. La guerra però ha fatto sì che le cose andassero a finire diversamente, come del resto è successo a molti, e se non fosse stato per mio zio non sarei qui neppure io. Mi fece nascondere appena prima che un gruppo di Lusan di Moriameer entrasse nel tempio. Lo hanno fatto a pezzi e hanno ricomposto il suo cadavere in modo osceno. Le luride bestie di quella città non hanno avuto rispetto nemmeno di un Q’thulu a-Sagartaibh in quanto tale! Sotto la mia guida, invece, nessuno dei miei uomini ha mai alzato un dito su un religioso».

«Ero a conoscenza di questo dettaglio, a mancare era solo il perché. Risparmiare i Sagartaibh “in quanto tali” non ti rende migliore rispetto a chiunque altro» disse Calida «Al di là del fatto che non credo particolarmente nell’esistenza di Q’thulu, i sacerdoti non sono esseri speciali: sono persone come me e te, che mangiano, bevono, defecano e sanguinano. Di’ piuttosto che li risparmi in memoria di tuo zio. Questa è una cosa che comprendo di più e che rispetto».

«Avevo intuito che il tuo rapporto con il nostro credo non fosse particolarmente stretto, in fin dei conti il matrimonio all’albero sacro è più consuetudine che manifestazione di fede» commentò il Lusan, alzandosi in piedi «Che tu abbia idee diverse dalle mie in materia di religione non è un problema, Calida, pur essendo credente non sono un fanatico che cerca di convertire gli altri, e a noi servono solo intesa in guerra e rispetto in casa. Solo una cosa: il dio della cui esistenza dubiti è decisamente migliore di quelli che conosciamo di persona».

«Questo è certo».

Era passato diverso tempo dal giorno in cui aveva detto a Dolmer di addentrarsi assieme a lei nella foresta per essere presentato ad Anise.
 In verità
la proposta era stata fatta in maniera ironica, perché era piuttosto convinta che solo un pazzo si sarebbe addentrato in un posto poco conosciuto -per lui- assieme a quella che fino a pochi giorni prima era stata una nemica, ma lui l’aveva sorpresa con una risposta affermativa. “Ora siamo alleati, nonché marito e moglie, dobbiamo imparare a vederci come tali anche senza avere attorno uomini pronti a difenderci”, le aveva detto.
Era stato in quell’occasione che Dolmer, oltre ad Anise, aveva conosciuto anche i gemelli Hakaishin, facendosi di entrambi un’opinione che non differiva troppo dalla sua.

«Mi risulta ancora difficile credere che quel ragazzetto rincoglionito sia il nostro Hakaishin. Non so se nascano tali o vengano scelti ma, se è così, dovrebbero cambiare i parametri. Mi chiedo anche cosa possa aver visto in lui tua sorella: mi verrebbe da dire soldi e potere ma, se fosse così, ormai non vivrebbe più nella foresta. O beh, in fin dei conti sono stato un ventenne anche io. Cieco, sordo e incapace di valutare».

Dolmer parlava per esperienza: aveva appena compiuto vent’anni quando si era lasciato incantare da Amiri, dai suoi occhi color cioccolato.

Benché si tendesse a pensare che i discendenti di prigionieri fossero cittadini a tutti gli effetti a partire dalla seconda o terza generazione, non era stato saggio da parte sua non lasciar passare abbastanza tempo per conoscerla bene e verificare che fosse veramente così.

L’aveva sposata e lei, poco dopo, aveva tentato di ucciderlo.

Uccidere lui per vendicarsi di qualcosa che aveva fatto suo nonno, o il suo bisnonno, o comunque un suo ascendente.
Quant’era folle, che lui non lo trovasse poi così folle?

Dolmer l’aveva mandata alla forca, col volto serio e un cuore a pezzi che, tuttavia, ormai si era ricomposto. L’aveva amata ma evidentemente non lo aveva fatto tanto da rimanere traumatizzato vita natural durante.

