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Autore: Morghana    21/07/2018    1 recensioni
L'equipaggio del Drago Spaziale è abituato a combattere contro un nemico in carne ed ossa... un nemico fin troppo appartenente al presente e fin troppo materiale. Fino al giorno in cui uno di loro non dovrà combatterne uno di tutt'altro genere.
Può un semplice anello chiudere il cerchio del tempo e fare giustizia di un efferato delitto... dopo cinquecento anni?
Genere: Mistero, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Chi è amato non conosce morte”
(E. Dickinson)

 

- Palermo, 1° dicembre 2063 – 09:30 -

L'atterraggio a Punta Raisi non era stato dei migliori, con buona pace della perizia del capitano Pete Richardson, ma nessuno ebbe da ridire: il professor Saverio Moncada di Paternò aveva avvisato il dottor Daimonji, con largo anticipo, di quanto la pista dell'aeroporto palermitano fosse tanto suggestiva al vedersi quanto tra le più malposizionate mai costruite.

Situato a pochi metri dal mare che bagnava Palermo, l'ingresso della pista aveva dato più di un filo da torcere anche ai piloti più esperti dell'aeronautica civile che, in più di un'occasione, avevano dovuto “riattaccare” e ripetere l'atterraggio, a scanso di finire in mare prima ancora di toccare terra.

Le operazioni di routine che seguivano ogni atterraggio furono sbrigate velocemente e, nemmeno due ore dopo, il dottor Daimonji ed il suo staff stavano percorrendo l'androne dell'Università degli Studi di Palermo, in direzione dell'ufficio del professor Moncada.

Scienziato di fama mondiale, di famiglia ricchissima e di antica nobiltà principesca, di bell'aspetto ed ancora prestante nel fisico nonostante i sessant'anni, il professore avrebbe potuto tranquillamente essere un esponente di spicco del jet-set internazionale ma, complice l'acuta intelligenza e la noia che provava nel frequentare il bel mondo, aveva preferito dedicarsi alla scienza ed approfondire gli studi in ambito geologico, specializzandosi in geofisica e vulcanologia.

Era appunto a causa dell'Etna, che aveva richiesto l'aiuto del dottor Daimonji e l'intervento del Drago Spaziale: negli ultimi tre mesi l'attività del vulcano siciliano era stata talmente intensa ed aveva presentato caratteristiche talmente anomale da far pensare che ci fosse qualcosa nel condotto del camino vulcanico... qualcosa che, con tutta probabilità, poteva essere attribuito ad un Mostro Nero o, comunque, riferito agli Zelani e ad un loro coinvolgimento nel fenomeno.

“Caro collega... benvenuto in Sicilia! Felicissimo di incontrarti di persona, dopo averti conosciuto di fama... e benvenuti anche voi, signori! Spero che la vostra permanenza non si limiti al risolvere il problema per il quale vi ho contattati... la Sicilia è meravigliosa e vi consiglio di fare almeno una visita approfondita di Palermo e dei suoi dintorni!” fu il benvenuto, in perfetto inglese, dello scienziato, nell'accogliere Daimonji.

“Ti ringrazio infinitamente, collega... permettimi di presentarti il mio staff di supporto, prima di cominciare a discutere della questione del vulcano. Mi spiace che il nostro capitano e pilota non sia ancora presente, ma aveva da ultimare alcune faccende, prima di lasciare il Drago. Ci raggiungerà tra poco.”

Un magnifico sorriso ed un cordiale annuire fu la risposta dello scienziato italiano, prima di accingersi a fare gli onori di casa ai suoi ospiti, in attesa dell'arrivo di Pete... che però, contrariamente alle sue abitudini, si fece aspettare non poco.

*


Chianci Palermu!
Chianci Siracusa!

A Carini c’è lu luttu nd’ogni casa…”



- Palermo, 1° dicembre 2063 – 11:00 -

Si sentiva a disagio nel percorrere le viuzze che il piccolo GPS da polso gli stava indicando come scorciatoie per raggiungere l'università di Palermo.

Cercò di convincersi che era soltanto una sua impressione ma, man mano che camminava, si rendeva sempre più conto di avere gli occhi di tutti puntati addosso.
Sbuffò tra sé e sé... diavolo, i biondi con gli occhi azzurri non mancavano in Sicilia, vista la dominazione normanna che c'era stata! Cos'aveva lui di tanto particolare da far voltare non soltanto le donne, ma anche gli uomini?

