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Autore: Lila May    17/07/2018    2 recensioni
/ Sequel di Disaster Movie / romantico, slice of life, comico (si spera) /
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10 anni dopo la terribile, anzi, mostruosa convivenza con i ragazzi della Unicorno, Esther Greenland passeggia per le strade di New York a tacchi alti e mento fiero. Il suo sogno più grande si è finalmente realizzato, e tutto sembra procedere normale nella Grande Mela americana.
Eppure, chi l'avrebbe mai detto che proprio nel suo luogo di lavoro, il gelido bar affacciato sulla tredicesima, dove non va mai nessuno causa riscaldamento devastato, avrebbe riunito le strade con una delle persone più significative della sua vita?
Il solo incontro basterà per ribaltare il destino della giovane, che si vedrà nuovamente protagonista del secondo disastro più brutto e meraviglioso della sua esistenza.
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❥ storia terminata(!)
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bobby/Domon, Dylan Keith, Eric/Kazuya, Mark Kruger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter twentyfour.

The flavor of Freedom

 
 
<< Ehm... >> Mark chiuse la portiera dell'auto della madre e si mise in marcia per raggiungere Dylan, confuso. Da quando avevano lasciato la caotica Los Angeles non era ancora riuscito a capire dove diamine li avesse portati l'amico, e quel dubbio non fece altro che accrescere mentre macinava zolle di terra sotto la suola delle allstars celesti dai lacci malamente allentati.
Esther, dietro di lui, non smetteva di guardarsi intorno insieme ad Erik e Mary.
Erba, alberi color smeraldo che si innalzavano verso il cielo terso di un soleggiato, caldo dicembre che aveva perso tutte le sembianze dell'inverno, persino quelle più evidenti. Erano circondati da un' infinita distesa verde di cui nessuno di loro riusciva a vedere la fine, neanche sforzandosi. Sembrava di essere capitati in un immenso bosco canadese, niente a che vedere con i grattacieli ingrigiti e zozzi di smog a cui erano abituati.
Dove diavolo li aveva portati quel pazzo di Keith?
<< Amico, dove siamo? >> gli chiese Mark una volta che lo ebbe raggiunto. Dylan gli sorrise misterioso e guidò la truppa fino ad un capannone serrato con un lucchetto enorme, di metallo arruginito.
E di cui Dylan possedeva la magica chiave che lo avrebbe aperto.
Mark aggrottò i sopraccigli mentre faceva un passo indietro, osservandolo cautamente. << Amico, nothing illegal I hope. >>
<< Guardi troppi film polizieschi, Mark. >>
<< Non sapevo fossi proprietario di un capannone nel bel mezzo del nulla. >>
<< Infatti non sono il “proprietario”. >>
<< Dylan... >> il tono di Mark si fece grave, nonostante gli occhi traboccassero di curiosità da ogni sfumatura celeste che donava al suo sguardo una traccia di prudenza molto cauta e attenta. E che Esther adorò alla follia. << non facciamo stupidate, per piacere. >>
<< Rilassati fratello... >> Dylan rigirò la chiave diverse volte, poi la provò al contrario, sotto lo sguardo sconcertato dei presenti. << sei in ferie, non fare il paranoico. >>
<< Rimango comunque un poliziotto. >>
Erik alzò la mano, segno che anche lui era un figlio della legge come il biondo, e che sempre come il biondo, non avrebbe esitato a prendere Dylan a calci nel didietro in caso il posto si fosse rivelato completamente illegale e... non suo al 100%.
<< Non si apre, questa merda. Che palle. >> Keith provò con un'altra chiave e finalmente il lucchetto si sbloccò tra le sue mani forti. Spalancò le due porte, che cigolarono contro la potenza delle sue braccia, e la luce del primo pomeriggio illuminò il lungo corridoio e tutte le celle che lo costeggiavano.
Un paio di musi lunghi si sporsero per curiosare, ed Erik fu il primo a ridere notando le larghe narici, i lievi nitriti e gli occhioni languidi. Cavalli!
Tantissimi cavalli, almeno una decina per lato.
Erano in un ranch, oddio. Che cavolo aveva in testa Dylan?
<< Et voilà. >> disse il biondo platino, e fu il primo ad entrare, seguito dal resto dei presenti.
Kruger sgranò le iridi, sconvolto e incuriosito allo stesso tempo. << Horses! >>
<< Wow Mark, non ti facevo così perspicace. >>
<< Che ci facciamo qui? >>
<< Ve lo dico subito. Oggi andiamo tutti a cavallo, GUYS! >>
<< COSA?! >> esclamarono tutti, e Dylan li zittì con una gelida occhiata con tanto di sibilio.
