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Kintsugi
"Wash
the sorrow from off my skin
And
show me how to be whole again
'Cause
I'm only a crack in this castle of glass
Hardly
anything there for you to see"
[Castle Of Glass – Linkin Park]
12 Dicembre, Villa Stark
Dicembre
portò con sé pensieri più cupi del
solito per Tony. Non aveva mai amato particolarmente il periodo
natalizio, che si limitava ad affrontare tappandosi il naso con il
rassegnato atteggiamento di chi mal sopporta Jingle Bells Rock
e non ha molta compagnia per pranzi e cene comandati. Quelle
settimane tendevano anche a richiamare con insistenza ricordi di
telefonate nel cuore della notte e di ore passate a intirizzirsi in
pigiama sul ciglio di una strada sconosciuta, fissando i resti di una
berlina schiantata contro un albero e illuminata dalle sirene blu
delle volanti.
No,
non amava particolarmente il Natale. Aveva
sempre preferito passarlo fuori porta, magari su qualche atollo
sperduto molto lontano da freddo e neve.
Quell'anno non era
però un'opzione contemplabile. Il
lato positivo era che non avrebbe neanche dovuto tener testa a tutti
gli eventi mondani che richiedevano solitamente la sua presenza.
Diede una pacca alla gamba meccanica, provando un incoerente senso di
gratitudine per il divieto di usare pubblicamente le protesi e per le
sue condizioni di salute precarie e non adatte a un gran
galà
festivo. Poi sospirò, fissando la placca corazzata della
futura Mark
IV posata sul banco di lavoro e ancora in fase di assemblaggio. Era
da un mese che lavorava alla ricostruzione dell'armatura ed era da un
mese che la sua voglia di spenderci tempo scemava lentamente fino a
rasentare lo zero. Dopotutto non aveva la certezza assoluta di
poterla usare, vista l'ottimale combo tra interferenze dei reattori e
intossicazione da palladio in via di peggioramento. Ormai non
riusciva a tenerla a bada neanche coi litri di clorofilla che
ingollava ogni giorno.
Scacciò quel pensiero opprimente, una mosca fastidiosa che
si ostinava a ronzargli incessantemente intorno. Stava
cercando di aggirare i problemi come al solito, ma non era arrivato a
delle soluzioni soddisfacenti e l'ansia iniziava a diventare una
compagna sempre più invadente che minava la sua
produttività. Inoltre
controllare l'armatura a distanza, o peggio, delegare a qualcun altro
il compito e l'onere di indossarla non rientrava nei suoi progetti
favoriti, ma ormai era troppo tardi per rimangiarsi la proposta
fatta allo SHIELD in un eccesso di ottimismo. Non poteva ancora
permettersi di
rinunciare alla loro protezione, non con un processo ancora in corso. E
doveva perlomeno
dare qualche contentino a Fury, che si
aspettava risultati entro l'inizio del nuovo anno sul fronte Iron
Man.
Posò
una mano sul reattore cardiaco, consapevole che attorno a quella luce
azzurra e brillante si dipanava un reticolo di venature plumbee
sempre più stringenti. Ripensò al suo discorso ai
Vendicatori:
certo, era pur sempre Iron Man... ma per quanto ancora?
Gonfiò
le guance ed espirò forte, poi afferrò il bastone
e si risolse ad
abbandonare il lavoro per quel giorno, visto che si stava rivelando
infruttuoso e fonte di pensieri sgraditi. Salì con estrema
lentezza
le scale, costringendosi a quel gesto che ancora lo stremava. Negli
ultimi tempi aveva trascurato la fisioterapia: voleva risolvere del
tutto il
problema delle interferenze prima di riprenderla seriamente. Il che
era una mezza verità alla quale avrebbe voluto credere, ma
il problema concreto era il costante senso
di affaticamento derivato dall'intossicazione, che lo lasciava
sfiancato dopo pochi minuti di esercizio fisico, coi moncherini in
preda a crampi e il cuore in fibrillazione.
"Se
Nat lo scopre, mi uccide prima lei," si trovò a pensare, con
una punta di
colpevolezza nei confronti della donna che si era prodigata per
rimetterlo in piedi.
Arrivò
in cima alla rampa sfiancato e dolorante, ma non si fermò e
si
diresse in salone, dove sperava stesse lavorando Pepper. Lo
trovò
vuoto e si lasciò sfuggire una smorfia delusa: doveva
essersi trattenuta alle Industries. Adesso
ringraziava la sua involontaria lungimiranza nell'averla
ufficiosamente nominata amministratore delegato, ma ciò la
teneva
lontana più di quanto volesse. Forse avrebbe dovuto
formalizzare la
cosa, prima che le proprie condizioni di salute diventassero
evidenti, ma temeva di insospettirla con mosse troppo plateali. Gli
venne quasi da ridere di sé. Da quando si preoccupava di
essere
plateale,
soprattutto con lei?
Non
poteva lamentarsi per la piega che aveva preso il loro rapporto, ma
il fatto che dalla fine dell'estate fosse ancor più
raramente a Villa Stark lo rattristava, anche se
in quei mesi si era fatta meno schiva e più propensa al
dialogo.
Spesso era stata lei stessa a mostrarsi disponibile nei suoi
confronti, permettendo a entrambi di vivere delle parentesi di
serenità in cui sembrava che nulla avesse mai turbato il
loro
equilibrio, non fosse stato per le occhiate inquiete che a volte la
sorprendeva a rivolgergli.
Si
accostò al bancone degli alcolici solo per prendere una
caraffa di
clorofilla, visto che aveva fatto voto d'astinenza da ogni tipo di
liquore in seguito a eventi non poi troppo remoti e decisamente
disastrosi. Scoccò un'occhiata sbieca alla parete ancora
mancante:
aveva stabilito che l'open-space completo non gli dispiaceva
così
tanto da prendersi la briga di ricostruirla. Completò
con la mano buona l'operazione di versarsi un bicchiere dell'orrido
liquido verdastro: ormai aveva rinunciato a usare la protesi per
compiere azioni delicate o che coinvolgessero oggetti fragili.
"Maledette
interferenze..."
«Brinda
a qualcosa?»
Quasi
si strozzò a metà di un sorso, ma
riuscì a deglutire senza
sbrodolarsi come un bimbo di tre anni. Si voltò un po'
bruscamente
verso Pepper, appena comparsa in salotto in un impeccabile vestito da
ufficio color tortora. Lo fissava con un sorriso sottile, divertita
dalla
sua reazione, e con il tablet e un plico di documenti stretti al
petto. Sembrava di ottimo umore.
«Con
questa?» lui sollevò scettico la
caraffa facendone sciabordare il contenuto torbido. «Sarebbe
un insulto al buon gusto,»
commentò, poggiandola con una teatrale smorfia di orrore.