«Io chiamo quella che va dai sedici ai ventidue anni “l’età dell’idiozia”» disse Calida «Solitamente anche i Lusan più maturi commettono almeno una sciocchezza, in questo lasso di tempo. Cambiamo discorso: l’assalto previsto per domani…»

«Ne parleremo dopo che ti avrò fatto una domanda. Prima te ne avevo accennato».

Calida rimase in silenzio, attendendo che Dolmer ponesse il suo quesito.
Doveva ammettere di esserselo cercato.

«So che tu, come me, non hai nessuno. Se non tua “sorella”» aggiunse il Lusan «Tu sai chi erano i miei genitori, perché Kahzameer è governata da tempo dalla dinastia da cui discendo io. Dunque mi chiedo… chi erano i tuoi genitori?»

«Artificieri».

Dolmer sollevò le sopracciglia, stupito del fatto che lei gli avesse risposto. «Davvero?»

Calida fece spallucce. «O forse si occupavano di libri, o erano semplici contadini. O becchini. O magari dei boia. Scegli la versione che preferisci».

«Immagino che, se io ora protestassi dicendo che ho risposto, tu ribatteresti che non mi hai obbligato. Allora, cosa volevi dirmi riguardo l’assalto previsto per domani?»

Era una domanda che segnava l’uscita dal terreno un po’scivoloso in cui lei stessa si era infilata, riportandola in uno più congeniale che, da diverso tempo a quella parte, la faceva perfino sentire sana.
Più volte aveva pensato che massacri, guerra e bagni di sangue le facessero bene, e tali congetture sembravano aver trovato conferma: non aveva più avuto problemi nel riconoscere le persone, non aveva più visto il volto di Anise al posto di altri e, soprattutto, non era più perseguitata da Anise in versione decomposta.
Sì, continuava a sentire il richiamo verso Vynumeer, aveva sognato Rubedo/Kamandi in qualche occasinone, aveva spesso l’impressione di essere osservata anche quando era sola e ogni tanto le sembrava di vedere il movimento di capelli argentei con la coda dell’occhio, ma rispetto a prima non era nulla che non potesse gestire, tant’era che nemmeno Dolmer la riteneva fuori di testa -non in senso "poco utile", s'intende.

«Volevo raccomandarti un’ultima volta di non danneggiare troppo le strutture. Abbiamo devastato Moriameer ma Sarumeer è una buona base in cui poterci stanziare per poi occuparci delle quattro città che mancano».

«Diciotto» sospirò Dolmer.

«Cosa?»

«Volte che mi ripeti questa cosa. Con questa sono diciotto».

Utlhmeer, Kahzameer, Moriameer e Thandrumeer erano piuttosto vicine tra loro -e le ultime due non costituivano più un problema- mentre Saurumeer era a metà strada tra quell’insieme di città e un altro gruppo, sempre di quattro, posizionato un po’più distante.

Avevano deciso di prendere quella città perché, oltre ad avere una buona posizione, aveva anche una doppia cinta di mura alte e rese “scivolose” dal tempo, tra le quali era stato scavato un fossato riempito d’acqua.

I cannoni avrebbero permesso loro di aprire brecce nelle mura ma, come chiunque altro in passato, Calida e Dolmer avevano concluso che sarebbe stato un peccato perdere un avamposto così ben protetto; tutti motivi per cui avevano deciso di prendere la città per fame.

Togliere loro l’acqua era stato il primo passo, deviando mediante uno sbarramento il braccio del fiume che, come nel caso di Moriameer, attraversava Sarumeer e riempiva d’acqua il fossato.
I nemici vedendo ciò avevano tentato la prima sortita durante la notte, senza ottenere altro che una batosta; costretti a ritirarsi, si erano arroccati all’interno della città in attesa di un momento buono per riprovare.
Nel corso del tempo avevano fatto altri tentativi, ma erano andati tutti come il primo, tanto che infine avevano smesso.

