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Autore: Lila May    11/07/2018    2 recensioni
/ Sequel di Disaster Movie / romantico, slice of life, comico (si spera) /
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10 anni dopo la terribile, anzi, mostruosa convivenza con i ragazzi della Unicorno, Esther Greenland passeggia per le strade di New York a tacchi alti e mento fiero. Il suo sogno più grande si è finalmente realizzato, e tutto sembra procedere normale nella Grande Mela americana.
Eppure, chi l'avrebbe mai detto che proprio nel suo luogo di lavoro, il gelido bar affacciato sulla tredicesima, dove non va mai nessuno causa riscaldamento devastato, avrebbe riunito le strade con una delle persone più significative della sua vita?
Il solo incontro basterà per ribaltare il destino della giovane, che si vedrà nuovamente protagonista del secondo disastro più brutto e meraviglioso della sua esistenza.
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❥ storia terminata(!)
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bobby/Domon, Dylan Keith, Eric/Kazuya, Mark Kruger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter twentythree.
 
Like you're bathin' in Windex


<< Mary, tesoro, posso entrare? >>
Mary sospirò e smise di pettinarsi i lunghi capelli color oceano quando la testa di Esther fece capolino dalla porta socchiusa del bagno.
Strinse le spalle, annuì e la osservò sgattaiolare dentro con un cipiglio speranzoso. L'amica indossava uno smanicato dal collo alto, rosa chiaro, e dei comodi jeans a vita alta dalle tasche percorse di piccole perle bianche. I capelli mossi le cadevano sul seno prosperoso con la delicatezza di onde del mare baciate dai primi raggi dell'alba. Era bellissima, e glielo disse senza problemi.
<< Lo farai smuovere, a quel Kruger. Altro che Melanie. >>
A quel commento ammiccante, Esther si guardò la punta delle nike, imbarazzata. << Mary... >> borbottò, e le venne vicino. << ho parlato con lui. >>
<< Allora, che dice? Posso venire con voi oggi, o no? >>
Mary mise su l'espressione più docile del mondo, ma in realtà sentiva un disperato bisogno di andare con Esther, seguirla ovunque. Qualsiasi cosa, pur di non restare in casa sola con Erik.
Esatto, Erik.
Quel giorno Dylan era incappato in un impegno impossibile da rimandare, quindi non era riuscito a portarla fuori come le aveva promesso; il che era chiaro e lecito, considerando che Keith praticava comunque una vita piuttosto attiva nel Downtown di Los Angeles, tra scartoffie varie, traffico e compagni che non facevano altro che chiamarlo ogni singolo minuto della sua esistenza già frenetica.
Ma ora che Mark ed Esther avevano improvvisamente deciso di uscire per i fatti loro, voleva aggregarsi a tutti i costi all'amica. In caso di diniego sarebbe rimasta sola con Eagle, un problema che doveva e necessitava assolutamente di evitare.
Non si sentiva ancora pronta a parlare con lui.
Non voleva, si riufiutava di farlo.
<< Ehm... Mark... >> Esther si schiarì la gola e aggrottò un sopracciglio. << non vuole. >>
A quella risposta indesiderata, Mary sentì la rabbia accendersi nelle vene come un lampo nell'oscurità. Il sangue le salì al viso, gli occhi color perla tremarono di agitazione mentre cercava di tenere l'impetuoso tono di voce sotto il più sottile dei controlli. Mentre cercava di non immaginare un possibile affronto verbale con Erik. << Mark è un pezzo di merda! >> non ci riuscì, ovviamente, tipico suo. << Che cosa gli cambia?! Quanto gli costa?! >>
<< Sì lo so che è un pezzo di merda... tesoro, ascolta... >>
<< Esther! Come farò ad evitare Erik?! Rimarrò sola con lui! Hai già dimenticato cosa mi ha fatto quel coglione? >>
No, Esther non aveva affatto dimenticato come Erik Eagle si era preso gioco della sua migliore amica, portandosela a letto e usandola come recipiente per il suo stupido dolore.
Eppure, la cosa migliore che lei e Mark potessero fare in quel momento era aprofittare dell'occasione per lasciarli un po' soli, di modo che potessero avvicinarsi e discuterne insieme, nella calma e nel calore di una casa che per tutti era diventata un punto di ritrovo. Nessuno di loro aveva intenzione di passare un Natale tra spaccature. Tra rancori. E ora che le cose si erano calmate un po', era il caso di porre rimedio anche a quel punto interrogativo della loro vita. Non si trattava più di una questione tra Eagle e la blu; riguardava tutti, Mark, Esther, Dylan e persino Bobby.
