Marinette
Dupain-Cheng era grata
per molte cose.
Era
grata d’avere dei genitori
così amorevoli e comprensivi, che avevano piena fiducia in
lei, facilitando
così la sua doppia vita in un modo che non avrebbe mai osato
sperare.
Era
grata per gli amici che era
riuscita a riunire attorno a sé nel corso degli anni, per il
loro costante
supporto a qualsiasi folle progetto decidesse di mettere in atto.
A
diciassette anni, era grata per
il futuro che si era preparata, per la soddisfazione di poter davvero scegliere la propria carriera, un lusso
che non tutti i suoi compagni potevano permettersi.
E
quei giorni, era grata che la
sua migliore amica Alya frequentasse Nino Lahiffe. Perché,
ovunque Nino
andasse, Adrien Agreste normalmente lo seguiva. E nonostante fossero
passata
due lunghi anni dal loro primo incontro, Marinette aveva ancora una
tremenda infatuazione
per il biondo, che era diventato solo più gentile e
più bello.
In
quel preciso momento, erano
tutti seduti in un pittoresco caffé, sorseggiando qualche
stravagante bibita
piena di caffeina, chiacchierando allegramente delle loro giornate e
dei loro
progetti per il futuro. In qualche modo, Marinette parve essere
l’unica a
notare quanto Adrien fosse insolitamente silenzioso al riguardo,
così ebbe il
tatto di tenerlo per sé. Ma tra l’ascoltare Alya
entusiasmarsi per il meraviglioso
programma di giornalismo al quale stava per iscriversi e Nino
raccontare quanto
fantastico fosse il corso di musica
nell’università in cui sperava d’essere
ammesso, qualcosa in lei scattò. Non poteva sopportare lo
sguardo da cagnolino
bastonato sulla faccia della sua cotta, quindi fece l’unica
cosa logica e
spostò la conversazione su un argomento totalmente diverso. “Avete visto le
notizie? C’è una nuova
esposizione al Louvre, sugli eroi del passato e il modo in cui
servirono la
nazione. Ti va di
venirci con
me, Alya?”
Contro
ogni previsione, la rossa
fece spallucce, senza alzare gli occhi dal telefono. “Meh.
Sono più interessata
agli eroi di oggi. Tipo, Chat Noir si sarà finalmente
dichiarato a Ladybug? Per
l’amor di Dio, sono passata due anni! Sicuramente ormai si
sarà accorta di
quanto lui l’ami e le sia devoto cuore e anima, no?”
Se
qualcuno trovò strano il modo
in cui sia Marinette che Adrien sembrarono strozzarsi nello stesso
momento, non
sentì il bisogno di sottolinearlo.
Marinette
non avrebbe saputo dire
se fosse stato per riportare all’ordine la discussione o per
genuino interesse,
ma non riuscì a interessarsene, sentendo Adrien dire a voce
un po’ bassa “Se
davvero vuoi vedere la mostra, Marinette, potremmo andare insieme.
L’avevo già
in mente comunque.”
“Davvero?”
Marinette si sentì
rispondere con voce insicura, prendendosi mentalmente a schiaffi. Sul
serio,
quanto ridicola poteva essere? Probabilmente Alya l’avrebbe
ripresa più tardi, ma
davvero non poteva farci niente. Anche se non si riduceva
più a un impiastro
balbettante quand’era intorno al suo amico biondo, I suoi
nervi venivano ancora
messi a dura prova ogni volta che la loro conversazione superava la
lunghezza necessaria
al suo contegno difficilmente mantenuto o quand’era
abbastanza sfortunata (fortunata?)
e i loro corpi si sfioravano in qualsiasi modo.
Tutto
considerato, era piuttosto
fiera di sé: non aveva strillato, non era caduta
giù dalla panchina del bar, né
corsa via agitandosi. Sì, per ora, la missione “Sii
normale con Adrien”
era un grande successo.
Be’,
forse non così tanto visto
come il giovane la stava fissando in attesa di una qualche risposta che
lei non
poteva dargli, avendo perso gli ultimi minuti della conversazione.
“Scusami
Adrien, non ho sentito, mi
ero un po’ persa.” ammise imbarazzata, sperando con
tutta sé stessa che questo
non avrebbe rovinato le sue possibilità con il bellissimo
giovane dagli occhi
verdi.
Lui
sorrise, quel suo sorriso
dolce e gentile con cui solo il sole avrebbe potuto gareggiare
nell’innamorato
cuore di Marinette. Quando parlò, la sua voce era dolce,
premurosa, “Non c’è
problema, sembravi un po’ distante. Chiedevo se vuoi andare
questo pomeriggio, una
volta tanto sono libero.”