Ringraziò il fatto che Pepper non avesse mai indagato troppo
a fondo sulla faccenda della clorofilla: si era limitata a credergli
quando le aveva detto che gli serviva come precauzione per
"stabilizzare il reattore" e che in realtà il sapore non gli
dispiaceva – nonostante avrebbe bevuto più
volentieri della candeggina. Mentire gli riusciva ancora
straordinariamente facile, nonostante tutte le sue promesse, ma che
alternative aveva?
Pepper
nel frattempo si era accomodata alla sua solita postazione di lavoro
sul divano, sedendosi in modo da non rivolgergli le spalle.
«D'altra
parte, a cosa dovrei brindare?»
aggiunse lui un po' sovrappensiero, scuotendo la testa.
«Alla
sua riammissione ufficiale nei Vendicatori?» lo
imbeccò lei, con vivacità.
A
quelle parole lui sbuffò, a metà tra un verso di
scherno e una
risata.
«Come
consulente. Di nuovo.»
«È
un inizio. E visti i precedenti...»
«Lo
so, lo so. Mi ricordo che è colpa mia; non ho bisogno del
promemoria,» bofonchiò lui
di rimando, prendendo un altro sorso di clorofilla.
Si
poggiò di schiena al bancone con aria meditabonda,
toccandosi
inconsciamente il reattore come ad accertarsi che fosse ancora
lì.
Captò l'occhiata significativa di Pepper e scostò
la mano nel modo
più discreto possibile, ma sapeva che si era accorta come
sempre di
quel riflesso condizionato. Lei non commentò e
iniziò a trafficare
con le scartoffie – le sue scartoffie
– con il solito
zelo. Si ritrovò ad osservare con sguardo quasi estasiato il
modo in
cui la donna aveva appena accavallato le gambe affusolate,
dimenticandosi di bere e rimanendo stolidamente col bicchiere a
mezz'aria. Gli sembrò che Pepper stesse per alzare la testa
dal suo
lavoro e si affrettò a rituffare il volto dietro al vetro,
per poi
costringersi a mantenere l'attenzione sulle venature del marmo sotto
ai suoi piedi mentre rimetteva in carreggiata i suoi pensieri
volubili.
«Sicuramente
da qui al nuovo anno ci sarà qualche altra occasione per
brindare,»
buttò lì dopo un minuto buono di silenzio, non
volendo abbandonare
così presto la conversazione. «Si
chiamano "feste" per un motivo, no?»
abbozzò un sorriso forzato.
«Ha
già dei piani per Natale?»
Il
tono di quella domanda gli fece capire che lei aveva già i
suoi,
anche se non riusciva ad immaginare con chi. La nozione che lei aveva
una famiglia con cui festeggiare riemerse in ritardo.
«Non
saprei. Alla fine è un giorno come tanti. Preferisco
Capodanno,»
rimuginò, rendendosi conto del suo tono fiacco ma non
facendo nulla
per ravvivarlo.
Pepper
distolse lo sguardo, a disagio, e Tony lo notò. Anche lei
sapeva
quanto non amasse quel periodo.
«Sono sicura che
troverà qualcosa da fare,» disse, un po'
debolmente, forse con una punta di colpevolezza.
Lui fece una mezza smorfia poco convinta.
«Potrei
passare a trovare i miei,» si
sentì dire, come da molto lontano.
A
quelle parole Pepper sollevò di nuovo la testa, allarmata.
«Tony?»
«Non
ci vado da molti anni,»
scrollò le spalle lui, a minimizzare la cosa. «E
non ho impegni particolari per il 16 dicembre.»
Pronunciare quella data gli fece più male di quanto avesse
pensato,
nonostante tutto il tempo trascorso da quel giorno.
"E
chissà se potrò ancora andarci l'anno prossimo..."
«Tony...»
«È solo
che ultimamente ci penso spesso. Mi chiedo cosa direbbe mio
padre, a vedermi con tre dei suoi reattori in corpo,»
continuò a dire in tono piatto, fissandosi involontariamente
la mano
meccanica. «E mia madre...»
esitò e la sua voce si affievolì.
«Tony.»
Stavolta
il tono più incalzante di Pepper lo riscosse, strappandolo
dalle sue
riflessioni cupe. Incrociò fugacemente il suo sguardo
preoccupato e
si sfiorò a disagio la benda sull'occhio, consapevole di
essersi esposto e di aver lasciato trapelare qualche filo della matassa
di pensieri che lo
teneva sveglio la notte. Lei era l'unica con cui potesse lasciarsi
sfuggire simili momenti di vulnerabilità, ma quello non era
il
frangente più adatto, non ora che era forse riuscito a
riconquistare
la sua fiducia.
"Fiducia immeritata," gli ricordò prontamente la sua
coscienza.
«Sto
bene,» affermò, nonostante
lei non gliel'avesse chiesto, e ciò suonò molto
come una
confessione del contrario.
«Come
sempre?» stavolta c'era una
punta provocatoria nel tono di Pepper.
Forse un tempo l'avrebbe
lasciato a crogiolarsi indisturbato nei suoi pensieri, o magari
sarebbe stata più delicata, ma adesso sembrava consapevole
di quanto chiudersi potesse essere dannoso per lui, e aveva assunto un
atteggiamento più diretto e intransigente nell'affrontare le
sue
continue reticenze. Lui
si portò una mano alla nuca, innervosito.
«Meglio
del solito,» si limitò a
rispondere infine. «Nulla di
preoccupante, sono solo... pensieri.»
Percepì
lo sguardo indagatore della donna ancora su di lui e seppe di non
essere in grado di ingannarla fino in fondo.
«Iron
Man, i Vendicatori, le protesi, le interferenze...»
elencò monocorde.
"Il
28% di intossicazione..."
«...
le solite cose. L'atmosfera del momento non aiuta, ma sono
sopravvissuto a diciotto Natali, prima di questo.»
Scrollò le spalle, lui stesso poco convinto e non troppo
stupito dal
fatto di non essersi neanche dovuto soffermare a contare gli anni
precisi.
«E ho le mie
distrazioni,» concluse,
accennando alle protesi e pensando tra sé anche all'armatura
e a quanto avrebbe voluto indossarla anche solo per qualche minuto.
Pepper
continuò a fissarlo assottigliando le labbra, come se fosse
contrariata e volesse aggiungere qualcosa, ma sembrò
frenarsi. Optò infine per il silenzio, e se da un lato Tony
fu grato
di lasciar cadere l'argomento, dall'altro non gli sarebbe dispiaciuto
continuare a parlarne con lei. Si ricordò solo allora della
chiave
dello studio che aveva ritrovato appesa al suo posto. Forse era
ancora troppo presto per aprirsi davvero. Dopotutto ci erano voluti
dieci anni per arrivare fin là – un là
ancora privo di una vera e propria connotazione – e le sue
sconsideratezze li avevano
quasi
riportati al punto di partenza. Che senso aveva aprirsi, quando si
era a un passo dalla fine?
Si
schiarì la gola, richiamando nuovamente la sua attenzione.
«Tra
circa un mese sarà un anno. Per quello sarebbe opportuno
brindare?»
