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Autore: _Agrifoglio_    11/07/2018    17 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La richiesta della Regina
 
Oscar camminava nei corridoi della reggia, diretta agli appartamenti privati di Maria Antonietta. Erano i primi di luglio, ma, rintoccando mezzogiorno e non essendoci umido nell’aria, il caldo era sopportabile.
Percorrendo quegli splendidi corridoi di marmo, adornati da statue e da lampadari di cristallo, Oscar non poté fare a meno di paragonarli all’essenziale e spartana semplicità della caserma parigina. Non erano ancora trascorsi tre mesi dal cambio d’incarico cui si era sottoposta eppure le sembrava che fossero passati dei secoli e, soprattutto, aveva la sensazione di essere transitata in un altro mondo. Quello di Comandante delle Guardie Reali era un incarico prestigiosissimo, ambito dai membri delle migliori famiglie del regno, che le aveva dato la possibilità di frequentare, ogni giorno, i componenti della famiglia reale e di conoscere innumerevoli personalità della politica e della Chiesa oltre ad artisti, letterati, scienziati e intellettuali. Stare fra i soldati della Guardia Metropolitana, però, l’aveva messa alla prova come soldato, facendola cimentare con quella vita rude e avventurosa che aveva sognato sin da adolescente. L’atteggiamento insubordinato e irriverente degli uomini da lei comandati l’aveva posta quotidianamente davanti a nuove sfide, portandola, ogni volta, al limite delle proprie capacità e facendole comprendere che tale limite poteva essere sempre spostato in avanti. La lotta era duplice, perché condotta contro i soldati e contro se stessa. La vicinanza di gente semplice, di provenienza quasi sempre contadina, inoltre, l’aveva messa a contatto con i problemi reali della popolazione francese, afflitta, ogni giorno di più, dalle nefaste conseguenze di una crisi economica ormai endemica che stava mettendo in ginocchio il regno, accanendosi soprattutto su quegli individui senza volto che il destino aveva collocato alla base della piramide sociale.
Giunta alle porte degli appartamenti privati della Regina, Oscar fu introdotta al cospetto di lei e annunciata.
Le stanze reali erano piacevolmente arieggiate grazie a una sapiente combinazione di finestre aperte e la temperatura era gradevole.
Maria Antonietta, quella mattina, non indossava una gaulle, come durante il loro incontro al Petit Trianon, ma un elegante abito di broccato di seta, rosso e oro, più adatto alla corte mentre, sul capo, aveva un cappello di seta rosso piumato, ornato da alcuni fili di perle. Al collo, risaltava una collana composta da un girocollo di rubini e da una fascia d’oro rigida che, intrecciandosi col primo, disegnava dei triangoli, impreziositi da perle ovali e da brillanti. Dai lobi delle orecchie, pendevano gli “anellini della Delfina”, degli orecchini di foggia molto semplice, costituiti da un cerchiellino d’oro cui era appesa un’unica grande perla a forma di goccia o di pera. 
Appena vide Oscar, la Regina le sorrise e l’altra, di rimando, si mise sull’attenti.
La Sovrana invitò l’ospite a sedersi e fece servire della limonata fresca, dei croissants e le ultime fragole di stagione, coltivate negli orti dell’Hameau de la Reine, un pittoresco borgo rurale che aveva fatto costruire nei giardini del Petit Trianon per i suoi svaghi arcadici. Scambiati i primi convenevoli, la Regina fece ritirare tutte le dame e i servitori e rimase sola nella stanza con Oscar.
– Madamigella Oscar, verrò subito al dunque. Fra pochi giorni, il Comandante Supremo delle Guardie Reali andrà in congedo per vecchiaia e desidero che siate Voi a sostituirlo. Qualora foste d’accordo, rivolgerò la mia richiesta al Re che sarà ben lieto di esaudirla, dato l’ottimo servizio che avete prestato a Corte per quasi venti anni.
– Maestà – rispose Oscar, con voce bassa e aria perplessa – Vi ringrazio dell’immenso onore che mi fate, ma non sono ancora trascorsi tre mesi da quando ho preso servizio come Comandante delle Guardie Metropolitane e, con il consenso della Maestà Vostra, vorrei continuare a ricoprire quell’incarico.