<< Shhhh! Cretini, spaventate i cavalli. >>
Poi andò a coccolare uno dei musi, grattandolo tra le narici e sotto il capo avvallato di vene. << Povere bestioline. Amori miei. >>
<< Mi spieghi di chi sono, Dylan? >> domandò Erik mentre si avvicinava ad un cavallo per coccolarlo. Adorava quegli animali, erano forti, veloci, scattanti ed eleganti, proprio come lui sul campo tanto tempo fa, quando correva e dietro di sé lasciava una scia di stelle brillanti come ricordo. << Sono stupendi. >>
<< Un mio collega di lavoro. Siamo molto amici. Ogni tanto vengo a cavalcare con lui, oggi ha un impegno e mi ha affidato le chiavi del ranch per dare una pulita agli animali. E già che ci siamo, facciamoci anche una cavalcata no? >>
<< E' fuori discussione. >> sbottò Mark, e incrociò le braccia al petto con fare evasivo. << Non sono nostri cavalli. >>
<< Tranquillo, che al mio amico piacerebbe far prendere un po' di aria ad alcuni di loro. Fidati di me, Marky, so quello che faccio. >>
<< Non chiamarmi Marky. >>
Dylan sorrise e gli lanciò dell'attrezzatura random che il biondo prese al volo per puro miracolo, colto di sprovvista, e che suscitò le vive risate di Eagle. << Continuerò a farlo fino a quando non ti vedrò su uno stallone purosangue, Marky. >>
<< Contaci, Keith. >>
<< Marky. >>
<< Smettila. >>
<< Marky. >>
<< Dylan, stop it. >>
<< Marky. >>
<< Dylan! >>
<< Marky! >>
Esther si intromise nella conversazione prima che i due potessero arrivare a picchiarsi come gatti obesi appena svegli. Non aveva mai avuto occasione di poter ammirare dei cavalli così da vicino, erano tutti bellissimi. Scansò Mark per poter vedere meglio, gli occhi neri che brillavano entusiasti dinanzi a tanta meraviglia della natura. << Woah! Dylan, davvero è possibile farci un giro? >>
<< Certo, baby! Prima però dobbiamo mettere in ordine un po' di cosette. E convincere Marky. >>
Mark arricciò il lungo naso nell'udire quel “baby” sputato di proposito per infastidirlo, ma non disse nulla, e si mise a giocare con l'attrezzatura che l'amico gli aveva lanciato senza motivo.
Esther annuì, e nel giro di breve tutti - o quasi, vero Mark - si convinsero a dare una mano a Dylan e la sua nuova passione per il maneggio. Il ragazzo fece togliere loro le scarpe e passò loro degli stivali impermeabili, poi affidò ad ognuno un compito. A Mark ed Esther quello di riempire gli abbeveratoi d'acqua pulita, ad Erik di dare una spazzata nei dintorni per pulire il passaggio.
Lui si occupò invece di nutrire i cavalli, e si fece aiutare da Mary per passare del tempo al suo fianco. E per vederla ridere, il suo hobby preferito dalla prima volta che aveva incontrato il suo sguardo e aveva provato a sedurla sciogliendosi i capelli.
E riuscendoci, ovviamente.
Quando tutti ebbero terminato, si strinsero intorno a lui per sapere ciò che dovevano fare. << Bene, qualcuno di voi sa montare sui cavalli oltre a me? >>
Erik alzò la mano, con grande stupore di tutti i presenti. << Da piccolo mio padre mi portava sempre alle fiere a fare un po' di pratica. So come trattarli. >>
E allora anche Mark la sollevò, timido. << Ehm, beh, sì, alle fiere appunto, a Portland. Dai miei nonni materni. Ma non ci so andare, insomma. Più che altro non mi ricordo, ecco. >>
<< Nonni materni? >> chiese Esther, curiosa di poter venire a conoscenza di un altro dettaglio interessante sul suo biondo.
Kruger fu felice di risponderle, e si illuminò come un raggio di sole. << Yes! Mia mamma viene dall'Oregon. >>
<< Urca! Non lo sapevo! E dove sta l'Oregon? >>
<< Proprio sopra la California! >>
<< Wow, non avevo idea. Figo! >>
<< Ma come, baby >> Dylan s'intromise nella conversazione, divertito. << non si vede, che Mark non è californiano nel sangue? Insomma, con tutte quelle camicie da periferia che mette... ugh. >>
Mark lo fulminò con lo sguardo, geloso di risentire l'ennesimo "baby" riferito alla ragazza che gli piaceva. << sono californiano, invece. Sono nato in California. E, ehi, what's your problem with my clothes. >>
<< Nulla, nessuno. Però hai il padre mezzo tedesco e la madre dell'Oregon. Mmmm. >>
<< Ma sono nato in California! Oh... comunque ho montato un cavallo, sì, ma non so andarci. >>
<< Tutte scuse Marky, lo sappiamo che vuoi superare tutti. >>
<< Wait wha--
<< Bene! >> Dylan batté le mani, mangiandogli la parola. << Visto che siamo tutti incapaci come Mark Kruger, che ha DNA da uomo di campagna e non sa nemmeno pronunciare bene la parola "cavallo" >>
<< Ma in realtà non è proprio così, Keith, frena un secondino, cominci a--
<< Ho preparato solo tre cavalli. Uno per me e Mary, uno per Mark ed Esther e uno per Erik, e ci va pure bene visto che è un cavallerizzo provetto. >>
<< Diciamo di sì. >>
<< Ma sentilo. >> fece Esther, e gli tirò una dolce gomitata al costato. << Provetto ma schifosamente single, eh? Tutti hanno una coppia di sesso opposto tranne te. Che strano. >>
Erik avrebbe voluto ribattere con qualcosa di peggiore, divertito, ma lo sguardo angosciante di Mary gli ricordò che lui faceva schifo, e che in quel campo era meglio rimanere in silenzio e lasciar correre. Il sorriso svanì dalle sue labbra, e non appena Dylan gli fornì il cavallo lo prese per le redini. Era nero, e alto.