Il secondo passo era consistito nel privare i nemici delle maggiori riserve di cibo, servendosi della conoscenza di Calida riguardo le planimetrie delle città.
Entrare di nascosto per dare fuoco agli edifici dove veniva immagazzinato il cibo sarebbe stato arduo, ragion per cui, trattandosi di strutture in legno, Calida aveva avuto un’altra idea.


“Dolmer, hai dei prigionieri da prestarmi?”

“Li ho, però credo che sarebbe inutile cercare di farli entrare a Sarumeer”.

“Non lo faremmo nel modo che pensi tu. Ho fatto un paio di calcoli e penso che dovremmo riuscire a lanciarli contro i magazzini…”

“Non credo che quelle persone sopravvivrebbero all’urto”.

“Certo che non sopravvivrebbero: li cospargeremmo di liquido infiammabile e appiccheremmo il fuoco appena prima di lanciarli contro i magazzini. Che sono di legno”.

“Potremmo usare della pece”.

“Se tu fossi al posto dei nostri nemici, ti spaventerebbero più dei Lusan in fiamme o delle palle di pece?”

“… prendi tutti i prigionieri che ti servono”.



Era stato necessario aggiustare il tiro un paio di volte ma il piano aveva funzionato; dunque, una volta passato il giusto lasso di tempo, erano passati alla terza parte del piano, ossia favorire lo sviluppo di una pestilenza lanciando carcasse di animali all’interno delle mura.
Gli abitanti di Sarumeer erano ormai debilitati dalla mancanza di acqua e di cibo, motivo per cui, come avevano testimoniato le molteplici colonne di fumo e l’odore di carne di Lusan bruciata, erano caduti vittime di un morbo che difficilmente si sarebbe sparso a macchia d’olio tra persone sane.

Consci della condizione dei loro nemici, Calida e Dolmer li avevano lasciati cuocere nel loro brodo un altro po’, e ormai erano piuttosto convinti del fatto che superare le mura e conquistare la città non sarebbe stato più difficile di quanto fosse stato devastare Moriameer.

«Se vuoi posso ripeterti altre due volte di danneggiare le strutture il meno possibile» disse Calida «Così da arrivare a una cifra tonda».

«Credo che in tal caso potrei prendere in considerazione l’idea di spaccarmi il cranio da solo dando testate a un muro non meglio specificato» ribatté Dolmer «Immagino che questo faciliterebbe il lavoro di qualcuno».

«Se uno di noi due uccidesse l’altro subito dopo aver portato a termine la conquista succederebbe un putiferio, e non è quel che voglio».

«Lo so, infatti non parlavo di te. In verità io pensavo al dopo. Al momento siamo impegnati in questa campagna di conquista e/o devastazione, no? A Moriameer abbiamo dato alla nostra gente la prova che quest’alleanza mai vista prima funziona, domani se Q’thulu vuole faremo altrettanto, e magari riusciremo davvero ad avere ragione anche delle altre quattro città. Una volta finita e vinta la guerra domineremo la valle, verremo acclamati, verremo osannati… ma per quanto, Calida?» le chiese Dolmer, con uno sguardo cupo negli occhi dorati «Per quanto tempo riusciremo a tenere tutto e tutti insieme? Quanto tempo passerà prima che smettano di osannarci e che a qualcuno venga in mente di prendere il nostro posto, o semplicemente di smantellare tutto quel che avremo creato?»

A Calida non piacque quel discorso, pur non essendo del tutto sbagliato; anzi, forse era proprio per quel motivo che non le piaceva.

