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Autore: 2009_2013    22/07/2018    0 recensioni
Sora e Roxas, qualcuno e nessuno, non sono riusciti a ricongiungersi in un unico essere, qualche giorno dopo Sora scompare e lascia un messaggio: è un assassino
Genere: Avventura, Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kairi, Riku, Roxas, Sora, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti, Contesto generale/vago
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Quando la registrazione finì nessuno ebbe il coraggio di parlare. Riku e Kairi avevano trovato il nastro sul tavolo del piccolo soggiorno del loro rifugio a Radian Garden e si sarebbero aspettati di tutto tranne quello.

-Che cosa significa?- chiese Kairi rivolta all’amico, era turbata e spaventata. Riku scosse la testa.

-Non ne ho idea. Conosco Sora da quando siamo dei bambini… lui non è come si è descritto. Deve essere successo qualcosa.... devono averlo costretto... forse non era nemmeno lui. Dobbiamo trovarlo!- quelle parole furono dette con una velocità esorbitante.

-Ha detto che andava nella tana del lupo. Pensi che si riferisca all’organizzazione?-

-Hai altre idee?- Riku si mosse verso la porta.

-Aspetta!- lo bloccó Kairi. -E Roxas? Sora ci ha chiesto...-

-Se per questo ci ha chiesto di non cercarlo.- ribattè. Non voleva Roxas in mezzo al piedi, quel casino era successo sicuramente per colpa sua.

-Ma se Roxas sa qualcosa di questa storia ,e sai bene che sa qualcosa, allora la nostra unica possibilità è coinvolgerlo. Volente o nolente.- Kairi sapeva che Riku aveva dei dubbi sulla fedeltà di Roxas ma sapeva anche che il biondo non poteva avere colpe. Sin da quando lo aveva conosciuto il giovane era stato gentile e cordiale con lei. D’altro canto Riku non era molto obbiettivo quando si parlava di Sora: tutti sapevano che  aveva una cotta per il moro e che avrebbe fatto di tutto anche solo per saperlo al sicuro.

Una volta convinto l’albino i due si diressero nella stanza usata dal biondo. Era una stanza molto semplice: un letto di colore azzurro e un piccolo armadio in legno abbinato a una piccola scrivania anteposta alla porta. Roxas era seduto sul letto intento a meditare su chissà cosa. Quando si accorse della presenza dei due sorrise amorevole a Kairi mentre lanciava un’occhiata gelida all’albino.

-Sora è sparito!- disse Riku altrettanto gelido. L’espressione di Roxas cambió di colpo: era spaventato e preoccupato.

-Cosa?!- i due non disserro nulla ma di limitarono a fargli ascoltare la registrazione. Finito nuovamente il nastro il biondo rimase in silenzio. Passarono diversi minuti ma Roxas continuava a non parlare. 

-Dí qualcosa, brutto idiota!- disse Riku irritato mentre colpiva in volto il biondo con un potente pugno mentre veniva rimproverato da Kairi.

-Sai qualcosa. So che è così! Parla!- Riku ignorava i continui richiami della rossa. Voleva solo delle risposte.

-Io… non so di cosa parli. Non ho idea del perché quell’idiota sia andato via.- Roxas parlava con voce bassa. -Forse voleva semplicemente scappare da un certo deficiente con i capelli bianchi.- disse poi con voce più decisa.

-Come ti permetti?!-

-Riku smettila!- lo bloccó Kairi. -Litigare non servirà a nulla!- poi puntò lo sguardo sul biondo. -Tu sai qualcosa... ti si legge in faccia: sei preoccupato quanto noi.- 

Certamente Roxas era preoccupato ma non poteva permettere a loro di sapere. Anche se Sora aveva commesso l’errore di fidarsi, lui non era altrettanto stupido. 