E avrebbero trovato una soluzione insieme, a costo di distruggere tutto e poi ricostruire con più forza ancora. << Mary, qui vicino c'è un parco, un campetto da calcio, alcuni negozi di moda. Esci un po', se proprio non riesci a stare con lui. Ma se posso darti un consiglio da amica, parlaci. Chiaritev--
<< Sta zitta, stronza, che cazzo ne sai! >> la interruppe Mary, per poi spingerla fuori dalla porta del bagno senza darle neanche il tempo di comprendere cosa fosse appena accaduto tra loro. Esther provò a dire qualcosa, qualunque cosa, ma la serratura scattò con talmente tanta forza da sollevarle i capelli.
Rimase dinanzi alla soglia per un po', sconvolta. La tentazione di entrare e tirare l'amica per i capelli era forte, ma alla fine girò i tacchi e si apprestò a lasciare la villetta.
Forse era stronza, forse non ne sapeva davvero un cazzo di quello che stava succedendo. Non le era mai capitato di fare l'amore con un uomo e realizzare di essere stata usata per scopi idioti come quello di dimenticare l'essenza di un'altra donna.
Forse doveva stare zitta e fine.
Ma una cosa non la poteva affatto ignorare, e fu l'unico motivo che la spinse a raggiungere Mark con un sorrisetto ironico stampato sul volto, le mani strette intorno alla borsa color azzurro zucchero; che le voleva bene, e che l'avrebbe aiutata, fino alla fine.
Questo fanno le amiche stronze, giusto?
Quando Mark la vide arrivare salì in macchina, accese il motore e ingranò la marcia per uscire dal cancello che si stava lentamente distendendo per concedergli il passaggio. << Allora? >>
Ruotò il volante di cuoio e in un attimo fu fuori. << Come l'ha presa la tua amica? >>
<< Non molto bene. >>
<< Immagino mi consideri un pezzo di merda. >>
<< Con questa chicca ti sei fatto proprio odiare, Mark. >>
<< Fantastica notizia. >> il biondo sospirò e lasciò che la morbidezza del sedile gli avvolgesse le spalle, mentre la mente mandava giù la tremenda batosta. Sapeva che quella ragazza avrebbe reagito male al suo divieto, ma c'era stato un intento più che sincero dietro alla sua negazione.
Teneva ad Erik, e voleva vederlo felice.
Con quel “no” aveva solo cercato di concedere loro del tempo per parlarne davanti ad una tazza di caffé, e quando lo aveva rivelato ad Esther, e le aveva spiegato i motivi del perché Mary era meglio non venisse con loro, lei era stata d'accordo.
<< Non ti preoccupare, Mark. >>
Riportò lo sguardo sulla mora, pensieroso, e annuì. Sperava solo in qualche passo avanti, anche piccolo. Non importava il fatto che Erik fosse troppo insicuro per affrontare la situazione, e Mary troppo ferita per poterlo perdonare.
Bisognava agire, e in fretta. Nessuno aveva mai amato passare le feste col cuore pesante e la mente a cocci.
La mora si mise la cintura, e l'allarme dell'auto smise di lampeggiare come una sirena della polizia in tangenziale. << Ci siamo promessi di passare un felice Natale, vedrai che sarà così! >>
<< Quanto male ha reagito, la tua amica? >>
<< Eh? Ehm, abbastanza, ma quando è davvero arrabbiata si comporta sempre così. Non posso dire nulla. Io sono tre volte peggio. >>
Mark cominciò ad avanzare lentamente, come se temesse di vedersi sgretolare la strada da un momento all'altro. << Ti ha detto qualcosa? >>
<< Solo che sono una stronza. >>
A quelle parole staccò gli occhi dall'asfalto e guardò la migliore amica a bocca schiusa. << Really? Ti ha detto questo? >>
<< Really really. >>
Quando le donne si azzannavano a parole, non era mai un buon segno, perché spesso e volentieri era un chiaro messaggio di rottura. Il problema era che quella volta la colpa era sua, e non delle due giovani amiche. Si accasciò sul sedile e storse le labbra. << … scusami. >>
<< Mh? >>
<< Sarei dovuto andare io a parlarci. Forse avrebbe evitato di insultarti. Invece ho mandato te, pensando che tra amiche tutto sarebbe stato più leggero. >>
Esther lo guardò incredula, e gli tirò un pugno contro la spalla per fargli comprendere che scusarsi per una simile sciocchezza era stato un tremendo errore. Ma se le parole di Mary le avevano lasciato l'amaro in bocca, quelle di Mark cancellarono ogni sintomo di dolore. Fu acqua fresca sul rancore, lenì ogni traccia di fastidio. Volle ringraziarlo, ma si limitò a rassicurarlo che era stato meglio così. E a ritirargli un pugno, facendolo lamentare. << Questo è per le scuse. E anche per l'orrenda camicia che porti. >>
Mark si guardò la camicia con circospezione, facendola sorridere. Le aveva forse creduto?