Lo
sguardo di Pepper si fece confuso, tentando di raccapezzarsi nei suoi
discorsi sconclusionati.
«Per
il suo incidente?» realizzò
infine, e sollevò le sopracciglia come ad accertarsi di aver
capito
bene.
«Per
il fatto di essere ancora vivo e di riuscire a romperle le scatole
come prima e meglio di prima.»
Tony sfoggiò un ghigno tronfio che gli incorniciò
il volto di
piccole rughe del sorriso, un chiaro segnale a riportare il discorso
su temi più leggeri.
«Meglio
di prima? Ha degli standard molto alti da
superare,»
ribatté Pepper, stando al gioco, ma Tony colse una vena di
serietà
nel suo tono scherzoso.
Forse
quel "prima" aveva un significato più ristretto di quanto
intendesse lui e non si riferiva solo alle bravate goliardiche di cui
lei era stata spesso testimone. Si versò distrattamente un
altro po'
di clorofilla per prendere tempo.
«Per
esempio?» si arrischiò a
chiedere infine, sapendo di entrare in un terreno potenzialmente
pericoloso: stava a Pepper decidere se dargli corda continuando lo
scherzo o riportarlo bruscamente coi piedi per terra.
«Baltimora,»
e a quella semplice parola le labbra di Pepper si incurvarono un poco
verso l'alto, nonostante stesse provando in tutti i modi di impedire
al sorriso di far breccia sul suo volto forzatamente severo.
Tony
rimase fermo per un istante col bicchiere a mezz'aria per poi
lasciarsi scappare un risolino, stupito e in cuor suo sollevato.
«Se
lo ricorda ancora?»
Lo
sguardo eloquente e prossimo all'omicida di Pepper gli disse che,
sì,
ricordava ogni
dettaglio delle sue prodezze alla prima festa di fine
anno aziendale alla quale avevano partecipato insieme, ormai quasi
dieci
anni prima.
«Giusto,
sono indimenticabile,» si
corresse subito dopo, nascondendo il suo sogghigno dietro al secondo
bicchiere di clorofilla.
«Per
i motivi sbagliati,»
puntualizzò lei, e Tony non poté fare a meno di
soffermarsi sul suo
volto sorridente e su quanto sembrasse rilassato ora che era acceso
da una luce spensierata.
Gli
sembrava di rivivere un momento strappato a un giorno qualsiasi di
qualche anno prima, prima dell'incidente, dei Vendicatori,
dell'Afghanistan, prima ancora di Iron Man. Era cambiato tutto da
allora, ma sentiva che l'essenziale era sempre lì, a fare da
raccordo tra loro due. Voleva
credere che fosse così.
«Sono
contento che lei sia qui,» si
lasciò sfuggire, e, nonostante non avesse avuto intenzione
di
dirlo
ad alta voce, non si pentì di averlo fatto.
Vide
gli occhi chiari di Pepper sgranarsi appena in un moto di sorpresa.
La donna chinò brevemente la testa sui suoi documenti,
così che la
frangetta ricadesse a celare il suo sguardo.
«Sono
qui perché lei ha finalmente deciso di non
impedirmelo,»
disse infine, e una punta di rimprovero lo raggiunse, smorzata dal
tono caldo di quelle parole che non sapeva bene se interpretare
positivamente o meno.
Stavolta
fu lui a chinare il capo, fissando il suo bicchiere semivuoto senza
parlare. Di nuovo la sua mano corse al reattore in cerca di sicurezza
e si odiò per non riuscire a impedirselo. Sapeva che quel
gesto
turbava anche lei.
«È
ancora arrabbiata?» si decise
a chiedere quasi tra sé, dando voce a quella domanda
infantile che
gli premeva dentro da mesi.
«A
volte sì,» replicò
subito lei, di getto.
La vide mordersi il labbro inferiore, come
pentendosi di ciò che aveva appena detto, ma lui la
anticipò prima
che potesse aggiungere altro:
«Sarei
deluso se non lo fosse.»
Sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso amaro e
colse il
suo sguardo incupito. Si
odiò per aver cancellato l'espressione serena di poco prima
dal suo
volto.
Fissò
di nuovo il bicchiere, scrutando il fondo appena ricoperto da uno
strato di clorofilla e percepì la ragnatela di palladio
chiudersi
sul suo petto, a ricordargli che non poteva fingere per sempre. Aveva
davvero il diritto di nasconderle di nuovo tutto? Sarebbe stato
così
facile non farlo.
"Pepper,
sto morendo."
«Deve
ammettere che mi sto impegnando, però,»
disse
invece,
reprimendo quelle parole pesanti come piombo mentre beveva
l'ultimo goccio di clorofilla.
«C'è margine di miglioramento, ma ammetto che ha
fatto molti
progressi,» puntualizzò lei, di nuovo spigliata.
Tony
poté giurare di scorgere un pizzico d'orgoglio nello sguardo
limpido
che gli rivolse, ma forse voleva solo illudersi per
compiacersi.
«Imparo in
fretta,» si vantò sornione, ignorando la fitta
molesta accanto al reattore che pareva voler commentare quelle parole.
Poggiò
il bicchiere al suo posto e si staccò dal minibar con
l'aiuto del
bastone per accostarsi al divano. Si sedette poi accanto a lei, come
sempre un po' goffamente, non così vicino da toccarla, ma
non
così
lontano da non percepire il suo calore. Pepper non si ritrasse, ma
tenne
lo sguardo fisso sul tablet, chiaramente impreparata a quella
situazione. Tony si posizionò col
capo reclinato in avanti come a fissarsi le punte dei piedi, mentre in realtà la osservava di
sfuggita da sotto le ciglia scure.
«Sono
bravo a riparare cose,»
affermò all'improvviso, voltandosi infine a guardarla con
un'ombra
giocosa sulle labbra. «Ma qua
mi serve il suo aiuto, signorina Potts,»
concluse, e si rallegrò nel vedere di aver di nuovo
incrinato la sua
maschera seria lasciando trapelare quel sorriso luminoso che amava.
Si rese conto solo in quel momento di quanto volesse davvero
quell'aiuto e di quanto sarebbe stato inutile chiederglielo.
«Sto
facendo del mio meglio, signor Stark.»
«Anch'io,»
mormorò lui, ma abbassò lo sguardo, incapace di
sostenere
il suo.
***
Le
feste trascorsero con una rapidità disarmante, tanto che
Tony si
stupì nel constatare che Natale fosse passato senza che se
ne fosse neanche
reso conto.
Alla
fine non era andato a trovare i suoi genitori. Sarebbe bastato
chiamare Happy e farsi portare fino al cimitero a Santa Monica, ma
aveva preferito rimanere chiuso in laboratorio per tutta la giornata
del 16 dicembre, accanendosi su un propulsore di volo della Mark IV
che probabilmente non avrebbe mai avuto occasione di testare dal
vivo.