-C’è qualcosa che non vuoi dirci e questo lo capisco. Ma se vogliamo aiutare Sora dobbiamo collaborare.- 

Roxas ci pensó su, non poteva andare da solo alla ricerca del debosciato, aveva bisogno di aiuto. Ma loro non avrebbero mai capito. Per questo non dovevano sapere: non avrebbero capito. Però se voleva aiutare Sora doveva per forza condividere quelle informazioni: o almeno una di quelle. A malincuore e con la voce pari a poco più di un sussurro pronunció un nome: Jonathan Cristopher. 

-Come?- Kairi e Riku non riuscirono a capire cosa dicesse.

-Jonathan Cristopher.- ripeté. -Sora ha ucciso Jonathan Cristopher.-

 

La discussione dei tre ragazzi continuò ma nel frattempo non molto lontano dal luogo in cui si trovavano era in corso un violento scontro.

-Tutta qui la tua forza Ventus?- chiese un giovane mascherato mentre puntava la sua lama contro l’avversario visibilmente stanco. Il giovane biondo ansimava mentre assumeva una posizione d’attacco.

-Vanitas non è questo il modo.... Ti stanno usando.- gli disse con voce strozzata. Vanitas rispose con una risata maniacale.

-Xehanort rivuole il suo giocattolino.- cantilenò. Ventus si guardò intorno ma quella area era del tutto deserta, vi erano solo rocce e alberi, nessuno in grado di intervenire o aiutarlo.

-Non torno da quel pazzo. Non gli lascerò giocare ancora con la mia testa. È l’ultima volta che te lo dico: scappa con me- Vanitas non gli rispose ma scattò contro di lui con una velocità incredibile, senza che Ventus se ne rendesse conto lo colpì sulla nuca , il colpo fu così forte da farlo svenire. In quel momento però anche lui cadde a terra, la maschera impediva di vedere la sue espressione ma dal modo in cui indietreggiava dal corpo sembrava spaventato.

-Per l’angelo!- quell’espressione lo fece voltare. Una ragazza era stata attirata dal rumore delle lame, era abbastanza alta, la pelle chiara, gli occhi verdi e i capelli che passavano da un colore nero pece all’attaccatura fino a un biondo dorato nelle punte. Si avvicinò piano ai due, si chinò verso Ventus per sentire il suo respiro.

-È vivo.- disse con una nota di sollievo. Poi si rivolse al giovane mascherato.

-Che è successo? Tu stai bene?- 

-Io...io... io non lo so.- disse con tono ansimante. La ragazza si avvicinò a lui e si chinò in modo tale da essere alla sua stessa altezza. Lentamente avvicinò le mani al suo volto, il giovane si ritrasse.

-Non ti farò del male. Voglio solo vedere se stai bene.- gli tolse la maschera rivelando un volto candendo incontrarsi con i capelli neri e gli occhi dorati. 

-Mi sai dire il tuo nome?- chiese la ragazza -E anche il suo.- disse indicando il giovane svenuto.

-Il suo n-nome è Ventus.-

-Va bene. Il tuo?-  rimase in silenzio. -Facciamo così... io sono Leila, ti giuro che non ti farò del male, voglio solo aiutarvi.-

-I-Io s-sono Vanitas....credo... non lo so...- la sua voce si riempì di panico.

-Va bene Vanitas. Va tutto bene. Adesso però Ventus ha bisogno di aiuto. Riesci a camminare?-

 

 

 

-Chi è John Cristopher?- chiese Riku mentre Kairi si sedeva su una sedia, Roxas restava in silenzio.

-Non ne ho idea.- rispose Roxas velocemente. 

-Ne sei sicuro?- Riku non sembrava molto convinto.

-Forse lo so io- rispose Kairi alzandosi di botto.

-Spara!-

-Ti ricordi quella ragazza che vive nelle isole periferiche? È due anni più grande di noi, quella che ogni anno vince la borsa di studio.-

-Intendi quella che puntualmente vince ma non va mai a studiare all’isola centrale? Si ce l’ho presente, che senso ha vincere quella borsa di studio e non andare all’isola centrale.- Destiny Island era divisa in cinque isole, la più importante era quella centrale, si poteva considerare l’ambiente d’élite delle isole. Studiare li era il sogno di ogni studente-isolano.