Si fermò per lasciar passare quella che, a tutta prima, gli parve essere un piccolo corteo funebre... ma, dopo un primo sguardo, rimase perplesso: non soltanto si trattava di sole donne, ma non c'era nessuna bara a precederle... ed in più quelle donne, più che disperate per la morte di un familiare, sembravano voler rendere un triste omaggio a qualcuno che già da tempo avesse terminato il suo percorso terreno.

Senza sapere perché, le seguì nella chiesa dove stavano entrando.

Le vide deporre i fiori che portavano su un sarcofago in marmo, addossato alla parete di fianco a quella che, presumibilmente, era la sagrestia... e se ne meravigliò non poco: sapeva, grazie ai suoi studi di archeologia ed arte antica, che le sepolture nelle chiese erano ormai in disuso da secoli e che, quindi, era impossibile che un loro congiunto fosse stato seppellito in quel luogo.

Conosceva l'italiano abbastanza bene da comprendere, nonostante il forte accento siciliano, che quello che le donne stavano sottovoce recitando era l'ufficio dei defunti di religione cattolica... la famiglia Richardson era di religione protestante e lui, personalmente, era poco credente e per nulla praticante, ma il tono accorato con il quale esse invocavano la pietà del Cielo per quella povera anima lo toccò profondamente, inducendolo – come non aveva più fatto, da quando era ragazzino – a farsi il segno della Croce a sua volta.

Chi poteva essere quel defunto che, nonostante fosse chiaramente inumato lì da secoli, ancora riceveva fiori e preghiere? Sicuramente un nobile, data la sontuosità della tomba, ma di chi poteva trattarsi?
Attese che le donne uscissero per avvicinarsi a sua volta al sarcofago, aspettandosi di leggervi scolpito il nome dell'occupante... ma non trovò alcuna scritta, tantomeno incisioni o blasoni di qualche tipo.

Vossìa desidera qualche cosa?”

La voce che sentì alle sue spalle, per quanto sommessa, lo fece sobbalzare e voltare nello stesso momento, ritrovandosi dinanzi un anziano sacerdote dallo sguardo bonariamente interrogativo.

“No, no... cercavo di capire chi fosse sepolto in questa tomba, nient'altro.” gli rispose Pete, in un italiano fortemente marcato dall'inglese, ma chiaro ed abbastanza scorrevole.

“Ah, vossìa straniero è... benvenuto a Palermo, allora. Vedo che parlate bene l'italiano, complimenti... “
“Mia nonna materna era di Verona... l'ho imparato da lei. Può dirmi qualcosa di questo sarcofago?”
“Posso chiedervi come mai vi interessa? Siete uno studioso di storia?”

“Di archeologia, per essere precisi: l'ho studiata all'università, anche se non mi sono laureato... ma la passione per l'argomento è rimasta intatta. Chi è stato sepolto in questa tomba? Non vedo iscrizioni né nulla che lo indichi...” chiese ancora Pete, con pazienza assolutamente insolita per lui.

Il volto carico di anni e di patimenti del sacerdote sembrò farsi ancor più vecchio e sofferente, nel sentirsi porre quelle domande, mentre pareva riflettere prima di dare una risposta.

“La leggenda dice che si tratta del sarcofago di una baronessa siciliana... la baronessa di Carini, un feudo confinante con Palermo. Morì a metà del Cinquecento... pare che avesse trent'anni o poco più, povera fimmina...”

Trent'anni.

Quella povera donna era morta nel fiore della gioventù, pensò Pete, sentendo il cuore farsi pesante come un macigno. Certo, nel Cinquecento le malattie portavano presto alla tomba anche i più ricchi, data l'arretratezza delle cognizioni mediche... ma qualcosa lo spinse a volerne sapere di più, se fosse stato possibile.

“Come mai è morta così giovane? Di parto, forse? All'epoca era frequente...”
“No, meschinedda... magari fosse stato...” mormorò il vecchio, in un sospiro.
“E... allora?”

“In questo momento non posso rispondere a vossìa... devo dire Messa e debbo ancora vestirmi con i paramenti sacri. Perché non restate per la funzione? Parleremo dopo...”
“Non sono cattolico, padre... ed ho anch'io un impegno urgente, ho perso la cognizione del tempo, entrando qui, ma ora devo andare.”