Pepper
era partita dalla Vigilia fino al 28 in visita obbligata ai suoi, ma la
sua assenza gli era pesata meno di quanto avesse temuto, impegnato
com'era nei suoi vari progetti. Aveva accolto il suo ritorno con il
primo
regalo di Natale che le avesse fatto in quasi dieci anni, ovvero due
inviti esclusivi al Nightingale Plaza per l'evento
di
Capodanno: un chiaro incentivo a trascorrerlo fuori con chi avesse
voluto – reprimendo fitte di gelosia – piuttosto
che
farla sentire in dovere di rimanere con lui alla villa. La donna era
passata dall'incredulità totale alla pura gioia, per poi
cadere
in un deciso imbarazzo per essere invece a mani vuote, ma lui aveva
liquidato la questione con la sua consueta, spigliata fermezza e non
aveva ammesso repliche, pensando tra sé che anche solo il
fatto che
lei fosse ancora lì poteva considerarsi un regalo.
La
giornata di Capodanno era passato in volata e aveva preso una piega
decisamente imprevista quando Rhodey aveva fatto irruzione alla villa
appena pochi minuti prima di mezzanotte per brindare con lui,
trovandolo con suo grande stupore in laboratorio a trafficare coi
suoi congegni, come se fosse un giorno qualunque. Era
stato un gesto così inaspettato che per poco non avevano
perso il
countdown
alla frenetica
ricerca di una bottiglia di spumante. L'avevano
poi stappato in terrazza, sull'oceano, godendosi i fuochi d'artificio
sulla costiera californiana in compagnia di una videochiamata
inattesa da parte di Banner e Romanov, che per motivi non meglio
chiariti si erano ritrovati ad aspettare insieme il nuovo anno a
Times Square. Ciò aveva suscitato l'ilarità
irrefrenabile di Tony e
una raffica di battutine maliziose, interrotte solo dalla
provvidenziale chiamata d'auguri di Kyle, impegnato invece a
festeggiare con Ian e famiglia.
Pepper
li aveva raggiunti a sorpresa poco dopo, in combutta con Rhodey e
Happy, e Tony aveva rischiato di iniziare quel 2010 con un piacevole
infarto quando l'aveva vista fasciata nel vestito cobalto che le
aveva "regalato" per compleanno un paio d'anni prima; a malapena era
riuscita a salutarla e augurarle buon anno senza balbettare,
sentendosi insolitamente a disagio nella sua tenuta da casa
molto poco elegante. Per
fortuna Rhodey e Happy erano stati abbastanza alticci da ravvivare la
situazione per tutti fino al mattino, o avrebbe passato il tempo a
fissarla rapito senza riuscire a spiccicare parola. Si era invece
trovato a parlare in modo spensierato come non faceva da mesi,
ridacchiando un po' troppo e più disinibito del solito,
complice
quel goccio d'alcol che si era concesso e che gli aveva subito dato
alla testa dopo la lunga astinenza. Forse aveva detto un paio di cose
stupide – forse anche più
di un paio –,
ma Rhodey e Happy
ridevano, e Pepper rideva, e lui si sentiva bene e si era trovato a
desiderare che quella notte non finisse mai.
Non
ricordava il momento preciso in cui il sonno aveva avuto la meglio su
di lui, ma si era svegliato che il sole era già alto,
rannicchiato
sul divano con un plaid addosso e un thermos di caffè caldo
sul
tavolino che gli aveva fatto iniziare il nuovo anno con un sorriso. Nel
corso di quel primo gennaio si era spesso ritrovato a pensare che
forse quello era stato era stato uno dei migliori Capodanni che
ricordasse – anche meglio di Berna nel '99.
Poi,
il tempo aveva preso a rallentare fino a strisciare e trascinarsi per
terra a fatica, come intorpidito dal freddo e dalla quiete innaturale
del nuovo anno. L'unica
costante che aveva scandito quei brevi e uggiosi giorni invernali era
l'indice
di tossicità che si innalzava lento ma inesorabile, decimo
dopo
decimo, rendendolo sempre più fiacco. Non sapeva
perché continuasse a concentrarsi su Iron Man
quando
tutta la sua attenzione si sarebbe dovuta rivolgere al problema del
palladio, ma ogni volta che si sedeva alla scrivania con l'intenzione
di farlo si ritrovava puntualmente a scarabocchiare schizzi di
armature su armature. Si convinceva che fossero utili per migliorare
la sua grafia con la sinistra e per calibrare la protesi, mentre in
realtà voleva solo perdercisi e fingere di poter davvero
tornare a
indossarla, come se quel metallo potesse proteggerlo da ciò
che lo stava corrodendo dall'interno. Sognava
costantemente di volare e spesso si svegliava con l'impressione di
cadere, colto da forti vertigini alle quali non voleva trovare una
spiegazione medica.
La
mattina del 4 gennaio 2010, alla vigilia del suo incidente, si
ritrovò a fissare con sguardo vacuo i pixel verdognoli del
29% che
mutavano nel rosso acceso e definitivo del 30%.
Ripose
il rilevatore di tossicità e si poggiò al
lavandino con entrambe le
braccia, facendo leva sui bordi nel sentirsi improvvisamente debole. Si
guardò allo specchio,
riconoscendo sul suo volto i ben noti segni della stanchezza,
accentuati dall'intossicazione: il suo occhio arrossato e spento, le
occhiaie violacee, le rughe più numerose e profonde e le
guance così
smunte da ricordargli se stesso appena tornato dall'Afghanistan. Fino
all'anno prima avrebbe probabilmente intravisto nei propri lineamenti
anche i segni di una rabbia incontenibile. Magari si sarebbe trovato
a infrangere di nuovo quel maledetto specchio odiando il proprio
riflesso, avrebbe finito per farsi male e sarebbe precipitato di
nuovo nel flusso di autodistruzione che l'aveva portato a strapparsi
il reattore dal petto.
Adesso
provava solo un senso di sorda accettazione, un constatare pacato di
ciò che stava avvenendo, ma il desiderio di accelerare quel
processo
era svanito. Gli sembrava di osservarsi dall'esterno e avrebbe quasi
potuto convincersi che il tutto stesse accadendo a qualcun altro, non
fosse stato per i segnali inequivocabili che il suo corpo continuava
a inviargli. Avrebbe solo voluto sentirsi meglio e liberarsi della
nausea continua, dei crampi sempre più frequenti, dei mal di
testa
atroci che lo tormentavano per giorni interi annebbiandogli la mente,
di quel senso di fiacchezza costante contro il quale combatteva ogni
mattina, quando si forzava ad alzarsi per non passare la giornata a
letto lasciandosi vincere dalla propria debolezza.