Un po' troppo per lui.
Quando Keith lo fornì anche di sgabello rialzabile, Esther ridacchiò malevola, guadagnandosi un'occhiata assatanata.
<< Vuoi che ti prendo in braccio, Eagle? >>
<< Ridi, ridi, scema. Voglio vederti a sbattere il culo con Mark. >>
Esther incrociò le braccia al petto abbondante con aria di sfida. << Va bene Eagle, ti sei appena messo contro il diavolo. Gli daremo del filo da torcere, vero Mark? Mark? MARK! >>
E quando si voltò per cercarlo, il suo caro Mark era già all'uscita, con le chiavi della macchina che luccicavano nella mano sinistra. << Io non ci salgo su quei cosi. >>
<< Mark, che figuracce mi fai fare!! >>
Esther lo rincorse e lo trascinò indietro prima che il ragazzo, scocciato, potesse tornarsene in auto, ai suoi amati grattacieli e alla sua normalità che di certo non includeva né cavalli né fattorie dimenticate dal mondo e di cui Dylan stranamente ne possedeva la chiave.
Keith portò loro una giumenta bianca in ottima forma, divertito. << Su Marky from the land, lei è più spaventata di te. >>
<< Non sono spaventato. Non ho voglia di sporcarmi i jeans. E smettila. >>
<< Solo un giretto, su. Musone. >>
<< Dai Mark, solo un giretto. >> fece Esther, e poi si fece aiutare da Dylan a salire sulla cavalla che paziente aspettava il verdetto finale. << Solo unoooo, daiiii! Al passo! Si sta anche comodi quassù! Non riusciremo mai a raggiungere Erik, così. >>
Alla fine Mark, con uno sbuffo, si arrese all'evidenza che o sarebbe salito con Esther su un cavallo a un giorno dalla vigilia di Natale, tanto per rimarcare la normalità della cosa, o lo avrebbero inforcato e appeso al muro.
Si resse a Dylan solo per saltare in groppa, al resto ci pensò da solo, e si strinse all'amica con aria stizzita. Fingendo che quel contatto non gli avesse provocato proprio nulla, nemmeno un madornale rossore, no no. << Solo un giro. >> sbottò, le labbra lievemente imbronciate.
<< E va bene. >> Esther si mosse sotto le indicazioni di Keith e fece partire la giumenta, che una volta all'aria aperta scosse il capo fendendo l'aria con la chioma grigiastra.
<< Hai capito come fare? >>
<< Certo! >>
<< E tu Mark? >>
<< Ovvio. >>
<< Mi aspettavo questa risposta da te, Re dell'Oregon. >>
<< DYL--
<< Allora vi lascio. Niente galoppo, mi raccomando. Non rischiate. >>
<< Saremo prudenti. Unduetre via! >> e la mora, dopo aver congedato Keith con un gridolino esaltato, cominciò a far avanzare la cavalla sull'erba dell'enorme prato che si estendeva dinanzi a loro come un vasto oceano verde.
Mark respirò l'aria pura di quel posto, così puro ed incontaminato rispetto al caos inquinante che pullulava nelle arterie più trafficate della città. << E' un bel posto, tutto sommato. >> ammise, e si perse a guardare il panorama mentre la cavalla passeggiava tranquilla guidata un po' da Esther e un po' dal suo istinto animale che le suggeriva che portava a bordo due stupidi idioti.
<< Come mai non ti piace andare a cavallo, Mark? >>
<< Non è che non mi piace, adoro gli animali. Diciamo pure che non rientra nella lista delle cose che farei prima di morire, ecco. >>
Esther si voltò a guardarlo con un sorrisetto, che lui ricambiò. Si stava beando delle mani di Mark che si tenevano salde a lei, di quel tepore che si era formato tra i loro corpi rigidi e attenti.
Come quando avevano dormito insieme. Era una sensazione che la stava mandando in visibilio, che le stava provocando un intenso piacere fatto di emozioni e battiti che non facevano altro che aumentare, aumentare. Cristo Mark. << e quali sono le cose che vorresti fare prima di morire? >>
Baciarla, avrebbe voluto sussurrarle Mark. Amarla in tutte le forme che l'amore poteva offrirgli, e che ancora non gli aveva insegnato nella maniera corretta.
