15.
Lo aveva trovato il suo vecchio
collega alle quattro e mezza, quando era arrivato per iniziare il turno. Era
steso a terra davanti alla cella di quella strega oscura arrivata da poco, solo
che la cella era spalancata, la strega non c’era e per giunta tutte le altre
porte erano chiuse, così che nessuno poteva accorgersi di nulla se non
capitando proprio nell’ultima ala del carcere. Nazar,
dopo aver appurato che la strega era riuscita in qualche modo a bluffare i
sistemi di sicurezza, che ora erano attivi, si era chinato sul collega,
scuotendolo per una spalla. Ma Guriy non aveva
risposto, e non avrebbe risposto mai più. Non avrebbe mai potuto raccontare
della forza invisibile che gli era scivolata come sciroppo nella testa,
riempiendogli il cervello di adorazione per Inga,
convincendolo che disattivare per cinque minuti i sistemi di sicurezza per lei
era la cosa giusta. Come per portarla in infermeria, senza disattivare gli
allarmi delle altre celle: solo che Inga non avrebbe
trovato barriere all’uscita, e sarebbero potuti fuggire assieme, lontano, dove
nessuno li conosceva. Ma poi era arrivata quell’onda d’urto che gli aveva
bruciato gli organi interni, lasciandolo a terra come un sacco di patate, solo,
sotto gli occhi degli altri carcerati. E loro questo lo avevano raccontato, a
spizzichi e bocconi, alle autorità che Nazar era poi
corso a chiamare. Su Shemeli cadde una coperta di
tristezza e terrore. Le famiglie iniziarono a sbarrare le porte di casa, al
calare delle tenebre. La sorella di Guriy vestì il
lutto. E il testo della lettera che fu ritrovata nella tasca della divisa del
defunto fece il giro del mondo magico.
Ma il pericolo fu presto lontano dal
minuscolo centro magico arroccato nella più sperduta campagna bielorussa.
Nessuno la vide fuggire, ombra tra le ombre, e i poveri e onesti maghi e
streghe furono abbandonati nella paura mentre lei, gli occhi allucinati, le
labbra piegate in un sorriso, si allontanava senza soffrire il freddo, né la
paura dell’ignoto.
Nessun impiegato ministeriale arrivò
alla prigione di Shemeli prima dell’ora di pranzo.
Non dissero perché, nonostante il Ministero fosse stato avvertito non appena le
autorità locali ebbero appurato che il vecchio Nazar
diceva il vero. Nel paesello il tempo sembrava scivolare come melassa mentre,
tutt’attorno, il mondo magico aveva già iniziato a tremare al pensiero di una
nuova forza oscura.
Inga si nascose. Senza demordere, riuscì
ad arrivare ad un bosco molto, molto lontano dalla prigione: aveva le gambe
graffiate, era intorpidita dal freddo, e le scarpe che le avevano fornito si
erano rotte ormai molto tempo prima, lasciandole grosse abrasioni sulle piante
dei piedi. Ma si lasciò cadere a terra solo quando fu del tutto nascosta nel
folto di quella macchia solitaria: cadde a faccia in giù e nessuno avrebbe
potuto avvertire la risata che prese a scuoterla. Là rimase per un giorno
intero: si procacciò del cibo, aggredendo le poche bestiole che abitavano la
macchia, principalmente topi muschiati, e restò in attesa di venire scoperta o
di averla vinta. Quando poi trascorse la notte e nessuno era venuto, allora Inga si alzò dal giaciglio che si era creata con rami e
foglie e abbandonò il suo nascondiglio. Troppo presto, qualcuno avrebbe detto.
Ma quel qualcuno certamente non sarebbe stato a conoscenza della pericolosità
del veleno di Inga.
«Cosa fai qui?»
Harry si voltò: Severus,
bardato di un pesante mantello nero bordato in pelliccia, lo scrutava. Si era
tirato il cappuccio sulla testa per combattere i fiocchi di neve che
continuavano a cadere copiosi.
