Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: LabilePandemic    15/07/2018    0 recensioni
" Porto l'esercito dei tristi dentro di me. Ho un'armata di battaglieri, fanti e cavalli, tutti disposti a corte nel mio rango serrato. ( . . . ) Gestisco le pedine con battiti di ciglia, faccio scacco matto con la sola voce della guerra. "
Alaska Alasdair è un ragazzo di ventitré anni, originario di Copenhagen, dichiaratamente omosessuale. Non conosce l'amore né la bontà: di solo ghiaccio sono intrisi i suoi occhi; ammantato di neve è quel cuore che si sforza di confinare fra le costole quasi fosse una maledizione, un'ingiuria.
Come molti, anche lui ha una storia da raccontare.
Una storia che ha il sapore della poesia drammatica, di scoperte all'insegna dell'avventura e di gotici, cruenti richiami alla passione più oscena e selvaggia. Di ogni peccato conosce persino l'effimero, il non-svelato. E saranno proprio queste sue manie di intrepida frenesia a scortarlo lungo un percorso che lo condurrà alla contemplazione dell'umanità, del cosmo, e alla scoperta dei segreti che la mente cela.
Attraverso la fusione fra presente e passato, si farà strada tra le abbandonate mura di un manicomio e nelle oscure, boroanti vie di un mondo ancora tutto da svelare.
Genere: Angst, Introspettivo, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un piccolo accenno. 
Il brivido della tempesta che invade i sensi
si frappone tra ciò che rimane e ciò che va scemando, 
come le foglie di un ramo ormai annichilito dalla tormenta, 
una fiamma spenta della propria luce.


 
21 marzo 2013, 
Dublino, Irlanda del Sud



L'acqua scorre lenta, lieve. 
Il primaverile vagito della brezza s'incastra fra i capelli di Alaska. Spighe piegate dal vento. Globi freschi, lucenti, impigliati lungo le ciglia socchiuse. 

I vestiti a ridosso di un corpo leggero, broccato di seta. Le mani su, allacciate dallo sguardo vispo delle nubi. I palmi rivolti verso l'alto, ad accoglier la tempesta. 

Il suono flautato dell'acqua che scorre, gli accarezza le orecchie. 

Respira piano, Alaska. Il capo reclinato all'indietro, le labbra schiuse, il fiato corto. 
Ingoia un po' di quel pianto, e la nostalgia lo invade. 
Lo schiaffo di un subconscio pronto a investirlo con tutta la propria potenza. 

L'anima gli soffia da dentro. Sembra quasi il miagolare di un gatto. 

Vorrebbe potersi udire, vorrebbe poter capire quelle voci che ha nella testa. Ma la pioggia glielo impedisce. 
È come se lui se lo impedisse. Che succederebbe se comprendesse? Se sapesse? Cosa diventerebbe? 

La pioggia dovrebbe lavare via ogni peccato. Dovrebbe purificarlo. Eppure si sente ugualmente sporco, macchiato. 

Un buco al petto lo divora. Dilaniato dai lembi del suo spirito, si sente impotente. Gli manca qualcuno, qualcosa. Forse il se stesso di prima. 
Ora che ha un'essenza frammentata, non sa più chi è davvero. 

Allarga maggiormente le braccia. Sul tetto di quell'hotel lussuoso, si sente povero, fragile. Non è ricco dentro. Non ha colori. Li prende in prestito dagli altri, finché riesce. 

In un impeto di sanità rubata, afferra gli angoli della maglietta e se li strappa di dosso. Riduce a brandelli quel tessuto sottile. I rimasugli cadono a terra. 

Il petto rimane nudo, spoglio di ogni copertura. Una goccia gli solletica la clavicola; poi scivola, adorna il costato magro, i fianchi stretti e il ventre piatto. 

I muscoli guizzano sotto la pelle. 
Il busto longilineo di una statua greca. 

Potenza nascosta negli occhi di adamantio. 

Alcune ciocche gli sfiorano la fronte, accarezzano le palpebre. 

Si sente spossato.

Ascolta il respiro che gli tamburella sotto le costole: vorrebbe piantarci le mani, in quel luogo così caldo e volatile. 
Vorrebbe potersi afferrare il cuore e studiarlo in ogni sua parte, e magari riconoscerebbe a quale origine appartengono tutte le cicatrici che lo rivestono. 

Caleb, poco lontano da lui, lo raggiunge con lente falcate. I vestiti imbrattano la sua figura volitiva: pieghe e ondulati drappeggi gli modellano ogni centimetro di corpo. Gli occhi verdi brillano sotto la coltre di stelle e pioggia. 
Dentro, veste un'espressione malinconica simile a quella di Alaska. 

Insieme, alzano lo sguardo al cielo sopra di loro. 

L'acqua scroscia, mallea la superficie spigolosa del volto di Alaska. Una strana quiete vige su quel tetto. Un'isola di smeraldo intinta nel traffico cittadino. 

« Un filosofo una volta si chiese: siamo umani perché osserviamo le stelle o le osserviamo perché siamo umani? » rompe il silenzio, Alaska. 

Un nordico intrappolato nel calore di nane bianche pronte ad esplodere della loro luce.

Lancia un'occhiata a Caleb. Le iridi turchesi si fermano a studiare la zazzera castana di quei capelli segnati dall'umidità.
« Poi le stelle osservano noi? »


« Domanda interessante, anche se un po' sterile. » risponde l'altro, compiendo un'alzata di spalle. 

Alaska arcua le labbra in un sorriso tirato agli angoli, perché in fondo non sorride spesso, senza una buona ragione. 

Estrae dalla tasca dei pantaloni un sacchettino di plastica trasparente, ove all'interno è contenuta dell'erba tritata. La porge al moro, che ora gli sta accanto. 

Lo tiene incastrato con lo sguardo, mentre lui se ne sta lì, impalato a porgere elogio ai diari della sua anima. 

Una gamba piegata, l'altra ben stesa ad affondare nel cemento bagnato; un cappello calato sulla testa, dal quale sfuggono alcune ciocche nivee. 

Pare così fuori dal mondo. 

Ma è altrettanto dentro di sé, Alaska, che risulta un individuo venuto da un altro pianeta, uno tutto suo.
« Caleb, riflettici bene: vivono soltanto della loro energia, oppure prendono parte a ciò che siamo? Polvere di stelle contrita fra le ossa, vertebre piegate da un universo senza confini. » 

« Non saprei dirtelo, Al. Ma forse non tutti siamo uguali. Non siamo fatti della stessa materia. Io sono morto, animato solo da cenere e terra. Tu invece scalpiti di vita, una vita che colora di ghiaccio la tua aura e ti porta lassù, fra quei corpi rocciosi che fremono di carburante celeste. »

Quelle stelle di cui parla, sono il moto terrestre di Alaska. Un pianeta che ruota attorno all'asse di baricentro. 

Il sole nato fra i lembi del cielo.
Il perno su cui si basano le sue notti insonni e le parole bloccate in gola. 

Perché ha così tanto da chiedersi?
Domande che gli ronzano nella mente e lo lasciano sospeso in un bilico ostentato. Qualcosa che ha molto a che fare con la verità e l'ignoto.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: LabilePandemic