E poi, forse, lanciarsi anche da un paracadute. Buttarsi nella neve completamente nudo, gettarsi da una strada in pendenza con un carrello sfaldato, sperando di non saltare al primo dosso che avrebbe incrociato. Ma tra tutte quelle cose, non sapeva davvero quale fosse la più spericolata.
Amare Esther significava correre in tangenziale a mille miglia, senza fari, di notte, privo una meta, ma vivo e libero; bastava conoscerla un po' per sapere che era esuberante e grintosa come un folle molto poco sano che gira a caso con una motosega per migliore amica.
Ma era una frenesia che era pronto a provare, per lei. Era pronto a sballarsi per lei, era fatto per lei.
Da sempre.
<< Non saprei. >> le rispose, e fece spallucce. << Le tue? >>
Esther arrossì.
Tutto ciò che aveva pensato Mark divenne anche un suo desiderio, ma si limitò a dire qualche cavolata da adolescente ribelle, anche se aveva smesso di avere sedici anni da un bel po' di tempo. Forse. Dopo la figura di ieri nella camera dei genitori di Mark, non era più tanto sicura di essere poi così donna. << Proviamo ad andare al trotto? >>
<< Sai come si fa? >>
<< Ho visto qualche vecchio telefilm svedese, dovrei esserci. >>
<< Ahahahaha, okay girl! >>
In quel momento li affiancò Dylan, che rallentò il galoppo del suo cavallo color nocciola per portarlo al passo. Mary si teneva stretta a lui, inebriata dal suo profumo, e quando incrociò lo sguardo di Esther le mandò un bacio volante e uno sguardo color perla che non era dispiaciuto a morte, di più.
Esther rise e le fece l'occhiolino.
Okay.
Tutto okay, tra loro. L'importante era vedere l'amica meno sofferente di prima, abbracciata al ragazzo che gli piaceva, con la bocca sorridente e tanta voglia di tenerselo stretto. Ed era davvero una bella, bellissima soddisfazione. << Ho sentito che vuoi andare al trotto. Sono disposto ad insegnarti, però segui i miei movimenti. >>
<< Allora vorrei che mi insegnassi anche il galoppo, Dylan. >>
<< Certo! >>
Mark strinse la maglietta di Esther, un gesto che non riuscì a controllare. << Aspetta, cosa? Galoppo? Vuoi morire, Est? >>
<< Eddai Mark! Vuoi raggiungere Erik, sì o no? >>
Mark cercò Eagle con lo sguardo, e quando lo trovò lo osservò sfrecciare sulla sua furia nera. Sembravano un corpo solo, un'unica saetta, che si faceva largo in mezzo al verde senza ascoltare niente e nessuno tranne i suoi battiti del cuore. Proprio come sul campo da calcio.
Dieci anni prima.
Quando tutto sembrava perfetto, Erik doveva solo preoccuparsi di come levarsi di torno Suzette, e Mark di qualificare la Unicorno al FFI.
Sorrise. Chissà se aveva chiarito con Mary, ieri. Chissà se con l'arrivo di Silvia, le sofferenze sarebbero finite anche per lui.
Sarebbero tornati a sognare come una volta?
<< Okay >> disse, e si mise in posizione per apprendere. << Let's do it. >>


 
Era bello sentirsi così, liberi.
Una cosa sola con l'ambiente circostante, in mezzo a quella natura verde che gli ricordava tanto le ciocche di Silvia la mattina presto, raccolte in una piccola codina bassa, e l'odore dei pancakes.
E il suo sorriso.
Strinse le redini e si chinò per confondersi col vento, i capelli castani che gli si rovesciavano sulla fronte coprendogli le sopracciglia concentrate. Si era fatta sera, ma avrebbe continuato a sfidare la velocità in eterno, solo per il puro piacere di sentirsi finalmente al passo con qualcosa del suo calibro.
Ripensare alle parole di Mac lo fece sorridere piano, mentre la maglietta vibrava come una bandiera controcorrente, scoprendogli la schiena curva e abbronzata.
In fondo c'erano davvero delle persone che gli volevano bene, in tutto quel caos. Mark, che si era preso cura di lui, aveva mantenuto i suoi scomodi segreti per se, e poi era diventato il suo fidato compagno di pattuglia.
L'allenatore.
Che aveva davvero dimostrato di tenere a lui, non solo proteggendolo. Ma anche cercando di fornirgli dei consigli giusti.
Bobby, che lo aveva invitato al suo matrimonio, che lo aveva reso testimone dell'esperienza più importante della sua vita, il suo migliore amico. E infine Dylan, che aveva saputo ascoltarlo quando la situazione gli era sembrata troppo grave da affrontare.
