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Autore: Adhara    12/07/2018    2 recensioni
Soltanto una nuova minaccia per il Mondo Magico poteva far riavvicinare l'Auror Potter col suo ex professore di Pozioni. Due uomini del tutto nuovi, vecchi rancori e una strega oscura sono gli ingredienti per una pozione ammaliante e... pericolosa.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altro personaggio, Il trio protagonista, Severus Piton | Coppie: Harry/Severus, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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13.

Nei giorni che seguirono l’alterco con Piton, Harry ebbe modo di conoscere una parte di sé che gli era sinora rimasta sconosciuta, di cui forse il giovane aveva intuito l’esistenza, ma che non si era mai manifestata. Alla brusca, forte, sicura fine che il Pozionista aveva posto alla loro relazione, Harry reagì con la mestizia. Non era ancora sceso a patti coll’essere diventato qualcosa d’altro dal Bambino che è Sopravvissuto: se ne rese conto ora, stupendosi quando la proverbiale rabbia che avrebbe provato da ragazzo non arrivò, lasciandolo vuoto, a trascinarsi sovrappensiero tra casa e ufficio. Anche Ron e Hermione si accorsero del cambiamento nel suo umore: Harry sembrava una grossa macchia lavata male, un alone di vino rosso rimasto sulla tovaglia della festa. E metteva anima e corpo nelle sue attività quotidiane, come sempre, restando però nella sua bolla, quella da cui, quando qualcuno gli rivolgeva la parola, lui faceva capolino con occhi grandi e chiedeva di ripetere. Così i due giovani sposi decisero, il weekend successivo, di planare come falchi nel piccolo appartamento londinese che era la tana dell’Auror, armati di vino elfico e ben poco preavviso. Quando Harry aprì la porta, infatti, lo trovarono scarmigliato, gli occhiali storti sul naso, una t-shirt consunta e macchiata e un’espressione mista tra una faccia da funerale e una maschera di perenne sorpresa imbelle.

«Scusate, la casa è un casino…» disse subito, ma li fece entrare: a terra erano mollate scompostamente le sue scarpe, accanto ad un sacchetto da cui si era dimenticato di togliere un sacchetto di pane del Tesco* e il companatico – una giara di salsicce tedesche estremamente pallide.

«Ma va, non preoccuparti» rispose Hermione con un sorriso, ma Ron si piazzò davanti al proprio migliore amico e lo afferrò virilmente per le spalle.

«Mi stai spaventando, amico»

Hermione se n’era andata direttamente in cucina, da cui arrivò lo scatto metallico dell’interruttore della luce. Il vago pallore della lampadina dal vano poco distante si rifletté sul viso di Ron, colorandolo di toni cupi.

«Ma no, Ron, sono solo un po’ sbattuto…» rispose neutro Harry. Le mani di Ron, grandi e lunghe, gli bruciavano sulla pelle.

«Tanto lo sai che non ce ne andiamo finché non ci dici tutto» disse risoluto il giovane, lasciando andare l’amico, e raggiungendo Hermione in cucina. Harry sospirò, si guardò attorno come alla ricerca di un rifugio, ma poi si rassegnò e lo seguì.

Le doti culinarie di Hermione non erano particolarmente spumeggianti – era bravissima a fare dolci, con la sua perizia zelante da Pozionista, ma la mancanza di allenamento e di fantasia si faceva sentire in ognuna delle sue pietanze. Finirono così a mangiare le orride salsicce del Tesco con un contorno di fagiolini, che Harry non ricordava di avere nel frigo, e i due coniugi cercarono alacremente di inoculare in Harry una scintilla di verve, ma senza riuscirci.

«Oh Harry ora basta» sbuffò infine Hermione, dal nulla, facendo sobbalzare entrambi gli uomini. Stringeva in mano il bicchiere di vino elfico, affossato nel grembo, e se ne stava appollaiata sulla sedia con i tacchi incastrati nel piolo, le ginocchia vicine al petto. «Dicci che diamine è successo»

Ron, che finora aveva parlato di Quidditch senza raccogliere particolare entusiasmo dall’amico, annuì una volta, preparandosi ad ascoltare. Sembrava ancora più preoccupato.

Harry sospirò.