Fissò
la luce azzurrina che gli scaturiva dal petto, tracciando esitante la
circonferenza metallica del reattore con il pollice. Insinuò
poi
la mano sotto la maglietta e strinse la presa sul congegno; lo
ruotò
appena fino a sentire un click e lo
sfilò delicatamente dal
supporto, sentendo all'istante un profondo vuoto al centro del petto,
così forte che avrebbe potuto risucchiarlo. Si
affrettò a
sostituire con mani tremanti il nucleo di palladio esaurito e a
inserire nuovamente la
propria fonte di vita al suo posto, con uno scatto rassicurante che
gli riempì i polmoni d'aria pura. Riprese a respirare.
Quell'operazione
lo nauseava. La
prima volta che era stato costretto a compierla subito dopo il
tentato suicidio si era trovato avvinghiato al gabinetto per arginare
i conati, al vivido ricordo del senso di soffocamento che l'aveva
assalito nel trovarsi sul ciglio della morte. Si era sentito di nuovo
come se stesse annegando coi polmoni pieni d'acqua salata e anche
adesso percepiva un tenue retrogusto salmastro sulla lingua.
Deglutì,
sentendosi invece la gola completamente secca e un velo di sudore
freddo che gli imperlava la fronte. Come sempre, ripensare a quei
momenti accelerava il suo battito e gli causava una stretta alla
bocca dello stomaco, come una mano pronta a rivoltarlo;
ringraziò la
sua inappetenza per non aver ancora toccato cibo.
Era
assurdo come a spaventarlo fosse più il ricordo del proprio
suicidio
fallito piuttosto che la consapevolezza di stare morendo a poco a
poco. Scosse
la testa confuso dai suoi stessi ragionamenti, e distolse lo sguardo
dallo specchio faticando a concentrarsi. Gli sembrava di avere del
piombo nel cervello, e forse non era un'impressione così
lontana
dalla realtà. Era
stanco, lo percepiva in ogni osso e fibra spossata del proprio corpo
e in ogni neurone e sinapsi che si attivavano frenetici alla ricerca
di una via d'uscita, ma non poteva
cedere di nuovo. Un senso di
impellenza lo rianimò e minacciò poi di
sopraffarlo quando la mole
di ciò a cui andava incontro gli si delineò
davanti.
Stava morendo, aveva vissuto
una vita incompleta e doveva ancora decidere quali porte chiudere
dietro di sé, quali lasciare aperte e quali avrebbe invece
dovuto
aprire prima che fosse troppo tardi.
Riportò
lo sguardo al suo riflesso e lo trovò determinato,
nonostante tutto
lo smarrimento e la paura che portavano disordine tra i i suoi
pensieri. Doveva
sfruttare al meglio quel tempo – chissà quanto,
poi – che ancora
gli rimaneva, pensare a cosa voleva lasciare dietro di
sé.
Il
retaggio, così lo chiamava suo padre.
Doveva pensare a quale
sarebbe stato il suo retaggio, a cosa poteva fare per non considerare
sprecata la sua vita, diventata adesso così breve.
Ma
prima doveva pensare a quelle porte che incombevano dietro di lui,
già pronte a serrarsi o spalancarsi in attesa di una sua
decisione.
***
10 Gennaio, 18:40, Villa Stark
Era
stata una giornata lenta e oziosa.
Tony
aveva lavorato svogliatamente in salotto per tutto il pomeriggio,
dopo aver spostato un tavolino di fronte alla vetrata così
da poter
spaziare con lo sguardo sul mare grigio e invernale. Passava
più
tempo a fissare le onde che i fogli di carta e le schermate attorno a
lui. Pepper lavorava sul divano alle sue spalle, seduta nel suo
angolo preferito con le ginocchia ripiegate come appoggio per il
tablet e il plaid gettato sulle spalle, nonostante il caminetto
scoppiettasse vivacemente. Di tanto in tanto, uno dei due si voltava a
guardare l'altro, trovandolo assorto nelle sue faccende a capo chino.
Pepper
si era stupita di fronte a quella situazione anomala, ma anche
inspiegabilmente intima. Tony non era solito lavorare al di fuori del
suo laboratorio: aveva sempre detto che altrove non riusciva a
concentrarsi al meglio e che quando pensava aveva bisogno di stare
solo, al riparo da qualunque distrazione che non fosse la sua musica
assordante. Ultimamente
era di nuovo taciturno, ma a quello aveva iniziato a fare
l'abitudine, anche se a volte si trovava a rimpiangere la sua
parlantina sfacciata e spiritosa che adesso tornava a fare capolino
solo quando era più rilassato – o un po' brillo,
come quel
Capodanno.
Pepper si scoprì a sorridere appena: aveva preso
a
custodire gelosamente il ricordo di quel breve sprazzo di spontanea
allegria e serenità che aveva riacceso per una serata il
volto
dell'uomo, altrimenti sempre ombroso e segnato da linee rigide che si
nascondevano anche nei suoi sorrisi. Non
riusciva a decifrare l'aura di tensione che Tony aveva preso a
irradiare nel corso dell'ultimo mese, ed era poco convinta dalle sue
spiegazioni vaghe ed evasive, comunque più rassicuranti
della
facciata di spavalda indifferenza che sembrava aver definitivamente
abbandonato. Lei
stessa era restia a far breccia in quel guscio fragile che riusciva
appena a intravedere: avrebbe voluto che fosse lui ad abbatterlo ed
era convinta che ci stesse lavorando come aveva promesso, sebbene coi
suoi tempi.
Pepper
voltò il capo a fissare la sua schiena, avvolta da una felpa
bordò
a collo alto che aveva sempre affermato di odiare e che stonava
decisamente coi suoi ormai abituali pantaloncini da basket, che
indossava a dispetto del freddo per agevolare i movimenti della
protesi. Dalla sua
postura, con la guancia appoggiata alla mano meccanica e la testa
appena reclinata di lato, sembrava di nuovo immerso nei suoi
pensieri, come se si stesse sforzando di trasporli sulla vetrata
assieme alle schermate olografiche così da potervi fare
ordine. Sul
vetro scorgeva appena il suo riflesso traslucido, che sembrava
sospeso sulla coltre di nubi da cui filtrava il riverbero livido del
tramonto.
Tony
incrociò il suo sguardo nel riflesso e si riscosse,
rivolgendole un
lieve sorriso che lei ricambiò titubante, imbarazzata per
essersi
fatta sorprendere ad osservarlo. L'uomo si voltò con
studiata
lentezza verso di lei, sedendosi di traverso sulla sedia in una posa
disinvolta, esibendo un sorrisetto sornione ed esageratamente
languido.
«A
quanto pare catturo la sua attenzione anche senza volerlo, signorina
Potts,» la stuzzicò con voce
vellutata e bassa, facendole subito assumere l'espressione
indifferente ma segretamente divertita che aveva sempre riservato
alle sue innumerevoli avances.
Poteva anche essere rimasto sfigurato, ma non aveva perso neanche un
briciolo del suo innato fascino.
«È
il suo ego a crederlo, come sempre,»
gli fece notare senza scomporsi.
«Il
mio ego raramente ha torto,»
ribatté lui, nel tentativo di conquistare l'ultima parola,
cosa che
Pepper non aveva alcuna intenzione di concedergli.