La
giovane donna fece del suo
meglio per ignorare il gomito dolorosamente incastrato tra le sue
costole, e il
ghigno niente affatto sottile che Nino tentò vanamente di
nascondere prendendo
un sorso della sua Coca-Cola. Concentrandosi per formare un periodo
coerente, la
ragazza dagli occhi blu sorrise teneramente e rispose a voce bassa,
“Sarebbe
perfetto. Grazie,
Adrien.”
Questo
è come Marinette
Dupain-Cheng si trovò sulle scale del Louvre in un
soleggiato sabato pomeriggio,
fissando la sua cotta senza sapere che fare con sé stessa.
Adrien, nella sua
infinita gentilezza, le diede una leggera gomitata, continuando a
sorridere (quell
dolce sorriso lasciava mai il suo volto?), “Niente male, un
po’ di tempo fra
amici senza Alya e Nino che giocano a hockey con le tonsille ogni
singolo
istante in cui pensano che non stiamo guardando.”
Marinette
ridacchiò, con la
tensione ancora palpabile intorno a loro ma improvvisamente meno
soffocante, “Lo
fanno davvero molto, e pensare che sono convinti d’essere
discreti!” Entrambi
risero, scuotendo la testa pensando alle spiacevoli dimostrazioni
pubbliche
d’affetto dei loro amici. “Allora,
aspettavi questa mostra?”
Adrien
sorrise di nuovo, riuscendo
con successo a eliminare ogni forma di pensiero logico dalla sua timida
ma
ardente amica. “Molto,
in
realtà. Penso che sia una mostra fantastica,
guardare ai nostri eroi del
passato è qualcosa che—”
“Marinette!”
una voce familiare
lo interruppe. “Oh grazie a Dio! Pensi che potresti dare
un’occhiata a Manon per
me mentre finisco questo reportage? Ti pagherò volentieri il doppio del
solito. Questo piccolo
diavoletto non è capace di star buona neanche un attimo,
giuro,” esclamò
un’ovviamente sollevata Nadja Chamack, facendo trasalire la
coppia.
Marinette
osservò Adrien con
circospezione, cercando di valutare la sua reazione. Conoscendo la sua
personalità generosa, la sua infinita gentilezza, avrebbe
dovuto predire cosa
seguì, “Non c’è problema, Ms.
Chamack, Mari e io controlleremo quest’amabile
giovane fanciulla.”
“Oh! Tu
sei Adrien Agreste, vero? È un
piacere conoscerti, ragazzo. Bene, immagino di poter contare su di te
per il
mio mostriciattolo quanto conto su di lei, visto che sei suo amico. Per
favore
cercate solo di tenere Manon lontana dai guai, okay? Ha questa pessima
abitudine di finire in… situazioni.”
Riguadagnando
la propria
compostezza, la ragazza dagli occhi blu la rassicurò rapida,
“Non si preoccupi,
Ms. Chamack, la terremo al sicuro. Faccia il suo lavoro, visiteremo la mostra con
lei.”
Più
tardi, mentre una Manon di
sette anni s’impegnava a controllare degli artefatti, Adrien
cercò a sorpresa
la mano di Marinette. “Spero di non averti messa a disagio
rispondendo per te, ma
sembri tenere molto a lei.”
Sorridendo
dolcemente, cercando
con tutta sé stessa d’ignorare il suo urlo di
gioia interiore dovuto al tocco
volontario di Adrien, Marinette cercò di non badare a quanto
dolorosamente
veloce stesse battendo il suo cuore e rispose timidamente,
“Sì, amo quella
bambina. Le faccio da babysitter da un bel po’
ormai.”
Sentendo
queste parole, l’espressione
già gentile di Adrien si addolcì ulteriormente.
“Bene allora, assicuriamoci che
si diverta come si deve.”
Lì
e in quell momento, Marinette
Dupain-Cheng s’innamorò di nuovo da capo di Adrien
Agreste.
Osservò,
estasiata, come Manon
sembrasse andar d’accordo con il biondo senza alcun ostacolo.
Lui ascoltava
pazientemente le sue chiacchiere incessanti mentre attraversavano a
passo
regolare l’esibizione, fermandosi volentieri per rispondere
al fiume
inesauribile delle sue domande o per guardare qualsiasi cosa attirasse
il
volubile interesse della bambina.
