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Autore: Saigo il SenzaVolto    15/07/2018    3 recensioni
AU, CROSSOVER.
Prequel de 'La Battaglia di Eldia'
Boruto Uzumaki, il figlio del Settimo Hokage di Konoha. Un prodigio, un genio. Un ragazzo unico nel suo genere.
Un ragazzo il cui sogno verrà infranto.
Una famiglia spezzata. Una situazione ingestibile. Un dolore indomabile. Una depressione profonda. Un cuore trafitto.
Ma, anche alla fine di un tunnel di oscurità, c'è sempre una luce che brilla nel buio.
Leggete e scoprite la storia di Boruto Uzumaki. La sua crescita, la sua famiglia, il suo credo, i suoi valori.
Leggete e scoprite la storia di Boruto Uzumaki. Un prodigio. Un ninja. Un traditore. Un Guerriero.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sarada Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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LA SITUAZIONE NELLA FOGLIA



27 Maggio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Residenza dell’Hokage
09:00

Un giorno prima degli eventi finali del capitolo precedente.

“È colpa mia… È tutta colpa mia…”

Naruto sentì il proprio cuore stringersi nel petto a quella visione. Nel vedere sua moglie buttata in quel modo sul divano mentre si malediceva da sola, con la faccia affondata completamente nelle mani e le spalle che sussultavano per i singhiozzi, il giovane Hokage non poté evitare di sentir nascere dentro di sé un immenso senso di dolore e rammarico. Accanto a lei, Sakura, Shizune e Tsunade tentavano invano di calmarla, cercando di farla ragionare durante quelle crisi che continuava ad avere da giorni. In un angolo della stanza poi, Himawari osservava la scena coi suoi occhioni ricolmi di lacrime, tirando su col naso e stringendo nelle mani una delle giacche rosse e nere di Boruto, vicino al cuore.

Una profonda sensazione di angoscia lo pervase vedendo la disperazione di Hinata e Himawari. I suoi occhi quasi cominciarono a lacrimare.

Tsunade sospirò. “Hinata, te l’ho già detto, non è colpa tua,” disse la donna con un tono serio e accondiscende. “Comprendo il tuo dolore, ma non puoi continuare ad autocommiserarti in questo modo. Non fa bene per la tua salute.”

“Sì che è colpa mia invece!” ribatté lei, sconsolata e in lacrime. “Tutto quello che è successo è colpa mia! Ho istigato mio figlio ad andarsene! Le mie azioni hanno istigato Boruto al suicidio! E adesso a causa di ciò lui ha persino lasciato il Villaggio! Mio figlio! Il mio piccolo Boruto!”

Subito dopo quelle parole, la Hyuuga scoppiò in un pianto straziante e pieno di dolore. Per diversi minuti, il suono del suo singhiozzare disperato riecheggiò per tutta la stanza con foga, facendo calare nell’aria un’aura di pesantezza e angoscia opprimente.

Naruto non riuscì a resistere oltre, uscendo dal salotto della sua abitazione e poggiando la schiena sul muro del corridoio con un’espressione affranta. Non ce la faceva a vedere sua moglie così disperata e depressa. Il suo cuore non riusciva a reggere il dolore che gli causava vederla in quello stato. E lui sapeva bene da cosa era dovuto tutto questo. Non ci voleva un genio per capire quale fosse la causa della disperazione di sua moglie.

La fuga di Boruto.

La scomparsa di loro figlio aveva letteralmente distrutto emotivamente la donna. Sin da quando nei giorni scorsi lei e tutte le altre squadre di ninja e ANBU partiti alla ricerca di Boruto erano ritornati al Villaggio a mani vuote, Hinata era caduta in uno stato profondo di depressione e disperazione come non era mai successo prima. Nemmeno quando Boruto aveva deciso di lasciare la loro casa lei si era ridotta in questo stato così penoso.

Ma Hinata non era stata l’unica a soffrire la mancanza del loro primogenito. Anche Himawari era stata afflitta da un pesantissimo dolore sin da quando il suo amato fratellone era scappato senza neanche salutare. E anche se aveva solo dieci anni ancora, la piccola bambina aveva compreso in pieno la gravità della situazione in cui si era cacciato suo fratello. Dopotutto, anche se giovane lei era molto intelligente.

Naruto si passò una mano sugli occhi, cercando di trattenere il prurito delle lacrime che rischiavano di uscire. Non sapeva davvero cosa fare. Non sapeva come riuscire a mendare la sua famiglia che stava lentamente andando a pezzi. E soprattutto non sapeva come comportarsi con sua moglie.  Sin da quando Boruto era scappato, Hinata lo aveva cercato ininterrottamente per giorni interi, scrutando miglia e miglia col suo Byakugan senza però riuscire a trovare nemmeno una traccia di suo figlio. La cosa aveva cominciato a farlo preoccupare a morte. Era passata una settimana intera da quando Boruto e i suoi amici erano scappati, e ancora nessuno aveva trovato nemmeno un indizio su dove fossero finiti. Non riusciva davvero a crederci.

Ma come se non bastasse, la cosa più preoccupante non era nemmeno questa.

Il vero problema era che nessuno riusciva a percepirli. Nessuno riusciva a fiutarli. Nemmeno lui stesso. Naruto aveva tentato diverse volte di localizzare la posizione di suo figlio tramite le abilità sensoriali della Modalità Eremitica, ma ogni volta che ci aveva provato non era stato in grado di scorgere niente. La cosa era sconcertante. Dove potevano essere finiti quei tre ragazzini? Che fine avevano fatto? Come avevano fatto a scomparire letteralmente nel nulla senza lasciare tracce? Era forse successo loro qualcosa?

Domande a cui Naruto non aveva nessuna risposta.

Vedendo che le loro ricerche non avevano portato frutti dunque, Hinata si era lasciata sprofondare nella disperazione più totale. Era da giorni che andava avanti quella situazione. Passava le giornate a piangere, insultandosi e incolpandosi per tutto quello che era successo, implorando disperatamente per il ritorno di Boruto senza mai smettere di versare lacrime di dolore. Naruto non riusciva più a gestirla da solo. Hinata era una persona forte, ma era da sempre stata anche molto emotiva. La situazione che stava vivendo era troppo opprimente per lei. Si rifiutava di mangiare, faceva fatica a dormire, non riusciva a badare a Himawari, e diverse volte era stata costretta a finire in ospedale per riuscire ad assumere sostanze nutritive che l’aiutassero a reggersi in piedi. Vedendo la gravità della situazione, il giovane Hokage si era perciò ritrovato costretto a chiedere aiuto a Sakura e Tsunade, le uniche donne che sapevano la situazione che si era andata a creare nella loro famiglia e che potessero dare una mano a sua moglie. Esattamente come stavano facendo in quel momento.