«Il
suo ego ha sempre avuto urgente bisogno di essere
ridimensionato.»
«Potrei
farci un pensierino, dopotutto non c'è nulla che debba compensare,»
sogghignò appena e Pepper alzò teatralmente gli
occhi al cielo,
decidendosi a tornare ad occuparsi dei suoi fascicoli, ma
continuò a
guardarlo di sottecchi.
Mentra
parlavano Tony l'aveva fissata con una strana intensità, e
si rese
conto che anche adesso il suo sguardo sembrava più assorto e
vivo
del solito, come se volesse riempirlo appieno di tutto ciò
che
vedeva. Sentì una stretta allo stomaco che non
riuscì a spiegarsi
se non dopo qualche istante, e fu come se qualcuno le avesse
rovesciato addosso un secchio d'acqua ghiacciata.
Era
quello sguardo.
Il
ricordo di un quadro rotto, di parole stanche e incomprensibili e di
una notte insonne si ripresentò con prepotenza davanti ai
suoi occhi
e nelle sue orecchie.
"Sei
bellissima."
E
poi, a un soffio, tutto ciò che era accaduto dopo.
Fu
costretta a respirare a fondo per riprendere la calma, e si rese
conto in ritardo che Tony le aveva parlato nel frattempo.
Sollevò un
po' bruscamente la testa, tornando a fissarlo, ma stavolta nella sua
iride nocciola scorse solo la consueta tinta giocosa.
«Come,
scusi?» quasi balbettò,
sentendosi immensamente sollevata dalla scomparsa di
quell'espressione troppo intensa dal suo volto.
Lui
liberò un risolino leggero nel vedere la sua aria assente.
«Ma
come, le faccio addirittura quest'effetto?»
la canzonò, facendo sì che le sue guance
virassero su una sfumatura
di rosso più accesa. «Ho
detto: mi lascia davvero vincere così?»
si decise a ripetere alla fine, con una nota di finto rimprovero
nella voce morbida.
Pepper
forzò un sorriso sul suo volto, capendo che si riferiva al
battibecco troncato su quello che lui considerava probabilmente il
più bello.
«Sono
fuori allenamento,» confessò
sbrigativa, e si pentì di quelle parole nel vedere il modo
in cui
lui si ritrasse appena, convinto di aver mosso un passo falso.
«Touché,»
ammise semplicemente, e un'ombra di quello sguardo
balenò per
un istante sul suo volto, prima di tornare alla sua solita
disinvoltura.
Rimase
immobile per un po', abbandonato mollemente sulla sedia come intento
a raccogliere i propri pensieri; portò la mano sulla benda,
a coprire del tutto lo
sfregio sul viso con fare assente. Pepper strinse nervosa le labbra,
sentendosi in colpa per aver guastato uno dei rari momenti in cui il
vero Tony sembrava trovare il coraggio di riemergere.
«Piuttosto,
stavo pensando...» esordì lui repentinamente,
afferrando il bastone e alzandosi per avvicinarsi.
Si
chinò in avanti poggiando gli avambracci sullo schienale del
divano, e
sbirciò i documenti che Pepper stava visionando. Nel farlo
portò la
testa all'altezza della sua, mentre si sporgeva per leggere e
scorrere i vari fogli sparsi qua e là. Lei quasi
sobbalzò a
quell'improvvisa vicinanza, che portava con sé il suo odore
misto a
una traccia di mentolo e dopobarba; non si ritrasse, ma prese a
respirare
appena.
«Ah,
ecco,» Tony puntò infine
l'indice meccanico sull'intestazione di un contratto e sfilò
con impaccio il
foglio dal dossier, «Il parco
eolico: credo sia una buona idea e un ottimo investimento, ho
già
dato direttive di stanziare i fondi. Devo solo firmare questo,
giusto?» si voltò verso di
lei interrogativo, e solo allora sembrò rendersi conto della
propria
posizione, perché si sollevò appena sui gomiti
per recuperare
distanza tra loro.
Pepper
lo fissò con l'aria di chi ha appena visto materializzarsi
una tigre
parlante in salotto, o qualcosa di egualmente assurdo e
inimmaginabile.
«Lei
ha controllato personalmente l'agenda delle Stark
Industries?»
riuscì a formulare dopo qualche secondo di attonito silenzio.
Tony
corrugò appena le sopracciglia, perplesso da quella reazione.
«Sì,
e allora?»
«Niente.
È solo... insolito.»
«Ero
curioso.»
«Curioso?»
A
quel punto alla sua espressione un po' accigliata si unì un
mezzo
sorriso forzato:
«Da
quando non posso interessarmi della mia
azienda?»
disse a metà tra il piccato e il divertito eludendo
rapidamente il
suo sguardo, cosa che non sfuggì a Pepper.
«Tony,
deve dirmi qualcosa?» si
decise a chiedere con cautela.
C'erano
solo due motivi che potevano spingere Tony Stark anche solo ad
avvicinarsi alla burocrazia e al lavoro aziendale: o era impazzito
del tutto, o voleva ingraziarsela per avanzare proposte o richieste
assolutamente fuori luogo e inappropriate.
«In
realtà sì, ma non c'entra con questo.
Cioè, non direttamente,»
rispose lui dopo una lieve esitazione, giungendo le mani davanti a
sé.
Portò
le dita davanti alle labbra in una posa riflessiva e si
schiarì un
poco la gola.
«Il fatto è...» cominciò
ancora.
Si bloccò come cercando le parole giuste, cosa
assolutamente inusuale per lui, che sembrava sempre sapere cosa dire
e come dirlo.
«Stavo pensando
di riorganizzare la Stark Expo,»
disse infine, quasi precipitosamente.
A
Pepper quasi cadde la mandibola per lo stupore, ma prima che potesse
formulare qualsiasi obiezione o commento in proposito fu bloccata
dalla voce decisa di Tony:
«È
solo un'idea. Ci sto ancora riflettendo, anche se in
teoria ho
già pianificato il tutto a grandi linee. I fondi ci sono, ma
ho
pensato che nel frattempo fosse saggio accettare tutto il supporto
che riusciamo a trovare. E ci serve uno sponsor per l'energia
pulita,» accennò rapido al
contratto.
Pepper
riuscì a ricomporsi a fatica, in uno sfoggio di
autocontrollo
notevole:
«È
un'idea... immensa. Non dico che sia una cattiva
idea, ma,
insomma, richiederà un'enormità di preparativi
e...»
«Per
questo sto chiedendo il suo aiuto,»
la interruppe Tony con vivacità quasi eccessiva, sorridendo
furbetto. «Il
progetto è a buon punto, ma non ho tem–...
cioè, mi serve ancora
un po' di tempo
per perfezionare il tutto. Volevo solo che lo
sapesse,» concluse con
leggerezza. «Anche se mi farebbe
piacere riuscire a completare i preparativi entro sei mesi.