Era
la prima volta che Marinette lo
vedeva interagire con un bambino da quell’improvvisato
servizio fotografico di
due anni prima, e fantasie fuori luogo di una ragazza dagli occhi verdi
e i
capelli neri che correva in un cortile recintato di bianco con due
ragazzi
biondi dagli occhi blu l’assalirono di colpo. Dio,
quell’uomo sarebbe stato un
ottimo padre, e quell pensiero l’agitò
interiormente in un modo piacevole ma
problematico. Come poteva sperare di mantenere la propria compostezza
con
Adrien se la sua mente era occupata a formulare piani per il futuro? Tentò
di mandar via quei pensieri
mentre seguiva la coppia adorabilmente entusiasta verso una particolare
bacheca,
continuando a sorridere tra sé per la scena di prima. Adrien
e Manon si stavano
entusiasmando di fronte ai vari artefatti disposti su un tavolo
perché li
potessero esaminare e giocherellarci. Era inusuale avere
l’effettivo permesso
di toccare qualcosa in un museo, e Manon era super-eccitata sapendo che
non
sarebbe stata sgridata per aver giocato con oggetti molto antichi e
preziosi. D’altra
parte, conoscendo bene le
tendenze biricchine della bambina, Marinette avrebbe dovuto
preoccuparsi dei
suoi movimenti e avrebbe dovuto prestarle attenzione più da
vicino. Ma la
ragazza dagli occhi blu era continuamente distratta dalla presenza di
Adrien,
la sua mente completamente rivolta alle sue spiegazioni riguardo come e
perché un
certo veterano aveva lasciato la sua traccia sulla storia di Francia, e
abbassò
la guardia per un momento — errore fatale. Perché
quando finalmente
Marinette tornò alla realtà, a svegliarla fu la
sensazione di freddo metallo
intorno al suo polso destro. Fatta efficacemente uscire dai suoi sogni
a occhi
aperti, Marinette guardò in basso e vide prima
un’evidentemente compiaciuta
Manon, poi delle manette di rame ben chiuse intorno al suo polso. E
su quello sinistro di Adrien. “Ho preso i cattivi! Sono
una
supereroina!” si vantò la bambina, completamente
ignara dell’improvviso
trambusto interiore della sua babysitter. “Ottimo
lavoro, Manon. Ora puoi
passarmi la chiave così posso liberarci?”
domandò Marinette in quello che
sperava fosse un tono calmo e composto. “Uh-oh.”
rispose la bambina di
sette anni con lo sguardo basso, resasi improvvisamente conto di un
dettaglio. Quattro
lettere non avevano mai
impanicato Marinette, prima, come fecero queste e lei si
bloccò, rifiutando di
riconoscere cosa significasse realmente l’espressione di
Manon. Adrien recuperò
in fretta, “Fammi indovinare, non c’era una chiave
sul tavolo?” La
bambina annu; lacrime
iniziarono a formarsi intorno ai suoi occhi. “Non
piangere, Manon, troveremo
una soluzione. Magari possiamo romperle?” Marinette
cercò di rassicurarla, facendo
del suo meglio per ignorare il suo stesso panico. “Cerchiamo
un impiegato che possa
aiutarci, probabilmente hanno messo la chiave da un’altra
parte per sicurezza,”
propose Adrien, il suo sorriso gentile immutato nonostante la loro
situazione
non proprio ideale. Camminare
con qualcuno attaccato
a te era un’esperienza nuova. Facendo il modello, Adrien era
abituato a
camminare a passi lunghi ed efficienti, mentre Marinette,
considerevolmente più
bassa, normalmente doveva muoversi con passi più corti e
rapidi, e tenere il
ritmo dell’altro era una sfida unica. Dato che era un
gentiluomo, il giovane
cercò di rallentare, ragion per cui lei gli fu infinitamente
grata. La
prima guardia di sicurezza che
trovarono si limitò ad alzare le spalle, dichiarando che non
aveva a che fare
con la bacheca sperimentale. Chiedere informazioni su qualcuno che
potesse
effettivamente aiutarli non andò meglio, l’uomo
sospirò pesantemente prima di affermare
che la direttrice del museo era probabilmente da qualche parte nelle
sale, sorvegliando
l’intera mostra. Con
un po’ d’aiuto da Manon (urlare
quanto fosse dispiaciuta era sempre un ottimo modo per attirare
l’attenzione), e
con le incredibili capacità sociali che Adrien possedeva
nonostante la sua
infanzia solitaria, alla fine riuscirono a rintracciare la direttrice
in
un’altra parte del museo. L’anziana donna li
osservò attentamente mentre
ascoltava la loro spiegazione riguardo alla loro
“situazione”, poi disse con
ovvia preoccupazione, “Sembrerebbero artifatti decisamente
antichi. Sono certa
che non dovevano far parte del chiosco sperimentale. Dovremo trovare
qualcuno
in grado di aprirle senza romperle.” Il
terrore invase Marinette. Non
le piaceva la direzione della conversazione. “Non possiamo semplicemente tagliarle
con una sega?” “Naturalmente
no!” strillò la
donna, palesemente offesa che l’avessero anche solo pensato.
