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Autore: NPC_Stories    16/07/2018    5 recensioni
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L'amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.

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[Jolly Adventures, capitolo L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3)]
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Quando Johel ha portato il suo strano amico (all'epoca vivo e vegeto) a conoscere la sua famiglia, inizialmente non è andata molto bene.
Questa non è la storia di come è cominciata, ma è la storia di come la più improbabile delle creature è diventata un Ruathar, aiutando un elfo che era stato rapito e preso prigioniero. È una storia di gesta eroiche, manipolazioni a fin di bene, gente morta e sensi di colpa, ma anche di amicizia e rapporti familiari, insomma come tutte le loro storie.
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Warning: più avanti si parla di tortura, sesso e violenza non descrittivi; si sconsiglia la lettura ad un pubblico troppo giovane.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1287 DR: La loro famiglia (Parte 1)

Johel andò a cercare i suoi compagni di pattuglia e chiese loro se avrebbero potuto fare a meno di lui per qualche giorno. Una volta sistemati i turni, si decise ad andare a cercare suo padre. Non c’era bisogno di chiedere a qualcuno dove fosse andato: se si era preso la responsabilità di decidere che un drow potesse risiedere all’interno della foresta, sicuramente era diretto alla città nascosta di Myth Dyraalis per presentare al Consiglio le sue ragioni.
La cittadina distava molte ore di cammino dai bordi della foresta, era protetta da intrusioni esterne grazie alle pattuglie di ranger che controllavano il territorio e grazie ai pericoli stessi della selva. Era un luogo di rifugio per gli anziani, i bambini, e per le figure importanti della comunità come i consiglieri e i sacerdoti, che formavano l’ultima linea difensiva in caso di attacco. Il buon lord Fisdril, capoclan degli Arnavel, conduceva una vita seminomade alternando periodi di vita politica in città a periodi in cui si spostava da un insediamento mobile all’altro, insieme ai ranger. Johel aveva saputo che in quel periodo il capoclan era in città, quindi sicuramente Tazandil stava andando lì.
La foresta di Sarenestar non era una monarchia, le decisioni importanti venivano prese dal Consiglio. Il Consiglio era formato dai capiclan degli elfi (e anche se il clan Arnavel rappresentava la schiacciante maggioranza della popolazione elfica, anche gli altri due capiclan presenti venivano rispettati ed ascoltati), dai due sommi sacerdoti di Corellon Larethian e di Solonor Thelandira, dal capodruido della foresta, e da tre Saggi che venivano eletti fra gli anziani con cadenza decennale. Anche la piccola comunità di gnomi che viveva a Myth Dyraalis aveva i suoi rappresentanti, ossia il loro capo, il loro chierico principale, e uno gnomo chiamato “il Custode della Memoria” (o anche solo "La Memoria") che era incaricato di registrare gli eventi importanti della comunità e mantenere una memoria storica. Gli elfi non avevano bisogno di una simile figura visto che la loro vita era molto lunga e la loro memoria ancora di più.

