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Autore: NPC_Stories    11/07/2018    6 recensioni
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L'amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.

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[Jolly Adventures, capitolo L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3)]
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Quando Johel ha portato il suo strano amico (all'epoca vivo e vegeto) a conoscere la sua famiglia, inizialmente non è andata molto bene.
Questa non è la storia di come è cominciata, ma è la storia di come la più improbabile delle creature è diventata un Ruathar, aiutando un elfo che era stato rapito e preso prigioniero. È una storia di gesta eroiche, manipolazioni a fin di bene, gente morta e sensi di colpa, ma anche di amicizia e rapporti familiari, insomma come tutte le loro storie.
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Warning: più avanti si parla di tortura, sesso e violenza non descrittivi; si sconsiglia la lettura ad un pubblico troppo giovane.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1287 DR: Le loro indagini

Prima che calasse la notte, qualcuno portò nella sua gabbia un sacco a pelo perché potesse almeno stare al riparo dal freddo. L'elfo gli lasciò anche qualcosa da mangiare, e dopo aver richiuso la porta della gabbia con un lucchetto fece cenno al drow di avvicinarsi.
“Girati, poggia i polsi contro le sbarre. Ho il permesso di sciogliere i tuoi legacci.” Annunciò in tono neutro, sfoderando un corto pugnale.
“Come so che non mi accoltellerai alla schiena?” Replicò il drow, sentendosi in vena di prudenza.
“Se Tazandil avesse voluto ucciderti, lo avrebbe fatto quando ti ha trovato nella nostra foresta con uno dei nostri bambini.” Fu la pronta risposta dell'elfo. “Sarebbe stato facile raccontare che lo avevi rapito.”
“Ero disarmato.” Protestò il prigioniero. “Come avrei potuto rapirlo?”
“Se Tazandil avesse voluto ucciderti, le tue armi sarebbero state trovate sul tuo corpo.”
Daren annuì, accettando quella ovvia spiegazione. Era un drow, quindi capiva bene gli inganni. Anche lui avrebbe potuto inventare una messinscena del genere, se nella sua cultura fosse esistito il concetto di biasimo per motivi etici. Raramente ad un drow serviva una giustificazione per uccidere qualcuno.
L'elfo scuro si spostò verso la parete di sbarre davanti al ranger e si sedette sui talloni, dandogli le spalle e sporgendo i polsi all'indietro. Con pochi gesti rapidi, il ranger tagliò le corde che lo tenevano legato. Daren si rilassò leggermente; l'elfo aveva detto la verità, non intendeva ucciderlo. Anche se Tazandil non l'aveva ordinato, Daren non poteva essere certo che questo elfo in particolare non avesse qualche motivo per volerlo morto. Si allontanò in tutta fretta dalle sbarre, massaggiandosi i polsi.
“Non dovrei attardarmi a parlare con te.” Gli confidò l'elfo, sottovoce. “Ma sembra che sarò il tuo guardiano per stasera e temo di annoiarmi.”
“Non pensi che cercherò di scappare?” Inquisì il drow, raccogliendo il fagotto di cibo che l'elfo dei boschi gli aveva lasciato.
L'altro si strinse nelle spalle, esitante. “Ho passato molte notti a fare la guardia sul tuo accampamento, negli ultimi dieci anni. Tendo a credere alla versione di Johlariel.”
Questo frammento di informazione rivelò a Daren alcune cose; l'elfo era un ranger abbastanza in gamba da essere incaricato della sua sorveglianza, ma non era in confidenza con Johel né con la sua famiglia, visto che usava il suo nome per esteso anziché il nome più breve usato dagli amici. Forse proveniva da un altro insediamento.
“Di dove sei originario?” Gli domandò, per genuina curiosità e anche per verificare la sua ipotesi.
L'elfo rimase sorpreso a questa domanda, si sarebbe aspettato che il drow gli chiedesse “Cosa mi accadrà?”, o magari “Chi sei?”, se proprio aveva delle curiosità su di lui personalmente.
“Ormai vivo a Sarenestar, ma vengo dalla Wealdath, la foresta sconfinata a nord di qui. Mi chiamo Thaladir, sono un cugino del tuo amico. Da parte di madre, ovviamente.” Spiegò, come se fosse implicito.
“Ah... ovviamente.” Assentì Daren, fingendo di sapere di cosa stesse parlando.
“Tu da dove vieni? È vero che tu e Johlariel avete girato mezzo continente?”
“Vengo dal nord. E comunque no. Solo una parte della Costa della Spada e un pochino le terre centrali dell'occidente.”
“Ma chissà che avventure!” Bisbigliò l'elfo in tono entusiasta. “Sarebbe troppo... insomma, sarebbe troppo invadente se ti chiedessi di raccontarmene una?”
Daren guardò il ranger per alcuni secondi, in silenzio, riflettendo su quella richiesta e su molte altre cose.
“Tu sei molto giovane, vero, Thaladir?” Domandò infine.
“Molto? Che vuol dire molto? Ho quasi visto tramontare il mio primo secolo.” Si difese l'elfo, corrugando la fronte. “Solo, non ho ancora avuto occasione di vivere avventure per conto mio.”
Daren si avvicinò alla parete di sbarre, sedendosi poi a gambe incrociate. Appoggiò le mani a terra dietro la schiena e sorrise, prendendo un'aria casuale e rilassata. “Mi piacerebbe raccontarti qualche avventura, Thaladir, ma più di ogni altra cosa mi piacerebbe tornare qui fra alcuni anni e sentire i resoconti delle tue avventure. Vedo che hai un fuoco dentro, che potrebbe portarti a grandi cose. Ma perché questo accada, è necessario che tu impari una semplice verità, prima di tutto. È un segreto che quasi tutti gli avventurieri apprendono, prima o poi.”
L'elfo si avvicinò alla gabbia, incuriosito. “Devo per forza impararlo da solo? O puoi rivelarmelo tu?”
Il drow annuì con aria complice. “Posso insegnartelo io, anzi meglio, perché prima lo impari e meglio è. Non si sa mai cosa potrebbe succedere se ti trovassi in una situazione di pericolo senza questa conoscenza.” Daren abbassò la voce. “Ma devo dirtelo in confidenza, perché Tazandil non approverebbe. Penso che lui creda nell'insegnare le cose solo al momento giusto.”
Ora l'elfo era decisamente interessato.
“Non dirò a Tazandil che me lo hai detto, allora.” Sussurrò a sua volta, avvicinandosi alla gabbia.
Oh, sì che glielo dirai. Ci scommetto gli stivali che glielo dirai.
Daren agì con una mossa improvvisa e fulminea. Si diede una leggera spinta con le braccia in modo da portare il baricentro in avanti, una delle sue mani scattò come un serpente passando fra le sbarre e afferrò il giovane Thaladir alla gola. Strinse la presa, abbastanza per essere certo di averlo afferrato, ma senza strangolarlo. Poi ritrasse il braccio, attirando a sé il ranger che sbatté la faccia contro le sbarre, quantomeno i lati del viso. Il colpo alle tempie lo stordì per un momento, ma era abbastanza perché l'altro braccio di Daren riuscisse a raggiungere l'impugnatura del coltello che teneva alla cintura. Quando il povero elfo stordito e sorpreso riaprì gli occhi dopo il colpo, il suo stesso coltello era puntato sotto il suo mento.
Daren vedeva molto bene al buio, quindi vide con chiarezza il viso di Thaladir sbiancare all'improvviso. Lasciò che annaspasse in quel terrore atavico per alcuni secondi, poi abbassò la lama.
“Ecco il mio consiglio, giovane. Non dare mai confidenza ai prigionieri. Alcuni sono disperati, e non sono bendisposti come me.”
Lasciò andare la gola dell'elfo e gli diede una spinta per allontanarlo dalla gabbia. Thaladir cadde all'indietro, trovandosi mezzo sdraiato sull'erba. Poi, con gesto svogliato, il drow gli lanciò il suo pugnale, che atterrò senza danni a poca distanza da lui.
“Dì al tuo capo di mandare qualcun altro. E magari comincia a tenere il pugnale in un posto meno ovvio.” Gli raccomandò, poi stese a terra il sacco a pelo e ci si sdraiò sopra, sbadigliando in modo palese.
Thaladir non andò a chiamare qualcun altro, ma rimase a fare la guardia tutta la notte con gli occhi spalancati e l'arco pronto a scoccare.