«E va bene» disse, «però sentite, non partite in quarta, state zitti e ascoltate»

«…lo sapevo…» mormorò Ron distrattamente, chinando la testa lievemente verso Hermione, ma Harry lo ignorò.

«Ho avuto un… uno scambio di idee con Piton» disse sbrigativamente Harry. Guardò i suoi amici come mettendo una fine al discorso, ma gli occhietti malvagi di Hermione lo invitarono ad andare avanti. Era spaventosa, a volte, una minuscola Molly dalle guance meno rubizze e i capelli più leonini.

«E mi ha… credo… piantato» aggiunse quindi Harry. Ron alzò la testa fiera con un guizzo.

«Quel viscido schifos-!» iniziò a dire, ma sia Harry che Hermione gli parlarono addosso.

«E tu è così che non parti in quarta?» esclamò Harry.

«Cosa diavolo ci voleva a dirlo ai tuoi migliori amici?» esclamò Hermione.

La cucina cadde in un silenzio sepolcrale. I tre si guardavano a vicenda come iene radunate attorno ad una preda: infine fu Hermione a sospirare, allungandosi a sfiorare la mano di Harry.

«Dai, dicci tutto» mormorò. «Non è bello vederti così»

 

Quando Harry ebbe raccontato, dopo che Ron si fece rosso rosso nel trattenere i commenti e Hermione ebbe scosso un paio di volte la testa pensando a quanto stupidi fossero gli uomini, i tre restarono per un po’ zitti. I piatti sporchi erano immobili davanti a loro, i bicchieri vuoti, e anche dalla strada salivano pochissimi suoni. Non si erano accorti che aveva ricominciato a nevicare: quello che li attendeva sarebbe stato uno degli inverni più nevosi degli ultimi dieci anni.

«Insomma, te lo potevi largamente risparmiare» commentò Hermione. «Ma dovresti anche essere contento della sua reazione, no? Non avrebbe mai iniziato una relazione con uno studente»

Ron fece una smorfia, immaginandosi la prospettiva di una relazione tra un giovane Harry e Piton, ma tacque.

«Certo, certo» annuì mollemente Harry. «Molto cavalleresco, molto onesto e molto bello. Ma mi ha comunque piantato, quindi sono stato un cretino»

«E che ci voleva a far finta di niente?» chiese allora Ron, «Sai quante volte io faccio il cretino? Hermione mi urla contro, a volte mi affattura, poi le porto un mazzo di fiori e dopo una settimana torna a parlarmi»

Hermione alzò un sopracciglio.

«Ma se hai capito che i fiori non risolvono niente, perché continui a portarmeli?» chiese. Harry accennò un sorriso.

«Aiutano, tu non lo sai, ma inconsciamente ti preparano al perdono» rispose saggiamente Ron. Guardò Harry con aspettativa.

«Non è il tipo da mazzo di rose, temo» disse lui, rispondendo alla domanda silenziosa.

Hermione tossicchiò.

«Beh, Harry, non so come dirlo, ma devi comunque rivederlo» mormorò. Le sue gote si erano tinte di un lieve tono pescato.

Ron si grattò la testa, sulle spine.

«Cosa state nascondendo voi due?» chiese Harry, allarmato.

«Ma niente» rispose la giovane Ministra**, «è che Ron mi ha detto che stavi pensando di mettere sotto sorveglianza Piton e così…»

Harry rivolse un lungo sguardo vacuo a Ron. Lui alzò le spalle.

«Dopo quello che mi hai detto alla Testa di Porco… » disse.

«Mi sembrava fossimo giunti alla conclusione che era un’idea idiota» boccheggiò Harry, sinceramente stupito. Ron abbassò la testa, le punte delle orecchie scarlatte.

«Quando mi è passato a prendere, quella sera, Ron era pieno di pensieri su questa cosa» intervenne Hermione, «Non voleva dirmi cos’era successo, finché prima di addormentarsi non ce l’ha fatta più. Era preoccupato, non per Piton, ma per te»

«Ti ho visto davvero in apprensione» soggiunse piano Ron.