Immerso in quei pensieri, Naruto trasalì leggermente appena vide la vecchia Tsunade uscire dal salotto dopo diversi minuti, la sua espressione visibilmente contrariata. L’anziana donna (anziana per modo di dire, visto che appariva sempre dell’aspetto di una cinquantenne) gli lanciò un’occhiata piena di dolore e compassione, posandogli una mano sulla spalla. Il biondo la guardò con timore, i suoi occhi che presero a farsi sempre più acquosi di secondo in secondo.

“N-Non si è ancora calmata?” domandò, temendo già la risposta.

Tsunada scosse la testa. “Non ancora. Dalle tempo, Naruto. Non è facile per una madre affrontare una situazione del genere. So che è straziante per te vederla in questo stato, ma Hinata è una donna forte. Riuscirà a superare il dolore, col tempo.”

Il Settimo annuì debolmente con la testa, puntando gli occhi in basso per cercare di trattenere le lacrime. Tsunade aveva ragione. Lui lo sapeva bene che non fosse facile. Lo sapeva perché non era facile per lui stesso. La mancanza di Boruto era una cosa che ormai aveva preso a sperimentare sempre più anche lui. “Tsunade-Baa-chan,” (Nonna Tsunade) sussurrò tristemente Naruto. “Che cosa devo fare?” quella domanda gli uscì fuori dalle labbra con un tono afflitto e depresso.

La donna gli afferrò gentilmente un braccio, stringendolo in un moto di conforto. “Stalle vicino,” rispose. “So che stai facendo del tuo meglio per venire incontro alle necessità della tua famiglia e a quelle del Villaggio, ma devi essere forte. Devi stringere i denti. Hinata e Himawari hanno bisogno di te, adesso più che mai.”

I pugni del biondo si serrarono con così tanta forza che le sue mani presero a tremare. Tra i due Kage calò un silenzio che si protrasse per diversi secondi.

“Sai Baa-chan,” disse poi Naruto all’improvviso. “Credo… Credo di star cominciando a rimpiangere di aver inseguito il mio sogno.”

Gli occhi della donna si sgranarono.

“Forse se non fossi diventato Hokage tutto questo non sarebbe successo,” continuò a dire quello, imperterrito. “Forse, se non avessi inseguito quel sogno, oggi Hinata non passerebbe le giornate a piangere. Forse Boruto sarebbe ancora qui, nella sua casa. Forse Himawari non sarebbe costretta a subire questa situazione così straziante.”

“Questo non puoi saperlo, Naruto,” lo incalzò lei con fermezza, costringendolo a guardarla negli occhi. “Non dire più una cosa del genere! Non puoi cominciare a provare rimorso per il tuo sogno! Questo non è da te!”

L’altro la guardò con dolore. “L-Lo so,” sussurrò, afflitto. “È solo che… ho sempre pensato che diventare Hokage sarebbe stato l’obiettivo che mi avrebbe reso completo. Che avrebbe coronato tutto ciò che ho ottenuto nella vita. Ma alla fine è stato l’esatto contrario, e io non so più cosa fare…”

Tsunade lo ascoltò in silenzio.

Il biondo riprese a fissare per terra. “Il mio sogno mi ha portato via mio figlio. E adesso… adesso ho paura di non poterlo più riavere. Il solo pensiero di ciò mi spaventa a morte.”

“Tu che cosa vuoi, Naruto?” chiese la donna.

Il Settimo alzò lo sguardo su di lei, fissandola con dolore, tristezza e rammarico. “Io rivoglio indietro mio figlio,” rispose. “Tutto qui.”

“Allora smettila di deprimerti e fai qualcosa per riprendertelo,” ribatté Tsunade, dandogli una pacca sul petto. “Non serve a nulla lasciarsi prendere dal dolore in questo modo. Dopotutto, tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro, o sbaglio?”

Il biondo annuì debolmente.

La donna gli accarezzò una guancia, cercando di essere più comprensiva. “Va da Hinata,” continuò a dire. “Stalle vicino. Fai quello che hai sempre fatto: non abbandonarla. E fai lo stesso con tua figlia. Questo è l’unica cosa che devi fare. L’unica strada che potrà aiutarti a riprendere Boruto. Ne sono certa.”

Naruto annuì di nuovo, rimuginando su quelle parole per il resto della mattinata. Dopo diverso tempo, Tsunade, Sakura e Shizune lasciarono Hinata e presero ad andare via, ritornando ognuna di loro alle proprie faccende. Perciò, appena rimase solo, Naruto si diresse di nuovo nel salotto della casa, approcciandosi timidamente a sua moglie che ancora restava seduta sul divano, la sua faccia puntata a terra con uno sguardo vacuo, spento. Alla sua destra, Himawari si era seduta accanto alla madre e la fissava con uno sguardo devastato, intenta a cercare di consolarla inutilmente. Il cuore di Naruto si fece pesante nel vedere il dolore riflesso negli occhi azzurri della figlia.

Il biondo si sedette accanto a loro, cingendo Hinata e Himawari con le braccia. “Hinata?” sussurrò con esitazione.

La donna non rispose subito al suo richiamo. Per diversi secondi, Hinata si limitò a continuare a fissare il vuoto, persa nei suoi pensieri senza reagire alle parole del marito. Poi però, appena un secondo prima che Naruto cominciasse a preoccuparsi seriamente, lei riprese a parlare con un tono di voce fioco e basso.

“Mi manca molto,” disse.

Il biondo la strinse a sé dolcemente. “Lo so,” disse a sua volta. “Manca anche a me,” Immersa nell’abbraccio, Himawari annuì a sua volta in assenso, emettendo un gemito sommesso di dolore.

“Ho paura, Naruto-kun,” continuò lei, devastata. “Ho paura. Nostro figlio è sperduto là fuori, da solo. Potrebbe succedergli qualcosa. Potrebbe finire nei guai. E noi non potremmo fare nulla per proteggerlo.”

“Non dire così,” tentò di consolarla lui. “Boruto è un ragazzo sveglio. Lo sai anche tu. Non finirebbe nei guai con tanta facilità. Sa cavarsela benissimo da solo.”

Hinata si voltò con la testa verso di lui, fissandolo negli occhi con uno sguardo di puro dolore e terrore. “Come fai a esserne sicuro?”

Naruto le rivolse un sorriso triste. “Perché è nostro figlio,” rispose semplicemente.

Hinata sgranò gli occhi all’udire la risposta del marito. Un piccolo, impercettibile sorriso prese ad incurvarle le labbra a sua volta. “Forse hai ragione,” ammise. “Ma è pur sempre un ragazzino. Il mondo là fuori è pieno di pericoli. Non voglio che il mio Boruto possa finire per incrociarne qualcuno. Non sono pronta a lasciarlo andare. Non ancora. Non in questo modo.”

Naruto la guardò con tristezza. Poteva comprendere benissimo quel sentimento. Lo capiva appieno.