Il mattino dopo, le orecchie sensibili dell'elfo scuro captarono un fruscio di erba calpestata. Aprì gli occhi, felice per una volta di trovarsi al riparo degli alberi, che soffocavano in parte la luce del sole.
Tazandil era lì accanto alla sua gabbia e lo guardava con espressione indecifrabile. C'era un altro elfo con lui, aveva le vesti di un chierico di Corellon Larethian, il dio più venerato dagli elfi di Superficie.
“Buongiorno.” Salutò Daren, sedendosi in modo più composto sul suo giaciglio. “Temo di aver traumatizzato un po' tuo nipote.”
L'espressione di Tazandil non cambiò di una virgola. “Se fosse mio nipote lo avrei raddrizzato anni fa a suon di flessioni nel fango.” Rispose con freddezza. “È solo un parente di mia moglie, nella sua foresta d'origine sono convinti di saper formare dei buoni ranger. Sapevo che gli avresti dato qualcosa su cui riflettere.”
Daren rimase a bocca aperta, in modo poco dignitoso, per un paio di secondi.
“Mi hai lasciato con lui di proposito? Come sapevi che non lo avrei ucciso per scappare?”
“Non lo sapevo.” Ammise Tazandil, poi fece un passo di lato per permettere all'altro elfo di avvicinarsi. “Drow, ti presento Idhrenor, adepto della chiesa di Corellon Larethian.”
Daren scrutò il sacerdote con un certo interesse. Anche lui sembrava piuttosto giovane, infatti era solo un adepto. Non era il chierico principale della foresta, forse era solo di supporto a questa pattuglia di ranger per curare le loro ferite o portare conforto ai loro spiriti.
“Mi sono perso le preghiere del mattino? O sei qui per raccomandare la mia anima a qualche aldilà?” Domandò, approcciando il giovane adepto con più sfacciataggine del dovuto.
“Non stai per morire.” Rispose Idhrenor, in tono pacato. Non sembrava essersela presa per le provocazioni di Daren, cosa che gli fece immediatamente guadagnare rispetto ai suoi occhi. “Sono qui per chiederti di abbassare le tue difese.”
Il drow lo guardò senza capire. “Sono disarmato, devo togliermi anche l'armatura?”
Il sacerdote stava già scuotendo la testa prima che Daren avesse finito di parlare. “Mi riferisco alle tue difese spirituali. Ieri sera ti ho osservato con cura mentre interagivi con il tuo guardiano. Esistono incantesimi semplici ed elementari che possono rivelare la generale predisposizione d'animo di una persona. Anche mentre attaccavi Thaladir, le tue intenzioni verso di lui non sono mai state malevole. Questo mi ha sorpreso.”
“Eri lì, quindi.” Riconobbe il drow, sorpreso. “Ma non ho percepito la tua presenza!”
L'adepto sorrise con segreta soddisfazione. “Ero invisibile, ma non è tutto merito mio; Thaladir tende a coprire qualsiasi rumore con i suoi discorsi entusiastici.” Scosse la testa con un sorriso, pensando al ranger e alla brutta esperienza che aveva vissuto la sera prima. “Quindi ora sono qui per capire meglio che tipo sei, drow. Magari hai solo un sistema di valori e priorità diverso dal nostro. Magari sei mentalmente disturbato e per te è normale minacciare di morte uno dei nostri ranger a scopo educativo.”
“Non sapevo che il buonsenso fosse una malattia mentale.” Borbottò il drow. “Credevo di essere perlopiù immune alle malattie.”
“Devo chiederti di rimuovere qualsiasi difesa magica che nasconda la verità del tuo animo.” Il chierico riprese il discorso da dove l'aveva interrotto.
“Come prego?”
Idhrenor si armò di santa pazienza e si lanciò in una spiegazione puntuale.
“Se provo a lanciare un incantesimo che rivela la vera natura etica di una persona, guardando te non ottengo nessuna informazione. Come se tu non avessi opinioni su nulla.”
“E magari è così?” Il drow alzò un sopracciglio.
“Sarebbe una condizione abbastanza rara, esclusiva di alcuni asceti che si astengono dalle cose del mondo, o di coloro che hanno interessi personali così forti da estraniarli dalla realtà. Io non penso che tu sia questo tipo di persona. Johlariel non ti sarebbe così affezionato.”
Daren distolse lo sguardo e borbottò qualche imprecazione a mezza voce.
“Non sono a mio agio con questa cosa.” Rivelò infine, senza guardare in faccia gli elfi. “Che succede se scelgo di non farlo?”
“Il tuo esilio perdurerà alle stesse condizioni che già conosci.” Intervenne Tazandil. “Avrai due ore per uscire dalla foresta oppure cominceranno a piovere frecce. Se invece permetti a Idhrenor di divinare la tua anima, la tua condizione potrebbe cambiare di conseguenza.”