Preferibilmente prima,» aggiunse, evitando di nuovo il suo
sguardo.
Pepper
lo scrutò intensamente, alla ricerca di qualsiasi traccia di
sarcasmo o scherzosità, ma non ne trovò. Sentiva
che le stava
sfuggendo qualcosa, ma non riusciva a focalizzare cosa e ciò
la
intimoriva e preoccupava. Non capire Tony voleva dire non poter
prevedere le sue azioni, e ciò poteva rivelarsi estremamente
rischioso. Decise di non sbilanciarsi finché non avesse
intuito dove
voleva andare a parare con quella mossa inattesa.
«Va
bene, quando vorrà ne discuteremo meglio,»
concordò imponendo fermezza alla sua voce, e le
sembrò che Tony si
illuminasse a quelle parole, come se si fosse aspettato di incontrare
molta più resistenza da parte sua.
«Perfetto,
allora domani le faccio vedere i progetti, e mi dirà se sono
fattibili dal punto di vista organizzativo,»
stabilì allegro.
Non
diede cenno di volersi allontanare, e Pepper ebbe l'impressione che
fosse sul punto di aggiungere qualcos'altro. Scoccò
un'occhiata
nervosa e improvvisamente consapevole all'orologio da polso,
rendendosi conto di quanto fosse tardi e convicendosi di stare
abusando dell'ospitalità di Tony, anche se a lui
probabilmente non
importava, anzi.
«Va
bene, però adesso sarà meglio che
vada,»
annunciò con tono di scuse, radunando i documenti e le
cartelle
sparsi un po' ovunque sui cuscini.
Lui
trasalì a quelle parole, come se l'avessero colto
sovrappensiero, e
la guardò stupito mentre finiva di riordinare.
«Di
già?» riuscì a chiedere, in modo un po'
infantile.
Pepper
gli rivolse un'occhiata paziente:
«Sono
quasi le sette, ed è stata una giornata pesante,»
spiegò concisa, alzandosi e imbracciando la borsa,
già diretta
all'uscita.
Voleva
allontanarsi da quello sguardo di nuovo torbido, da quelle parole
estranee che ne lasciavano intuire altre indecifrabili, dalla
consapevolezza che le stesse sfuggendo qualcosa e che quel qualcosa
fosse fondamentale. E non voleva soffermarsi a riflettere su
ciò che
era accaduto l'ultima volta che le era sfuggito qualcosa riguardante
Tony. In quel momento desiderava solo uscire dalla villa nell'aria
fredda e pulita, sperando che la aiutasse a dissipare il velo
d'insensata inquietudine che le era scivolato addosso.
«Domattina
discuteremo meglio del contratto e della Expo,»
aggiunse a mo' di saluto, con un sorriso cordiale.
Tony
annuì, ancora chino sul divano. Abbassò appena il
capo con aria
meditabonda, per poi rialzarlo di scatto come se avesse finalmente
preso una decisione:
«Posso
chiederle di rimanere a cena?»
***
Pepper
si bloccò tra l'atrio e il salotto, la mano a mezz'aria nel
gesto di
recuperare la sua giacca, evidentemente presa in contropiede dal suo
invito. Tony non distolse lo sguardo, ma si sentì il cuore
in gola e
si chiese cosa diavolo gli fosse passato per la testa.
"Bravo,
Tony. Alla faccia dell'approccio discreto."
«Signor
Stark...» cominciò
prevedibilmente lei, titubante e in vago tono di rimprovero, al che
Tony corse ai ripari sfoggiando un'espressione disinvolta che non
sentiva sua.
Si
staccò dal divano, passandosi il bastone da una mano
all'altra come
un prestigiatore intento a preparare il suo prossimo trucco –
o, in
quel caso, a porre rimedio a un trucco appena fallito.
«Non
si preoccupi, non sarà nulla di esagerato: pensavo a una
pizza a
portar via e...»
«Non
credo sia una buona idea.»
Tony
ammutolì per qualche istante, spiazzato dall'improvvisa
severità
nel tono della donna.
«Andiamo,
Pepper, le sto solo chiedendo di rimanere a cena, la mia proposta non
cela nient'altro... anche perché al momento non sarei fisicamente
in grado di fare altro,»
aggiunse in tono eccessivamente scherzoso, per nascondere la delusione
alla risposta fredda della donna.
«Signor
Stark,» calcò quelle
parole con particolare intensità, «la ringrazio
per
l'offerta, ma sento di doverla rifiutare.»
«Perché?»
proruppe lui frustrato, lasciando cadere la sua maschera gioviale.
Pepper
sembrò spaesata a quella semplice domanda e perse per un
attimo la
sua compostezza, lasciando trasparire tutta l'indecisione che
nascondeva. Durò un istante, ma non gli sfuggì,
ormai allenato da
anni a riconoscere ogni sfumatura emotiva della sua composta
assistente.
«Penso
che sia ancora troppo presto.»
«Troppo
presto per cosa? Per mangiare una pizza insieme e
discutere di
parchi eolici ed Expo?» e
allargò appena le braccia per dare enfasi a quella domanda
assurda,
sentendosi però torcere le viscere al pensiero che lei fosse
così
turbata da quell'invito.
Non
era abituato a vedersi rifiutare da una donna, ma in quel caso non si
trattava neanche di quel tipo di invito. Voleva
semplicemente
parlarle. Solo parlarle.
"Pepper,
sto morendo."
Quelle
parole quasi gli scapparono di bocca.
Non
aveva spazio per pensare ad altro. Il suo stomaco si
attorcigliò
ancora a contraddirlo, a fargli notare che avrebbe voluto con
tutto se stesso che ci fosse spazio per altro, oltre a quello. Forse
c'era stato, realizzò, ma ormai era tardi per pensarci.
«È
troppo...»
Pepper lo
riscosse, ma s'interruppe di colpo e si strinse la radice del naso
tra le dita come a voler ritrovare la calma, per poi fare un gesto
secco con la mano, a scacciare la sua reticenza.
«È
troppo presto per me. Non riesco ancora a fare
finta che non
sia successo niente. Sto cercando di perdonarla in ogni modo... e in
parte ci sto riuscendo e so
che anche lei ce la sta mettendo tutta
per migliorare. Sono contenta di essere di nuovo qui con lei. Ma ogni
volta che vedo quello...»
additò la fioca luce del reattore al centro del suo petto e
inspirò
bruscamente, interrompedosi. «Lo
sa a cosa penso. E non posso farci niente.»
Tony
lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e si
poggiò di peso al
bastone, sentendosi come se una stoccata l'avesse colpito proprio in
pieno petto quando la donna l'aveva indicato.
«Bene.
Questo mi risparmia di introdurle l'argomento della serata,»
si trovò a dire piattamente, senza riuscire a frenarsi.
Vide
la confusione affiorare sul volto di Pepper e seppe che non sarebbe
riuscito a resistere ancora a lungo prima di cedere al flusso di
parole che sentiva premere dentro di sé. Ma voleva vivere
ancora una
parentesi di normalità prima che ciò avvenisse,
prima di permettere
al mondo di sbriciolarsi sotto ai suoi piedi appena riconquistati.
