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Autore: NPC_Stories    09/07/2018    7 recensioni
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L'amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.

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[Jolly Adventures, capitolo L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3)]
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Quando Johel ha portato il suo strano amico (all'epoca vivo e vegeto) a conoscere la sua famiglia, inizialmente non è andata molto bene.
Questa non è la storia di come è cominciata, ma è la storia di come la più improbabile delle creature è diventata un Ruathar, aiutando un elfo che era stato rapito e preso prigioniero. È una storia di gesta eroiche, manipolazioni a fin di bene, gente morta e sensi di colpa, ma anche di amicizia e rapporti familiari, insomma come tutte le loro storie.
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Warning: più avanti si parla di tortura, sesso e violenza non descrittivi; si sconsiglia la lettura ad un pubblico troppo giovane.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1287 DR: Le loro regole

“Quindi è fatto così, un drow!”
Daren si alzò a sedere di scatto, in allarme. Si era sdraiato un momento a guardare il cielo, che risplendeva degli splendidi colori del tramonto, e fino a un attimo prima era assolutamente sicuro di essere solo.
Si sbagliava. La voce allegra e infantile che l'aveva colto così alla sprovvista apparteneva a un ragazzino elfo, anzi, un bambino: non poteva avere più di nove o dieci anni.
“Che cosa fai qui, monello? Non è proibito avvicinarsi a me?” Inquisì il drow, guardandolo male.
Il bambino scrollò le spalle e scosse la testa, facendo ciondolare i morbidi ricci castani. “Sì, ricordo qualcosa del genere... ma le leggi non mi interessano.” Disse con aria noncurante.
Daren studiò il piccolo per un lungo momento: era chiaramente un elfo dei boschi, parlava con lo stesso accento degli elfi di Sarenestar, sembrava disarmato e innocuo. E solo.
Come è arrivato qui? Non c'è nessuno con lui?
“Torna a casa, su. Fuori dai piedi.” Gli intimò, indicandogli la foresta.
“Uhmmm...” il bambino guardò la selva con aria critica. “Inizia a fare buio e io ho paura a camminare nel bosco di notte.”
Un'obiezione ragionevole, si rese conto l'elfo scuro.
“Chi ti ha accompagnato qui?”
Il piccolo lo guardò senza capire. “Sono venuto da solo, no?”
Daren era sempre meno convinto.
“Chi sei? Perché sei qui?”
“Mavael. Mi chiamo Mavael.” Si presentò con un gran sorriso. “E volevo conoscerti perché ero curioso. Raerlan dice che sei una brava persona.”
“Ah, così sei amico di Raerlan.” Il drow si alzò in piedi, spazzolandosi i calzoni. “Avrei dovuto capirlo, sei imprudente come lui. Dai, vieni, ti accompagno al limitare della foresta. Ci sono dei ranger lì, uno di loro potrà riportarti a casa.”

I due si avviarono con passo tranquillo verso la cima della collina, dove ufficialmente cominciava la foresta e il territorio degli elfi.
Daren si fermò a pochi passi di distanza dai primi alberi, guardandosi intorno. Gli sembrava che non ci fosse nessuno.
“Ehilà! Elfi della foresta di Sarenestar! Uno di voi potrebbe riportare a casa questo bambino?” Chiamò, ad alta voce.
Nessuna risposta, tranne il verso offeso di un gufo svegliato prima del tempo.
“EHILÀ!” Ripeté il drow, stavolta gridando. “C'è nessuno?”

Tre ranger erano appostati come al solito fra le fronde degli alberi, ma gli elusivi elfi dei boschi imparavano fin da bambini a mimetizzarsi fra le fronde. Nemmeno la vista acuta del drow era riuscita a scovarli.
I due ranger di grado inferiore guardarono all'unisono verso il loro capo. Quel giorno, proprio Tazandil, il padre di Johel, capitanava la spedizione di sorveglianza.
L'elfo dei boschi rifletté velocemente; quella era un'occasione per testare la correttezza del drow, mettendolo davanti a una scelta in cui qualsiasi soluzione sarebbe stata sbagliata. Fece cenno ai suoi di rimanere nascosti e in silenzio. Voleva vedere cosa avrebbe fatto quel sedicente “amico”.