Daren rimase in silenzio per un lungo momento, riflettendo sulla proposta. Non passava giorno che il guerriero drow non rinnovasse l'incantesimo che mascherava il suo allineamento morale agli sguardi dei chierici. Non perché avesse qualcosa di deplorevole da nascondere, ma perché era una cosa... privata. Non gli piaceva che degli sconosciuti potessero spiare i suoi veri sentimenti senza il suo consenso.
Però adesso aveva l'occasione di fare un gesto di apertura verso la gente di Johel, e il suo gesto sarebbe stato davvero recepito, per la prima volta dopo quasi vent'anni. Poteva compiere un atto di fiducia verso quella gente? Migliorare i rapporti con la famiglia e il clan del suo amico valeva lo sforzo?
Tazandil però non era un elfo paziente, e mal interpretò il suo silenzio.
“Va bene. Prendi le tue cose e sparisci dalla mia vista.” Disse seccamente, voltando le spalle al drow.
“Aspetta!” Lo fermò Daren, messo alle strette.
L'anziano elfo si girò e lo guardò, in attesa. Daren capì di avere pochissimo tempo per decidere.
Ne valeva la pena? Johel aveva fatto tanto per lui: si era fidato. Lui poteva fare una cosa altrettanto difficile.
“Accetto le condizioni del tuo chierico.” La frase gli uscì di bocca all'improvviso e in tono amaro, come se avesse fatto fatica a tirarla fuori.
Tazandil lo ricompensò con un singolo cenno d'assenso e lo lasciò solo con il giovane sacerdote.

           

   
 
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