«Questo valeva anche prima, Dolmer, quando non eravamo alleati ed eravamo ognuno a capo della propria città, e comunque tu sei un capo amato e rispettato, mentre io un capo temuto e rispettato: è un’unione bilanciata. I nostri concittadini non hanno cercato di farci fuori prima, non hanno cercato di farlo quando ci siamo sposati, non vedo perché dovrebbero farlo in futuro. Quel che dobbiamo fare è impegnarci per aumentare le nostre possibilità di vittoria, non fasciarci la testa prima di romperla. Pensa all’assalto di domani, non al "dopo". Buonanotte» concluse Calida, andandosene prima che il marito potesse replicare.



“Quanto tempo passerà prima che smettano di osannarci e che a qualcuno venga in mente di prendere il nostro posto, o semplicemente di smantellare tutto quel che avremo creato?”



Si era alleata con un altro capo, lo aveva sposato per poter vincere la guerra e dominare la valle, ma quelle parole insinuavano il dubbio che quanto aveva fatto non fosse sufficiente, non per i suoi progetti.
Non per realizzare davvero il proprio sogno senza ricorrere al potere di Rubedo e pagarne il prezzo.





***





«Una pioggia del genere non si vedeva da un po’. Non mi piace pensare che debbano combattere con questo tempo. Riduce la visibilità e la presa sul terreno, tra le altre cose».

Non era una buona giornata per Anise, ma d’altra parte le giornate veramente buone avevano avuto termine da tanto tempo: da oltre un anno e mezzo, per la precisione.

«Di rimandare non se ne parla, hm?» chiese Champa, pur sapendo benissimo quanto quella fosse una domanda retorica «Prova a pensarla così: il discorso di presa e visibilità vale anche per gli altri».

«Apprezzo veramente il tuo tentativo, Champino, ma non mi consola».

«Quando tua sorella è andata contro la città di Thandrumeer non eri altrettanto in pensiero, e dopo quel che è successo a Moriameer tempo fa non credo che ci siano ragioni di esserlo. Anise… non so se te lo ricordi, ma li hanno “asfaltati”, come si suol dire».

«Ero preoccupata anche in quell’occasione, se è per questo. Champa, io non riesco a togliermi dalla testa il fatto che Calida stia facendo una campagna militare assieme a quello che fino a relativamente poco tempo fa era un nemico».

«Ossia suo marito».

«Ecco! Dovrei essere felice del fatto che due città, una delle quali è quella di mia sorella, siano riuscite ad allearsi, però io non sono tranquilla, e devo ancora accettare del tutto il fatto che Calida si sia sposata. Calida» ripeté «Sposata. Lei! Lei, che al mio ventesimo compleanno aveva detto di aver rifiutato ogni proposta e di aver accantonato l’idea! Ho capito perché lo ha fatto, in realtà è addirittura una cosa sensata, è da una vita che vado avanti a parlarle dei benefici di un’alleanza, ma non avrei mai pensato che un giorno si sarebbe presentata qui, in casa mia, assieme a un marito. Nemmeno brutto, tra l’altro».

«Per fortuna che Beerus non ti sente» commentò Champa «Non mi hai ancora detto per cos’avete litigato, questa volta».

«Colpa dell’incubo. Di nuovo» disse Anise «E della sua voglia di portarmi subito via di qui, che aumenta sempre più ogni volta. Un po’ lo capisco, essere tormentato da certi incubi non è piacevole e credimi se ti dico che mi dispiace veramente tanto per lui, però puoi ben capire che io, per come vanno le cose al momento, mi sento poco propensa a trasferirmi da lui e iniziare una convivenza».

«Tutti questi incubi di Beerus però iniziano a non piacermi» ammise il dio «Soprattutto perché da quel che ho capito sogna sempre la stessa cosa: Ulthmeer distrutta, tu che vieni uccisa da qualcuno che conosci. È vero, che io sappia i suoi sogni pseudo profetici non sono accurati, tutt’altro» alzò gli occhi al soffitto «Però… non mi piace».