“Ed è tutta colpa mia!” riprese ad incolparsi ancora la donna. “È colpa mia se Boruto se n’è andato…”

“No che non lo è!” ribatté subito il biondo, deciso. “Non dire mai più una cosa del genere, Hinata! La colpa non è tua! Anzi, se c’è qualcuno che ha istigato nostro figlio a scappare dal Villaggio allora quello sono io! È a causa delle mie azioni, delle mie decisioni, dei miei errori che lui e suoi amici sono fuggiti! I miei errori! Non i tuoi!”

Hinata non reagì alle sue insistenze, ancora troppo piena di dolore per riuscire ad accettare quelle parole.

“P-Papà,” disse allora Himawari, prendendo per la prima volta parola e attirando l’attenzione dei genitori. “D-Dov’è andato il fratellone? Perché è scappato via?”

Naruto e Hinata sentirono i loro cuori spezzarsi all’udire quella domanda. Himawari non sapeva ancora quello che era successo veramente a suo fratello. Non sapeva delle azioni che Boruto aveva compiuto o della discussione che aveva avuto con Naruto quel fatidico giorno a causa della situazione di Mikasa.

Hinata serrò i pugni. “Abbiamo fallito come genitori, Hima,” disse allora lei. “Per questo Boruto è scappato. Quello che gli abbiamo fatto è stato imperdonabile. Nessun genitore dovrebbe mai fare una cosa simile al proprio bambino. Nessuno…”

Naruto fece per parlare, ma all’improvviso Hinata affondò la faccia sul suo petto, riprendendo a piangere disperatamente. “I-Io… Io voglio solo riavere il mio bambino!” singhiozzò, la sua voce ricolma di dolore e sconforto. “Voglio solo riaverlo qui a casa assieme a noi. Voglio potergli dire che lo amo! Che mi dispiace! Che voglio rimediare! Voglio solo questo! Voglio solo ed unicamente questo!”

Udendo il pianto disperato di sua madre, Himawari prese a piangere a sua volta, incapace di sostenere quella situazione così piena di dolore.

“Lo troveremo!” disse allora Naruto nel tentativo di rassicurarle, la sua voce decisa. “Ve lo prometto, Hinata, Himawari! Troveremo Boruto ad ogni costo! Io e Kurama andremo a cercarlo personalmente se necessario! E io non rimangio mai la mia parola!”

Hinata alzò la testa dal suo petto, fissandolo con uno sguardo provocatorio. “Mi avevi detto che avevi la situazione sotto controllo,” ribatté. “Avevi detto che Boruto sarebbe stato trovato sicuramente in poco tempo. Avevi detto che non sarebbe mai riuscito a scappare da Konoha, men che mai dalla Terra del Fuoco.”

“S-Sei certa che lo abbia detto?” chiese Naruto con una risatina nervosa. Basandosi sulle sopracciglia aggrottate e sull’espressione ferma e accusatoria della donna, il biondino comprese subito che sua moglie non stava trovando divertente quella situazione. Il giovane Hokage allora si ricompose un po'. “Possiamo ancora rimediare, Hinata,” riprese a dire di nuovo, serio. “Non è ancora troppo tardi. Ritroveremo nostro figlio, e poi… e poi rimedieremo a tutto quello che abbiamo fatto.”

Hinata scoppiò a piangere di nuovo a quel punto. Tuttavia si lasciò abbracciare dal marito, le sue mani serrate sul petto del biondo con impotente dolore e frustrazione. Naruto le passò ritmicamente una mano sulla schiena, cerando di alleviare il suo dolore con la sua presenza e nel mentre stringendo a sé anche sua figlia che continuava a singhiozzare debolmente.

Dopo dieci minuti, appena Hinata ebbe finto di versare lacrime, lui la lasciò di nuovo, tenendo lei e sua figlia strette le braccia con le mani. Poi si portò faccia a faccia con lei, fissandola negli occhi senza mai lasciare Himawari con le braccia. “Lo prometto,” giurò. “Le cose cambieranno. Appena riusciremo a trovare Boruto e a riportarlo qui, io mi prenderò una pausa dal lavoro. Non m’importa se dovrò costringere il Daimyo del Fuoco in persona a sostituirmi a causa di ciò. Noi passeremo del tempo tutti e quattro assieme ancora una volta. Solo noi quattro. Noi tre, e Boruto. Ve lo assicuro.”

Hinata annuì debolmente con la testa. Himawari sgranò gli occhi.

“Niente più ore lunghe,” continuò a dire Naruto. “Niente più nottate spese in quell’ufficio. Niente più feste o compleanni mancati. Ritorneremo a essere una famiglia completa, e noi quattro sistemeremo le cose una volta per tutte. Lo prometto.”

All’udire ciò, Hinata e Himawari sorrisero appena con le labbra, e il cuore del biondo esplose di felicità nel vedere quel loro gesto.

“C-Come riuscirai a riportare il fratellone al Villaggio?” chiese allora Himawari, tirando su col naso e cercando di ricomporsi pateticamente.

Naruto sorrise. “Ho già alcune idee,” rispose, prendendola in braccio e mettendola a sedere sulle sue gambe. “Ma, hey! Che ne dici se ti insegnassi un po' di cose, Hima? In questo modo, quando Boruto ritornerà, tu potrai ripagarlo con la stessa moneta. Dargli una lezione, intendo. Così non si permetterà mai più di abbandonare la sua sorellina.”

Il volto della bambina si illuminò all’istante appena udì quella proposta. Sin da quando aveva risvegliato il Byakugan, lei era diventata l’orgoglio del clan Hyuga e uno degli studenti dell’Accademia più talentuosi che il Villaggio avesse mai visto. Stava lentamente cominciando a diventare un prodigio quasi quanto suo fratello. Perciò, con due rapidi cenni del capo, la piccola accettò la proposta del padre.

Soddisfatto, Naruto la rimise giù, riprendendo a focalizzare la sua attenzione su Hinata. Poteva vedere chiaramente che si fosse calmata rispetto a prima, ma per il momento era meglio cercare di rassicurarla ancora un po'. Ne aveva un disperato bisogno.

“Manderò quanti più Team e ANBU potrò a controllare ogni villaggio e ogni singola cittadina per tutto il Paese fino alla costa,” disse allora. “E chiederò ai Kage di tenere all’erta i loro ninja nel caso dovessero imbattersi in Boruto e i suoi amici. Sono certo che Gaara e gli altri ci aiuterebbero volentieri a ritrovarli.”

“E che ne è degli altri Paesi fuori dall’Unione?” chiese Hinata con enfasi, il suo volto adesso contornato da un sorriso più sereno.

Naruto assunse un’espressione pensierosa. “Manderò dei falchi messaggeri anche lì,” rispose. “Non temere, Hinata. Sono certo che riusciremo presto a sapere che fine ha fatto Boruto. Ne sono certo.”

La donna annuì, pregando con forza tutte le divinità che potevano esistere in cielo e in terra affinché le parole che suo marito aveva appena detto potessero rivelarsi vere. Naruto, Hinata e Himawari rimasero allora seduti sul divano per un altro po' di tempo, abbracciandosi a vicenda e cercando di crogiolarsi in quella sensazione di speranza, in quella sensazione di familiarità che si era persa tra di loro nel corso degli anni.

