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Autore: LabilePandemic    15/07/2018    1 recensioni
" Porto l'esercito dei tristi dentro di me. Ho un'armata di battaglieri, fanti e cavalli, tutti disposti a corte nel mio rango serrato. ( . . . ) Gestisco le pedine con battiti di ciglia, faccio scacco matto con la sola voce della guerra. "
Alaska Alasdair è un ragazzo di ventitré anni, originario di Copenhagen, dichiaratamente omosessuale. Non conosce l'amore né la bontà: di solo ghiaccio sono intrisi i suoi occhi; ammantato di neve è quel cuore che si sforza di confinare fra le costole quasi fosse una maledizione, un'ingiuria.
Come molti, anche lui ha una storia da raccontare.
Una storia che ha il sapore della poesia drammatica, di scoperte all'insegna dell'avventura e di gotici, cruenti richiami alla passione più oscena e selvaggia. Di ogni peccato conosce persino l'effimero, il non-svelato. E saranno proprio queste sue manie di intrepida frenesia a scortarlo lungo un percorso che lo condurrà alla contemplazione dell'umanità, del cosmo, e alla scoperta dei segreti che la mente cela.
Attraverso la fusione fra presente e passato, si farà strada tra le abbandonate mura di un manicomio e nelle oscure, boroanti vie di un mondo ancora tutto da svelare.
Genere: Angst, Introspettivo, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Ho sempre avuto un amico immaginario, 
e ce l'ho tutt'ora. 
Insomma, chi non vorrebbe un amico della mente?
Qualcuno che sappia già il fardello che ci pesa in testa
senza bisogno di parlarne ad alta voce? 

Io lo vorrei, e ce l'ho. 
Sarò anche un forsennato, ma la pazzia mi dona. 
Il mio amico me lo dice, quando sorride alle parole astruse 
che certe volte tiro fuori da un discorso. 
E mi appoggia. 

Lui ha il mio medesimo aspetto, 
i lineamenti configurati del volto che vedo riflesso 
in una superficie vitrea quando vi passo davanti. 

Quell'amico sono io, 
un me senza paure e senza tempo, 
che accetta se stesso
perché si ama, 
perché si comprende.



 
Meaning of madness:

   •  Anger, an intense and emotional response to a perceived provocation, hurt or threat. 
   •  Insanity, an abnormal behaviour. 
   •  Mental disorder that may cause suffering or poor ability to function. 



 
Da sempre la follia non ha fatto altro che focalizzare l'attenzione
su qualcosa di fondamentalmente universale:
l'Io, i desideri e le espressioni più pure di se stessi. 
Cos'è infatti l'atto o la parola di un folle, 
se non un'espressione limpida, 
priva di ragione, 
della propria mente, 
del proprio sentire? 




Attraverso la poesia, vibra la voce dell'anima. 
Attraverso la poesia, la pazzia si fà scudo innanzi alla normalità. 
Perché in fondo, la normalità è soltanto ciò che decidiamo che sia. 

Alaska è ancora fermo lì, in piedi, nel bel mezzo di una struttura che pare sia pronta a terminare la propria esistenza. È come se il silenzio stesso ruggisse fra le pareti, solo per costringerle a crollare. 
L'ala ovest del Rockland è completamente disabitata, spoglia di ogni metrica poetica. In quel luogo, neppure la poesia riesce a placare i tormenti. 
Spiriti inquieti che vagano. La loro presenza è palpabile, non tanto quanto la loro follia. 
Ché lì, forse, vera follia non c'è mai stata. 
E se è folle colui che prova rabbia, colui che tenta, allora anche Alaska è un maledetto folle. Uno di quelli da internare. 

Ma la verità è che è già stato paziente di ospedali psichiatrici, e nessuno ha potuto trovare una cura per lui. Magari proprio perché non esiste alcuna malattia da guarire. 
Anche se i suoi genitori non la pensano al medesimo modo. 

C'è tanto dolore, e sofferenza, lì dentro. Gli manca quasi il respiro. 

« Che fai? »  una voce sbuca fuori dal silenzio. 

Odore di ginestra e rododendro. 
Caleb. 

« Non lo so. Sto cercando di capire. »

Una mano leggera, flebile, gli si posa sulla spalla. È fredda, inconsistente. Priva di vita e di vigore. 
« Cosa vuoi capire? »

L'ululato del vento spazzia via le foglie disposte a corte lungo il pavimento. 
Alaska sospira. Socchiude gli occhi, perché non può sopportare ancora di vedere il volto di un ragazzo che non esiste più. Non in quel momento. 
« Perché sono così? Perché vedo te? Sento — »    sfugge via al tocco di quelle dita che gli serrano la spalla. 
È il calore della pelle, il brivido che lo pervade in un istante?    « — mi sento stanco. Stanco di essere così diverso. Gli altri non mi concepiscono, non mi comprendono, e nemmeno ci provano. Guardami! Guardami e dimmi se vedi altro che non siano soltanto i frammenti di ciò che ero. »

Quando Alaska si volta, ecco che incontra la figura di Caleb. Non vuole ancora vederlo ma non può resistere a lungo senza sentire il bisogno di farsi leggere l'anima almeno da lui. Del resto, a chi potrebbe mai confessarne i segreti? 
Gli sorride, con espressione sghemba e dolce insieme. Lo culla nel proprio sguardo. Occhi iridescenti che gli bruciano l'ossigeno.
Al è senza fiato. 
Bello come il sole d'autunno. 