«È ovvio che continui a sognarlo, questa cosa è diventata una sorta di chiodo fisso per lui. Evidentemente non si è mai tolto veramente dalla testa quello che ha visto la prima volta in cui ha avuto questo incubo» disse Anise «Cosa che ha dato origine a quello successivo, peggiorando questa sua sorta di ossessione, e da lì in avanti, complice la sua poca stima per Calida, il tutto è degenerato ulteriormente, fino ad arrivare a diventare motivo di una discussione per colpa della quale non abbiamo contatti da tre giorni. Un distacco poco coerente con la sua volontà di proteggermi a ogni costo… ma è meglio questo che averlo attorno arrabbiato».

«Tanto proteggerti da qualsiasi cosa penso io» esclamò Champa, mettendole un braccio attorno alle spalle «Lo sai».

«In certi momenti riesci a proteggermi perfino dai brutti pensieri» sorrise la ragazza «Però oggi, come dicevamo prima, ho in testa mia sorella. Calida mi ha detto che questa alleanza deriva dal fatto di voler vincere, invece di limitarsi a restare in piedi, e io le credo… però ho come avuto la sensazione che si sia trattato di una soluzione alternativa “estrema”. Alternativa a cosa, non lo so. Inoltre mi auguro che suo marito in futuro non faccia l’idiozia di pugnalarla alle spalle, o comunque che Calida riesca a non farsi uccidere. Champa, poco fa ti sei sorpreso della mia preoccupazione, ma non saresti allarmato anche tu se qualcuno che conosci infrangesse così i propri schemi comportamentali?»

«Forse. Però tu non puoi farci molto, e comunque tua sorella è una che se la cava. Abbi paura per tuo cognato, se mai. A me dispiacerebbe se morisse prima del tempo» commentò il ragazzo.

«Immagino che questo sia dovuto al quel che ha detto di Beerus. È un miracolo che non l’abbia fatto fuori subito».

Il giorno in cui Calida aveva portato Dolmer in casa di Anise, Beerus li aveva accolti malissimo, convinto che Calida avesse portato lì Dolmer come “pretendente” di Anise.
La faccia che aveva fatto quando aveva saputo che quel Lusan lì era sposato con Calida era stata da primo piano, e la sua grassa risata nell’ululare quanto fosse “Assurdo e ridicolo che una cosa del genere abbia trovato marito” aveva fatto vergognare Anise delle sue maniere -e un po’anche Champa.
Il divertimento di Beerus tuttavia era durato poco: era bastato un “Capisci cosa intendevo?” di Calida rivolto a Dolmer che, dopo aver alzato gli occhi al soffitto, aveva detto “È proprio il dio che non meritiamo e, soprattutto, quello di cui non abbiamo bisogno”.

Champa fece spallucce. «Non possiamo prendercela col marito di tua sorella se è una persona obiettiva, Beerus è stato peggio che maleducato. Se io sapessi che la mia fidanzata non gradisce che si rida in faccia a sua sorella, non lo farei».

«Quando troverai la donna giusta per te, lei potrà ritenersi molto fortunata».

«Forse qualcuno dovrebbe spiegarglielo. Alla donna giusta» aggiunse il giovane «Ho oltre ventun anni e non ho mai avuto una ragazza fissa. Sì, lo so che per un Hakaishin questo è piuttosto normale, so che in realtà è strano il contrario, però vedo te e Beerus…»

«Come se io e Beerus fossimo un bell’esempio! Non lo siamo più da un pezzo, quindi non parliamone neppure» sospirò la ragazza.

«Magari in futuro andrà meglio. Insomma, lo spero, perché quando ti vedo contenta sono più tranquillo… però ehi! Se le cose per disgrazia non dovessero andare bene c’è sempre il piano B!» esclamò l’Hakaishin, indicandosi.

Anise aggrottò la fronte. «In che senso?»