La verità era che Kruger stava bene con qualsiasi cosa addosso.
Solo, non lo sapeva.
Riprese il filo del discorso, cercando di ritornare con i piedi per terra. << Se per sperare in un miglioramento devo essere stronza, tanto vale che io sia stronza al massimo. >>
<< Così mi piaci. Allora lo sarò anche io. >>
<< Perfetto! E ora vamos! >> scrocchiò le nocche delle mani con grinta sovrumana, già pregustando il dolce momento in cui avrebbe convinto l'amico a farsi comprare uno, due e magari anche tre - e quattro e cinque - indumenti adorabilmente alla moda. Come? Stregandolo col suo infallibile sguardo da povera cerbiatta senza più un risparmio, ovvio.
<< Voglio fare tanto shopping, i saldi di natale non durano in eterno! >>


 
 
Attraversare il corridoio, raggiungere la porta, uscire e imboccare il marciapiede di sinistra. Nulla di più semplice. Eppure a Mary in quel momento sembrava la cosa più ardua del mondo, non tanto per i tacchi alti che portava ai piedi, e che sulla moquette candida che si estendeva per quasi tutta la villetta traballavano come serpenti ipnotizzati.
Il problema vero era la maledetta presenza di Erik sul divano, intento a leggere le ultime notizie su un giornale sportivo.
Doveva passargli accanto in perfetto silenzio, per evitare di essere fermata e inculsa in una conversazione che non voleva affrontare.
Si prese la testa tra le mani, affondando le dita tra i morbidi capelli blu. In quel momento desiderava solo uscire da quella casa.
Trovare un attimo per chiamare Esther e chiederle scusa, e dirle che le voleva tanto bene, ma che Kruger era davvero uno stronzo. 
Quello voleva fare.
Ma Erik, lì, le stava facendo venire una tremenda angoscia.
Dai Mary, dai Mary.
Prese un sospiro a metà e mosse il piede sinistro. Poi l'altro. E poi cominciò a zampettare col cuore in gola.
In neanche cinque passi Eagle si accorse di lei, ovviamente, e abbassò il giornale con un fruscio di fogli spiegazzati.
Le sorrise.
Sgamatissima.
<< Ehi! >>
Mary sbuffò talmente forte che il castano non ebbe bisogno di ulteriori spiegazioni per capire quanto lei lo odiasse e quanto la sua presenza in quella casa la stesse frustrando da morire, ma fece finta di nulla e si alzò per raggiungerla.
<< Ho preparato dei toast. Vuoi favorire? >>
<< No grazie, ho intenzione di fare colazione nel bar qui vicino. >>
<< Okay. Beautiful. >> Erik tirò il giornale sul tavolo, raccolse le chiavi della macchina dalla mensola vicino alla porta d'ingresso e aumentò l'ampiezza del sorriso. Un sorriso debole, frustrato e combattuto. Ma pur sempre un sorriso. << Vengo con te. >>
<< No. Preferisco andare da sola. >>
<< Andiamo, Mary... parliamone un attimo. >>
<< No. >>
<< Parliamone. Solo un momento. Per favore. >>
<< No. >>
Erik si prese la testa tra le mani e liberò un sospiro sconfitto dalle labbra abbronzate. La situazione faceva schifo, lo sapeva benissimo anche lui di essere una mezza calza. Mary aveva tutte le ragioni del mondo per provare rancore nei suoi confronti.
Per essere infuriata nera, e sentirsi umiliata e tradita come donna.