All'improvviso, un rumore di zoccoli premuti energicamente contro la terra affiancò il suo orecchio attento. Si voltò per guardare, e in un battito di ciglia si trovò davanti il viso rosso di gioia di Mark, la frangia bionda completamente lasciata ai capricci del vento forte.
Sconvolto portò gli occhi su Esther, concentrata nel far marciare il cavallo come una monoposto in poleposition. 
<< Yu-uuuh! >> esclamò Kruger a gran voce, e sollevò il dito medio a mo' di saluto cazzuto quando la mora accellerò all'improvviso e riuscì - con tanto di grasse risate malvagie - a superare il castano e fargli mangiare la polvere.
Erik scoppiò a ridere quando persino Dylan gli tagliò la strada, con Mary che strillava impazzita e si teneva forte al suo cavaliere senza macchia e senza paura.
Rise così forte che rallentò e si prese la testa tra le mani.
La sua vita era stata una merda, ma una cosa splendida l'aveva sempre avuta, ed era certo che non l'avrebbe mai persa.
L'amicizia.
C'era davvero bisogno di altro?


 
Mark si guardò allo specchio, e dopo un attimo di esitazione si immerse nella chiara sfumatura color acquamarina dei suoi occhi. Le ciglia erano imperlate di tiepide gocce d'acqua, la fronte e le orecchie erano coperte per intero dai capelli, divenuti di un tenue castano a causa della doccia in cui era rimasto a gongolare per interi minuti, cercando di lavare via l'odore della paglia e dei cavalli che l'avevano circondato per tutto il pomeriggio.
Si passò una mano in fronte e si portò all'indietro la lunga frangia, decidendo che quando sarebbe tornato a New York si sarebbe fermato un attimo a sfoltirsi l'abbondante chioma bionda. Gli sembrava di essere cambiato, in quelle due settimane, e non solo dentro.
Anche fuori.
Si vedeva più uomo. Più libero. O forse era il fatto che si sentisse felice come un ragazzino a riflettere un'immagine più matura e ben fatta di se stesso. E si piaceva, stranamente, nonostante il naso troppo lungo che gli divideva in due il volto e le orecchie a sventola che grazie a chissà quale divinità, le folte basette avevano imparato a nascondere alla perfezione.
Era contento delle decisioni che aveva preso, in sole due settimane era come se il suo mondo si fosse ribaltato verso la giusta direzione. E tutto grazie ad Esther, in un certo senso.
Avrebbe mai smesso di crescere fino in fondo? Forse sì, forse no.
Tutte le volte che si portava dietro l'amica gli sembrava di sbattere la testa e ritornare in sé. Era una bella sensazione, davvero, ed era successo tutto talmente velocemente da pargli un magnifico sogno.
Con lei gli veniva del tutto naturale sentirsi sicuro. Si diede un'asciugata di capelli tanto per, s'infilò in una comoda maglietta nera e un paio di jeans schiariti a causa dei troppi lavaggi.
Poi uscì dal bagno e avvertì Erik che finalmente era arrivato il suo turno, mentre si dirigeva in stanza per prendere le scarpe.
Qualsiasi paio. Prese il primo che gli capitò sotto tiro e dopo averle indossate scese i gradini a due a due, con i capelli che gli carezzavano dolci il collo e la fronte rilassata. Esther era sul divano insieme a Mary e Dylan, impegnati a discutere su nemmeno voleva sapere cosa. Si fermò e sorrise alla mora.
Alla fine aveva scelto di non chiedere nessun consiglio a Dylan.
Aveva ventitré anni, amava Esther e avrebbe affrontato la cosa da solo, perché quella ragazza non era una come tante.
Non esistevano affatto suggerimenti che potessero aiutarlo a levare di torno l'impaccio, e se n'era accorto quel pomeriggio, su un maledetto cavallo bianco, abbracciato a lei.
Solo lui possedeva la chiave per capirla, o almeno, si convinse che doveva essere così. << Ho fame. >> annunciò, e si avvicinò un po' di più ai tre ragazzi. << Faccio un salto da McDonalds. Voi volete qualcosa? >>
Dylan alzò la mano come uno scolaro provetto, per farsi notare. << Sai che prendermi, Mark. >>
Mark annuì divertito. Certo che lo sapeva. << Tu Mary? >> e le sorrise, sperando di poterle sembrare almeno un po' più simpatico di, ehm, ieri.
<< Mmm... non so, Esther tu...? >>
<< Io vado con Mark >> rispose lei, per poi alzarsi e raggiungere il biondo. << deciderò lì cosa prendere. >>
<< Allora mi affido ai tuoi gusti. >>
<< E per Erik? >> domandò Dylan.
<< Ad Erik niente cena, lo lasciamo in punizione. >>
<< E perché? >>
<< Perché è Erik! >>
Scoppiarono a ridere, poi Mark afferrò le chiavi e dopo aver assicurato che sarebbe tornato presto, lasciò la casa insieme ad una Esther super felice di poter trascorrere un po' di tempo sola con lui.