– Madamigella Oscar, i fatti accaduti nelle ultime settimane, come l’attentato alla vita di mio fratello, la scoperta di quella copiosa produzione di libelli e, più in generale, l’acuirsi degli attacchi dei vecchi nemici e l’avvilente spettacolo del feroce odio popolare, mi fanno temere per la sicurezza dei miei figli e di tutta la famiglia reale. Mi sentirei molto più al sicuro se Voi foste di nuovo al mio fianco.
– Maestà, il mio vecchio incarico è, ora, egregiamente ricoperto dal Maggiore Girodel.
– Egli conserverebbe la sua attuale posizione. Sareste Voi ad avanzare.
– Maestà, io….
– Madamigella Oscar, la sicurezza dei miei figli e mia è soltanto uno dei motivi che mi inducono a farVi questa richiesta. Mi è giunta voce che potreste essere presto chiamata a comparire difronte al Tribunale Militare.
– Con quale accusa, Maestà? – chiese Oscar sgomenta.
– Sembra che, fra le armi ritrovate in Rue Buffon, ce ne siano diverse che recano impresso il sigillo reale e il simbolo del reggimento da Voi comandato. Dai contrassegni numerici, non sarà difficile risalire al nome del singolo soldato cui ciascuna arma è appartenuta. Da alcune armi, i marchi e i contrassegni sono stati abrasi e risultano, ormai, indecifrabili, ma molte altre non sono state contraffatte e costituiscono una prova inoppugnabile dell’illecito traffico posto in essere dai Vostri soldati.
Oscar ammutolì, perché era a conoscenza delle pessime abitudini dei suoi soldati che, spinti dalla miseria o dall’avidità, non esitavano a far commercio delle armi e degli equipaggiamenti militari che avevano in dotazione.
– Pare – proseguì la Regina – che delle persone molto influenti stiano facendo di tutto per trascinarVi difronte alla Corte Marziale, sostenendo che non siete estranea a questi traffici illegali e, più in generale, che siete un pessimo Comandante.
– Maestà, queste accuse sono ridicole!
– Non lo metto in dubbio, Madamigella Oscar, ma soltanto per quello che riguarda Voi. I soldati della Guardia Metropolitana sono, invece, molto spesso, degli avanzi di galera, non nuovi a simili reati.
Oscar non disse altro, conscia che i soldati da lei comandati, sul punto, erano indifendibili. Già una volta, aveva coperto il giovane Lasalle e, in quell’occasione, aveva appreso che anche Alain e altri uomini avevano fatto commercio degli equipaggiamenti militari, ma, a quanto pareva, il fenomeno era molto più esteso e radicato.
– Madamigella Oscar, Voi ricoprite quell’incarico da meno di tre mesi, ma questa circostanza, naturalmente, non potrebbe discolparVi. Se tornaste qui, il Re e io potremmo proteggerVi più efficacemente, perché le Guardie Reali dipendono direttamente dalla Casa Reale. L’allontanamento dal focolaio del pericolo, inoltre, non potrà che giovarVi. Il comportamento dei soldati della Guardia Metropolitana non è, infatti, destinato a migliorare nel tempo e, più resterete lì, più presterete il fianco ai Vostri detrattori, fornendo loro materia per colpirVi.
– Vi ringrazio, Maestà, per avermi messa al corrente dell’accaduto.
Oscar non riuscì ad aggiungere altro. Avere coperto un uomo accusato di un grave reato l’aveva resa bene accetta ai soldati, ma l’aveva anche messa in una posizione molto scomoda e difficilmente sostenibile, se fosse stata sottoposta a un procedimento disciplinare.
– Madamigella Oscar – disse la Regina, allo scopo di confortare l’amica – Le persone oneste e pure di cuore sono quasi sempre le prime a patire le brutture della vita e noi sappiamo, purtroppo, con chi abbiamo a che fare.