Ma le sue intenzioni non erano mai state quelle di trattarla come un giocattolo. Aveva solo cercato di dimenticarsi di una ragazza che era risultata ostica persino da cancellare. Aveva solo tentato di rendere possibile una cosa impossibile, ecco.
Mary non doveva più essere un problema, nella sua vita; al contrario, doveva solo rappresentare l'amica che si era dimostrata più volte di essere, con i suoi difetti e le sue virtù.
Si fece forza con le parole del suo allenatore, quelle che gli aveva detto ieri.
Si convinse che una parvenza di ragione poteva avercela anche lui, in quella lotta personale contro se stesso in cui stava miseramente prendendo reti su reti. << Facciamo un patto. >>
Mary cominciò a giocherellare con le frange della maglietta rosso rubino, nervosa.
<< Tu ora mi ascolti, ti mangi un toast... >> la prese delicatamente per un polso e la trascinò in cucina. Lei non oppose resistenza.
Gliene fu grato. << E ne parliamo con calma. Se non sono stato in grado di risollevarti hai il diritto di chiudere tutti i ponti con me. >>
<< Tu mi hai usata... >> farfugliò lei, ma si sedette a tavola, lasciandosi cadere a peso morto e facendo cigolare la sedia.
<< No, non volevo usarti. >>
<< Ma l'hai fatto. >>
<< Sì, ma ti ho fatto anche i toast. >>
Si guardarono, ed Erik le passò il piatto. << Sono buoni. Sono caldi. >>
Mary li osservò come se fossero una minaccia, come se mangiarli avrebbe comportato un mutamento di DNA. Come se quelle friabili, profumate bruciature sulla crosta le appartenessero.
<< Trust me. Quello che non sa cucinare è Mark. >>
<< Mark è un pezzo di merda. >>
<< Are you sure? Non pensi che non ti abbia fatto uscire con lui ed Esther per permetterci di parlare in santa pace? Meglio approfittarne, tu che dici? >>
Per la ragazza fu come ricevere una soffiata d'aria gelida dritta in faccia. Si strinse nelle spalle e corrucciò le labbra, evitando lo sguardo profondo di Erik dall'altro lato del tavolo. Eagle aveva ragione. Lei non ci aveva minimamente pensato, ad una cosa del genere. Lei si era semplicemente limitata a rivoltare cattiveria su Mark ed Esther, i quali pur di aiutarla avevano scelto di apparire come non erano.
Due stronzi.
Per lei.
Il senso di colpa fu talmente grande che desiderò di avere le ali, per poter raggiungere l'amica e stringerla in un giga abbraccio dei suoi.
Tutti si stavano impegnando per venirle incontro.
Dylan era stato il primo a prenderle la mano, ad aiutarla, a ricucirle le ferite del cuore, e lei in cambio cosa stava dando?
Nulla, assolutamente niente.
Bella egoista che era diventata.
Mezzo mondo a struggersi per lei e l'unica cosa che aveva fatto era stato dare della stronza ad Esther. Non ascoltare le parole di Dylan.
Fare finta di niente.
Afferrò un toast dalla montagnola e se lo portò alla bocca. Era delizioso, ma non lo disse.
<< Mary... >> Erik si morse il labbro inferiore. Era difficile ammettere di essere un misero perdente, ma quella era la sua occasione, il suo momento. Proprio come in un campo da calcio, davanti a milioni di persone pronte a sostenerlo e incoraggiarlo. E gridare il suo nome, “Erik Eagle”, il nome di un ragazzo straordinario.
Il suo nome.
Avrebbe provato a rimettere le cose a posto, anche se non era sicuro di riuscirci al cento per cento. << Io sono innamorato di una ragazza. Silvia. >> l'ultima parola gli incrinò la voce.
Gli fece sobbalzare il cuore.
<< Sì, so chi è. >>
<< Bene, ehm. Anzi, non sono innamorato di lei. Io la amo. E una volta era la mia ragazza. Beh, facevamo un sacco di cose insieme. Cinema. Parco. Discoteca. Lei veniva qua, e stavamo insieme mesi interi, e io ero così felice di averla al mio fianco. Così felice che un giorno le proposi di restare. Per sempre. Solo che... lei non volle separarsi dal Giappone e io dall'America. Allora ci dividemmo. E da quel momento ho smesso di sentirla. Ma non di amarla, e... >>
Mary addentò un altro toast, segno che poteva andare avanti. Che lo stava ascoltando.