Era notte fonda per essere solo le ventuno, il buio scendeva su Los Angeles come un manto di miele denso, caldo e asfissiante.
L'umidità rarefatta rendeva il freddo solo un lontano ricordo newyorkese, e le luci lontane erano un abbagliante segno che anche quella notte Los Angeles avrebbe fatto festa.
<< Che cielo nero. >>
<< Già. Fa molto caldo, ma vedrai che ti mancherà quando torneremo in mezzo alla neve di New York. >>
Salirono in auto e Mark accese la radio, il condizionatore e in un attimo furono in mezzo al caos di clacson e motori accesi che non vedevano l'ora di spegnersi davanti al garage di casa. Fecero buona parte del viaggio in silenzio, tra un semaforo più lento e caotico dell'altro ogni cento metri, ad ascoltare la voce dei cantanti dire cose che nessun umano sarebbe mai stato in grado di rivelare. << Again, uff. >> sbottò l'americano all'ennesimo rosso, rallentando.
Esther lo guardò con la coda dell'occhio, e sorrise quando lo vide smarrire lo sguardo oltre il finestrino, perso nell'osservare una macchina piena di messicani urlanti a pochi metri dalla sua.
Era davvero bello, le luci della notte gli proiettavano lampi colorati sulle braccia tese e le ciocche bionde, che gli donavano l'aspetto regale di un principe appena risorto da una pozza d'oro liquido.
Arrossì e distese le gambe, lievemente in imbarazzo. Quanto era carino, Mark. Non poteva credere che in due settimane era successo l'impensabile; loro due, in una macchina insieme, a prendere patatine per tutti.
E solo un mese fa nemmeno ci aveva pensato, ad una situazione così normale. Così meravigliosa.
Lasciò andare un sospiro e Mark tornò a concentrarsi su di lei, mentre il semaforo sembrava non voler mollare più la tonalità del fuoco rovente. << Ti sei divertita, oggi? >>
<< Sì, è stato fantastico! Tu? >>
<< Non male. >>
Esther ridacchiò. << Fai sempre così, e alla fine sei quello che si diverte più di tutti. >>
<< Maybe. >>
<< Ah sì? Beh, chi era quello che mi gridava di andare più forte? >>
<< Shhh. >>
Finalmente il semaforo s'illuminò di verde e la fila cominciò a scorrere, stressata. La mano di Mark corse ad alzare il volume di una canzone che a giudicare dal suono, non sembrava affatto rientrare negli anni duemila.
<< Heartbreaker! >>
<< Mh? >>
<< Mariah Carey! La conosci, no? >>
Esther annuì. Certo che la conosceva. E all'improvviso si rese conto di odiarla, e di esserne vagamente gelosa. << Una finta tettona che si crede ancora trentenne. Bella milfona, eh...? >>
<< Vorresti dire che è brutta? >>
<< Mark, non ci credo! Ti piace sul serio?! >>
<< Mmmh. Ti somiglia. Ha il tuo stesso naso all'insù. >>
<< Sicuramente si è rifatta pure quello, pff. Almeno il mio è naturale. Come la mia quinta. >>
<< Okay. >> Mark sorrise e mise la freccia per girare. L'insegna del Mcdonalds brillava luminosa a pochi metri di distanza, e sapeva di hamburger cosparsi di miele e di coca gelata. Niente male. Un altro semaforo e finalmente sarebbero arrivati, salvo distruzione atomica all'ultimo secondo. << E' che sei così carina che cercano tutte di assomigliarti, visto? >>
Esther arrossì e si arricciò un boccolo per scacciare l'imbarazzo crescente che aveva preso possesso di tutta lei. Cazzo, di solito i complimenti li aveva sempre presi di petto, ma pronunciati da Mark le facevano l'effetto stordente ed euforico di una buona dose di droga.
Quasi a farlo apposta, Mariah Carey si mise a canticchiare di quanto il sorriso del suo ipotetico ragazzo la rendesse debole ed euforica, e di quanto per lei quel fatto rappresentasse una piacevole vergogna. Si sentì molto simile alla cantante, in quel momento. Si rispecchiò in quelle parole, in quei sentimenti, e il ritmo della canzone cominciò a battere insieme a quello del suo cuore paonazzo.
<< Finalmente. >> Mark fermò la macchina dinanzi al lampeggiante menù del Mcdonalds, aprì il finestrino e si sporse per leggere. << Dimmi cosa vuoi per cena. >>
<< Mmm... le crocchette. Tante! >>
<< Fai la combo no? >>
<< Spiegati, americano, non parlo la tua lingua. >>
Mark rise e si voltò verso di lei per guardarla in finto cagnesco. Aveva due meravigliose sfere azzurre, al posto degli occhi, era bellissimo. << Prendi quelle più cola e patatine fritte, no? >>
<< Ah! Sì, bravo, pensaci tu che te ne intendi. >>
Quando Mark ebbe scelto anche per gli altri - senza dimenticarci il povero Erik -, permette un pulsante e una voce salutò piatta.