“Capisco. Ma tornate pure quando volete, la chiesa non scappa... se per caso non mi trovate, chiedete pure al sagrestano e vi saprà dire quando rientro. Calò, unni sì? M'hai a vistiri... unni sì?”
Qua sto, don Mariano, qua sto... l'acqua a li sciuri avanti a la Madonna stavo a canciari! Eccomi...”
“Calò, il signore è forestiero e interessato alla storia della Sicilia, tornerà per parlarmi... se non ci sono io, gli dici quando torno e intanto gli fai visitare la chiesa.”

Come desiderate, don Mariano, i furasteri sempri benvenuti sunnu... vossìa mi comandi!” gli rispose umilmente l'attempato paesano, mettendosi a disposizione del giovane che aveva di fronte.

Ma gli bastò guardarlo in viso per trattenere il fiato e segnarsi, invocando a mezza voce l'aiuto celeste.

Bedda Matri... unn'jè possibili! Ma voi...”
“Che succede, Calò?”
Nenti, patri Mariano... nenti! Bacio le mani a vossìa... compermesso.” fu il congedo, rapido e spaventato, del sagrestano... che corse in sagrestia, quasi a cercarvi rifugio.

*

Il ritardo di Pete non passò inosservato al dottor Daimonji, che fu lì lì per fulminarlo con un'occhiataccia non appena mise piede nell'ufficio del professor Moncada... ma l'espressione che il giovane aveva impressa sul volto spazzò via ogni collera, lasciando il posto prima alla perplessità e poi alla preoccupazione: che diamine era potuto succedergli, per suscitare nei suoi occhi quello sguardo carico di... sì, di angoscia?

La necessità di ascoltare la relazione del professore, riguardo alle anomalie eruttive dell'Etna, gli fece momentaneamente accantonare quel pensiero, ma non cancellò l'impressione profonda che il capitano aveva suscitato nel suo animo... e non solo nel suo: tutti gli altri avevano notato che Pete aveva una faccia tesa e pensierosa, anche se tentava di mascherarla sotto l'onnipresente freddezza nei modi e nel comportamento.
Che cosa era accaduto?

Non ebbero il tempo di fare domande: sui bracciali radio di tutti loro scattò l'allarme con il segnale di massima emergenza!

“Professore, credo che questa sia la prova di quanto i suoi sospetti siano fondati... dobbiamo rientrare subito nel Drago! Lei torni subito nel suo laboratorio, noi decolleremo immediatamente in direzione di Catania!”

In meno di mezz'ora il dottore e tutti gli altri erano ai loro posti ed il Drago Spaziale iniziò la fase di rullaggio sulla pista, per poi levarsi in quota con prua a ovest-sudovest.
 

- Vulcano Etna, Catania, 1° dicembre 2063 – 13:00 -

Fecero appena in tempo a scansare una bordata di lapilli, che avrebbe potuto danneggiare seriamente il ventre della loro fortezza volante: di fronte a loro, letteralmente sputato fuori dal cratere del vulcano, si parò uno dei mostri più orripilanti che avessero mai visto!

Il viso di quell'orrendo robot umanoide – se di viso si poteva parlare - aveva le fattezze della mitologica Medusa e, come la Medusa, era circondato da serpi che sputavano lava senza sosta: ecco da dove proveniva il magma che, negli ultimi mesi, era stato espulso dal vulcano!

Non persero tempo: il lancio dei componenti del Gaiking, seguiti a ruota dallo Skylar, fu questione di un minuto e, mentre il Drago teneva impegnato il Mostro Nero, Sanshiro assemblò i tre elementi del robot e si preparò a dare battaglia.

“Sanshiro, attento al magma che sputano quelle maledette teste di serpente! Ha una temperatura elevatissima e potrebbe fondere anche l'acciaio zormanium delle nostre strutture!” fu l'avvertimento del dottor Daimonji, tra le ondate di materia incandescente che investivano il Drago, imprimendogli continue e brusche imbardate.

“Stia tranquillo, dottore... quella lava è micidiale ma il mostro è dannatamente lento nel muoversi! Fan Lee, dammi una mano!”
“Arrivo, Sanshiro!”