E da quel momento, realizzarono tutti assieme, forse la loro famiglia disastrata avrebbe davvero potuto cominciare a risanarsi ancora una volta.
 


27 Maggio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
13:22

Le preghiere di Hinata vennero esaudite quello stesso giorno.

Sai, il capo responsabile della Divisione ANBU, si presentò nell’ufficio del Settimo in fretta e in furia, entrando nella stanza senza neanche bussare. Il Settimo trasalì appena lo vide entrare, rischiando quasi di rovinare dei documenti che era intento a firmare con una penna.

“Hokage-sama!” fece l’uomo, portandosi davanti alla scrivania di Naruto con un’espressione tesa e vittoriosa. “Porto delle buone notizie.”

Naruto lo guardò con gli occhi sgranati, scioccato dalla sua comparsa così repentina. “Sai!” esclamò. “Che diavolo ci fai qui al Villaggio? Credevo che fossi ancora in missione alla ricerca di Boruto e i suoi amici! Perché sei tornato così presto?”

Sai scosse la testa. “Io non sono il vero Sai, Hokage-sama,” dichiarò subito senza mezzi termini, il suo volto serio come sempre. “Sono solo un clone. L’originale è ancora fuori dal Villaggio, approssimativamente a una quarantina di chilometri a Sud-Est da Konoha. Mi ha mandato qui perché ho delle notizie urgenti da riferirle.”

Gli occhi di Naruto si sgranarono ulteriormente. “N-Non vorrai dire…”

“Esattamente,” rispose invece l’altro, la sua espressione adesso contornata da un sorrisetto vittorioso. “Ho ricevuto delle notizie riguardanti il Team 3. Abbiamo un percorso da seguire, adesso.”

Naruto lasciò cadere sulla scrivania la penna che teneva in mano.

“Spiegati,” ordinò.

Sai non se lo fece ripetere due volte. “Durante le mie ricerche per la foresta, mi sono imbattuto in un piccolo villaggio situato fuori dai confini di Konoha. È un villaggio costituito principalmente da anziani e povera gente, dove le condizioni di vita sono scarse. Si chiama ‘Il Villaggio di Saigo’.”

Naruto aggrottò le sopracciglia. Non aveva mai sentito prima d’ora quel nome in vita sua.

“Comunque sia, chiedendo informazioni agli abitanti del luogo, ho ricevuto delle notizie molto interessanti,” continuò Sai. “A quanto sembra, mi è stato riferito che Boruto e i suoi amici sono passati per quel villaggio e hanno aiutato i suoi abitanti ad uccidere un orso dalle dimensioni enormi che infestava la loro zona da diverso tempo.”

All’udire ciò, il Settimo Hokage trasalì con tutto il corpo, sconvolto. Un enorme senso di speranza e sollievo prese ad inondarlo come un fiume in piena appena si rese conto di essere riuscito finalmente a ricevere notizie su suo figlio. Questo voleva dire che stava bene. La cosa era già di per sé molto rassicurante.  “E QUINDI?” esclamò subito dopo con enfasi, incapace di contenere la propria euforia. “CONTINUA!”

L’espressione di Sai si fece grave. “Dopo aver interrogato la gente del posto, il capo del villaggio mi ha riferito che Boruto, Mikasa e Sora erano ripartiti ormai da diversi giorni. Inizialmente non avevano intenzione di rivelarmi la loro destinazione, ma dopo un po' di insistenze mi hanno riferito che sono diretti verso la Terra dell’Acqua.”

Appena Sai finì di pronunciare quelle parole, il silenzio prese a regnare sovrano per tutto l’ufficio.

Poi però, scoppiò il putiferio.

“CHE SIGNIFICA CHE STANNO ANDANDO NELLA TERRA DELL’ACQUA!!!!” urlò Naruto, sbattendo un pugno sulla scrivania con foga e tensione.

Il clone di Sai prese a tremare leggermente appena vide lo stato di preoccupazione e tensione del Settimo. “Beh… C-Come ho già detto, il capo del villaggio mi ha confessato che sono stati Boruto e i suoi amici ad aiutarli ad uccidere l’orso che infestava le loro terre,” spiegò con calma nel tentativo di placare la tensione del biondo. “E dopo aver fatto loro un po' di domande, sono venuto a sapere che Boruto e i suoi amici sono diretti verso la Terra dell’Acqua.”

Naruto si alzò di scatto dalla scrivania e prese a camminare per l’ufficio. In quel processo, il giovane Hokage fece rovesciare con un braccio una piccola ciotola di ramen sulla scrivania, macchiando diversi documenti. Per Sai, quel gesto esprimeva chiaramente quanto fosse preoccupato il suo amico. Naruto non sprecava MAI ramen. Era un sacrilegio. Una blasfemia.

“Il vero Sai e la sua squadra sono diretti verso il Paese dell’Acqua proprio adesso mentre noi parliamo,” continuò allora a dire il clone. “Troveremo Boruto e i suoi amici. Di questo può starne certo, Hokage-sama.”

Naruto continuò a camminare per la stanza, il suo volto accigliato. Le parole del suo amico non lo aiutarono per niente a calmarsi. Poi però, di colpo, il biondo si voltò verso la porta. “Gatto!” esclamò.

Dopo nemmeno un secondo, una figura emerse all’improvviso da un angolo buio della stanza, facendo voltare di sbieco Sai per fissarla con attenzione. Era un uomo alto, con dei lunghi capelli castani che spuntavano fuori dalla sua maschera da animale: un gatto con due lune crescenti rosse e quattro segni di graffi incisi su di essa. Indossava la divisa classica da ANBU; pantaloni, maglia e stivali neri, con una giacca grigia e delle protezioni metalliche sulle braccia.

“Hokage-sama,” salutò l’ANBU, mettendosi sull’attenti e attendendo gli ordini.

“Rimuovi la tua maschera,” ordinò Naruto. L’ANBU fece come richiesto, togliendosi la maschera e rivelando un volto dalla pelle pallida, con dei lineamenti gentili e degli occhi neri che Sai conosceva molto, molto bene.

“Che piacere rivederti, Capitano Yamato,” lo salutò il clone appena l’altro si fu rivelato del tutto. Yamato si limitò a fargli un cenno col capo senza rispondere.

L’Hokage fissò Sai con uno sguardo attento e serio. “Sai, voglio che tu e la tua squadra vi dirigiate verso la Terra dell’Acqua e continuiate a cercare Boruto e gli altri. Yamato vi raggiungerà quanto prima, e poi vi darà una mano a cercarli. Fate in modo che riesca a trovarvi senza difficoltà.”