Il biondo fece la lista vocale di ciò che aveva scelto e poi avanzò per cedere il posto all'auto dietro di lui. 
Si fermò dopo neanche un metro, in attesa della quantità industriale di junk food che aveva chiesto mentre quello davanti e quello davanti ancora stavano aspettando di ricevere la loro. Gran bel casino Los Angeles col traffico.
La canzone di Mariah Carey terminò ed Esther le concesse il lusso di un applauso. << Brava, brava! Brava, belle protesi. >>
<< Mia madre dovrebbe avere il suo disco qui in giro. >>
<< Scordatelo. >>
<< Dai ti prego, mettiamolo. Solo una passata di “I'll be loving you longtime”. Due dai. >>
<< I'll be what?! >>
<< Ahaahahahah! >>
Ci fu un attimo in cui si guardarono, divertiti. Quanto poteva essere bella la quotidianità?
<< Merda >> Mark fece cascare la testa, sbuffando, e Mariah Carey rimase nascosta in chissà quale cassettone. << che fame... >>
<< Ma sentitelo, l'americano. >>
<< Mmmm... >>
Esther gli tirò una pacca sulla spalla, ma lui non sollevò la fronte dal bordo del volante nemmeno per farle un piacere. Era rinata una bella confidenza tra loro, era come se quei dieci anni non fossero mai nemmeno esistiti. Sarebbe stato bello poterli cancellare per sempre. Eliminarli passandoli insieme, magari a coccolarsi su un letto dopo aver fatto le pulizie. O a girare per New York mano nella mano, e baciarsi a Times Square l'ultimo giorno dell'anno, come aveva sempre visto fare nei film. Sospirò, un blocco alla gola la colpì all'improvviso quando realizzò di non voler rivivere un'altra esistenza senza Mark Kruger. Merda.
Fu così forte che le venne l'affanno. << Quando torneremo a New York, Mark? >>
Il biondo sollevò il capo per quella domanda lanciata senza motivo.
La macchina davanti stava ancora aspettando.
<< In che senso? >>
<< Quando torneremo a New York, noi... noi due... >> Esther buttò giù i muri che ieri l'avevano sigillata di imbarazzo con un grido interiore, forte, mostruoso, alimentato da una fiamma d'amore che non era mai morta del tutto, e che ora stava solo reclamando il suo posto. Doveva sapere. Voleva sapere, da lui, quale sarebbe stato l'esodo della loro storia assurda. Se sarebbero rimasti amici, qualcosa di più, oppure una volta tornati là si sarebbero dimenticati. Persi di vista. Cancellati una seconda volta, ed era una cosa che la stava terrorizzando. << cosa saremo? >>
Mark sgranò gli occhi, sorpreso.
Esther stava tornando al discorso di ieri notte, e all'improvviso si rese conto di non saperlo affrontare a parole. La guardò confuso, le gote arrossate per il caldo e per ciò che stava provando dentro, molto più forte dei gradi che si sentivano di fuori.
L'abitacolo si era fatto stranamente bollente, nonostante il condizionatore sparato.
Lo spense e abbassò i finestrini.
Cacciò il gomito fuori.
La notte era così buia che sembrava voler inghiottire tutto nel suo lento ascendere.
<< Non voglio perderti, Mark... >> mormorò lei, e quando Kruger la guardò di nuovo si rese conto che le brillavano gli occhi. Gioia, dolore? Forse entrambe.
Si perse in mezzo a quel nero soffocante, un nodo alla gola gli impedì di trovare aggettivi per descriverla. Ci affogò dentro, la guardò come si ammira una stella.
<< Non accadrà >> la voce gli uscì rauca dal fondo del petto, come se avesse appena fumato per la prima volta. Sentì il bisogno di passarle una mano tra i capelli.
Scostarglieli da quel viso pallido e bianco che tanto lo faceva impazzire, incastrarglieli dietro un orecchio.
Poterla guardare bene in viso e rendersi conto di non aver mai desiderato niente di meglio che lei al suo fianco.
<< Non esiste. >>
Stringerla forte.
Stringerla fino a diventare una cosa sola con lei.
<< Non accadrà più una cosa del genere. >>
<< E se devi traslocare ancora? >>
<< Non accadrà. >>
<< E se sparisci in Australia, Mark? >>
<< Non... >> non finì la frase, perché non aveva senso farlo.
Perché tutto sembrava aver perso un nesso logico.
<< Chi te lo dice che non accadrà? Un imprevisto potrebbe portarti di nuovo via... potresti perdere il cellulare in mare, o da qualche parte... n-non so... >>
<< Nessuno mi porterà più via. >>
<< E con Melanie? >>
<< Con Melanie era già finita, Esther. E lo sai. >>
<< … e se io non fossi mai venuta a vivere a New York? >>
<< Sarei venuto a prenderti, una volta compreso che il mio posto è con... con te. >>
<< Mark... >> la osservò deglutire forte, emozionata. << Davvero? >> si portò una mano tremante al cuore, la tenne salda. Mark avrebbe voluto prendergliela e portargliela sul suo, di petto.