«Quindi è colpa mia, ho avviato io le pratiche, ma se vuoi possiamo finirla qui, Harry» continuò Hermione. «Pensavo solo che ti avrebbe dato più serenità avere quei sigilli. E non mi costava nulla richiederli…»

Harry annuì lentamente, sentendosi ancora più stupido. Osservò i suoi due migliori amici con deferenza, come un cucciolo che si aspetti una sgridata, ma anche loro gli rivolsero la stessa occhiata: come un liquido tiepido nello stomaco, tutto l’amore del mondo lo riempì, e come sempre la vita tendeva a ricordargli, rivide i profondi segni che li avrebbero sempre tenuti uniti con affetto, stima e cura reciproci.

«Siete i miei angeli custodi» sorrise allora Harry, ricevendo un’occhiata confusa da Ron e un sorriso caldo da Hermione. La giovane donna si alzò e andò ad abbracciarlo e Ron, intuendo che Harry li aveva appena complimentati, la seguì, sigillando la loro stretta tripartita dall’alto del suo metro e novantacinque.

 

«Ma perché sei qui, Inga

Guriy non aveva mai posto quella domanda a nessuno dei suoi detenuti. Certo, era da poco che lavorava alla prigione senza nome di Shemeli, e Inga era quella con cui parlava di più ogni giorno, ma non gli era mai balenato in testa di farlo, anzi si era molte volte ripetuto, durante il primo periodo di lavoro, di non farsi mai i fatti dei prigionieri così da non lasciare che loro si facessero i fatti suoi. Ma ora invece se ne stava seduto davanti alla cella di lei, e per un attimo una vocina in testa gli chiese che diamine stesse facendo, ma gli occhi di Inga zittirono in un momento quel rimorso e il suo sorriso riportò tutta la sua attenzione su di lei.

«Non penso mi crederesti se te lo dicessi» rispose.

Le guardie di Shemeli non sapevano nulla dei loro carcerati: certo, Nazar la sapeva lunga sul conto di certuni di loro, perché quella era ormai la sua seconda casa, e così anche Guriy sapeva di che colpe si erano macchiati alcuni dei residenti del grigio edificio gelido che sorgeva sulla collina più alta della cittadina, che i Babbani avevano imparato a chiamare il Vecchio Castello. Ma per il resto era tutto un punto interrogativo, soprattutto circa quelli di cui la stampa non aveva parlato. Naturalmente dei più pericolosi maghi oscuri Guriy aveva sentito parlare: come di quello che si faceva chiamare Holaus, che stava dormendo a pochi passi da loro, che aveva sterminato un’intera linea genealogica dopo che il suo amore incestuoso non era stato ricambiato dalla più giovane nipote. Ma di Inga niente, non sapeva nulla: forse perché lui, la stampa estera, non la leggeva. E per estera intendeva anche il gazzettino di Kaboshi, che stava a pochi chilometri da lì, figurarsi i giornali nazionali. E poi era meglio, per lui, così: aveva la possibilità di sapere dalle labbra degli interessati, se voleva.

«Dai, che motivo avrei di non crederti?» la spronò gentilmente.

Inga si guardò le mani.

«Perché non so se sai quali crimini terribili possa compiere uno scricciolo di ragazza come me» disse piano, la voce incrinata. Guriy aggrottò la fronte: sentiva l’impulso di abbracciarla, di scacciare via il suo dolore, di cullarla. La osservò. E di baciarla, forse. Era una perla incastrata nel petrolio, lì, nel buio di quelle celle…

Senza rendersene conto, quest’ultimo pensiero scivolò via dalle labbra del ragazzo. Divenne rosso in viso, borbottando, ma Inga gli sorrise luminosa.

«Nessuno mi ha mai detto una cosa tanto carina» disse. Sembrava essersi tirata su di morale.

Guriy fece una smorfia.

«Non ci credo» disse, e i loro sguardi restarono per un po’ incastrati tra loro. Poi Inga abbassò la testa.