Il clone annuì, alzando le braccia per formulare con le mani il Sigillo per disperdersi all’aria e mandare al vero Sai i ricordi della discussione con il Settimo. “Aspetta,” lo fermò Naruto. “La Terra dell’Acqua sta avendo un periodo di… agitazione, in questi ultimi anni. Ci sono dei gruppi di mercenari che la infestano, approfittando dei tempi di pace per compiere lavori ed incarichi sporchi che il Villaggio della Nebbia si rifiuta di assumersi. Potrebbero causare problemi durante la missione. State attenti, e assicuratevi che Boruto, Mikasa e Sora siano al sicuro.”

Sai annuì. “Non si preoccupi, Settimo. Li troveremo.” lo rassicurò. Poi, facendo un cenno del capo a Yamato, il clone si dissolse nel nulla con uno scoppio di fumo, trasferendo tutti i suoi ricordi al vero Sai.

Spostando allora la sua attenzione sul suo vecchio capitano di Team, Naruto sospirò. “Sei l’unica persona a cui posso affidare questo incarico, Yamato. Ti auguro buona fortuna.” disse.

Yamato fece un sorrisetto ironico. Il suo vecchio allievo cercava di apparire serio e indifferente, ma lui sapeva bene che sotto sotto era preoccupato a morte per suo figlio. Lo riusciva a vedere chiaramente. Come lo sarebbe stato ogni padre, dopotutto.

“Non preoccuparti. Troverò Boruto, te lo assicuro. Non potrà essere più problematico di quanto lo eri tu alla sua età,” disse Yamato con una risatina, posando una mano sulla spalla del biondo. I due si scambiarono un cenno del capo, e poi il vecchio Capitano non perse tempo e lasciò l’ufficio senza esitare, usando la porta visto che non era più in missione come ANBU.

Appena rimase da solo nella stanza, Naruto crollò pesantemente sulla sedia, cominciando a riflettere.

Boruto e i suoi amici erano diretti verso il Paese dell’Acqua. Il solo pensiero di ciò bastava a fargli nascere dentro al cuore uno spavento immenso. Non avrebbero davvero potuto scegliere posto peggiore di quello per nascondersi. Le difficoltà e le tensioni tra la gente di quel popolo erano elevate, persino adesso che il mondo era finalmente riuscito a mettere pace e accordo tra le varie Nazioni.

Ma la Terra dell’Acqua era l’unica eccezione alla regola.

Naruto attribuiva tutto questo al passato di quel Paese. La Terra dell’Acqua era enorme, disseminata di isole sparpagliate per l’oceano e lontane miglia e miglia tra di loro. Già in passato i conflitti interni e le guerre civili che avevano imperversato quelle terre erano stati innumerevoli. Sia quando lui era piccolo, sia adesso. La storia e le leggende che riguardavano la fantomatica ‘Nebbia Insanguinata’ circolavano ancora oggi, in fondo. Nessuno sarebbe riuscito mai a dimenticare quelle storie ancora per molto, molto tempo.

Il biondo accese il computer posto sulla sua scrivania, facendo una rapida ricerca. A quanto ne sapeva grazie al suo rapporto con Chojuro, al giorno d’oggi il Villaggio della Nebbia se la passava relativamente bene. Mei Terumi, il precedente Mizukage, era riuscita a sedare la maggior parte delle guerre civili e delle insurrezioni durante il suo mandato. Ma i conflitti interni continuavano ad esserci lo stesso ancora adesso.

Era risaputo infatti che le isole esterne della Terra dell’Acqua fossero infestate da mercenari e briganti di ogni tipo, i quali erano disposti a tutto pur di arricchirsi o causare stragi e distruzione ovunque fosse possibile. Alcuni di essi erano addirittura arrivati ad assaltare con navi molti porti e isole per tentare di rubare merci e robe di valore, quasi come dei veri e propri pirati. Naruto lo ricordava bene. Diverse volte durante le loro ‘chiamate a distanza’, Chojuro aveva accennato questo problema a tutti i Kage. La situazione era tesa nel suo Paese, e trovare una soluzione definitiva non era per niente facile.

Proprio per questo Naruto era preoccupato. Se Boruto e i suoi amici erano diretti lì, allora sarebbero potuti incappare nei mercenari o nei gruppi di briganti che infestavano i confini del Paese. E questo li avrebbe messi in pericolo.

Il solo pensiero di ciò era inquietante.

Tuttavia, mentre rifletteva su quelle cose, un altro pensiero balenò nella mente del giovane Hokage.

“Come avrebbero fatto Boruto e gli altri a raggiungere le isole?”

Quella era una bella domanda. Di certo non avrebbero potuto attraversare l’oceano a piedi. Nessun ninja avrebbe potuto percorrere delle simili distanze senza finire prima a corto di chakra. Era una cosa rischiosa. E poi, con la situazione di tensione che quel Paese stava vivendo, sicuramente nessun marinaio avrebbe offerto loro un passaggio. Ma allora, nonostante questo, perché suo figlio aveva deciso di dirigersi lì? Muoversi verso Ovest sarebbe stata una mossa strategicamente più conveniente. Lui e i suoi amici avrebbero potuto nascondersi nella Terra dei Fiumi, o anche in quella della Pioggia. Erano entrambe delle Terre fuori dall’influenza dell’Unione, ed entrambe molto più stabili rispetto a quella dell’Acqua.

Poi, di colpo, una realizzazione lo fulminò all’improvviso.

La Terra del Vortice.

Naruto serrò i pugni con tensione appena quel nome prese a farsi sempre più nitido nella sua mente. L’isola più vicina alla costa del Paese del Fuoco era quella del Vortice. Il Paese dove, in tempi antichi, si era originato il suo clan. La terra natale di sua madre, Kushina.

Un luogo perfetto per nascondersi.

Naruto aveva visitato quella terra, una volta. Subito dopo la Grande Guerra Mondiale, lui e il Sesto avevano fatto visita all’Uzukage in segno di pace e di unione, incontrando una giovane ragazza che aveva deciso di rifondare il Villaggio del Vortice ripartendo dalle rovine e dall’antica gloria che il clan Uzumaki possedeva. Se la memoria non lo ingannava, il suo nome era Kaya Uzumaki.

Naruto non si era mai curato troppo di lei e della questione della rinascita del loro clan. Dopotutto, per lui la sua casa era Konoha. E pur volendo, il suo lavoro da Hokage non gli permetteva mai di lasciare il Villaggio con facilità. Ma adesso che questa cosa gli era tornata in mente, uno strano senso di inquietudine aveva preso a crescere dentro di lui.

Boruto era un Uzumaki. E le uniche persone capaci di superare la barriera che circondava l’isola del Vortice erano gli Uzumaki. Per cui, se suo figlio e i suoi amici si fossero nascosti lì nell’isola, nessuno sarebbe mai riuscito a riprenderli e a riportarli nel Villaggio della Foglia in maniera pacifica.

Era solo una pura speculazione, ovvio, ma era pur sempre una possibilità concreta. E se c’era qualcosa che Naruto aveva imparato nel corso di questi ultimi anni grazie alla sua situazione familiare, essa era che le occasioni andavano colte al volo prima che fosse troppo tardi.