Quando finalmente il giovane ranger giunse in prossimità della città nascosta degli elfi era ormai notte, e la luce delle stelle a Sarenestar è un bene piuttosto raro. Rallentò il passo, ma sapeva che ormai era quasi arrivato; deviò verso ovest, pensando di entrare dalla Porta dei Monti. Johel sapeva che suo padre avrebbe parlato con lord Fisdril prima di tutto: era il suo capoclan, e anche suo fratello. La residenza di lord Fisdril non era lontana dalla Porta occidentale della città, perché voleva sempre essere il primo a saperlo se fossero stati avvistati dei pericoli da quella direzione, che era meno pattugliata perché la foresta terminava dopo sole poche miglia.
La città di Myth Dyraalis era protetta da un mythal, un potente incantesimo di Alta Magia elfica, che impediva che quel sacro rifugio venisse individuato con i sensi o con mezzi magici e creava anche un campo di energia magica che proteggeva la città come una barriera semisferica, allontanando le creature senzienti. Chi si avvicinava alla città vedeva solo un’infinita distesa di rovi, abbastanza fitta da scoraggiare anche il più coriaceo avventuriero. C’erano però quattro Porte che si aprivano nella barriera, consentendo l’accesso alla città a chi sapeva dove trovarle: la Porta dei Monti a ovest, chiamata così perché in quella direzione si trovavano le Montagne del Cammino, la Porta delle Spade a nord, perché quella era la zona più pattugliata dai ranger e dai guerrieri, la Porta dell’Acqua a sud, dove la foresta si arricchiva di molti fiumi e torrenti che sfociavano in una palude vicino al mare, e infine la Porta delle Stelle, un foro circolare nella barriera al di sopra delle cime degli alberi. L’esistenza della Porta delle Stelle destava molta curiosità fra gli abitanti di Myth Dyraalis, perché nessuno ricordava il suo scopo. Qualcuno diceva che dovesse risalire al tempo in cui gli elfi alati, il mitico popolo degli avariel, attraversava ancora i cieli di Faerûn. Altri ribattevano che gli elfi alati non si erano mai visti così a sud, e che quell’apertura servisse ai leggendari elfi cavalieri di draghi. L’unica cosa certa era che quella Porta non veniva più usata da millenni.
Johel era nato a Myth Dyraalis, come quasi tutti gli elfi della foresta di Sarenestar, quindi il mythal che proteggeva la città non poteva impedirgli di trovare l’ubicazione delle Porte, né la sua magia l’avrebbe respinto: quella era casa sua.
All’interno della città protetta, la vegetazione era leggermente meno fitta e si riusciva a vedere il cielo. La luce delle stelle sarebbe stata sufficiente ad illuminare la zona, ma qualcuno aveva acceso anche delle fiaccole.
Gli elfi di guardia vicino alla porta, un maschio e una femmina, lo riconobbero e lo salutarono con un sorriso e un cenno della mano. Lui rispose al saluto e si addentrò nei sentieri della città. Era un tipico insediamento degli elfi dei boschi, quindi le abitazioni erano perlopiù abbarbicate sugli alberi e unite da ponti sospesi, ma c’era anche qualcuno che viveva a terra, soprattutto le guardie e la comunità gnomica.
“Johel!” Una guardia di passaggio lo chiamò uno con un sorriso. “Non ti si vedeva da anni. Come stai?”
Johel riconobbe un suo vecchio compagno d’armi. “Benissimo, grazie, Nelaeryn.” Rispose sorridendo a sua volta. “Mio padre è in città?”
“Dovresti chiedere alle guardie della Porta delle Spade, ma ho sentito dire che è in città.” Rispose l’elfo. “Non conosco il motivo della sua visita.” Quest’ultima affermazione suonava un po’ come una domanda, e Johel sorrise della curiosità che il suo vecchio amico faticava a celare. Il burbero Tazandil suscitava sempre quel genere di interesse quando veniva in città.
“Nemmeno io.” Mentì, scrollando le spalle.
“Ah, senti…” Nelaeryn si accodò a lui, mentre proseguiva verso la casa dello zio Fisdril. “Ma è vero che sei amico di un drow?”
Johel buttò gli occhi al cielo. Ecco, mi sono appena ricordato perché non vengo spesso in città! pensò con un sorriso rassegnato. Nelaeryn non era il primo a fargli questa domanda. Spesso altri elfi, persone che conosceva da tutta la vita, gli avevano posto lo stesso interrogativo con un tono che andava dalla semplice incredulità al totale disappunto, come se questa amicizia facesse di Johel un traditore del popolo elfico. Nel corso degli anni aveva perfezionato la sua risposta.
“Il tuo approccio è sbagliato: è lui ad essere amico di un elfo.”
Gli piaceva mettere in chiaro fin da subito che il suo amico non fosse un drow, ma una persona a sé stante. Un soggetto, non un oggetto di conversazione.
Nelaeryn sollevò le mani, in segno che non intendeva contestarlo. “Non prenderla male. Io sono fra quelli che ha sempre creduto in te.”
Johel annuì distrattamente, sperando che si levasse dai piedi.
“Ora scusami, ma ho delle scommesse da riscuotere.” Annunciò in tono del tutto naturale.
Johel ci restò così di sasso che per poco non inciampò in una radice. Si voltò verso Nelaeryn, indignato, con l’intenzione di cantargliene quattro, ma l’altro elfo si era già dato alla macchia.