<< E boh, da quando l'ho persa mi sento un perfetto idiota... >>
Eagle prese una pausa, come se le parole avessero cominciato a pesare all'improvviso. Faceva male parlarne. Così male che tuttavia sentì il disperato bisogno di gettare fuori il mondo, e liberarsene. Scelse di continuare, a discapito del dolore lancinante che sentiva dentro al cuore. << da quando lei non c'è ho cominciato a frequentare diverse ragazze. A fare quello che voi definite “don giovanni”, ma la verità è che sono solo uno sfigato. Sono stato qualche mese con Suzette. Era solo sesso, niente di più, ma in quel periodo mi sembrava di sentirmi meglio. Lo sapeva solo Mark... poi l'ho lasciata e mi sono messo con un'altra. E un'altra. E un'altra ancora. E rivederla, al matrimonio di Bobby... ha scatenato in me un senso di... di desolazione, mi ha ricordato quanto faccio schifo, quanto sono solo e quanto amo Silvia, e dio, ho bisogno di lei. Tu eri lì e... Mary. >>
La guardò, e prese di nuovo un tiro di fiato. L'aria che incamerò nelle narici gli graffiò le pareti dei polmoni, ma ne ignorò il dolore bruciante.
Ignorò tutto, si sforzò di concentrarsi solo sugli occhi grigi dell'amica che lo guardavano perplessi. Non c'era nient'altro da dire.
Si allungò e le prese una mano. Poi sbatté la fronte contro il tavolo, diede colpa all'amore e chiese scusa.
Uno “scusa” che scivolò via dalla sua lingua prima ancora di rendersi conto di averlo detto, e che suonò più sincero dell'onestà stessa.
<< Scusa, scusami, scusami! L'ho fatto per amore, sono matto lo so, sono andato, completamente. Ma ho una grande considerazione di te, io... io vorrei rimanere tuo amico, quando torneremo a New York. Perché... mi sono affezionato a te, e ti voglio molto bene. >>
Fu con quello che chiuse il discorso, per paura di dire qualche altra assurdità.
E fu sempre lui che quando il silenzio divenne più pesante di una muraglia di piombo si alzò, la salutò nervoso e se la diede a gambe al posto della ragazza, rosso in viso.
Lo aveva fatto per amore, sì.
Amava Silvia. Per lei aveva ferito, e non sarebbe più successo.


 
Esther sapeva la regola della bellezza a memoria: “dormire, una toccasana per la pelle, apre i pori ed elimina le tossine”. L'aveva letta in ogni dove, gliel'avevano recitata in talmente tante persone che tutte le volte che si coricava le passava sempre per la testa, e allora correva ad imbrattarsi di crema per favorire il processo, tutta contenta.
Lo sapeva, lo rispettava, o almeno ci provava. Eppure quella sera si era trattenuta con Mark più del dovuto, fregandosene di tutto.
Perché Mark era più benefico di una dormita di otto ore. O di una crema profumata.
E questo, questo nemmeno lo scienziato più in gamba sarebbe mai riuscito a comprenderlo.
La giornata l' avevano passata in modo molto produttivo, girando per Los Angeles come due idioti patentati controcorrente. Lui l'aveva portata nel downtown, le aveva comprato qualche indumento - come aveva sperato -, l'aveva portata a mangiare vicino al porto e poi di nuovo a spasso, fino a quando il cielo color dello zaffiro non aveva lasciato spazio a nuvole di zucchero filato e filamenti dalle sfumature dorate.
Le aveva raccontato tantissime cose della sua vita, troppe per poterle citare.
Come quella volta in cui si era slogato il naso su una lastra di ghiaccio, e il padre era corso verso di lui urlando il suo nome. Dimostrandogli di volergli tanto, tantissimo bene, più di quando Mark avesse anche solo potuto immaginare.
Oppure di quando per poco e un taxi non lo aveva preso sotto.
Di quando aveva vomitato il caviale durante una cerimonia insieme a Johann, per poi evitarlo come la peste.
Avevano parlato come un fiume che non cessa mai di vivere. Torrenti di parole di erano mischiate e unite e rimescolate mentre Mark attingeva alle patatine al centro della tavola e se ne portava un mazzo intero in bocca, rapito.
L'aveva definita l'ennesima “rimpatriata”, ma sapeva meglio di lei che non era più così per nessuno dei due, soprattutto ora che Melanie non era più un problema.