Il Settimo si alzò di scatto dalla scrivania. Aveva già mandato un falco messaggero nel Paese del Vortice per inviare all’Uzukage il messaggio che riportava la notizia della scomparsa di suo figlio. Adesso però ne avrebbe mandato un altro. Un messaggio che avrebbe richiesto il permesso di visitare la sua terra.

E lui stesso avrebbe fatto una visita nella Terra del Vortice.

Era l’unica cosa che poteva fare. Doveva accertarsi che suo figlio non fosse lì. E Naruto era l’unico che poteva entrare nell’isola senza destare eccessivi sospetti. Era un Uzumaki anche lui, in fondo, e ad essere sincero era curioso anche di vedere come se la stava passando il Villaggio del Vortice dopo tutti questi anni. E poi visitare un Kage avrebbe potuto portare vantaggi ad entrambi i Villaggi. Era un’occasione da non perdere, dunque.

Ma ci sarebbe voluto tempo. Dopotutto, per un Hokage era difficile lasciare il Villaggio. Per farlo avrebbe dovuto compilare e approvare decine e decine di documenti e notazioni burocratiche che lo avrebbero tenuto occupato almeno per una settimana. Una settimana di lavoro ininterrotto. Ma Naruto non si sarebbe arreso. Inoltre avrebbe dovuto avvisare l’Uzukage della sua visita, sperando che essa potesse accettarla.

Una questione delicata, ma Naruto era certo che non ci sarebbero stati problemi. Il Villaggio della Foglia e quello del Vortice erano alleati da molto tempo, e lui era sicuro che l’Uzukage non avrebbe rifiutato a sua offerta. L’idea era degna di fare un tentativo.

E pur di riuscire a trovare suo figlio, Naruto avrebbe fatto di tutto.
 

27 Maggio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
16:00

Sarada entrò nella torre con passo deciso. Mentre attraversava le porte dell’edificio, la sua espressione era rimasta per tutto il tempo ferma, decisa e seria come non mai. I suoi occhi solitamente neri adesso erano diventati rossi come il fuoco fiammeggiante, e scrutavano tutto ciò su cui posavano lo sguardo con fredda e minacciosa furia, come se sfidassero qualunque cosa dinanzi a loro ad osare andare contro di lei e fermala. La sua mente era un vortice di emozioni prepotenti e confuse, e il suo cuore scalciava nel petto con foga, agitato e pieno di rabbia.

La sua testa brulicava di domande, domande a cui oggi lei era decisa ad ottenere le risposte. Ad ogni costo.

La segretaria all’ingresso dell’edificio fece per alzarsi e fermarla appena la vide, ma l’Uchiha le scoccò una sola occhiata truce che la convinse a desistere immediatamente. Vedere quegli occhi colmi di ferocia le fece letteralmente perdere ogni tipo di voglia di approcciarsi alla ragazza, portandola invece ad optare di farsi saggiamente gli affari propri.

Sarada salì le scale verso la sua destinazione con un passo deciso e pesante. Tutti quelli che la incrociavano per i corridoi presero a dileguarsi il più in fretta possibile da lei, senza nemmeno degnarsi di salutarla o rivolgerle la parola.

Dopotutto, nessuno voleva assistere alla scena di un Uchiha infuriato.

Raggiunse la sua destinazione in meno di cinque minuti. Sarada aprì la porta dell’ufficio senza nemmeno bussare, spalancandola con un gesto deciso del braccio e facendola sbattere con forza alla parete.

L’intera parete prese a creparsi a causa della forza dell’impatto.

Il Settimo Hokage alzò la testa di scatto appena vide la porta del suo ufficio sfondarsi in quel modo così brusco, trasalendo con tutto il corpo. Per poco non rischiò di cadere giù dalla sedia a causa dello spavento. I suoi occhi trovarono subito la figura che aveva fatto irruzione nella stanza, osservandola con uno sguardo allibito e confuso.

“S-Sarada,” fece Naruto, sconvolto. “Che succede? Che ci fai qui?”

La ragazzina si portò davanti alla scrivania con decisione, guardando l’Hokage con uno sguardo freddo e solenne che non aveva mai rivolto lui prima d’oggi. “Voglio delle risposte, Hokage-sama.” sibilò a denti stretti.

“Risposte?” ripeté l’adulto, confuso. “A cosa ti riferisci?”

La nera lo guardò in faccia con fermezza, i suoi occhi rossi che scrutavano il volto e gli occhi azzurri dell’altro con fredda ira e rabbia. Naruto ricambiò il suo sguardo al meglio che poté senza lasciarsi toccare più di tanto, annotando mentalmente la presenza dei tre Tomoe che circondavano le pupille della giovane davanti a lui.

“Boruto.” dichiarò semplicemente lei, la sua voce seria.

Sarda serrò i pugni con forza quando vide il volto dell’Hokage farsi pesante appena pronunciò quel nome. Negli occhi dell’uomo apparve un’emozione solenne e inconfondibile che la giovane non ci mise molto a decifrare.

Dolore. Rammarico. Tristezza.

Naruto cercò di mantenere un atteggiamento serio e professionale. “A cosa ti riferisci?” chiese. “Se vuoi sapere il motivo per cui lui e la sua squadra sono fuggiti, allora sappi che è un’informazione riserva-”

“Boruto mi ha detto tutto.” lo incalzò all’improvviso lei, il suo sguardo e la sua voce glacialmente seri.

Gli occhi di Naruto si sgranarono a dismisura all’udire quella sentenza.

“Mi ha raccontato ogni cosa,” continuò imperterrita lei, il suo tono freddo come il ghiaccio. “Quello che lei e la sua famiglia gli avete fatto, quello che lo avete istigato a fare, quello che volevate fare a Mikasa… tutto.”

Le spalle del Settimo crollarono sempre più gradualmente verso il basso mentre la ragazza continuava ad elencare quei ricordi dolorosi.

La giovane Uchiha non sembrò curarsi del dolore sempre più evidente dell’uomo. “Per questo sono qui,” disse alla fine, il suo volto una maschera priva di emozione e che rischiava di frantumarsi all’istante rivelando una rabbia atroce e furibonda. “Perché voglio una risposta. Una sola, semplice risposta. Quello che Boruto mi ha detto, quello che voi gli avete fatto… è vero?”

Naruto non riuscì a sostenere lo sguardo della giovane a quel punto, posando gli occhi sul suolo.

Sarada non demorse. “È vero?” ripeté, stavolta con più forza di prima. “Lei gli ha veramente fatto tutte quelle cose?”

Il silenzio fu l’unica risposta che ottenne. Per diversi secondi, nessuno dei due osò proferire altre parole nell’ufficio, limitandosi a scendere in un silenzio teso e pesante. Sarada continuò ad osservare intentamente il Settimo, senza mai distogliere lo sguardo dalla sua faccia. Due occhi rossi ardenti come il fuoco contro due occhi azzurri tremolanti e acquosi puntati al suolo.

Finché, dopo un tempo che parve loro infinito, Naruto si arrischiò a parlare.