Daren era davvero molto combattuto.
Dire che Sarenestar fosse il territorio degli elfi era una definizione generosa: i ranger erano pochi e la superficie da pattugliare era vasta, la foresta non mancava di mostri e goblinoidi, per non parlare dei semplici animali come lupi o cinghiali che potevano essere molto pericolosi, specialmente per un bambino solo. Strane ombre cominciavano a intravedersi fra gli alberi e il drow non aveva grande esperienza di cosa potesse vivere in una selva. Quindi immaginava il peggio.
Che faccio? Non posso lasciare che questo bambino torni a casa da solo, potrebbe dover camminare per ore. Ma se entro nella foresta mi uccideranno.
Posso forse tenerlo con me per stanotte? No, i suoi genitori andrebbero fuori di testa. Deve tornare a casa.

L'elfo scuro considerò tutte le possibilità, lasciò vagare lo sguardo sugli alberi deserti (o almeno credeva che fossero deserti) con l'aria di aver subito un torto, e alla fine prese la sua decisione.
Sganciò dalla cintura i foderi delle sue spade corte gemelle, con movimenti lenti e senza mai avvicinare le mani alle impugnature. Una alla volta, appoggiò le spade sulle radici del primo albero che aveva davanti. Poi fu il turno della sua spada bastarda, a cui era particolarmente affezionato: anche quella rimase sul limitare del bosco. Infine, si liberò anche del pugnale che teneva nello stivale. Prese in braccio il bambino, sollevandolo di peso, e si addentrò nella foresta con il cuore in subbuglio.
Oh, al diavolo. Si disse per farsi coraggio. Arriva sempre un momento nella vita in cui si deve decidere se seguire le regole o fare la cosa giusta.