-Si, proprio lei si chiamava Leila Cristopher. Suo padre si è suicidato dopo la morte della moglie: si chiamava Jonathan Cristopher.- 

-E perché Roxas avrebbe dovuto nominare un defunto?- chiese Riku non capendo il filo logico del discorso. -E come fa a conoscere una persona vissuta a Destiny Island. Non era nemmeno nato.-

-Per l’ultima domanda non ne ho idea ma per la prima....-

-C’è una leggenda legata a quella famiglia: si dice che la moglie di Jonathan Cristopher morì in seguito a un pericolo parto, immediatamente dopo la nascita del secondogenito. L’uomo si uccise subito dopo lasciando i due figli alla vecchia ostetrica. La prima figlia della coppia odiò a tal punto il neonato che gli diede il nome del padre e lo costrinse a restare sempre rinchiuso in casa. Alcuni dicono che lo uccise dopo la morte della tutrice. Però è solo una leggenda, nessuno sa se sia vero.- concluse.

-È una storia inquietante.- si fece scappare l’albino. -La gente si inventa storie proprio strambe.-

-Tralasciando le parti di omicidi e altro sembra abbastanza verosimile.-

-In effetti perdere entrambi i genitori in questa maniera.... anche io prenderei in antipatia mio fratello.-

-Ma è pur sempre suo fratello no?- intervenne il biondo che fino ad allora era rimasto in silenzio. -Voglio dire: è sempre suo fratello, non può odiarlo.-

 

 

Era una serena sera d’estate, le stelle brillavano nel cielo insieme a una candida luna piena mentre  una a una le luci delle case di New Island si spegnevano, tutte tranne quella di una piccola abitazione periferica. 

-Papà che succede?- chiese una bambina di appena due anni al giovane padre.  Le urla strazianti della meglio sembravano non aver fine: partorire in casa era un’operazione difficile e soprattutto molto più dolorosa rispetto a quando  essa si svolgeva in un reparto ospedaliero, ma loro non potevano permettersi di correre quel rischio. 

-Andrà tutto bene.- disse l’uomo stringendo la piccola mano della figlia. All’improvviso le urla si fermarono e furono subito sostituite da un nuovo rumore: dei pianti. La signora Smith, una vecchia ostetrica e amica di famiglia, uscì dalla stanza, guardava l’uomo in silenzio.

-Sapeva a cosa andava in contro.- rispose l’uomo. La signora Smith li fece entrare nella stanza, Angelica Court era sdraiata sul letto, era come se dormisse, accanto a lei erano quattro piccole culle.

-Quattro gemelli. Sono identici tranne per qualche piccolo dettaglio.- disse la signora Smith.

-Papà sono i miei fratellini?- chiese la bambina.

-Si Leila. Perché non li vai a salutare?- le rispose il padre con le lacrime agli occhi. La bambina Si avvicinò sorridente a una delle culle. 

-Ciao io sono Leila. Sono la tua sorellona, vedrai che faremo tante cose divertenti.- il bambino sentendo la voce aprì leggermente gli occhi: erano azzurri come il mare.

-Angelica mi ha detto di riferirti i loro nomi. Li ha scelti in base all’ordine di nascita.-

-Grazie mille Sofia. Sei stata un grande aiuto.-

-Ho fatto il possibile ma come farete con la legge? La politica impone massimo un  figlio per famiglia, se sarete fortunati ne approveranno due ma cinque.....- a causa della mancanza di risorse era stata imposta questa stramba politica, stramba quanto severa e spietata. Tutti i bambini che non risultavano esserne una violazione venivano arrestati e condannati. Ma Jonathan non avrebbe permesso che ciò accadesse ai suoi figli. Stava per rispondere a Sofia quando bussarono pesantemente alla porta.