Che non era mai stato così, in realtà.
E adesso che doveva andare a letto, Esther si rendeva conto di voler rimanere ancora un po' con lui. Tutta la notte, e parlare ancora di quel naso che aveva perso un quantitativo di sague immane nel suo primo inverno newyorkese.
Si separarono nel corridoio, lui andò nella camera che un tempo era stata di Hanagrace e Johann, lei andò nella camera che un tempo era stata di Mark.
Si guardarono, e il biondo le sorrise. << Sono stato davvero bene oggi. >>
<< Anche io, Mark. >>
Lo vide ridacchiare, imbarazzato, e allungarsi le maniche della felpa grigia fino a far gridare di pietà quel povero, sfortunato indumento. << Detesto questi convenevoli ma... è così. >>
Esther aggrottò i sopraccigli.
Cercava di dirle qualcosa, forse?
<< Beh >> piegò le labbra carnose in un sorriso. Non era stanca per niente, la voglia di rimanere con lui stava davvero sfuggendo al suo controllo mentale. << il nostro Natale non è ancora finito! Domani che facciamo? A parte pregare che Erik e Mary la finiscano di odiarsi? >>
<< Domani... >> Mark si passò una mano tra i capelli, per poi riabbassare il braccio. Era nervoso, stava provando in tutti i modi a comunicarle un dettaglio importante, senza riuscirci.
La mora non lo aveva mai visto così teso in tutta la sua vita. << Domani ci affidiamo a Dylan. Vuole farci vedere un posto, non ho idea di cosa sia. >>
<< D'accordo. >>
<< Alla vigilia e al Natale ci penseremo tutti insieme. Che ne dici? >>
<< Dico che è perfetto. >>
<< Bene! Anzi, perfect! >> esclamò Mark con voce un po' troppo alta, per poi battere le mani e sorriderle in modo alquanto... strano? Sospetto?
Innaturalmente assurdo?
Esther lo osservò confusa, col sopracciglio destro che non accennava ad abbassarsi, guardingo. Non sapeva come interpretare i suoi gesti, sembrava una molla pronta a scattare in qualsiasi momento.
Mark era complicato proprio come lo ricordava. I segnali di fumo, l'analitica e il geroglifico erano molto più semplici da studiare. Beh, forse  l'analitica no, ma dai, ci siamo capiti.
Si osservarono per qualche istante, poi Kruger prese l'iniziativa di chiudere il discorso. << Buonanotte! >> le disse, e ridacchiò senza motivo.
A che aveva pensato?
Stava forse ridendo di se stesso?
Esther non ebbe modo di chiedere nulla, tantomeno di rispondergli. Lo vide entrare nella stanza, poi uscire mezzo secondo dopo. E guardarla, di nuovo. << Esther... >> la chiamò, e adagiò lo sguardo sulla moquette sotto i suoi piedi. << Aspetta. >>
<< Non mi sono mossa. >>
<< Ah. >> arrossì selvaggiamente. << Ehm. >>
<< Che ti prende? >>
<< No, nulla, io... ho bisogno di parlarti, in realtà. >>
<< Di cosa? >>
<< Vieni dentro. >>
Mark si allungò timidamente e le afferrò una mano, poi la trascinò dentro la stanza da letto dei genitori e chiuse con delicatezza la porta, per non svegliare Erik e Mary. Per Esther fu come ritrovarsi catapultata nel mondo del migliore amico, e si scrutò intorno curiosa mentre lui si schiariva la gola e le presentava ufficialmente la camera dei suoi. Il letto ben piegato aspettava solo di poter ospitare il corpo dell'americano, e gettata contro gli sportelli neri dell'armadio stava una valigia aperta straboccante di camicie a quadri, jeans e felpe.
E una polo, probabilmente l'unica cosa elegante che la mora riuscì ad indentificare in mezzo a quell'ammasso di tessuti piegati di fretta. Sorrise. Tipico degli americani; vestiti come capitava, sempre. << Allora? >> si voltò e si accorse che Mark si era appoggiato al muro, in attesa che la sua perlustrazione dell'immobile finisse.
Che gentile.
<< Devo sottoporti ad un piccolo interrogatorio >> spiegò lui. << Riguarda quello che è successo ieri al campo da calcio della Unicorno. >>
Esther si accomodò sul letto e lui le si sedette accanto. Lo osservò prendere un respiro interno, corrucciare le sopracciglia e guardarla determinato, e d'istinto si chiese se non fosse tutta una montatura per tenderle uno scherzo alla Dylan & Mark, ma poi le iridi di Kruger le suggerirono che era meglio crederci.