Una pioggia di missili partì dallo Skylar, non abbastanza da distruggere il robot nemico ma sufficiente a far sì che Sanshiro gli arrivasse alle spalle e gli piantasse una delle due Croci Spaziali tra le scapole, servendosi dell'altra per tranciargli via il nido di serpi che gli circondava la testa.

Da qui al farlo esplodere con i Raggi Ottici fu faccenda di pochi secondi.

Sakon effettuò un breve controllo visivo e strumentale del cratere – ormai vuoto ed “a secco” – e confermò quanto il professor Moncada aveva sospettato: le ultime eruzioni non erano di origine naturale, ma provocate dal Mostro Nero che – in epoca imprecisata – era stato posizionato all'interno della camera magmatica dell'Etna.

Stanchi e sfatti, con lo stomaco in subbuglio per gli scossoni subìti durante la battaglia, tutti loro avrebbero voluto atterrare immediatamente al vicino aeroporto di Catania, ma sapevano bene che la cosa era impossibile: le piste di Fontanarossa non erano in grado di accogliere un apparecchio delle dimensioni del loro Drago ed, in aggiunta, l'eruzione provocata dal mostro aveva letteralmente ricoperto l'intera struttura di ceneri e pomici vulcaniche, rendendo indispensabile la temporanea chiusura dello scalo.

Non avevano altra scelta che rientrare a Palermo e ringraziare la loro buona stella per l'irrisorietà dei danni – limitati alla vernice delle paratie esterne – riportati durante la battaglia.

Il dottor Moncada, immediatamente avvertito dal dottor Daimonji, non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo, alla notizia del cessato allarme... oltre ad invitare lo scienziato ed il suo equipaggio a trattenersi per qualche giorno in Sicilia, sia per fare il definitivo punto della situazione sia per il piacere di averli ancora suoi ospiti.

Il dottor Daimonji, rendendosi conto che il suo equipaggio – oltre a lui stesso – avrebbe tratto soltanto benefici da un, sia pur breve, periodo di riposo, acconsentì.

- Palermo, 1° dicembre 2063 – 18:45 -

Ormai era il tardo pomeriggio e, dopo essersi concessi un paio d'ore di meritato riposo, tutti approfittarono della serata libera accordata dal dottor Daimonji che, dal canto suo, sarebbe andato fuori a cena con il dottor Moncada e consorte.

Si sparsero in giro per la città: Sakon e vari tecnici – dopo aver mandato giù un rapido spuntino sul Drago – si diressero verso l'Osservatorio Astronomico di Palermo, dove c'era in programma una conferenza serale, Sanshiro e Midori imitarono il dottore e si concessero una cenetta a lume di candela in un ristorante sul lungomare, mentre Fan Lee, Bunta e Yamatake scovarono un simpatico pub nelle vicinanze dell'aeroporto e vi si accomodarono, subito circondati da uno stuolo di ragazze affascinate dalle loro divise.

L'unico a non volere compagnia fu Pete.
L'immagine di quel sarcofago ed il desiderio di saperne di più sulla giovane baronessa che, secondo la leggenda, giaceva al suo interno, lo spinsero a tornare in quella chiesa.

Don Mariano non era in sede, poiché era andato a portare i conforti religiosi ad un ammalato – così almeno gli riferì un'anziana signora alla quale aveva chiesto informazioni – ma il sagrestano c'era e Pete lo trovò subito, appunto in sagrestia.

Ne fu accolto con lo stesso sguardo trasecolato e quasi spaventato di quella mattina... lo stesso che aveva più volte visto negli occhi dei passanti in strada ed in quelli della signora con la quale aveva parlato pochi istanti prima.

Decise di venire a capo anche di quella faccenda, oltre che di quella della baronessa.

Non si perse in preamboli.
“Signor Calò, mi ascolti, per favore... mi spieghi perché lei e molti altri, non appena mi avete guardato in faccia, siete rimasti quasi paralizzati. Non voglio fare ipotesi, voglio sentirlo direttamente da lei. Perché?”

Eh... vossìa mi perdoni, ma... haju da fari, nun putiti aspettare patri Mariano? Tornerà prestu...”
“No! A parte che con padre Mariano ho già da parlare di quel sarcofago, ma la faccia di chi sembrava aver visto il diavolo ce l'aveva lei, Calò! Allora? Vuole spiegarmi?”