“Sì,” rispose alla fine. “È vero. È tutto vero.”

I pugni serrati della ragazzina cominciarono a tremare. “Perché?” chiese, il suo sguardo celato momentaneamente dal riflesso degli occhiali. “Perché gli avete fatto una cosa così meschina? Come ha potuto farlo, Settimo?”

Naruto la guardò con gli occhi che grondavano di rammarico e vergogna.

Sarada non gli diede il tempo di aprire bocca. “Boruto è suo figlio!” continuò, la sua voce che aumentava di tono mano a mano che parlava. “Come ha potuto fargli una cosa del genere?! Lo ha ignorato come un estraneo! Lo ha istigato al suicidio! Lo ha portato ad odiare tutti voi ed il Villaggio! COME HA POTUTO?!”

“…”

Sarada ansimò, riprendendo il fiato dopo aver finito la frase di prima urlando. La giovane sentì un’immensa rabbia e brama di sangue percorrerle le vene dinanzi al silenzio dell’altro. Non riusciva a crederci. Non poteva crederci. Come aveva potuto Naruto-sama compiere un gesto così meschino contro suo figlio? Come avevano potuto lui e sua moglie trattarlo in quel modo così crudele? Non riusciva a comprenderlo. Non riusciva ad accettarlo. Era una cosa inconcepibile. Non poteva credere che il suo idolo, il suo eroe potesse cadere così in basso! Non era possibile!

“S-Si rende almeno conto di quello che ha fatto?” riprese a gridare ancora una volta, i suoi occhi rabbiosi che presero a riempirsi di lacrime. “Le sue azioni hanno spinto Boruto a scappare dal Villaggio! Lo hanno spinto ad abbandonare la sua casa! Ad uccidere i suoi compagni! A mozzare un braccio a Konohamaru-sensei! SE NE RENDE CONTO? CIÒ CHE LEI E SUA MOGLIE AVETE FATTO HA PORTATO BORUTO A DIVENTARE UN CRIMINALE! MI DICA, NANADAIME-SAMA, SE NE RENDE CONTO?!”

La rabbia e la furia che le inondavano la testa erano indescrivibili. Sarada si rese solo vagamente conto del fatto che le lacrime sul suo volto stavano colando come fiumi a quel punto. Non riusciva a calmarsi, non riusciva a trattenere tutto il dolore e la delusione che provava dentro.

Perché l’Hokage l’aveva delusa. L’aveva ingannata. Per tutto questo tempo, lei aveva creduto che Naruto-sama fosse un eroe. Un paladino della giustizia. Un uomo perfetto. Un uomo incapace di sbagliare. Ma adesso si era resa conto del fatto che le cose non stavano affatto così. Adesso lei aveva aperto gli occhi. Aveva visto finalmente la verità.

Naruto-sama non era un eroe. Non era affatto l’idolo che lei si era sempre immaginata.

“L-Lei è solo un fallito!” esclamò alla fine con voce tremante, affranta e scossa da singhiozzi. “U-Un patetico uomo che ha fatto soffrire crudelmente suo figlio! Io… Io credevo in lei! Pensavo che fosse un eroe! Ma mi sbagliavo…”

I singhiozzi presero ad avere il sopravvento a quel punto. Sarada non riuscì a proferire più parola a quel punto, abbassando lo sguardo a terra e crollando in preda al pianto e alle lacrime. Per diverso tempo, nessun suono si sentì nell’ufficio a parte i suoi singhiozzi. Per diversi secondi, nell’aria non si udì nessun suono che non fosse il suo pianto disperato.

Fino a quando, all’improvviso, la voce del Settimo riprese a parlare.

“Lo so…”

Sarada alzò lo sguardo su di lui.

Naruto aveva lo sguardo incollato sulla scrivania, i suoi occhi che lacrimavano a loro volta e il suo volto grondante di dolore, sconforto e disperazione. “Lo so,” ripeté, la sua voce fioca e debole, quasi come un sussurro. “Sono un fallito. Io… Io ho fallito. Come Hokage, come uomo, e come padre.”

L’Uchiha lo ascoltò con gli occhi sgranati.

Il Settimo la guardò a sua volta, un bieco sorriso pieno di dolore che gli incurvava le labbra. “Hai ragione, Sarada. Io non sono un eroe. Non sono l’idolo che credevi io fossi. Sono solo un… un… non lo so nemmeno io.”

Sarada tirò su col naso, togliendosi gli occhiali e cercando di asciugarsi gli occhi con le mani.

“Forse… Forse Boruto ha ragione, in fondo,” continuò a dire Naruto, i suoi occhi che non smettevano mai di lacrimare. “Forse sono davvero un mostro come dice. Dopotutto, solo un mostro potrebbe fare una cosa simile al proprio figlio. Non credi anche tu, Sarada?”

La ragazza lo guardò con sconvolgimento e dolore. “M-Ma perché lo ha fatto?” domandò a sua volta, incapace di comprendere. “Perché ha causato tutto quel dolore a Boruto?”

Gli occhi di Naruto si riempirono di vergogna e rammarico. “Non lo so,” rispose pateticamente, fissandosi le mani con impotenza. “Non so davvero… davvero cosa dire. Ho fallito. Hai ragione ha provare rabbia nei miei confronti. Non… Non posso biasimarti per quello che provi.”

Sarada abbassò lo sguardo a terra all’udire ciò, visibilmente depressa. Il suo cuore cominciò a dolerle fisicamente nel petto, e lei e il Settimo presero a calare in un silenzio contemplativo dopo quelle parole. Un silenzio teso e pieno di dolore e vergogna.

No, realizzò allora in quel momento, lei non era arrabbiata. Non poteva arrabbiarsi con Naruto. Non poteva. Non ci riusciva. Per quanto lo volesse, per quanto fosse tentata dalla voglia di odiare il Settimo e la sua famiglia, lei non era in grado di farlo.

Perché il dolore riflesso negli occhi di Naruto era evidente persino a lei.

Sarada sentì il suo petto pulsare dolorosamente. I suoi occhi presero a prudere, soffocati da una pressione opprimente che li bruciava da dentro.

Era evidente che Naruto fosse pentito delle sue azioni. La vergogna, il dolore e il rammarico che provava erano palesemente evidenti. Erano riflessi nei suoi occhi. L’Hokage non era mai stato capace di non far trapelare le sue emozioni negli occhi, e Sarada lo sapeva bene. Erano proprio quegli occhi che l’avevano colpita positivamente la prima volta che li aveva visti. Quegli occhi azzurri sempre così vivaci, così sicuri, così allegri da farla impazzire di gioia.

Quegli occhi che adesso, invece, erano ricolmi di dolore e vergogna come mai prima d’ora.

Sarada non riuscì a sostenere ulteriormente quella visione. “Io… Io non sono arrabbiata con lei, Hokage-sama,” riprese allora a dire debolmente. “Sono… Sono solo delusa. Non so più… cosa pensare di lei.”