E ci credette.
<< Che cosa vuoi sapere? >>
<< Voglio sapere >> Mark arrossì lievemente, ed Esther si ritrovò davanti il Kruger di dieci anni prima, quello tranquillo, timido ed impacciato che tanto l'aveva fatta smadonnare. << perché mi hai abbracciato. Voglio sapere cosa ti ha mosso, più nello specifico. >>
Cosa?!
Sobbalzò all'indietro con un mezzo gridolino, come se l'americano le avesse chiesto di ammazzare una persona. << E-eh? >>
Gli occhi del biondo si tinsero di una tonalità più scura.
Oddio, faceva sul serio.
Lo aveva chiesto per davvero?
All'improvviso la situazione si ribaltò; Mark divenne il cavaliere senza macchia e senza paura, mentre Esther si ritrovò ad arrossire senza sapere bene che fare, le mani sotterrate dietro le cosce bollenti di vergogna. O che dire, tanto peggio.
Ora che aveva il via libera, ora che Melanie era sparita dalle loro vite, la situazione sembrava essere diventata molto più semplice per entrambi, soprattutto per lei, che più volte aveva cercato di far capire al biondo quanto la facesse impazzire.
Sembrava, appunto. Si morse il labbro inferiore.
In realtà si era solo trasformata in qualcosa di ancora più complesso. Proprio per questo motivo, non era affatto facile rivelargli i suoi sentimenti. E infatti rimase a bocca chiusa, sperando che il trucco non ancora tolto reggesse il confronto contro il disagiante rossore che le era esploso in viso come un fuoco d'artificio sparato in aria troppo presto.
Gli occhi di Mark tuttavia non se ne accorsero. O se finsero di non farlo, ci riuscirono alla grande.
<< Perché questa domanda assurda? >> gli chiese, e si portò una mano davanti alle labbra.
L'americano ritrasse il collo e sorrise agitato. << Perché...  in realtà, volevo capire alcune cose. >>
<< Quali cose? >>
<< Io... >> Mark sbatté la mano per errore, contro il comodino, e se la cinse per attutire il dolore sordo alle vene. Poi la guardò titubante, ma risoluto. Avrebbe voluto tanto rivelarle tutto quello che gli passava per la testa, il suo amore per lei. Che non l'aveva mai dimenticata fino in fondo, e che il fatto di aver perso Melanie da un giorno all'altro non gli aveva cambiato proprio nulla.
Nulla. Aveva pensato in una conseguenza negativa, un po' di dolore al cuore, ai sentimenti feriti, invece c'era stato solo un enorme sospiro di sollievo.
Una strada libera, tutta spianata per lui, e le sue future scelte.
Una realizzazione, un... fare chiarezza all'improvviso, un rendersi finalmente conto di essere davvero innamorato di Esther, così tanto da non aver provato assolutamente nulla nel levarsi di dosso Melanie, solo pura e schifosa soddisfazione. Ed era una cosa strana, sì. Che lo incuriosiva e affascinava.
Ed era interessato a sapere che diamine provava l'amica per lui, se poteva succedere... qualcosa, tra loro. Qualsiasi cosa, e se una volta tornati a New York la “cosa” sarebbe diventata altro o sarebbe sfumata sotto l'etichetta “Amici, baci e abbracci”.
Voleva indagare, almeno ora che era libero di farlo.
<< So? >> le fece, per riprendere il filo del discorso.
Esther si difese dietro un muro di bugie, cercando di scappare da quegli occhi tanto chiari quanto curiosi che l'avevano completamente mandata fuori corsia. Non capiva perché si sentiva così impacciata, così... timorosa di prendere il suo posto, ora che Mark non aveva più quel peso di Melania addosso. O Melanie, che dir si voglia. << Perché tesoro, quando ti vedo mi salgono le fitte di nostalgia, e in quel momento... la fitta era stata molto forte, ecco. >>
<< Capisco. >>
<< Già, dieci anni senza te... ti volevo tanto bene caro Mark. Ed ero anche tanto arrabbiata con te. >>
<< Ti ho già raccontato cosa è successo. >>
<< Sì, infatti! >> esclamò Esther, e mentalmente si diede della stupida mocciosa. Poteva dichiararsi, aveva tutte le porte aperte per farlo, e invece quel maledetto “ti amo” scelse di rimanere bloccato nella gola, come un malato di timidezza. << Ma ora non riaccadrà più, perché viviamo nella stessa città. Giusto? >>
<< Giusto. >> Mark le sorrise e si stirò le pieghe dei jeans con i palmi caldi. Non sembrava esserci rimasto male.