«Ho
bisogno di parlarti» rispose Harry. «È urgente»
«Lo credo bene»
Severus gli girò attorno e andò ad aprire
la porta. Senza curarsi di lui entrò e Harry si trovò da solo nella buia
bottega del Pozionista. Allora chiuse la porta con un
sospiro.
Quando fu entrato nell’appartamento,
Harry trovò Severus in cucina: si era liberato del
mantello e ora preparava il tea con gesti rapidi e concisi.
«Ti sarai congelato, là fuori»
borbottò Harry. L’altro non alzò il viso.
«Ho provato l’ebbrezza di una
passeggiata sotto la neve» rispose, «ma come immaginavo, solo i cretini come te
possono apprezzare quel freddo»
Harry non poté fare a meno di
sorridere davanti all’insulto. Un calore piacevole gli si era sciolto nel petto
vedendo Severus, e si sarebbe preso volentieri tutte
le frecciatine del mondo pur di godere un po’ della sua vicinanza. Ma il
pensiero di ciò che lo aveva portato lì gli ricadde addosso, un masso che
rotoli da una scogliera pronto a schiacciare qualunque cosa si frapponga tra
lui e la sua meta.
«Inga è
fuggita di prigione» disse quindi Harry. Severus
continuò a sfaccendare.
«E?» fece, per nulla impressionato.
Harry si mosse sul posto, seccato,
trattenendosi. D’altronde se l’era aspettata una risposta del genere, o meglio,
una totale mancanza di risposta.
«Il Ministero ha deciso di
assegnarti un sigillo di protezione» aggiunse Harry. «Non puoi rifiutarlo o
dovrei arrestarti. Inga potrà ancora avvicinartisi, ma non appena entrerà in questo edificio la
mia squadra verrà allertata e verremo a prenderla con le mani nella marmellata»
L’Auror
aveva abbassato la testa parlando, ad osservare la scatola metallica che
racchiudeva il sigillo. Così non vide che Severus si
era voltato a guardarlo, un ghigno sulle labbra fini, e che aveva preso a
studiare ogni centimetro della sua figura.
«Il Ministero o tu?» chiese a voce
bassa il Pozionista.
Harry rabbrividì sentendo quel tono.
Lo guardò, finendo per annegare nei suoi occhi neri come pece, e l’istinto ti
andare là e baciarlo, infilare le dita nei suoi capelli e stringerlo lo
investì, tanto che non si accorse dei passi che mosse verso di lui. Ma poi si
fermò.
«Non credo ci sia differenza, il
Ministro in carica è la mia migliore amica» si ritrovò quindi ad ammettere. Severus non fece vacillare il sogghigno e fu lui, stavolta,
ad avanzare. Si trovarono quindi a pochi passi di distanza e un silenzio
elettrico cadde su di loro.
«Se rifiutassi quindi…?»
chiese ancora il Pozionista. Ancora quella roca voce
gutturale.
Harry non rispose. Non poteva
permettersi, infondo, di ammettere che quella era stata una bugia bella e
buona. In compenso appoggiò al tavolo la scatolina e annullò la distanza che
ancora li separava.
Si parò dinanzi a Severus con forza, con l’espressione di uno che non lo
avrebbero fatto indietreggiare nemmeno i cannoni. E Severus
si prese il tempo di leggere all’interno delle sue pupille, quei cestini di
erba primaverile recisa e mischiata ai fiori di tarassaco, pagliuzze dorate
immerse nel verde. Alzò una mano e la pose sulla guancia di Harry. Lui chiuse
gli occhi.
Si baciarono con foga stridente,
spezzando d’improvviso la tela di lenta seduzione che avevano finora tessuto in
quella minuscola frazione di tempo. Le gote ruvide di Harry, il respiro grosso
di Severus, le mani che sfioravano, graffiavano,
tastavano ovunque. Non fu con grazia che Harry spinse Severus
al muro, aprendogli la camicia e mettendogli a nudo il petto pallido, intessuto
di muscoli torniti ma timidi e di ossa spigolose. Non si curò di strattonarlo Severus quando lo afferrò per i capelli per baciarlo di
nuovo, mordendogli le labbra con desiderio. E quando la bocca di Harry perse la
bussola e scivolò sulla grossa cicatrice che un tempo lontano aveva lasciato
sul collo di Severus, allora lui ringhiò e lo spinse
via solo per poi afferrarlo e trascinarlo oltre la porta della cupa camera da
letto, in cui pesanti tende oscuravano la vista sul panorama ghiacciato dei
tetti di Notturn Alley. Schioccando
l’aria con violenza, cinte furono strappate via dai pantaloni, camicie
scivolarono a terra, gemiti si alzarono nell’etere. E furono infine nudi ad
amarsi sulle coperte monocromatiche di quel grande letto mentre, in cucina,
l’acqua per il tea bolliva, dimenticata.