-Polizia aprite.- li avevano scoperti. Ma come? Jonathan guardò Sofia con aria molto preoccupata. -Porta Leila e i bambini al sicuro.- gli disse. Lei annuì. -C’è una porta sul retro. Vai e non voltarti. Non posso permettere che li prendano.- e così fece. Iniziò a correre portando con se i cinque piccoli, sentiva che sarebbe finita male e ne ebbe la certezza quando sentì gli spari.

 

 

Quando Ventus aprì gli occhi non riconobbe la sua cella, non c’erano le sbarre in metallo semi-arrugginito , né quell’aria angusta di morte e disperazione con cui ogni giorno si svegliava, non era sdraiato per terra al freddo ma in un caldo e comodo letto. Si guardò attorno riconoscendo quella che non era sicuramente la base di Xehanort.

-Sei sveglio.- vide una figura femminile entrare nella stanza, gli sorrise calorosa. Si mise vicino a lui e iniziò a togliergli delle bende dal braccio destro, non si era nemmeno accorto di essere ferito. Quando lei lo toccò sentì una fitta s si ritrasse.

-Voglio solo controllare lo stato della ferita. Non ti farò male Ven, lo giuro.- il biondo la guardò: come sapeva il suo nome? Quella ragazza era strana ma altrettanto strano fu il fatto che si fidò delle sue parole. Quando finì di rifasciare la ferita lo aiutò ad alzarsi.

-Nome....- disse piano.

-Cosa?-

-Non mi hai detto il tuo nome....- la ragazza lo guardò con aria triste.

-Leila.- rispose infine. -Mi chiamo Leila.-

-È un bel nome.-

-Lo diceva sempre anche il mio fratellino. Diceva che sembrava il nome di una principessa.- uscirono dalla stanza verso un piccolo soggiorno, c’era un grande tavolo in legno con delle sedie abbinate e un divano polveroso.

-Come stai?- Ventus sobbalzò a quelle parole, anzi a quella voce che pronunciò quelle parole. Venitas lo fissava da una delle sedie con quella che sembrava un)aria preoccupata. Ven si agitò iniziando a iperventilare.

-Calmati....- gli disse Leila con voce calma. -Respira e rilassati.-

-L-lui.... perché è qui?- Vanitas abbassò il capo, sapeva che era stato lui a fargli del male ma non ricordava cosa aveva fatto. 

-È stato Vanitas a aiutarmi a medicarti. - Venuta lo guardò stupito.

-Spiegatemi cosa è successo.- disse Leila ai due ragazzi, voleva delle risposte a tutti i suoi dubbi.

-Io non lo so. So solo che ho fatto del male a Ventus.- disse il corvino scandendo piano le parole.

-Mi hai fatto male?- scattò il biondo. -Hai aiutato quel pazzo a torturarmi! Lo hai lasciato agire indisturbato. E io mi fidavo di te!-

-Ventus calmati!- Leila lo fece sedere sul piccolo divano polveroso. -Evidentemente c’è un problema ma urlargli in faccia non servirà.... adesso vi farò delle domande, nessuno dei due deve bloccare la risposta dell’altro. È fondamentale che rispettiate questa regola così che io possa capire e aiutarvi.- i due non sapevano perché la ragazza fosse così interessata a quella loro faida, però in quel momento, mentre erano in quella casa, non potevano fare altro se non assecondarla. Entrambi annuirono mentre la ragazza sorride a compiaciuta.

-Bene!- esordi. Iniziò con il biondo. -Iniziamo con qualcosa di facile: dammi le informazioni anagrafiche.- Ventus sembrò ragionare sul significato di “anagrafico” poi come un guizzo la soluzione.

-Come ho già detto prima mi chiamo Ventus ...ehm....- gli venne un vuoto di memoria, sapeva che doveva dire altro ma era come se ogni informazione gli sfuggisse.

-Non hai un cognome Ven?- il biondo sembrò agitarsi a tal punto che la ragazza intervenne nuovamente -Va bene così.- cercò di calmarlo. -Non devi averne per forza uno. Va bene così. Nessuno qui ti farà del male.- Ventus annuì e Leila pensò di cambiare soggetto per evitare un’altra crisi.