Naruto annuì, posando gli occhi sul pavimento. “Lo capisco, Sarada. Non preoccuparti.”

“M-Ma non riesco ancora a capacitarmene,” disse di nuovo lei. “Le sue azioni hanno portato la sua stessa famiglia a dividersi! Come-Come ha potuto permetterlo? Come ha potuto lasciare che una cosa del genere potesse accadere?”

Lo sguardo del biondo non lasciò mai il pavimento. “Sono stato cieco,” rispose sommessamente. “Ho… Ho dato troppa priorità al mio lavoro, al mio dovere di Hokage per riuscire a vedere il dolore che affliggeva mio figlio. Non sono stato in grado di aiutarlo. Non sono stato in grado di confortarlo. L’unica cosa che ho fatto è stata abbandonarlo, lasciandolo da solo… e quando alla fine ho realizzato i miei errori, era troppo tardi ormai.”

La ragazza con gli occhiali lo guardò con dolore. “Il dovere di un padre è quello di accudire i propri figli,” disse. “Di proteggerli. Di aiutarli. E lei lo sa bene, Hokage-sama. Ma nonostante questo non è riuscito a svolgere il suo compito con Boruto. Perché?”

Naruto posò gli occhi verso la finestra all’udire quella domanda., fissando il panorama del Villaggio con uno sguardo spento e triste. “Io… Io sono cresciuto senza genitori,” cominciò allora a dire. “Per questo ho sempre fatto difficoltà ad approcciarmi a Boruto. Non sapevo… Non sapevo come comportarmi. Non sapevo come dovevo trattarlo. E questa cosa mi è stata fatale. Non sono riuscito a scorgere appieno il dolore che affliggeva Boruto, e per questo motivo l’ho perso. Per questo motivo non sono riuscito a fare nulla per lui. Non… Non puoi immaginare la vergogna che io provo al solo pensiero di ciò…”

Sarada lo guardò con rammarico. “Lei si è arreso, Settimo?”

Naruto posò di nuovo gli occhi su di lei. “No,” rispose subito. “Non mi arrenderò mai, Sarada. So di aver sbagliato, so di aver fallito come padre, ma questo non significa che mi sono arreso.”

La giovane lo guardò, sfidandolo con gli occhi. E stavolta, con suo sommo stupore, Naruto sfidò il suo sguardo senza esitare.

“Io mi riprenderò mio figlio,” dichiarò il Settimo. “Non mi arrenderò mai fino a quando non riuscirò a riprendermelo. E quando ci riuscirò, allora potrò sistemare le cose. Potrò finalmente fargli vedere il mio pentimento, il mio rammarico. Potrò finalmente chiedergli scusa come si deve, e… riunire ancora una volta la mia famiglia. Questo è il mio unico desiderio. Questa è una promessa che ho fatto a me stesso, a mia moglie e a mia figlia.”

Sarada trattenne il fiato, vedendo nel volto del Settimo una determinazione e una speranza che sembravano infiniti.

Naruto la guardò con un sorriso.

“E io non mi rimangio mai la parola data.”
 


27 Maggio,0015 AIT
Dimensione Alternativa di Momoshiki
17:00

Lo strano ragazzo osservò la devastazione davanti ai suoi occhi con uno sguardo privo di emozione. Il silenzio che riecheggiava in quel mondo oscuro e privo di vita era assoluto, e non si riusciva ad intravedere alcuna fonte di energia in nessuna direzione, per quanto a fondo si guardasse. I resti marcescenti dell’Albero Divino, o meglio di ciò che ne restava, erano sparpagliati per tutto il terreno come macerie in putrefazione, e il suolo era pieno di crateri e segni evidenti di combattimenti feroci. Era quasi come se una feroce battaglia si fosse combattuta in quel mondo di recente.

Il ragazzo sorrise.

“Capisco,” disse a bassa voce tra sé. “Gli Otsutsuki sono stati sconfitti…”

La sua testa si voltò lentamente verso destra.

Il misterioso ragazzo non dovette nemmeno evitare il colpo. La raffica elettrica lo investì in pieno petto, attraversandogli il corpo senza fare alcun danno. Quasi come se fosse un fantasma etereo. Un fantasma incapace di essere toccato.

I suoi occhi trovarono il suo assalitore senza difficoltà. Un piccolo sorriso ironico gli incurvò le labbra. “Che piacere rivederti, Uchiha.”

Sasuke si materializzò davanti a lui senza fare un solo rumore, fissandolo con uno sguardo serio e penetrante.

Il ragazzo gli sorrise. Un sorriso bieco e privo di calore. “Non mi aspettavo la tua comparsa,” ammise, curioso. “Che cosa ci fai qui?”

L’Uchiha attivò i propri occhi, osservando l’altro strano essere con attenzione e sospetto. “Sapevo che saresti venuto in questo mondo prima o poi,” spiegò lentamente. “Ho semplicemente aspettato il momento in cui saresti sbucato fuori.”

Il ragazzo ridacchiò gelidamente. “Sei buffo, lo sai?” sibilò, divertito. “Ma gradirei che tu mi spiegassi cosa è successo, umano. Che fine hanno fatto gli Otsutsuki?”

“Quei due non sono più,” rispose subito quello. “E presto, anche tu potresti fare la loro stessa fine se oserai avvicinarti ancora alla Terra.”

Il giovane ragazzo osservò il volto di Sasuke con una gelida calma e un’indifferenza sconcertante. I suoi occhi privi di vita sembrarono osservarlo con morbosa attenzione, quasi a voler discernere quello che fosse racchiuso nella mente del loro interlocutore.

Finché, poi, il giovane sorrise maliziosamente. “Capisco,” riprese a dire. “Non sei stato tu ad uccidere quei due Otsutsuki. Interessante…”

Gli occhi di Sasuke si ridussero a due fessure.

Il ragazzo prese a spostare lo sguardo, fissandolo verso un punto impreciso alla sua destra. “Molto bene,” disse allora, serio come sempre. “Credo che sia finalmente giunta l’ora di fare una visita a colui che è riuscito a uccidere Momoshiki e Kinshiki…”

L’Uchiha serrò i pugni per la tensione. “Boruto!” realizzò mentalmente. Poi però fece un passo in avanti, minaccioso. “Credi davvero che te lo lascerò fare?” domandò ironicamente, sguainando la sua spada. “Te l’ho detto. Se ti avvicinerai ancora alla Terra ne pagherai le conseguenze. A caro prezzo.”

Il misterioso giovane posò di nuovo gli occhi su di lui. “Credi davvero di essere in grado di fermarmi, umano?”

Per tutta risposta, Sasuke gli balzò addosso.





 

Note dell'autore!!!

Salve a tutti! Ecco a voi il nuovo capitolo! Spero di riuscire a pubbilicare il prossimo il prima possibile.

Vi invito a leggere e commentare! I vostri commenti sono ciò che mi da la carica per continuare a scrivere! Per cui, vi ringrazio in anticipo!

A presto!
   
 
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