«Ahia, stramaledetto affare…»
«Sempre fini vedo»
«Ah, sta zitto. Oppure provaci tu»
«Oh no, Auror
Potter, non mi premetterei mai»
Avvolto nella vestaglia, Severus si allungò a baciargli il collo nudo e Harry
sorrise, godendosi pacatamente il momento. Erano trascorse un paio d’ore da
quando era arrivato e ora se ne stava in piedi dietro la porta d’ingresso
dell’appartamento, in boxer, e stava cercando di installare il sigillo.
Imprecò ancora sottovoce e sentì Severus ridacchiare. Aveva acceso il camino, lui, dopo aver
fatto l’amore: quell’inverno rigido lo congelava sino al midollo, Harry lo
aveva notato, e accarezzando il suo stomaco piatto si era anche chiesto se
forse non era anche a causa della sua magrezza. Ma aveva taciuto, o nulla lo
avrebbe salvato da un’accusa di essere uguale a Molly.
Il sigillo alzò uno squittio: Harry
allontanò le mani e finalmente l’aggeggio si era incollato al muro. Era simile
ad un grosso insetto, ricoperto di un’armatura bronzea che lanciava ombre scure
e metalliche sotto il sole.
Sistema
di sorveglianza H.S.S. 23. Auror
Potter?
Severus, che si era allontanato, si fece di
nuovo vicino, incuriosito.
«Sono io» rispose Harry. Si pose le
mani ad anfora sui fianchi, fiero come Artur quando
era riuscito ad utilizzare il suo primo cacciavite a percussione.
Responsabile
individuato. Entrata in funzione: tre – due – uno.
Si alzò un unico, alto bip dal sigillo, poi tutto tacque. Harry ci
bussò con un dito, ma non accadde nulla.
«Bene, siamo a posto» disse quindi.
Non sembrava molto convinto.
«E quello come farebbe ad evitare
che Inga mi ammazzi nel sonno?» chiese Severus con un sopracciglio alzato. Harry lo fulminò con lo
sguardo, poi se lo tirò contro e lo baciò profondamente.
«Rileva maghi e streghe oscure»
rispose, «e mi manderà la diagnostica di chiunque entri nell’edificio»
Severus scosse piano la testa. Gli posò le
mani sul petto.
«Forse non te ne sei accorto, ma
siamo a Notturn Alley, qui
ne girano parecchi di maghi oscuri»
Harry alzò una risata che per un
momento infastidì Severus. Si sentì preso in giro,
così strinse le labbra, ma dovette subito desistere perché un altro bacio lo
raggiunse.
«Mi spiace deluderti, ma non siete
così oscuri come volete farci credere» rispose Harry. Poi la sua espressione
s’incupì.
«Non quanto Inga,
almeno»
Severus lo vide abbassare gli occhi e sentì
le sue braccia forti acuire la stretta sui suoi fianchi. Posò la testa
nell’incavo del collo di Harry, beandosi del suo calore. Oh, gli era mancato,
eccome se gli era mancato.
«Sono sopravvissuto all’Oscuro
Signore» mormorò. «Inga non è certo la cosa peggiore
mi sia mai capitata»
«E si da il caso che il tuo ragazzo
sia l’Auror più figo in
circolazione» sogghignò Harry.
La lieve spallata che lo colpì lo
fece ridere.
«Dovrai tornare al Ministero ora»
Severus lo aveva sussurrato, non domandato,
e a Harry parve di avvertire una nota di dispiacere nel suo tono. Non capì: non
si aspettava quel genere di malinconia, da lui. Però il suo cuore buono rispose
automaticamente e una mano salì ad accarezzare i capelli di Severus.