-Vanitas.- disse il corvino come se si aspettasse che toccasse a lui. -È inutile che mi chiedi il cognome perché non me lo ricordo.... come la maggior parte delle cose.-

-Va bene. Per ora ci faremo andare bene questo. Adesso spiegatemi, uno per volta, perché siete ridotti così male.- calò il silenzio e Leila temette di fare fatto un casino, forse non erano pronti a parlarne.

-Xehanort.- disse piano Ventus. -Come?- Leila non aveva sentito bene le sue parole. -Xehanort!- ripetè più forte. 

-Questo “Xehanort” ti ha fatto del male? È colpa sua?- 

-Lui.... veniva nella mia cella tutti i giorni e mi ordinava di combattere..... io non volevo..... a volte mi rifiutavo e allora mandava Vanitas.... lui mi feriva... mi diceva.... cose e.... rideva.... rideva quando sanguinavo.- Ventus aveva iniziato a piangere ma ciò che colpì di più Leila furono le cose che diceva: cella, combattere, ferire, sangue. Un così giovane ragazzo non dovrebbe vivere queste cose. Vanitas. Ventus diceva che Vanitas lo picchiava ma quando lo aveva trovato sembrava dispiaciuto, guardò il corvino il quale teneva lo sguardo fisso a terra. Il suo corpo vibrava leggermente e ora che c’era silenzio sentiva dei rumori sommessi, la ragazza penso che piangesse ma si ricredette quando il rumore divenne più forte, sempre più forte. Vanitas stava ridendo, una risata all’inizio debole e quasi timida ma che diventa e sempre più fragorosa, sempre più maniacale. Quando raggiunse il suo climax il corvino sollevò lo sguardo e Leila fu pietrificata vedendo quegli stessi occhi dorati di prima ma così spenti, spietati, crudeli. Quello non era il ragazzo che stava cercando di aiutare.

-Van- cercò di chiamarlo. Lui si alzò e con un movimento veloce fu subito sopra Ventus, il buondì iniziò a tremare. 

-Oh Ventus non mi dire che non ti sei divertito.- disse ridendo. -Ammetti che ti piaceva quando ti rompevo.... pezzo per pezzo... era così bello! Però non si è ancora rotto del tutto, no, hai ancora della consapevolezza in te ma questo non va bene. Nono! Non va bene! Sarà un piacere strapparti le viscere e sentirti urlare mentre preghi quei-

-Vanitas!-Leila allontanò con forza i due: prese Vanitas per le spalle e cercò di trattenerlo il più possibile. Ventus continuava a tremare gli occhi pieni di lacrime. -Adesso basta, Vanitas.-

-E tu chi saresti stupida megera?- Leila a quella frase perse la compostezza, come faceva a dire che non la conosceva, avevano parlato per ore prima che Ventus si svegliasse. La ragazza afferrò più saldamente il corvino e lo girò verso di lei, lo guardò negli occhi cercando di ignorare quella pazzia che li possedeva.

-Ok Van, puoi farcela: guardami! Sono io! Sono Leila.- Leila sperava che questo bastasse. Che bastasse risvegliare una piccola parte, piccola e sopita. Vanitas iniziò a calmarsi. 

-Che cosa ho fatto?- la sua voce ritornò normale. -Che cosa ho fatto?- iniziò a piangere mentre la voce era scossa dai singhiozzi. -Che cosa ho fatto?!- Leila strinse il ragazzo che affondò il volto nel suo petto.

-Va tutto bene.- gli diceva accarezzando i capelli. -Va tutto bene.- ma mentre lo diceva lei sapeva che niente andava bene. Vanitas aveva parlato di “rompere” Ventus ma il vero ragazzo rotto era propio lui, distrutto nel modo peggiore possibile: nella sua mente.