 
********
 
L’ampio viale antistante la reggia, costeggiato da grandi fioriere e da statue di marmo, era riscaldato dal sole estivo, irradiante una luce vigorosa che, riflettendosi nei bacini d’acqua, moltiplicava il suo splendore. Oscar aveva sorpassato la fontana di Latona e stava raggiungendo quella di Apollo. Il gruppo scultoreo in bronzo dorato, effigiante il dio greco intento a guidare il carro del sole, trainato da focosi e scalpitanti destrieri, era un evidente anacronismo. Fortemente voluto da Luigi XIV e realizzato sotto il regno di lui, quel monumento era la celebrazione di un periodo fastoso che non esisteva più e che, forse, non c’era mai stato. Il Re Sole si era specchiato, identificato e gratificato nell’immagine del dio del sole, ma, ora, la monarchia rischiava di andare incontro al tramonto e Oscar, anche a causa delle sue condizioni di salute, si sentiva incapace di intervenire. Gli egoismi particolari erano tanti, il Re non disponeva della necessaria fermezza per imporsi sulle varie correnti e dare il proprio contributo soltanto a tutela dello status quo, senza mutare gli equilibri e senza avere la possibilità di realizzare un assetto di interessi più equo che sollevasse dalla prostrazione il terzo Stato e non affossasse gli altri due, le sembrava una battaglia priva di fondamento e indegna di essere combattuta. Adesso, poi, si sentiva molto debole, temeva di non poter vivere a lungo ed era inquieta di fronte all’eventualità di lasciare la propria famiglia, la sua Regina e l’intera Francia in condizioni così precarie. Se davvero le fosse successo qualcosa, chi sa cosa avrebbe fatto André senza di lei…. In preda a questi timori, procrastinava, di settimana in settimana, la visita medica cui avrebbe dovuto sottoporsi già da tempo, con la scusa di essere troppo impegnata.
Si riscosse da quei pensieri, suscitati dalla vista della fontana di Apollo e dalla memoria, da essa evocata, di splendori bugiardi oramai in fase di declino e tornò a concentrarsi sulle parole pronunciate dalla Regina che l’avevano indotta a quella passeggiata fuori programma.
Uscita dagli appartamenti della Sovrana con la mente ingombra di pensieri cupi, aveva giudicato preferibile non fare immediato ritorno a Palazzo Jarjayes e, tantomeno, alla caserma. Se avesse incontrato i soldati prima di avere fatto decantare quanto aveva appreso in mattinata, avrebbe rischiato di non rispondere delle proprie azioni e di aggredirli verbalmente, così da compromettere in modo irreparabile dei rapporti già molto delicati. Si era, quindi, decisa a passeggiare nel parco della reggia, allo scopo di chiarirsi le idee e di stabilire il da farsi.
Ora, si spiegava la ragione dell’ordine, giunto dall’alto e a poche ore dal ritrovamento, di trasportare le armi sequestrate in Rue Buffon nel deposito dell’Hôtel des Invalides. Avevano voluto sottrarle il controllo di quelle armi, onde evitare che si accorgesse del problema e che tentasse di porvi rimedio. Non era difficile ipotizzare che il Duca d’Orléans si fosse sentito in serio pericolo a causa della scoperta dell’arsenale e della stamperia clandestina, che si fosse accorto che la lettera – che aveva scritto all’Ambasciatore inglese a Parigi e che lo inchiodava a gravi responsabilità – era finita nelle mani di lei e che, vedendosi minacciato, avesse deciso di attaccare subito anziché aspettare di doversi difendere, anticipando un’offensiva che, dati i precedenti, sarebbe stata, comunque, prima o poi, sferrata.
A causa del combinarsi di una serie di circostanze sfortunate, la missione in Rue Buffon si era svolta proprio quando la compagnia che comandava era decimata, perché Alain e altri soldati erano agli arresti, a causa della rissa in taverna. Nessuno, quindi, aveva ricollegato il ritrovamento dell’arsenale alla possibile presenza, in esso, di armi da lui illecitamente commerciate, men che meno il giovane Lasalle, tanto bonario quanto ingenuo, che, probabilmente, aveva venduto il fucile dell’esercito una sola volta in vita sua.
Capì che la posizione in cui si trovava era estremamente delicata. Avendo protetto, già una volta, un soldato reo di traffico di armi, in un eventuale procedimento difronte alla Corte Marziale, le sarebbe stato probabilmente contestato di essere stata complice, se non, addirittura, artefice, di tali crimini.
Ricoprendo il comando della Guardia Metropolitana soltanto da due mesi e mezzo, sarebbe stato complicato, per l’accusa, dimostrare che quei traffici illeciti erano avvenuti proprio all’epoca in cui il Comandante era lei. Quelle armi erano troppo numerose per essere state commerciate tutte in un lasso di tempo così breve. Si erano, probabilmente, susseguite le omertà o, peggio, le connivenze di vari Comandanti. Malgrado ciò, un’accusa particolarmente agguerrita e aizzata da istigatori molto potenti e determinati sarebbe anche potuta riuscire a ottenere la condanna di lei cui sarebbe seguito il disonore dell’intera famiglia de Jarjayes.