«Se tu e Beerus vi lascerete, verrai a stare a casa mia!» esclamò Champa «Troverò il modo di renderti immortale come me, passeremo l’eternità andando in giro insieme a divertirci e, soprattutto, tu mi farai da spalla quando ci proverò con una ragazza. Io farò lo stesso per te quando vorrai provarci con un ragazzo, ovviamente!»

L’Hakaishin sapeva fin troppo bene che in realtà, se suo fratello e Anise si fossero lasciati e lui avesse davvero tentato di mettere in pratica quel piano, Beerus gli avrebbe fatto il sedere a strisce… però quello era solo un minuscolo, insignificante dettaglio.

«Saremmo una squadra imbattibile! Tu però in realtà non hai bisogno di una spalla, Champa, hai bisogno di rimanere da solo con una ragazza senza avere la tua maestra attorno. Magari senza che questa ragazza sia una prostituta».

«È difficile. A parte gli scherzi, Vados non mi lascia mai solo con una ragazza che non fa quel lavoro lì. Mai» ripeté il giovane «Letteralmente. La sola eccezione sei tu, e questo perché sei fidanzata con Beerus. Mi sono fatto l’idea che voglia evitare di fare lo stesso “errore” di Whis».

«È più che plausibile».

Seguì qualche attimo di silenzio, per fortuna non pesante.

«Immagino che resterai pensierosa fino a quando la battaglia non finirà» disse Champa.

La Lusan si raggomitolò sul divano. «Probabilmente resterò pensierosa fino a quando il tutto non sarà finito, in un modo o nell’altro. Vedi, Champa, il fatto è che mia sorella è importante per me. Ricordo che da bambina vivevo nell’ombra di Calida, ma era un’ombra in cui ai tempi mi sentivo al sicuro. So che lei è una persona alquanto strana -e un po’lo sono anche io- e so benissimo a quali livelli di brutalità può arrivare, ma nonostante questo, nonostante tutto quel che può essere o non essere successo tra noi, io so che senza di lei non sarei qui. Per non parlare del fatto che non saprei fare la metà delle cose che invece so fare, se non fosse per Calida. Per tanti anni siamo state una la sola famiglia dell’altra. Non posso dimenticarlo. Non ci riuscirei nemmeno volendo».

Champa pensò a quanto fosse assurdo che due persone senza alcun legame di sangue fossero più legate di due fratelli gemelli, tuttavia non disse nulla, limitandosi ad imitare Anise nell’ascoltare in silenzio il rumore del temporale.





***





La battaglia nella città di Sarumeer infuriava, esattamente come infuriava la pioggia.

La parte degli eserciti congiunti di Ulthmeer e Kahzameer che fino a quel momento aveva mantenuto l’assedio stava dando finalmente l’assalto, dopo aver superato la doppia cinta muraria. Le urla di guerra si mescolavano con lo scrosciare continuo dell’acqua che, se fosse giunta prima, per la città di Sarumeer sarebbe stata una benedizione.

Il rombo di un tuono squarciò l’aria esattamente quando Dolmer Kahzameer a-ghekavary tagliò di netto la testa di un Lusan di Sarumeer.

Alcuni Lusan tra coloro che erano sopravvissuti alla fame, alla sete e alla pestilenza si erano semplicemente arresi senza colpo ferire, troppo sfiancati in ogni senso per poter reagire, ma altri si stavano battendo contro di loro con tutte le poche forze che avevano in corpo, mossi più dalla rabbia viscerale per quel che avevano patito che dall’odio secolare tra una città e l’altra.
Un odio che forse era un po’meno forte di quanto lui avesse creduto, pensando all’equilibrio decente che aveva trovato con sua moglie.

«Hogevor Dolmer, siamo riusciti a radunare quelli che si sono arresi» lo informò una dei suoi luogotenenti, dopo averlo raggiunto «E siamo a buon punto nell’uccisione delle persone che invece non lo hanno fatto».

«Bene, allora cerchiamo di continuare così e raggiungiamo mia moglie. Ovunque sia».