 

-Quindi hai detto che si tratta di...?- 

-Personalità multipla.- rispose seria la ragazza. -Hai una seconda personalità che di tanto in tanto prende il sopravvento e non so perché ha un sadico interesse nel ferire Ventus.- disse quelle parole con rammarico. Vanitas abbassò la testa, si sentiva colpevole, responsabile. Leila aveva portato Ventus nell’altra stanza per farlo riposare quindi ora erano completamente soli.

-Comunque..- disse richiamando la sua attenzione. -Ho notato che sebbene condividiate il corpo non condividete memoria o altro. Quindi un modo per vederci chiaro credo consista nel lavorare sugli spazi vuoti nei tuoi ricordi.-

-Spazi vuoti?- Vanitas cercò di concentrarsi ma non gli venne nulla in mente.

-Facciamo così: prova a pensare a prima quando l’altra personalità ha preso il sopravvento- Leila vide il volto del corvino contrarsi. -So che è doloroso ma provaci. Prova a ricordare come ti sei sentito.-

-Confuso e... turbato. La testa martellava.-

-E poi?-

-Mi tenevi per le spalle.- ecco il vuoto di memoria. 

-Perfetto Van, allora ogni volta che riprovi quella sensazione chiamami o avverti Ventus, così potremo tenere sotto controllo tutto questo.-

Il corvino la ringraziò con un tenero sorriso. -Come sai tutte queste cose?- le chiese cercando di cambiare argomento.

-Ho studiato psicologia.... e mio fratello soffriva di personalità multipla. So come si affronta.- Leila sembrava essersi rattristata ma subito si riscosse. -A proposito non credo dovremmo continuare a chiamarlo altro te o altra personalità, che ne dici se diamo un nome a questo pazzerello?-

-Un nome?-

-Si un modo per indicare la sua presenza.-

-Vanitas.- rispose lui.

-Non puoi usare il tuo nome. Altrimenti non serve a nulla.- il corvino scosse il capo.

-Chiamalo Vanitas, è lui che ha fatto del male a Ventus. Ven associa quel nome a tante cose brutte e non voglio, non so perché ma non voglio che abbia paura di me. Voglio proteggerlo non ferirlo e lui deve saperlo. Quindi da questo momento in poi mi farò chiamare Van.

-Van?- Leila lo guardò scettica. -Hai abbreviato il nome.-

-Lo hai fatto tu. Più di una volta. Hai chiamato me Van e Ventus Ven. E ad essere sinceri mi piace.-

Leila scoppiò in una fragorosa risata. -In effetti è una cosa che farei io. Abbrevio sempre tutto. Vanitas diventa Van, Ventus Ven, e Jonathan diventa John.-

-E grazie per quello che stai facendo per me.-

-E di cosa? Non ho ancora fatto nulla, ma lo farò. Voi due resterete qui finché non sarà tutto risolto. Non sarete più soli e non vedrete più il pazzo.-

-Sul serio?- la voce di Ventus li fece voltare, il biondo li guardava dalla soglia della porta. 

-Ventus! Pensavo dormissi.- Disse Leila incurante delle sue parole. Van invece lo guardava fisso, vedeva il suo corpo fragile, debole, tremate, era stato lui, lo aveva ferito e voleva rimediare.

-Ventus!- lo chiamò con voce serena mentre fece un passo verso di lui. Stranamente il biondo non si allontanò.

-Posso avvicinarmi?- preferiva chiedere il suo permesso, non voleva turbarlo. Lui annuì. Van avanzò finché non furono faccia a faccia, poi lo abbracciò.

-Mi dispiace.- gli disse piano. 

-Lo so.- rispose lui. -Ti ho sentito.- Ventus ricambiò l’abbraccio, sentiva che era giusto, che andava bene così.

Leila invece guardava la scena mentre pensava a come sistemare i due. “Li faccio dormire in camere separate o ne preparo una doppia? Nel primo caso probabilmente non si parlano più nel secondo.... uno dei due schiatta. Vada per la seconda”

  
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