Un sospiro sconsolato sfuggì dalla bocca del brav'uomo, insieme ad un altro lungo sguardo che percorse il volto di Pete lineamento per lineamento.

Si vuliti veramente sapiri a verità, apprima dovete iri ne u casteddu ri Carini. Jè a poca distanza da Palermo. Quannu u avirriti visitato, venite a casa meo... iu e meo mugghìeri abitiamo rintra a portineria do' casteddu, semu i custodi.”

Per quanto il dialetto del sagrestano fosse stretto, Pete riuscì a capire il senso delle sue parole... ma non per questo ne fu persuaso.
“Che c'entra il castello con me? Semmai ha a che fare con la donna sepolta nel sarcofago, sempre che sia realmente la baronessa di cui parlava padre Mariano! Che c'entro io con il castello?”

A verità sta propriu 'nto casteddu... vossìa si fidi ri mia. Iti a visitarlo e poi fatemi l'unuri di viniri a trovarmi a casa... e parleremo.”

Il giovane si rese conto che, almeno in quel momento ed in quel luogo, non avrebbe ottenuto nessuna informazione... e decise di seguire quel che aveva capito delle istruzioni del sagrestano: andare a visitare il castello di Carini.

“Quando posso visitarlo? Ci sono giorni ed orari per il pubblico?”
Putiti trasiri quannu vuliti: chiste sunnu i chiavi do' purtuni. Avviserò meo mugghìeri pi telefono, accussì nun ci sarrannu problemi. Ma, pi amuri ri Diu, nun diciti a nuddu chi vi haju datu i chiavi...”

Questa volta Pete non capì quasi nulla, ma Calò intuì il suo smarrimento dinanzi al palermitano strettissimo e ripeté il tutto in italiano, insistendo nel raccomandarsi di non dire a nessuno di aver ricevuto le chiavi del castello.

“Va bene, Calò... verrò questa sera stessa, visto che tra pochi giorni dovrò ripartire. Appena terminata la visita, vi riporterò le chiavi e mi spiegherete...”
“Va benissimo... bacio le mani a vossìa.

Si separarono con un cenno d'intesa e, mentre il sagrestano andava a telefonare a sua moglie per avvisarla dello speciale visitatore, Pete raggiunse il parcheggio dove aveva lasciato la macchina e, dopo aver cercato le coordinate dell'antico maniero sul GPS, partì senza esitazione.

*


Attorno allo casteddu di Carini
Ci passa e spassa u beddu cavaleri
Lo Vernagallu, di sangu gentili

Ca di la gioventù l’unuri teni...”



Carini, 1° dicembre 2063 – 21:00 -

Nonostante fosse inverno, una ventata di aria quasi calda investì Pete mentre attraversava il cortile principale della rocca: una folata d'aria che sembrava emessa dalle mura stesse dell'antichissimo edificio.

Il cigolìo dei cardini arrugginiti del portone dinanzi a lui, quello che costituiva l'ingresso al castello vero e proprio, gli fece comprendere che quello non era chiuso a chiave. Rimase perplesso... ma solo per un attimo: evidentemente Calò o sua moglie avevano dimenticato di chiuderlo, cosa che poteva tranquillamente capitare a chiunque.

Spinse sul battente in ghisa per aprirlo ed entrare... e la perplessità si trasformò in stupore: dall'esterno non si vedeva alcuna luce filtrare dalle finestre, eppure le luci della sala che gli apparve dinanzi erano tutte accese!

Rimase immobile, fissando le luci dei piccoli ma potentissimi fari posti in alto, ai quattro angoli di quella enorme stanza.
Dopo un tempo indefinibile, riprese le redini della propria razionalità e dedusse che nel castello doveva esserci qualcuno, magari entrato senza permesso ma che, di sicuro, era in possesso delle chiavi, visto che non c'erano segni di effrazione sul portone.

Certo, rimaneva la stranezza che questo qualcuno si fosse preso la briga di richiudere a chiave il portone principale e non quello di ingresso del castello, ma non ci si soffermò... ora voleva soltanto trovare questa persona, chiunque fosse: uno strano istinto gli diceva che costui, o costei, avesse a che fare non soltanto con quel sinistro edificio, ma con il mistero che circondava la tomba nella chiesa.