Per fortuna.
<< Beh >> esordì, e distese le ginocchia. << scusami per averti trascinata qui dentro. >>
<< Figurati Mark! Altro da chiedere? >>
La guardò, e l'intenzione inizialmente fu affermativa, ma dalle labbra non gli uscì nulla. << Nah, ho troppe poche prove per condannarti. >>
<< Ah! Te l'avevo detto che ero innocente. >>
<< You can go. >>
<< Thank youu! >> il corpo suggerì ad Esther di alzarsi, ma il cuore le tenne il didietro sul materasso per un altro minuto bello buono.
Minuto in cui Mark la guardò oltre la bionda frangia che gli ricadeva dolce sulla fronte, e in cui lei continuò a posare gli occhi un po' su quelli di lui, un po' sulle sue mani distese che aspettavano nervose... in qualcosa. Qualcosa che entrambi sapevano doveva succedere. Doveva essere detto. Più chiaro di così si muore.
 << Buonanotte Kruger. >>
<< Okay, goodnight. >>
Finalmente il corpo ebbe la meglio, ma quando fece per alzarsi dal materasso Erik entrò senza bussare, facendole venire un colpo al cuore.
<< Mark, non riesco a dormir...! OOOOH. >>
Mark fece le spalle rigide mentre l'amica se la squagliava oltre la porta con una corsetta che lasciava intendere “cose” che non erano affatto accadute, e una risatina che peggiorava solo la situazione.
Il castano fece un sorrisetto ambiguo accompagnato da uno strano movimento strano di gambe che sbucavano da un paio di boxer giallo fluo, mentre Mark già si apprestava a tendere le mani in segno di diniego assoluto. << Come dicevi, amico? >>
<< E-Erik... >>
<< “Non si scopa in casa di mia madre!”, e poi infrangi la grande legge? >>
<< No Erik, non è come credi! >>
<< Sìsì, Mark, non fare il santino che ti conosco. >>
<< Ma Erik--
E la porta si richiuse, incapace di sentir ragione.
Mark sospirò di nervoso, ma la verità era che non si sentiva affatto in imbarazzo. Abbozzò ad un sorriso divertito e si disse che prima o poi si sarebbe accertato di tutto.
Era determinato a farlo, e non sarebbe tornato a New York senza una risposta.

Ora che era libero, e poteva avere tutte le risposte del mondo.

 
 
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(...)like you're bathin' in Windex, frase appartenente alla – famosissima – canzone Obsessed, di Mariah Carey, significa letteralmente “come se tu ti stessi facendo la doccia nel Windex”, e vuol dire che ormai sei diventato così lucido, così limpido e trasparente, che è facile capire – o quantomeno intuire – cosa nascondi, dal momento che tutto in te è diventato evidente agli occhi degli altri. Questo ragionamento è da dedurre facilmente, in quanto il Windex è una marca statunitense di spruzzini(?) per finestre, vetri, specchi ecc che serve appunto a lucidare la superficie. comunque non sto facendo pubblicità occulta, no eh, lo gyuro
E' il caso di Erik, che finalmente fa chiarezza sui suoi sentimenti per far comprendere a Mary la situazione che ormai da diverso tempo sta vivendo, ed è anche il caso di Mark, che pur col solito impaccio – perché lui è impacciato, ammore(?) – fa tranquillamente comprendere ad Esther che è innamorato di lei, che ha capito che c'è qualcosa tra loro, e che ormai è chiara la sua intenzione. Cioé stare con lei COME DIO COMANDA – cioè me –. Nulla, tutto qui. Spero di essere stata chiara!
E' un capitolo di transizione, ma a mio parere serviva, arrivati a questo punto della trama, dare una passata di Windex al tutto (?), quindi spero di aver pulito per bene uwu. Oddioo queste metaforeeeh
il prossimo chappy è spaziale, per cui spero di pubblicarlo presto, ehehe.
Alla prossima!

 
Lila
   
 
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