L’aveva persa di vista quando erano riusciti a valicare le mura -com’era successo anche a Moriameer- pur essendosi ripromesso di non lasciare che una cosa del genere accadesse; erano alleati, secondo lui avrebbero dato un’immagine migliore se si fossero fatti vedere mentre combattevano assieme.

«Nonostante la pioggia sono sicura di averla vista poco lontano da qui, non dobbiamo far altro che correre là».

Senza por tempo in mezzo, entrambi corsero in direzione del luogo in cui la luogotenente era convinta di aver visto Calida, scoprendo ben presto che non si era affatto sbagliata.

Altri soldati di Ulthmeer e Kahzameer erano impegnati a combattere in quella piazzola, ma Calida e la sua stazza saltarono subito all’occhio di Dolmer.
Esattamente come gli “saltò all’occhio” il modo in cui Calida agguantò un Lusan maschio per la nuca e sbatté con forza la sua testa contro il muro di pietra di un edificio, trovandosi in mano una melma indistinta di sangue, materia grigia e frammenti di ossa.
Come da cliché, a Dolmer parve che il tempo si stesse dilatando: osservò la “melma” mescolata all’acqua tra le dita guantate di Calida, lo sguardo profondamente soddisfatto nei suoi occhi verdastri parzialmente nascosti dalle ciocche di capelli neri appiccicate al volto, il candore dei denti snudati in un ghigno crudele.
Anche a Moriameer l’aveva persa e ritrovata, anche a Moriameer l’aveva vista battersi con furia, eppure quel che aveva ora sotto gli occhi gli risultava “diverso.”

Un pensiero improvviso lo colpì come se fosse stato una sassata: “Il precedente capo di Ulthmeer è morto con il cranio spappolato”.

La morte di Meskal aveva fatto notizia, ai tempi, perché Meskal oltre a essere un capo era stato un guerriero esperto. Lui, come gli altri, non era riuscito a venire a sapere chi fossero i colpevoli -i quali sarebbero stati premiati, se fossero stati abitanti della sua città- ed era quello il punto: “i” colpevoli.
Tutti quanti avevano sempre creduto che fosse stato assalito da un gruppo di Lusan mentre era solo, lui stesso lo aveva fatto, però ora si chiedeva se non fosse stata Calida, invece, a uccidere da sola il proprio cognato.
Questi non aveva forse ripudiato la sua amata sorella?

Fu costretto a riscuotersi dai propri pensieri quando intravide con la coda dell’occhio un movimento alla sua sinistra, riuscendo appena in tempo a notare una Lusan inferocita e a evitare il proiettile di un hrat’san.

Riuscì ad avere ragione di lei scattando nella sua direzione e uccidendola con un singolo affondo della spada, pur avendo perso per un attimo l’equilibrio a causa dei sanpietrini resi scivolosi dalla pioggia, e quando si voltò si rese conto di essere ormai schiena a schiena con Calida.
Gli parve che lei avesse detto qualcosa, ma non riuscì a udirla per colpa del clamore attorno a loro e dell’ennesimo tuono; capendo che cercare di parlare era assolutamente inutile, escluse dalla propria attenzione qualunque cosa non fosse la battaglia in corso.
Come in tutto il resto delle città i fucili a pietra focaia non erano un’arma particolarmente diffusa, dunque si trovarono ad affrontare degli invasati che combattevano a mani nude o all’arma bianca, menando fendenti con spade e pugnali, pugni e calci a destra e sinistra.

Lui e Calida insieme stavano riuscendo a guardarsi le spalle in maniera efficace, evitando quasi del tutto di riportare danni, ma Dolmer vide morire la sua luogotenente, il cui volto venne letteralmente sbranato da un Lusan con l’aria completamente folle di rabbia e probabilmente anche di fame.
Pur essendo avvezzo alla brutalità era abbastanza sicuro che avrebbe faticato a togliersi dalla mente il modo in cui i denti di quella bestia erano affondati nella carne e l’avevano lacerata senza pietà; stava faticando anche adesso, specie sapendo di essere troppo impegnato con i propri avversari per poter aiutare qualcuno che, in ogni caso, era già senza speranza.