“Mi porti a casa?” Chiese il ragazzino, sistemandosi meglio in braccio al drow. Daren aveva già avuto a che fare con dei bambini, alcuni spaventati, alcuni capricciosi, ma finora nessuno si era mai mostrato così tranquillo e sicuro di sé. O sicuro di lui.
“Ti porto dal primo elfo che incontriamo.” Lo corresse. “Non ho il permesso di entrare nella foresta.”
“Eppure vedo che questo non ti ha fermato, drow.” Intervenne una voce autoritaria, che Daren conosceva bene. Imprecò internamente e si voltò: Tazandil era lì.
Ovviamente. Comprese l'elfo scuro. C'era, ma ha fatto finta di non sentirmi.
Altri due elfi sbucarono dal sottobosco, uno alla destra di Daren e uno alla sua sinistra. Tutti e tre avevano una freccia incoccata e l'arco in tensione.
“Ti fai scudo dietro a un bambino?” Lo provocò nuovamente l'elfo più anziano.
Vaffanculo, Tazandil. Sul serio, vaffanculo di cuore.
Daren lasciò andare il bambino, guardando malissimo l'elfo. Contrariamente a ogni sua previsione, il ranger abbassò l'arco. Gli altri due lo imitarono, segretamente sollevati. A loro giudizio, il drow non aveva fatto nulla di male, aveva anche posato a terra il bambino rinunciando ad una possibile copertura...
“Hai scelto di disobbedirmi.” Considerò Tazandil. “Hai forse dimenticato le mie minacce?”
“Ho provato a chiamare aiuto.” Spiegò il drow. “Non per me, ma per questo ragazzino. Nessuno ha risposto. Cosa dovevo fare, lasciare che si incamminasse da solo nella foresta di notte? O tenerlo con me, lontano dai suoi genitori?”
“Ti ho chiesto se hai dimenticato le mie minacce, drow.” Ripeté il ranger, mortalmente serio.
“No, la mia memoria funziona ancora molto bene!” Sbottò Daren. “Se mi concedi un ultimo desiderio, vorrei darti un pugno in faccia.”
Uno dei due esploratori venne colto da un improvviso attacco di tosse, dissimulando in modo passabile una risatina. Tutti rispettavano Tazandil per le sue abilità combattive e per la dedizione verso i suoi compiti, ma non significava che fosse molto simpatico ai suoi sottoposti.
“Elendyl.” Ordinò il ranger capo, rivolto all'elfo che aveva riso. “Prendilo prigioniero.”
L'elfo più giovane lo guardò incredulo, poi guardò Daren, poi di nuovo il suo capo.
“Io? Da solo?”
“Sì, tu, da solo. Raedeth andrà a prendere le sue armi. Cosa c'è, hai paura di un nemico disarmato?” Lo istigò Tazandil.
“Non sono un nemico!” Protestò Daren.
“Sono giustamente prudente.” Borbottò Elendyl. “Si tratta di un drow.”
“Se tenta qualche scherzo, gli pianto una freccia in gola.” Promise il vecchio elfo, risollevando l'arco.
Mavael si fece avanti coraggiosamente, guardando i tre ranger dal basso dei suoi tre piedi e mezzo d'altezza. “Raerlan dice che lui è a posto, e Raerlan lo sa sempre quando una persona è cattiva. Ha il sesto senso, come sua madre, perché loro sono magici.” Spiegò il bambino, con l'aria di voler essere d'aiuto. “Infatti l'elfo scuro mi stava aiutando a tornare a casa.”
“Con te faremo i conti dopo, marmocchio.” Promise Tazandil. “Non so come hai fatto ad arrivare lì senza che ti vedessimo, ma ti assicuro che non lo farai più. Parlerò chiaro con i tuoi genitori!”
“Mia mamma è morta.” Spiegò il bambino, facendosi da parte mentre uno dei ranger legava le mani di Daren dietro la schiena. Il drow non oppose resistenza, sarebbe stato inutile, era disarmato. “Mio padre è in missione. Io sto con Raerlan per il momento, è amico della mia famiglia.”
“Allora parlerò con Raerlan. Un altro gesto irresponsabile come questo, e lo sollevo dai suoi doveri di ranger.” Tazandil prese per mano il bambino e iniziò a trascinarselo dietro, in modo deciso ma non aggressivo.

Gli elfi scortarono il piccolo Mavael, il prigioniero drow e le sue armi fino al loro accampamento. I ranger della zona settentrionale conducevano una vita seminomade, pattugliando i confini della foresta e proteggendo gli insediamenti che si trovavano più all'interno. Il campo però era fisso: questo gruppo presto si sarebbe spostato altrove e un altro gruppo avrebbe occupato questa postazione. Questo sistema minimizzava gli errori dovuti alla sbadataggine, perché i dettagli sfuggiti ad un ricognitore potevano essere notati da un suo collega, e la vita nomade impediva ai ranger di cedere alla noia e all'abitudine; un'eccessiva sicurezza di sé spesso è l'anticamera del fallimento.
C'erano delle gabbie di legno nell'accampamento, che di solito venivano usate per tenerci i prigionieri che dovevano essere interrogati. L'elfo scuro venne sospinto dentro una di quelle gabbie. Quelle anguste celle erano troppo basse perché potesse stare in piedi, e la sua non faceva eccezione, quindi si sedette. Uno dei pali di legno era scortecciato in un punto, da quello Daren intuì che di solito i prigionieri venivano legati in modo che la corda passasse intorno al palo. Nel suo caso però non lo fecero, i suoi polsi erano sempre legati dietro la schiena ma lui era libero di muoversi per la gabbia... bassa e angusta. Ciò non di meno, era sempre un trattamento leggermente migliore del solito e questo gli dava un po' di speranza.

     

   
 
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