Non si era pentita dell’aiuto dato a Lasalle, un diciannovenne sprovveduto, impacciato, non particolarmente brillante e, probabilmente, finito in un meccanismo più grande di lui, a causa dei consigli sbagliati di qualche commilitone più smaliziato. Non si sentiva, però, in grado di giustificare quel prolungato mercimonio, figlio dell’avidità e non soltanto della miseria. Le era ben noto, infatti, che i soldati da lei comandati si recavano molto spesso in taverna e in chi sa quali altri ritrovi e, se si è indigenti, prima, si risparmiano i soldi destinati agli svaghi, per quanto pochi possano essere e, soltanto dopo e al culmine della disperazione, si può valutare l’ipotesi di infrangere la legge. Lei, comunque, sapeva bene che sarebbe morta di fame piuttosto che macchiarsi di un crimine. Capiva che il fenomeno era molto più esteso e radicato di quanto avesse potuto inizialmente immaginare, che sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, estirparlo e biasimava se stessa per averlo trascurato. A parte la reprimenda da lei fatta ai soldati, dopo i disordini cagionati dai provocatori, abbigliati con le divise e muniti delle armi sottratte all’esercito, non si era più interessata della faccenda. Altri problemi l’avevano tenuta occupata e quelli erano i risultati.
Aveva, intanto, superato lo specchio d’acqua da cui emergeva il gruppo scultoreo dedicato ad Apollo e stava raggiungendo il Grand Canal, quando si sentì sopraffatta dal caldo. Erano quasi le due del pomeriggio, l’afa era aumentata e la passeggiata sotto il sole l’aveva notevolmente stancata.
Trasse un fazzoletto da una delle tasche, al fine di detergersi il sudore dalla fronte e si voltò indietro per raggiungere le scuderie e tornare a casa, quando scorse, in lontananza, il Maggiore Girodel. Decise di raggiungerlo, al fine di porgergli le condoglianze per il recente lutto che lo aveva colpito: il fratello maggiore, Charles Henri de Girodel, era improvvisamente morto a seguito di una caduta da cavallo e, essendo questi celibe – oltre che notoriamente libertino e scialacquatore – il cadetto Victor Clément era diventato l’erede del Casato.
Raggiunto il Maggiore, Oscar iniziò a parlare con lui e, dopo alcuni minuti di conversazione, i due furono raggiunti da un gentiluomo non conosciuto da Oscar. Si trattava di un uomo della stessa età di lei, dall’aspetto gradevole e dall’incedere sicuro, abbigliato con un’eleganza ricercata e non priva di ostentazione.
– Cugino, perché non mi presentate al Vostro interlocutore? – disse quello, con un tono di voce brillante e lievemente irriverente.
Il Maggiore Girodel, per nulla lieto di quell’incontro, provvide alle presentazioni, non senza riluttanza, ma con la consueta, inappuntabile compitezza.
– Generale, Vi presento mio cugino, il Conte Maxence Florimond de Compiègne, venuto qui per presenziare alle esequie di mio fratello. Cugino, Vi presento il Brigadier Generale Oscar François de Jarjayes, Comandante della Guardia Metropolitana Parigina.
– Madamigella Oscar, la Vostra reputazione Vi precede – disse quello, con un tono di voce divenuto suadente, accompagnato da un elegante inchino – Mio cugino ha tutte le fortune, avendo avuto la possibilità di frequentare, per tanti anni, una bella donna che è anche un valente militare.
– Conte di Compiègne, sono lieta di fare la Vostra conoscenza.
– Partite col piede sbagliato, caro Cugino – intervenne Girodel – se pensate di acquisire dei meriti con le lodi. Il Generale detesta le adulazioni.
– E’, forse, adulazione dire a una persona un’indiscussa verità? Altrettanto indiscusso è che io apprezzo molto le donne forti e determinate che sanno cosa vogliono e che si danno da fare per ottenerlo.
– E’ evidente che Voi conoscete poco queste donne, Conte.
– E’ evidente che Voi conoscete poco me, Generale.
Oscar guardò il suo interlocutore. Se, da lontano, le era sembrato semplicemente di aspetto gradevole, vedendolo da vicino, non poté esimersi dal giudicarlo notevolmente bello, con i lineamenti regolari e aristocratici, i capelli castani e luminosi e gli occhi grigi e intelligenti.
– Adesso, devo andare, scusatemi – disse Oscar ai due gentiluomini – Maggiore Girodel, Conte di Compiègne, Vi auguro una buona giornata.