«Devo seguire gli sviluppi, voglio
essere preparato a qualsiasi evenienza» rispose.
Le dita di Severus
scivolarono lungo la pelle delineata dall’elastico dei suoi boxer. Harry
rabbrividì.
«Allora ti va di tornare qui, dopo?»
chiese piano il Pozionista. Harry s’irrigidì un
istante, sorpreso. Non si sarebbe aspettato nemmeno una proposta del genere.
«Certo che mi va» sorrise quindi.
Baciò Severus accanto all’orecchio, attento, ora a
non toccargli la cicatrice.
Quando uscì dall’edificio di Notturn Alley non nevicava più,
ma il cielo continuava ad essere uno spesso mare di cotone sporco di fuliggine.
Si affrettò al Ministero, sperando, in cuor suo, di poter compiere spesso quel
tragitto, streghe oscure in agguato a parte. La dimora che Severus
si era creato dopo la guerra non era certo il suo genere, però era accogliente:
fosca, scura, sì, ma tiepida, piena di angolini che un topo di biblioteca come Severus aveva sicuramente studiato con raziocinio, e poi
c’era lui, e a Harry sembrava che tutto fosse meglio, con lui.
Quel pensiero lo agitava.
Positivamente, perché si sentiva attratto a tornare indietro da lui come
quando, da ragazzo, desiderava tornare al Quidditch.
Ma era anche strano, perché infondo non aveva dimenticato che Severus era stato il suo professore di Pozioni. Ma non
importava.
La Londra babbana,
in quella domenica invernale, era un tripudio di famigliole a passeggio,
ragazzi raggruppati agli angoli delle piazze, temerari che sfidavano le altre
macchie di neve nei parchi, ma Harry notò anche un certo viavai magico,
soprattutto nei dintorni del Ministero. Alcune facce note, giornalisti,
giravano senza dare nell’occhio, in attesa come condor, e l’Auror
dovette impegnarsi per scivolare via senza essere notato. All’interno del
Ministero, infatti, la domenica era già conclusa: Harry entrò nell’Atrio per
trovare la scorta del Primo Ministro bielorusso, sei uomini vestiti di nero, ad
attendere. Lo guardarono, quando passò, e forse lo riconobbero come chi aveva
ucciso Voldemort, ma non fecero nulla se non
osservarlo in silenzio, così Harry andò dritto verso l’ufficio di Hermione.
«Ehy,
amico»
La voce di Ron arrivò assieme ai
suoi passi da corsa, poi una mano fu sulla spalla di Harry ed entrambi si
fermarono a pochi passi dalla porta dell’ufficio.
«Sei evaso da casa?» chiese con un
sorriso Harry.
Ron scrollò le spalle.
«Te lo ricordi il nostro vicino che
alza il gomito, quello che abbiamo trovato due volte riverso nella fontanella
per gli uccelli? Ecco, me ne stavo in giardino quando è passato e ha incontrato
un’altra vicina, così l’ho sentito che diceva che c’era una frotta di
giornalisti che girava per i dintorni»
Harry fece una smorfia.
«Ce ne sono anche qua fuori» annuì.
«Arrivano loro, me ne vado io»
soggiunse Ron, «Ma non so se a Hermione farà piacere.
Tu? Il sigillo?»
Harry avvertì i sottintesi di quella
domanda e senza rendersene conto abbassò la testa, arrossendo un poco.
«L’ho messo poco fa» rispose. Ron,
che a sua volta colse il messaggio indiretto nelle parole dell’amico, gli batté
una manata di solidarietà sulla spalla.
«Non volevi entrare, vero?» aggiunse
poi, indicando la porta dell’ufficio di Hermione. «È
col Ministro bulgaro, non l’ho ancora vista»
«Credo sia bielorusso» lo corresse
Harry distrattamente. Si passò una mano sul viso, stropicciandoselo.