Non seppe dire per quanto andò avanti quella lotta furiosa, perché senza rendersene conto aveva perso, in parte, anche il senso della realtà oltre che quello del tempo; smise di fendere l’aria con la spada solo quando sentì una presa potente e dolorosa al polso.

«È finita».

Dolmer batté le palpebre, riacquisì pieno controllo di sé, e solo allora Calida -perché di lei si trattava- lo lasciò andare.

«So che è finita, lo avevo notato» disse il Lusan.

«Al terzo fendente a vuoto mi è venuto qualche dubbio» ribatté Calida, avendo cura di farlo piano, vicino all’orecchio «Sono cose che succedono, quando ci si batte contro persone affamate».

«Quali cose?»

Calida non si curò di rispondergli, sapendo benissimo che in realtà aveva capito, e lui non insistette oltre.

«So che quelli che si sono arresi sono stati radunati nel tempio di Q’thulu. Tra essi c’è anche il Sagartaibh. Immagino che tu ne sia sollevato: abbiamo conquistato la città e assecondato il tuo intento di risparmiare gli uomini di fede. Ora non dobbiamo fare altro che pensare alle cose pratiche. Mi segui?»

Dolmer annuì e, dopo un ultimo attimo di esitazione, si rivolse ad alcuni soldati in attesa di ordini. «Fate in modo che lo sbarramento costruito per deviare il fiume venga demolito entro oggi, e portate tutte le attrezzature e le provviste del campo in città. Bruceremo i cadaveri appena questa maledetta pioggia smetterà di cadere».

I soldati si allontanarono, lasciando lui e Calida soli.

«Ora ne mancano “solo” quattro. Quelle quattro città laggiù» disse la Lusan, con un vago cenno del capo in direzione delle suddette «Credo che dovremo muoverci in fretta, lasciare nelle nostre città il numero di soldati indispensabile per difenderle, e attaccare in forze i nostri avversari il prima possibile. Se prima non erano troppo convinti dell’efficacia della nostra alleanza, quando sapranno cos’abbiamo appena fatto lo diventeranno sicuramente».

«Dovremo per forza lasciar passare del tempo, non possiamo partire all’attacco con dei soldati stanchi» obiettò Dolmer.

«Non a caso ho parlato di prenderne altri dalle nostre città. Io voglio lasciar passare al massimo una settimana, non di più, prima di muoverci».

«Cosa temi, Calida? Che quelle quattro città si sveglino e si alleino contro di noi?»

Calida fece spallucce. «Fino a qualche tempo fa anch’io avrei detto una cosa del genere con lo stesso tono. Poi però mi sono alleata con te e ti ho sposato».

“Eppure potrebbe non bastare…” pensò.

Le parole di Dolmer riguardo il futuro le ronzavano ancora in testa.
Pensando alle calde acque del lago di Vynumeer, al potere che si nascondeva sotto di esse, al prezzo che avrebbe dovuto pagare e ai miglioramenti della propria salute mentale, sperò di non dover mai, mai ricorrere a quei mezzi che aveva fatto di tutto per evitare.








Ciao a tutti! Problemi di vario genere mi hanno tenuta lontana da questa storia, alla cui fine mancano appena cinque o sei capitolo.
Ho aggiornato dopo un ritardo a dir poco epico, ma ce l'ho fatta.
I miei ringraziamenti più sentiti e sinceri vanno a coloro che si sono interessati al destino di questa storia durante la mia assenza: a chi mi ha chiesto notizie, a chi ha recensito nonostante sembrassi scomparsa dalle scene. Grazie.
Non ho nient'altro da dire, se non... a presto (;



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