– Anche a Voi, Generale e grazie ancora per le condoglianze.
– Lieto di averVi conosciuta, Madamigella Oscar. Spero di riincontrarVi quanto prima.
 
********
 
Oscar e André conversavano in uno dei salottini posti al pianterreno di Palazzo Jarjayes.
Oscar, dopo avere fatto ritorno dalla reggia ed essersi riposata per alcune ore, era scesa al piano terra, dove aveva incontrato André che, nell’ultima settimana della sua convalescenza, aveva ricevuto dal medico il permesso di lasciare la propria stanza e di aggirarsi per il palazzo, mantenendo l’occhio sinistro rigorosamente bendato.
André aveva raccontato a Oscar i primi incontri avvenuti con Monsieur Roland, di come questi gli avesse illustrato le principali problematiche inerenti l’amministrazione delle proprietà della famiglia Jarjayes e le impressioni che ne aveva tratto. Oscar, invece, aveva riferito ad André, per sommi capi, l’incontro avuto con la Regina, motivando la richiesta di succedere al vecchio Comandante Supremo delle Guardie Reali con l’apprensione di Maria Antonietta per la sicurezza della famiglia reale e omettendo del tutto la parte relativa al pericolo di essere deferita alla Corte Marziale.
André, che non vedeva di buon occhio la permanenza di Oscar fra le Guardie Metropolitane, alla quale imputava l’eccessiva stanchezza di lei, si era riproposto di convincerla ad accettare il nuovo incarico, incurante della circostanza che ciò avrebbe comportato la ripresa di un’assidua frequentazione con Fersen. Ben sapendo che Oscar non gradiva le ingerenze e le coartazioni, aveva pensato di renderle piacevole la prospettiva del cambio d’incarico, ricorrendo a delle facezie, in modo che lei, un po’ alla volta, associasse l’idea di trasferirsi a dei discorsi simpatici e divertenti. Si rendeva conto che quella strategia non era eccezionale, ma, al momento, era il miglior progetto che fosse riuscito a elaborare.
– Se dovessi diventare Comandante Supremo delle Guardie Reali, dovrei chiamarti Eccellenza? – le chiese, ridendo, André.
– Basterebbe che tu la chiamassi Madamigella – si intromise la nonna, appena entrata nella stanza – Madamigella Oscar, è arrivato il Conte Maxence Florimond de Compiègne che chiede di conferire con Voi.
 – Fallo passare – rispose Oscar, sorpresa per la visita inaspettata.
La vecchia governante introdusse l’ospite che fece il suo ingresso nel salottino, squisitamente abbigliato e con un incedere elegante. Giunto di fronte a Oscar, le fece un inchino perfetto e le disse:
– Mi sono permesso di venirVi a trovare, Madamigella Oscar, per riportarVi questo fazzoletto, che avete smarrito durante la Vostra odierna passeggiata nei giardini della reggia.
Detto ciò, le porse il fazzoletto e Oscar lo prese, ringraziando il Conte. Era stupita, perché ricordava soltanto di averlo usato per detergersi il sudore dalla fronte, ma non si era accorta di averlo perso.
Marie Grandier uscì dalla sala e, una volta fuori, borbottò:
– Tutta questa strada per un fazzoletto. Non avrebbe potuto spedirlo per posta o inviare qualcuno dei suoi servitori? La gioventù è proprio strana!
– Conte di Compiègne – disse Oscar, subito dopo – permettetemi di presentarVi Monsieur André Grandier, l’amministratore delle proprietà di famiglia.
I due uomini si salutarono, si guardarono e, fra di loro, nacque, immediata, una cordiale antipatia.
– Gradirei della limonata fresca, se non vi dispiace – disse il Conte ad André che considerava alla stregua di un domestico – Là fuori, fa ancora molto caldo.
– Conte, Vi chiamo subito un valletto – disse Oscar.
– Oscar, non ti preoccupare, posso provvedere io – intervenne André.
Il Conte di Compiègne era interdetto per la confidenza che quel servitore si era preso, ma mascherò bene il proprio disappunto che fu, subito, sostituito dalla contentezza di essersi sbarazzato del terzo incomodo e di essere rimasto da solo con Oscar.
– Questo palazzo è superbo, Madamigella Oscar.