“Avete la minima
idea di quanto potrebbero valere? Visto il loro aspetto antico e il
fatto che
il metallo si presenti ancora incontaminato, sarebbe totalmente folle
danneggiarle in qualsiasi modo. Non penso nemmeno che abbiano ancora
una chiave;
appena trovo chi le ha messe lì, si parlerà del
loro lavoro. Questo è un serio
azzardo! Avrebbero potuto essere rovinate, o peggio ancora, rubate! Voi
due
andate a sedervi là mentre faccio una chiamata o
due.” Marinette
si lasciò guidare da
Adrien a una panchina lì vicino, dolorosamente angosciata.
Iniziava finalmente
a essere appena in grado di sostenere brevi conversazioni con la sua
cotta; chiederle
di funzionare nelle sue immediate prossimità per lungo tempo
era pretendere
davvero troppo da lei. Ma
prima che potesse affogare
troppo nei suoi pensieri, la sopraccitata cotta le diede una gentile
gomitata
nelle costole, forzandola a spostare il braccio verso di lui nel
mentre, “Non
preoccuparti, Mari. Un fabbro ferraio è un uomo chiave da avere al tuo fianco,
dopotutto!” Scioccata,
Marinette lo fissò per
un secondo, riportando il braccio verso di sé.
Sbatté gli occhi, soppesando le
sue parole, e portò la sua mano destra alla bocca (il che
portò anche la mano di
Adrien con sé. Avrebbe
dovuto aggiustare questa cosa), “Hai… Hai appena
fatto una battuta?” Ghignando,
il giovane annuì con
forza. I suoi familiari occhi verdi si accesero maliziosamente mentre
si chino
verso di lei, “Hei, ho un piano! Dovrei portarti dal mio
sarto, quell’uomo è
fantastic quando si tratta di toppe.”* Quella fu l’ultima
goccia. Il ridicolo
della loro situazione, i suoi nervi stressati in presenza di Adrien e
l’inattesa
scoperta che, apparentemente, il ragazzo di cui era infatuata da tempo
condivideva un assurdo amore per le freddure con il suo caro partner,
tutto
questo si fece sentire, e Marinette si lasciò andare.
Scoppiò a ridere, una
risata sentita che fece allargare il sorriso già ampio di
Adrien. “Non avevo
idea che amassi così tanto le battute, Mari!”
commentò, visibilmente
compiaciuto. Qualsiasi
replica stesse per
uscire da Marinette fu bloccata dalla direttrice del museo che li
raggiunse. “Siete
fortunati, ragazzi. Sono riuscita a contattare un fabbro abbastanza
abile da
rimuovere le manette senza rovinarle. Sarà in grado di
arrivare tra due giorni
lavorativi.” “DUE
GIORNI?” domandarono
Marinette e Adrien in perfetta sincronia, completamente sconvolti dale
novità. La
direttrice si accigliò, sistemandosi
gli occhiali sul naso. “Certo,
sì. Specialisti come Mr. Clavier sono davvero
molto richiesti, non ci si
può aspettare da lui che abbandoni la sua agenda fitta
d’appuntamenti per due adolescenti
che hanno giocato con manette vecchie di secoli.” Stavolta,
quando gli occhi di
Marinette incontrarono quelli di Adrien, le loro espressioni
combaciavano
esattamente. Erano
rovinati. Note
della Traduttrice: Buongiorno! Mi
hanno chiesto di tradurre questa
storia, ed eccoci qua con il primo capitolo. Oltre
a essere la mia prima traduzione 'ufficiale', penso che il problema
più grosso saranno le freddure di Adrien. In
questa storia, la frase con un asterisco alla fine in inglese era
abbastanza diversa: Adrien diceva di doverla portare dal suo barbiere,
molto bravo nel tagliare "locks", che oltre a serrature vuol dire
riccioli. La cosa migliore che mi sia venuta in mente per renderlo in
italiano è stato tradurre il termine con toppe e sostituire
il sarto al barbiere. Bene,
spero che apprezziate. La
settimana prossima sarò fuori, quindi non so quando
arriverà il secondo capitolo. Alla
prossima!