«Volevo davvero tanto entrare, sì»
sospirò. Ron annuì, ma senza dire nulla gli fece segno di seguirlo e lo portò
dove sinora lui stesso aveva aspettato. Si era impossessato di un’area
visitatori incastrata a pochi passi da lì, nascosta dietro muretti bassi e vasi
di fiori.
«Ma tu lo sapevi che di questi cosi
ne è pieno il Ministero?» chiese Ron, buttandosi su un divanetto. Al centro di
una piccola panca imbottita c’era un tavolino rotondo.
«Credo di non aver mai guardato
attentamente questo posto» ammise Harry sedendosi davanti a lui. Non era
proprio comodo, quell’angolo: le ginocchia di Harry si strizzarono dietro al
rigido profilo del tavolino, mentre Ron doveva stare afflosciato con l’intera
superficie in mezzo alle gambe. Si guardarono per un istante in silenzio, poi
scoppiarono a ridere. Entrambi sembravano adulti incastrati in una casetta per
bambini.
«Ssssh! La
Ministra sta conducendo una riunione importante!»
Una strega accigliata passò loro
accanto.
«Non mi dire!» rispose Ron, facendo
scoppiare una seconda ondata di risa di Harry. La donna lo guardò scioccata,
poi se ne andò via veloce.
«Probabilmente quella era una
collaboratrice di mia moglie» aggiunse poi Ron scrollando le spalle. «Ne ha un
sacco. Impossibile ricordarle tutte»
«Ti sei sempre ricordato tutti i
tuoi fratelli» sogghignò Harry.
«No, capita ancora che mi dimentico
di contare Percy» rispose Ron, ma sul finire della
frase si ridusse a sussurrare per poi zittirsi: la porta dell’ufficio di Hermione si era aperta.
«…e
ringraziarvi di tutto. Spero davvero ci rivedremo in situazioni più rosee»
disse la voce di lei.
«Ma prego! È mio dovere signora,
dovere politico e morale. Io spero potremo averla nel nostro bel Paese presto»
La voce del Primo Ministro bielorusso
si fece vicina mentre Hermione lo faceva uscire
dall’ufficio. Harry e Ron rimasero zitti, nascosti nell’area visitatori, a
osservarsi lungamente, in ascolto.
«Sarà un piacere per me, dopo che
questa urgenza sarà terminata»
Sottovoce, Ron borbottò che lui in
Croazia non ci sarebbe andato. Harry si ficcò una mano sulla bocca per non
ridere.
I due politici si mossero verso
l’Atrio, seguiti da chi era rimasto con loro nell’ufficio. Quando furono
abbastanza distanti, Harry e Ron si alzarono. Da lontano videro Hermione salutare gli ospiti che se ne sarebbero andati con
la Metropolvere di emergenza dedicata solo ai
politici di altri Paesi. Dopo qualche minuto, la folla dei collaboratori di Hermione le fu addosso e lei, a grandi passi, fece dietro front, illuminandosi quando vide chi la stava aspettando.
«Ciao!» esclamò avvicinandosi.
Schioccò un bacio sulle labbra di Ron prima di afferrarli entrambi per i gomiti
e portarseli nell’ufficio: con un gesto di una mano chiuse le porte davanti ai
suoi uomini e i tre restarono soli nella sala.
°Comunicazione di Servizio:
Ho pensato che vi
avrebbe fatto piacere sapere che una nuova Snarry è
apparsa nel mio account. È buffo, giacché io stessa continui a ripetere che
sono una novizia della coppia e che scrivere di loro mi pare ancora strano, ma
mentre ero in vacanza l’ho trovata in un angolo del PC – una prova prima della
stesura de L’Incanto del Sangue di Re’em – e mi è
sembrato opportuno darle la possibilità di essere letta. Quindi, se volete
darle uno sguardo, ne sarò molto felice!
Inoltre, per me è ufficialmente arrivato quel magico
periodo dell’anno in cui mi è possibile viaggiare. Sino ai primi di Settembre
quindi organizzerò una schedula di upload per le storie che seguirà intervalli
di tempo un po’ più ampi rispetto a quelli mantenuti sinora, per riuscire a
lasciarvi qualcosa da leggere anche quando sarò in giro per l’Europa. Ma non sparirò
di nuovo, promesso!°