– Vi ringrazio, Conte. La storia di Palazzo Jarjayes è parallela a quella della Reggia di Versailles. Nel secolo scorso, il Conte de Jarjayes allora in carica decise di ampliare un suo vecchio padiglione di caccia, facendoci costruire intorno questo palazzo, sulla base del progetto di François Mansart, lo stesso architetto che diede il nome alla copertura a mansarda. Il Re Sole aveva stabilito di trasferire la Reggia da Parigi a Versailles e il mio antenato pensò che diventare vicino di casa del Re avrebbe accresciuto il prestigio della famiglia. Devo dire che non sbagliò.
– I padroni di casa sono notevoli al pari del palazzo che abitano – fece eco il Conte, guardando Oscar con intensità.
Oscar manifestò un leggero disagio per il fatto di essere così insistentemente fissata. Il Conte se ne accorse, atteggiò le labbra a un sorriso, ma non distolse lo sguardo.
– Siete una donna interessante, Madamigella Oscar. Valorosa, bella e interessante.
A quel punto della conversazione, André rientrò nel salottino, recando fra le mani un vassoio d’argento con sopra due bicchieri di cristallo pieni di limonata e un piattino di porcellana colmo di amaretti.  
– André, non hai portato un bicchiere di limonata anche per te? – gli chiese Oscar, molto lieta dell’interruzione.
– Non ti preoccupare, Oscar, ne ho già bevuta una a metà pomeriggio.
– La magnanimità verso i sottoposti è il tratto distintivo delle anime nobili – si inserì il Conte di Compiègne.
– Monsieur Grandier vive qui da quando era un bambino. Ha studiato insieme a me, ha imparato l’equitazione e l’uso delle armi con me e io lo considero un amico fraterno e non un servitore.
– La Vostra nobiltà è pari soltanto alla Vostra bellezza, Madamigella Oscar.
La conversazione proseguì per circa mezz’ora, quasi interamente condotta dal loquace e brillante ospite che intrattenne i due interlocutori con aneddoti divertenti che avevano per protagonisti dei malcapitati signori che si erano, in più occasioni, coperti di ridicolo e verso i quali il narratore manifestava ben poca comprensione e molta allegra derisione.
Il Conte di Compiègne era un gentiluomo molto avvezzo a stare in società e, con un eloquio spigliato e fluente, dominava la conversazione e trattava amichevolmente anche l’interlocutore a lui più sconosciuto, creando dal nulla una familiarità inesistente. Lo sguardo era intelligente e divertito, ma non lo si sarebbe potuto definire simpatico, perché aveva un fondo di durezza e rimaneva freddo anche quando le labbra si atteggiavano al sorriso. I modi erano impeccabili, sebbene lievemente affettati e non sbagliava mai una frase né un’intonazione di voce. Dopo poche battute, aveva compreso che Oscar gradiva poco l’eccessiva confidenza e gli sguardi troppo diretti e insistenti e si era adeguato a lei magistralmente. Di André, invece, non si curava, se non nella misura in cui rivolgersi a lui avrebbe potuto recare piacere a Oscar.
Quando, finalmente, si fu congedato, André chiese a Oscar:
– Cosa te ne pare del tuo nuovo amico?
– Che è uno che ama impartire ordini in casa altrui – rispose Oscar, sorridendo.
– Non essere così severa con lui – fece eco André, sorridendole di rimando – In fin dei conti, ti considera molto bella, nobile e magnanima.
I due si guardarono divertiti e chiusero la conversazione con un’allegra risata.







Proseguendo con la gloriosa tradizione delle fontane di Versailles, Alga e Françoise14, nella loro storia, hanno citato la fontana di Latona mentre io, qui, tratteggio quella di Apollo.
La storia di Palazzo Jarjayes, che occupa qualche riga di questo capitolo, nasce da una più ampia idea di Tixit, trasfusa in una delle storie di questa autrice: il Conte de Jarjayes allora in carica amplia una proprietà di campagna preesistente, approfittando delle agevolazioni previste dal Re Sole, in occasione del trasferimento della reggia da Parigi a Versailles. L’Architetto Mansart, invece, è quello che progettò, nel diciassettesimo secolo, il vero castello di Maisons-Laffitte, dall’Ikeda usato come modello per disegnare Palazzo Jarjayes.
Se qualcuno è interessato ad ammirare il vestito, la collana e gli orecchini che Maria Antonietta indossa in questo capitolo, può utilizzare i collegamenti ipertestuali.
Buona lettura!
   
 
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