« Ti guardo, piccolo snowflake. E vedo la tua aura che brilla, sotto una vasta coltre di nubi. Ma solo tu puoi spazzare via quella nebbia, con la poesia che riveste l'essenza di cuoi vuoi negare ogni artificio. »    Caleb gli si avvicina, cerca le sue mani con le proprie.     « È questo che ti turba, quindi? Temi il giudizio altrui? O hai forse paura di odiare te stesso sino ad autodistruggerti? »

Piange, l'anima di Alaska. Un labirinto infausto rappresenta i moti della sua ragione. 
Maree che s'infrangono contro la battigia con la persistenza d'un temporale estivo. 
« Non è un senso di auto-distruzione, il mio. So che è difficile da capire ma cerco solo di vivere come meglio posso, un po' alla giornata e un po' con il sentore della speranza. Lo faccio per arrivare alla sera e poi tentare di capire quali parti danneggiate di me ho sostituito, e quali rotto definitivamente. 
Non ho cose belle perché non le voglio né le cerco più. So quanto sia difficile perderle in seguito, e il vuoto incolmabile che lasciano dopo. »   fà una pausa, Al. 

Strattona via le dita dello spettro. Si abbraccia da solo, con le unghie conficcate nella pesante giacca invernale. Si cinge il busto, e stringe, quasi bramasse spinger fuori il respiro. Ha gli occhi lucidi, il respiro ansante. Percepisce qualcosa muoversi dentro di lui. Un'ondata terribile, mossa da una forza invisibile che gli scuote persino le ossa. 
Un demone incatenato alle costole, che scalpita e si dimena per oltrepassare i confini dettati dalla carne.   
« Così tengo per me soltanto gli scarti, il male, il dolore. Lo tengo stretto, lo impugno come fosse un'arma, e divento un guerriero. Lotto ogni singolo istante della mia vita, per aggiudicarmi soltanto un piccolo frammento di anima. Poi lo spargo sul terreno sanguigno della memoria, e lì ci ricavo un modesto angolo di vita. 
Non distruggo me stesso, perché non ho più nulla da distruggere. Così giovane. Così maledetto. Così finito. Anonimo. Invisibile. Marcio. Passo davanti alla gente e sono il loro spettro personale, quello che non riconoscono, che non vogliono vedere. Vengo notato solo dalle cose sbagliate, da quelle malate, infruttuose. Non conosco il motivo, ma forse è scritto nelle stelle, ch'io debba vivere come reietto della vita. »

Il Rockland Mental Hospital ulula ancora, questa volta con più urgenza. 
La rappresentazione esterna di ciò che dentro di Al infuria. 
Il vento scuote le mura, lampi inceneriscono le nubi all'orizzonte. 
Tutta New York sembra tremare davanti a quel moto della natura. 

Alcuni pezzi d'intonaco cadono dal soffitto, e per poco si distanziano dalla figura di Alaska. Le foglie gli ruotano intorno, sospese dalla brezza proveniente da est. 
Voci di spiriti intonano il suo nome, in un inno osannato dalla morte giunta a metà passo. Vite spezzate, rinfocolate dal desiderio di vendetta e redenzione. 
Al parla anche per loro, quando si rivolge a Caleb:
« Ora vattene, esci dalla mia testa. Sparisci, cazzo! »  
Vuole rimanere solo, anche nella mente.

Caleb lo guarda, sorpreso. Distrutto. Ferito. Scuote il capo, sospira. Una lacrima solitaria gli riga il volto, mentre sparisce nell'aria come brina evanescente. 

Cocci di pietre e vetri rotti circondano la figura di Al. Si china ad afferrarne uno. Rimira il bordo frastagliato d'un pezzo di specchio arrugginito. 
Il desiderio, allora, si fà in lui prepotente. 
« Quanto sangue può scorrere, prima che una mente malata appassisca, come un fiore d'inverno sepolto sotto la neve? »    si chiede a bassa voce. 

E neppure si rende conto d'aver espresso apertamente quel pensiero, fin quando un timbro femminile, comparso dal nulla dietro di lui, non gli risponde:
« Perché mai gettare sangue e far morire qualcosa di così bello? »

 
   
 
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