La dimora di Fisdril e della sua famiglia occupava un intero albero per buona parte della sua altezza; diverse piattaforme erano state costruite sui rami dell’albero, che si protendevano verso l’esterno a distanza di qualche metro l’uno dall’altro. Johel notò una piccola civetta appollaiata sul ramo più basso; conosceva quel rapace, era la fidata amica di sua zia Merildil.
“Ciao, Pallina.” La chiamò, sporgendo un braccio perché la civetta potesse appollaiarsi sopra. Ovviamente il rapace non rispose, anzi, gli gettò uno sguardo sprezzante e spiccò il volo verso i piani alti della casa.
Pochi secondi dopo un volto di donna sbirciò da una finestra, poi qualcuno spalancò le imposte.
“Johel! Da quanto tempo! Ti prego, sali.” Lo invitò l’elfa, facendogli un cenno con il capo.
Lui si avvicinò al tronco dell’albero e cercò i supporti che l’avrebbero agevolato nella scalata. I druidi della foresta si occupavano di modificare leggermente la forma dei tronchi in modo che non fosse necessario utilizzare mezzi barbari come chiodi e spuntoni artificiali. Un umano forse avrebbe trovato quella scalata comunque difficile, ma Johel era un elfo dei boschi, era cresciuto scalando alberi.
In pochi secondi arrivò alla prima piattaforma della casa, e vide che Merildil gli era venuta incontro. “Che piacere rivederti, nipote.” Gli sorrise con calore. Johel rispose al sorriso, sentendosi in colpa per le sue visite troppo rare. I suoi zii gli volevano molto bene, lo consideravano quasi un figlio, perché avevano penato per decenni prima di riuscire ad avere una figlia a loro volta, e nel frattempo si erano affezionati molto al più giovane ranger della famiglia.
“Anche io sono felice di rivederti, zia Merildil. E Pallina, ovviamente.” Cercò di accarezzare la civetta che si era posata sulla spalla dell’elfa, ma l’uccello rispose con un minaccioso schiocco del becco.
“Lei può capirti, sai? Non chiamarla Pallina.” Lo rimproverò lei. Merildil era una druida, e la sua amica civetta aveva un’intelligenza fuori dal comune.
L’elfa lo invitò ad entrare in casa e gli offrì un calice di vino leggero, perché potesse ristorarsi dopo il viaggio.
“Sei sola in casa? A parte… Aryl?” domandò, ricordando il vero nome del rapace.
“C’è tua cugina Freya, ma sta dormendo. Ultimamente è inquieta, e si stanca facilmente. Invece Fisdril è uscito. Tuo padre... è venuto qui oggi pomeriggio, ma di sicuro lo sai.” Johel assentì, facendole cenno di continuare. “So che hanno richiesto che il Consiglio si riunisse, ma non ne conosco il motivo.”
“E non sono ancora tornati?” Johel sospettava di sapere quale fosse l’argomento di discussione, ma era strano che la questione richiedesse tante ore.
“Hanno dovuto aspettare che ognuno terminasse le proprie incombenze, quindi hanno iniziato tardi. Comunque probabilmente avevano più di un argomento di cui parlare, sai come sono queste riunioni… ciascuno incamera problemi o proposte di cambiamento, in attesa che qualcun altro indica una riunione per qualcosa di più importante.” Lo disse con un sorrisetto e una scrollata di spalle.
“Politica!” Johel scosse la testa. “Sono felice di non saperne niente.”
Zia Merildil lo guardò con una punta di biasimo. “Potresti dovertene interessare, un giorno. Potresti diventare capoclan.”
“Fisdril è il capoclan, e ha una figlia.” Le ricordò lui, con l’aria soddisfatta di qualcuno che ha appena schivato una freccia.
“Freya… potrebbe non essere adatta al comando. O alle responsabilità. Come ti dicevo, è uno spirito inquieto.”
Questa volta Johel iniziò a preoccuparsi. “Cosa intendi, mia cugina sta bene? È inquieta nel senso di adolescente, o…”
“Ha iniziato a manifestare poteri arcani.” Confessò la druida. A Johel non sfuggì il fatto che stesse giocherellando con una ciocca di capelli fra le dita, in modo nervoso. “Sai com’è, entusiasta verso tutto, scostante… non è tipo da mettere la testa sui libri, e comunque ben pochi elfi dei boschi lo sono. I suoi poteri sembrano innati, perfino selvaggi. Come la magia degli stregoni.”