Percorse corridoi, visitò sale e saloni, si inerpicò lungo scale malsicure ed in alcuni punti parzialmente diroccate... e, dovunque andasse, il denominatore comune erano ancora le luci: sempre accese, dappertutto.

Il senso di oppressione che provava, nonostante la forte illuminazione e l'ampiezza degli ambienti, lievitava ogni minuto.

L'ennesimo corridoio, che dava su un balcone aperto su una torre merlata.
Fece per uscire all'esterno, ma la porta dell'ennesima stanza attirò la sua attenzione, più di tutte le altre che aveva già visitato.

Un senso di timore lo invase...
Di timore... o di terrore?

Esitò per un attimo, ma si impose di ignorare quell'ondata di paura e spinse la porta per aprirla.

Buio.
In quella stanza c'era soltanto l'oscurità più assoluta.
Un'oscurità che lo colpì come una mazzata gelida... un'oscurità che non era solo assenza di luce, ma assenza di qualsiasi cosa.

Assenza di tempo, di spazio, di aria... di qualunque cosa appartenesse al mondo reale.
Quella stanza sembrava sospesa nel nulla.

Un nulla che sembrava, nello stesso tempo, attendere e rifiutare qualsiasi presenza umana.

Un lieve rumore di passi lo riscosse da quell'atmosfera irreale, facendogli portare la mano al fulminatore che portava alla cintura. Si rifugiò dietro la porta, attendendo il probabile ingresso di qualcuno... visitatore in segreto o nemico che fosse.

Non dovette attendere molto: una fioca luce ed il passo ormai vicinissimo precedettero di pochi secondi l'ingresso di una donna, che reggeva un candeliere a vari bracci nella mano.

Il contrasto tra l'antichissimo candeliere ed un paio di dettagli del'abbigliamento della visitatrice lo stupì non poco: a parte i normalissimi jeans e pullover, portava al polso un orologio ultramoderno del tipo smartwatch ed, in un portacellulare inserito nella cintura, uno smartphone di ultima generazione... come mai non aveva pensato a portarsi una torcia a pile o, meglio ancora, ad utilizzare la funzione “torcia” dello stesso smartphone?

La vide raggiungere un piccolo cassettone antico, posto dinanzi alla parete di fronte a lui, sul quale posò il candeliere, per poi voltarsi verso destra... ed avviarsi in direzione del muro, posandovi la mano sinistra con le dita stranamente aperte e tremanti.
Un singhiozzo le sfuggì, flebile e strozzato.

La mano di Pete lasciò l'impugnatura dell'arma: era evidente che quella donna non era di certo una nemica zelana, tantomeno un pericolo di qualsiasi altra specie.

Fece per avvicinarsi, ma lei fu più rapida nel girarsi e si ritrovarono l'un l'altra a fissarsi negli occhi... mentre, inspiegabilmente, la luce irradiata dalle candele si faceva intensissima ed, altrettanto inspiegabilmente, dissipava ogni paura ed ogni diffidenza dall'animo del giovane.

“Chi sei...?” le chiese Pete, con voce della cui tranquillità si meravigliò lui stesso.
“Mi chiamo Laura... - gli rispose garbatamente la giovane donna, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano - … e tu?”
“Il mio nome è Peter Richardson... ma sono Pete, per gli amici ed i colleghi.”

“Allora anche io e te siamo colleghi, in un certo senso... colleghi di visita notturna, a quanto pare.” gli sorrise Laura.
“Così sembra...” sussurrò Pete, ricambiandole il sorriso.

"Perché piangevi?" le chiese, dopo qualche istante di silenzio.
"Ricordi... nient'altro che ricordi..." mormorò la giovane donna, distogliendo lo sguardo.

Le si avvicinò, per osservare la parete sulla quale lei aveva posato la mano.
Sull'intonaco, ancora bianchissimo nonostante i secoli che lo avevano scrostato in più punti, vi erano delle strane striature rosse... di un rosso scurito dal tempo.

Sembra sangue...” pensò Pete, istintivamente, ma non ebbe il tempo di far domande: preceduto da un rumore di passi in corsa, un uomo con una spada in mano fece irruzione nella stanza, scagliandosi contro di lui!