«I miei genitori mi volevano un gran bene» sussurrò. «Mi hanno istruita a casa, da sola, dopo che il mio fratellino morì. Ero felice. Non mi era mai venuto in mente che non avere la possibilità di farsi degli amici, di giocare con gli altri bambini, di andare a scuola potessero essere segni di una tale gelosia. Ma un giorno compii vent’anni e, sulla strada per il pozzo, incontrai il mio unico vero amore. Ci vedevamo là ogni settimana: mi chiese di essere la sua sposa. Così, stupida e ingenua, lo portai da loro. Erano ostili, refrattari, ma io avevo fiori incastrati sulle palpebre. Acconsentirono alla nostra unione e non capii finché, una settimana esatta dopo, il corpo del mio unico grande amore fu trovato riverso nel nostro pozzo. Era forte, pieno di gioia, ma dissero che si era suicidato»

A quel punto in Guriy l’istinto di prenderla a sé era diventato ardente come un tizzone. Gli occhi di Inga erano pozze di vuoto, fredde e secche – occhi di chi aveva già pianto via la propria anima. Le sue dita stritolavano dolorosamente il bordo della casacca, come cercando di farla a pezzi.

«Impazzii. Si trovarono legati al letto, una notte, e urlavano pietà quando li torturavo. Mi avevano tolto l’unico uomo che potesse amare una reietta come me. Morirono di stenti. Impazzita, vagai per giorni nella campagna, a chilometri e chilometri da qui. Mi trovarono che mangiavo bestie per sopravvivere. Scoprirono tutto e mi giudicarono troppo pazza, troppo pericolosa per poter finire in nessun posto che non fosse questa cella»

Il racconto di Inga cadde nel vuoto, lasciando lei in attesa, lui a bocca aperta. Rimasero in silenzio a lungo, tanto che alle orecchie di Guriy tornarono i rumori della prigione, i sussurri, i movimenti, i respiri. Si sentiva tornare a galla come una boa, di nuovo all’aria aperta dopo l’abisso. Ma sentiva su di sé un paio di occhi pieni di terrore e le parole che seguirono cementificarono alla realtà i suoi pensieri.

«Non mi parlerai mai più, non è vero?»

«Ma no» sussurrò il ragazzo. Tornò a guardare le mani di Inga: avrebbe voluto stringerle tra le sue, farle sentire il proprio calore, portarla in un posto in cui tutto quel dolore non sarebbe mai tornato.

«Sapevo di dovermi aspettare una storia triste. E immaginavo che una creatura come te non fosse capace di alcun male se non costretta da gente cattiva»

Inga lo ringraziò con gli occhi, mesta, e accennò un sorriso spezzato.

«Ho un gran mal di testa» sussurrò a mo’ di saluto. Guriy si scosse di dosso la polvere di favola che gli si era sedimentata con la storia di Inga: si alzò.

«Riposa, allora» disse piano. Le sorrise con forza. «Io non ti giudico, Inga, nessuno qui dentro è un mostro»

La strega parve illuminata da quelle parole: lo guardò intensamente, riscattata, e arrossì lievemente. Poi, senza aggiungere altro, si alzò, andò alla branda e lo salutò con la mano.

Quando Guriy smontò, dieci minuti dopo, e lasciò Nazar alla prigione, si sentiva diverso. Il freddo pungente che aleggiava sulla collina gli morse violentemente il viso e le mani, ancora nude. Si ficcò i guanti con foga, poi si guardò attorno: la cittadina, una chiazza beige nell’atmosfera grigia, lo osservava da sotto ai suoi piedi. Avrebbe dovuto camminare cinquecento metri per Smaterializzarsi e tornare a casa, ma avrebbe atteso un poco. Una fiammella, tenera di fuoco primigenio, gli si era accesa nel cuore, piena di pietà. Era la pietà per Inga, che era troppo bella per quella prigione, troppo giusta per scontare i peccati degli uomini, troppo preziosa per marcire come una rosa abbandonata in un vaso. Il giovane guardiano della prigione di Shemeli si voltò a guardare la bocca oscura che era il portone ferrato dell’edificio:

«A domani, mia amata Inga» sussurrò, prima di mettersi lentamente in cammino.

 

 

*Tesco: una delle principali catene di supermercati britannici.

** il dubbio amletico sul femminile delle cariche istituzionali me lo ha risolto l’Accademia della Crusca, che ha diramato il comunicato che, con parole quali “ministro”, “assessore”, “deputato”, è bene comportarsi come con qualsiasi altro sostantivo che indichi figure professionali. Fonte: http://www.accademiadellacrusca.it/en/press-releases/crusca-risponde-ministro-ministra

  
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