Per dimostrarle che, se bussava, una piccola Esther sarebbe uscita sorridente, con i capelli perfettamente ordinati e la divisa di discutibile gusto della Tripla C.
<< Davvero...? >>
<< Certo. >>
All'improvviso la donna scorbutica che aveva sputato su Mariah Carey come una camionista di prima classe scomparve dentro ad un corpo chino sul sedile e con le lacrime a gonfiarle gli occhi lucidi e arrossati. Che cercava di sfuggire a quell'amore troppo forte, consapevole di aver già perso in partenza. << Non so stare senza te... >>
Mark respirò l'aria rarefatta dell'abitacolo, mosse appena il gomito.
No, nemmeno lui sapeva stare senza lei.
Non ci era mai riuscito.
Non l'aveva mai dimenticata. E quando credeva di averlo fatto, se l'era ritrovata davanti, in un marciapiede affollato da troppe persone anche solo per poterla notare.
Eppure ce l'aveva fatta.
Lui, lui l'aveva vista.
Sognò di baciarla, di fare sue quelle labbra sigillate in attesa di una risposta che avevano aspettato per troppo tempo. Ma ora di tempo ne avevano, tutto quello del mondo. E gliela diede. Si piegò verso di lei, la guardò con occhi languidi di un desiderio che non riusciva più a contenere.
E poi la baciò.
Piano.
Si appropriò di quelle labbra con la dolcezza e l'impaccio di un timido principiante, timoroso di vedersela sfumare in un colpo di gelido vento. Di perderla per sempre, ancora, e cercarla disperatamente nel ricordo, senza la certezza di poterla riavere in futuro.
Esther aveva il sapore della libertà. Di quella che ti fa venire voglia di correre sotto la pioggia, gridare. Gridare forte, e calciare un pallone fino a spaccare un muro di roccia, buttarsi nell'oceano gelato e poter respirare ogni cosa. Affondò le mani tra i suoi capelli profumati, tra quelle onde che tanto gli piacevano, e lei si aggrappò alle sue spalle nel disperato tentativo di tenere fermo lui, il tempo, tutto.
Mark aprì gli occhi un momento, solo per guardarle il viso pallido, sudato, e le ciglia imperlate di lacrime.

Esther era la sua libertà.
E l'assaporò tutta.


 
__________________________________
Nda
aaaaaaaa! *sclera male*
Sìììì
Chi mi conosce da anni sa che Mark ed Esther sono una mia CrackPairing e un giorno la faranno diventare reale. Sa che ci ho passato su praticamente tutta l'adolescenza, e soprattutto, SA CHE NON VEDEVO L'ORA DI FARLI BACIARE, DAL PRIMO CAPITOLO, ahahah. Cioé raga io ho dovuto attendere ventiquattro papiri prima di questo momento.
Quando l'ho scritto non potete nemmeno immaginare il delirio, gli applausi. Ero felicissima. E lo sono ancora, perché finalmente si sono dati il tanto atteso limone, con tanto di mani tra i capelli, e niente, io piango come una tredicenne in calore, aiut.
E poi, questa volta, a differenza della vecchia Disaster, è stato Mark a prendere l'iniziativa.
MARK. In un McDonalds.
Brrr, love. Vi prego ditemi che vi è piaciuto, io ho amato abbozzarlo, troppo. Forse ve lo aspettavate, forse no, comunque che ne pensate?
Parlando d'altro, la scena iniziale come vi è parsa? E' un capitolo diverso, per la prima volta in mezzo al verde, con Erik Eagle che dimostra di avere più skills nel galoppo che nel calcio, e Mark che ammette di volersi lanciare da una strada in discesa dentro un carello con ruote pericolanti.
Comunque gli americani ci mettono davvero il miele nell'hamburger. Non so se qui in Italia si usa farlo – credo di no, almeno, io non ho mai avuto modo di vedere una cosa del genere – però loro lo trattano alla maniera del ketchup.
Io quando l'ho visto fare ci sono rimasta male.
Insomma, il miele è da mettere nel thé.
O no.
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, sarei curiosa di sapere il vostro punto di vista sulla situa! Per quel che riguarda i sentimenti di paura di Esther, sono leciti, capitela :( lontana dal ragazzo che ama per tanto, teme di perderlo di nuovo. Ma verranno presi con più importanza solo nell'ultimo capitolo, quindi non vi annoierò con ulteriori problemi. Capitolo che ehi, tra poco arriva.
Ve lo giuro manca solo Silvia in pratica
Baci
Lila

 
Ps: ho perso il conto degli aggiornamenti. Quanto sono nabba.
Ps2: flavor è in AE. i british(?) poi scrivono flavour, ma siccome siamo negli USA, continuo a pensare sia più appropriato tenere le parole americane, dove posso.
   
 
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