Il giovane fece appena in tempo a schivare un micidiale colpo di punta al torace, per poi pararsi in tutta la sua statura di fronte a quell'uomo, preparandosi ad affrontarlo.

Vestito in foggia del Cinquecento, quel tipo sembrava uscito da una festa di carnevale ma, lungi dallo strappargli una risata, il suo volto gelido ed inespressivo gli fece scorrere un brivido lungo la schiena.

Non era paura, no... era come l'impressione di aver già vissuto quel momento terribile.
Un momento che preannunciava morte.

Non stette a pensarci su, gli ci volle un attimo per prendere il fulminatore e servirsene... salvo accorgersi che i raggi laser non avevano il minimo effetto su di lui!
Sembrava attraversarlo, come se fosse fatto di nebbia.

“Usa una di quelle spade, Peter! Con quelle riuscirai a colpirlo! Presto, hai poco tempo!!!” gridò disperatamente Laura, indicandogli la parete dietro di lui, dove faceva splendida mostra una collezione di armi antiche.

“Ma io non so usarle!”
“Presto! O ci ucciderà!”

C'era poco da discutere: se quelle spade potevano qualcosa contro quell'essere, quelle spade avrebbe usato!

Staccò una di quelle antiche ma ancora micidiali lame dalla parete: le scintille che le due spade fecero sprizzare, incrociandosi, furono solo l'inizio di un breve ma furibondo duello... che lasciò Pete ferito di striscio in più punti, ma vincitore, anche se con poca gloria: il suo avversario, vistosi a mal partito, si era dato alla fuga.

“Laura... stai bene?” le chiese Pete, osservandola attentamente per accertarsi, pallida com'era, che non fosse sul punto di svenire.
“Sto benissimo, Peter... stai tranquillo... però, sai maneggiare bene la spada, a vederti non si direbbe ma sei agilissimo.”

“Sai che sei la prima...”
“A far cosa?”
“A chiamarmi con il mio nome per intero...”

“Beh, è un bellissimo nome. Qui non si usa, ma a me piace...” gli sorrise la ragazza, con quel sorriso che lo aveva incantato sin dal primo istante.
Un sorriso che gli riscaldò il cuore, facendogli abbassare gli occhi per la dolcezza della sensazione che lo stava invadendo.

“Perché non mi dici dove abiti? Così ti potrò riaccompagnare e non correrai altri pericoli. So che qui ragionano un po' all'antica ma... in fondo ti farei da scorta, non vedo cosa ci sia di male in questo.”
“No, Peter, non preoccuparti... non ce n'è bisogno. Ora devi andare, sul Drago Spaziale ti aspettano.”

Pete sobbalzò.
Non per il fatto che sapesse della presenza del Drago in Sicilia, era cosa di dominio pubblico, ormai, ma... come faceva a sapere che lui faceva parte dell'equipaggio?

Fece per chiederglielo, ma lei gli chiuse dolcemente la bocca passandovi le dita sopra... e lui non poté trattenersi dal baciargliele.

“Laura...”
“Ssst... vai, ti prego. Ti aspetto domani sera, se vorrai tornare... sarò qui ad attenderti.”

Gli si accostò, posando delicatamente le labbra sulle sue, come se fosse la cosa più naturale del mondo... ed, allo stesso modo, Pete la ricambiò.
Il lieve schiocco di quel bacio fu il loro saluto.

Dopo pochi minuti, lui si ritrovò nel cortile, ricordando solo confusamente il percorso fatto per raggiungerlo.

Laura... perché mi sembra di conoscerti da sempre? Perché?” si chiese Pete, fissando le stelle ormai impallidite dall'alba imminente.

Rientrò nel Drago e si diresse immediatamente verso la sua cabina, senza degnare di una risposta chi gli chiese dove fosse stato per un'intera nottata. Preferì lasciar credere di aver trascorso quelle ore in piacevole compagnia... cosa che, in un certo senso, era vera.

Non si era neppure accorto che il loro aggressore, non appena uscito dalla porta della stanza, era svanito nell'aria.

*

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Buio.
In quella stanza c'era soltanto l'oscurità più assoluta.
*



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"...una fioca luce ed il passo ormai vicinissimo precedettero di pochi secondi l'ingresso di una donna, che reggeva un candeliere a vari bracci nella mano."
*


 

  
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