“Oh, la piccola Freya.” Johel scoppiò a ridere. “Non mi sembra la fine del mondo, zia.”
“Ed è anche adolescente!” Rincarò lei. “Soggetta a sbalzi umorali, eccessiva in ogni sua passione, nella gioia come nella tristezza. Una volta per uno scatto di rabbia ha quasi fatto prendere fuoco alla sua stanza! Io spero di riuscire a proteggere sia lei che la foresta… da lei. Ma temo che per quando avrà messo la testa a posto, la sua reputazione sarà compromessa.”
“Suvvia, mia cugina ha un buon cuore, qualunque errore possa compiere io so che non sta agendo in malafede.”
Merildil volse lo sguardo altrove, accarezzando distrattamente la sua civetta.
“A volte questo non è sufficiente. La politica, sai. E a questo proposito, anche la tua reputazione non è più solida come era un tempo.” Azzardò, con il tono di chi sta camminando sul ghiaccio sottile.
Johel non ne fu sorpreso. Si aspettava un discorso del genere, specialmente dopo le domande e le recriminazioni che molti altri elfi gli avevano mosso nel corso degli ultimi anni. Merildil era la moglie del capoclan, una donna intelligente e saggia che comprendeva le sottigliezze del vivere comune e della politica, nonostante fosse una druida. Ma i druidi, fra gli elfi, hanno un ruolo sociale non secondario.
“Per via di Daren.” Affermò tranquillamente.
“Per via del drow.” Confermò lei. “Daren? È questo il suo nome?”
“Sì zia, è questo il suo nome.” Gli sembrava strano di non averglielo mai detto, probabilmente lei non si era curata di memorizzarlo. “Non è un’amicizia che abbia fatto bene alla mia immagine pubblica, lui per primo non ha mai fatto nulla per cercare l’approvazione della nostra gente, e a dirla tutta non è nemmeno un mostro di simpatia. Ma è un amico fedele e leale, non ci si annoia mai in sua compagnia, e grazie a lui sto scoprendo moltissime cose sul mondo e su altri popoli. Stiamo imparando molto l’uno dall’altro e ritengo che nonostante il suo carattere sia una persona meritevole.”
“E non credi possibile che ti stia ingannando?” Indagò con cautela.
Johel scrollò le spalle.
“Lui insiste sul fatto che questo sospetto sarebbe legittimo. Che i drow possono pianificare inganni anche per decenni o per secoli. Ma io mi fido di lui. Se volesse ingannarmi sarebbe un po’ più amichevole, con me e con voi. E mi sta insegnando come combattere contro altri drow, siccome conosce il loro stile. Dice che non si sentirà a suo agio finché non saprà che ho le competenze necessarie ad ucciderlo.”
Merildil sollevò le sopracciglia, colpita. “Nel senso che desidera la morte?”
“Nel senso che non vuole vedere una disparità di potere fra noi.” La corresse lui. “Vuole sapere che sono indipendente.”
“E lo sei?”
Johel ci pensò un momento, poi decise per una risposta seria.
“Talvolta viaggiamo separati, se volessi prendere accordi con qualcuno per tendergli una trappola e ucciderlo potrei farlo. Non lo farei, ma comunque sono consapevole che potrei.”
Merildil annuì. Quella risposta le bastava.
“Io non dubito di te, Johel. Ho sempre scommesso che saresti tornato vivo.”
“Zia!” Sbottò, indignato. “Anche tu partecipi a queste bieche scommesse?”
Lei fece un cenno con la mano, teso a minimizzare la cosa. “Almeno io ho scommesso su di te. Freya nemmeno quello.”
Cosa?” La domanda gli uscì in uno squittio troppo acuto per i suoi gusti. Dannata marmocchia. Pensò, mentre sua zia ridacchiava. Ora vado in camera sua, la avvolgo nelle coperte mentre dorme e la lego come un cannolo calishita.

In quel momento, da sotto sentirono un rumore leggero di passi. Fisdril e Tazandil stavano tornando, e non volevano nascondere la loro presenza. Merildil andò incontro al marito, mentre Johel finì il suo calice di vino tutto d’un fiato. In vino veritas, e lui ora avrebbe avuto bisogno di un piccolo aiuto per parlare con suo padre.

           

   
 
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