«Quale
argomento?» la voce di Pepper
tremò appena, realizzando l'improvvisa gravità di
Tony e il ritorno
di quello sguardo profondo e cupo che detestava.
«Volevo
parlarle. Seriamente. Non sono bravo in queste cose, quindi pensavo
che una situazione... informale mi avrebbe
facilitato.»
«Se
c'è qualcosa che deve dirmi perché non lo fa e
basta?»
Tony
colse l'urgenza del suo tono, inaspettata. L'urgenza di chi
è
disposto a mettere tutto il resto in secondo piano di fronte a un
problema più grande, ignorando qualsiasi futile questione in
sospeso. Seppe
in quel momento che, sotto tutta la sua delusione e il suo distacco,
Pepper non aveva mai, neanche per un istante, smesso di preoccuparsi
per lui, e forse anche di volergli bene, nonostante il modo orribile
in cui si era comportato con lei. Quella consapevolezza
affondò con
un peso spiacevole nel suo petto assieme a tutte le altre cose, reali
e non, che lo opprimevano.
«È
complicato. Probabilmente sarà difficile parlarne.
È il genere di
argomento che si affronta meglio a stomaco pieno,»
cercò di sdrammatizzare, ma lo sguardo di Pepper
raggelò il sorriso
che aveva tentato di formare.
«Quanto
devo preoccuparmi?»
"Pepper,
sto morendo."
Trasse
un lungo sospiro, capendo che tutti i suoi buoni propositi di passare
una serata serena e piacevole per prepararsi a dirle ciò che
doveva
erano appena saltati.
«Ho
detto che voglio riparare ciò che ho rotto. Forse
però dovrò prima
romperlo un po' di più, e non sono sicuro che dopo
potrò ancora
raccogliere e rimettere insieme i cocci e...»
«Tony,
la prego, non è così
che...»
«Non
mi importa, se non è così
che dovrei fare!»
proruppe lui a voce alta, sentendo improvvisamente il sangue che
prendeva a rombargli nelle orecchie.
Pepper
trasalì appena.
«Sto
cercando di migliorare a modo mio; se lei non me lo
permette e
vuole che lo faccia a modo suo, non ce la
farò mai!»
Si sarebbe strappato la lingua per la propria veemenza, ma si
trovò a
continuare ancora, tagliente e alterato:
«Tutto
ciò che le stavo chiedendo era un momento, un solo
momento di
tregua per parlare!»
Pepper
gli rivolse uno sguardo incredulo e colpevole, e fu come se fossero
tornati a un giorno di quasi un anno prima, in una cucina ancora
integra, per poco, con una brocca schiantata per terra e una domanda
lasciata in sospeso che aleggiava tra loro. Stavolta
però non diede voce agli altri pensieri crudeli che
lottavano per
emergere. Li ricacciò indietro e si limitò a
fissarla smarrito e
affannato, sentendosi semplicemente esausto e sul punto di soccombere
al dolore al petto.
Fu
colto da un improvviso giramento di testa e barcollò
all'indietro,
trovando l'appoggio del divano sul quale si lasciò cadere
di peso.
Portò la mano alla fronte trovandola bollente al tatto, e si
chinò
a nascondere il volto col gomito poggiato sul ginocchio, avvertendo
il cuore in preda alle palpitazioni. Portò una mano al
petto,
accanto al reattore, stringendo la stoffa della felpa come a domare
quel battito impazzito. Riconosceva quei sintomi, adesso erano
solo più accentuati a causa della sua agitazione, e
lottò per
riprendere controllo del proprio corpo imbizzarrito.
Sentì
montare una frustrazione mista a quella che identificò come
paura,
semplice e cruda, che iniziò subito a premere ferocemente
contro la
sua gola e il suo occhio chiedendo solo di strabordare. Gli si
appannò la vista e si immobilizzò per evitare che
le lacrime
traboccassero. Aveva
rovinato tutto, come sempre. Non era così che doveva andare.
Non
voleva rimanere di nuovo solo, non adesso.
Sentì
un ticchettio di tacchi avvicinarsi, poi percepì la
figura esile
di Pepper che si sedeva accanto a lui in silenzio, in attesa. Non
osò
alzare
la testa sconvolta dal sollievo di saperla ancora lì
finché la sua
visione non fu di nuovo ben asciutta e nitida. Schiacciò
il palmo sulla fronte, come a spremerne fuori i pensieri venefici che
la occludevano. Avrebbe dovuto dire qualcosa, scusarsi, ma non
riusceva nemmeno a schiudere le labbra tirate.
«Mi
dispiace.»
Pepper anticipò
le parole che avrebbe dovuto pronunciare lui e sentì il nodo
alla
gola sciogliersi appena.
«Ho
esagerato,» concluse
in un bisbiglio costernato.
Lui
riuscì a sollevare lo sguardo verso i suoi occhi chiari e se
ne
sentì trapassare.
«No,
hai ragione,» dichiarò,
lasciando cadere le formalità. «Così
non risolvo nulla.»
Deglutì
a vuoto: non avrebbe comunque risolto nulla mandando avanti quella
farsa patetica. Prese
a tormentare la zip della felpa, chiusa fin sotto il mento per
celare l'intrico plumbeo che da qualche giorno aveva iniziato a
risalire il collo.
«Vuoi
ancora dirmi cosa succede?»
gli chiese lei dopo molti, lunghi secondi.
Dal
suo tono gentile e venato di apprensione capì che avrebbe
anche
potuto ritrarsi e lei l'avrebbe accettato, come aveva provato ad
accettare tutto ciò che aveva commesso nel corso quell'anno.
Avrebbe cercato
di capirlo, avrebbe aspettato e aspettato ancora, mossa da una pazienza
e una perseveranza per lui
inconcepibili verso qualcuno che si rivelava puntualmente una
delusione. Trovò l'idea insopportabile e si trovò
ad annuire appena
in risposta, con la testa pesante, oppressa dal peso delle sue stesse
bugie. Percepiva
la tensione di Pepper al suo fianco e si sentì in colpa per
quello
che le stava facendo penare. Sarebbe stato così semplice
ignorare
tutto e fingere fino all'inevitabile. Ma aveva promesso a se stesso e
agli altri di essere migliore di così.
Il
silenzio si protrasse e sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto
romperlo lui. Sapeva già come. Che senso aveva girarci
intorno? Che
senso aveva addolcire la pillola? Quelle
parole gli ronzavano in testa come api insistenti da settimane,
fastidiose e sempre più pungenti e bizzose, col rischio di
sfuggirgli in ogni istante.
Trasse
un respiro profondo e con esso le liberò, vibranti e
spigolose:
«Pepper,
sto morendo.»
Fu
poco più di un sussurro, ma sembrò echeggiare nel
salone come un
rombo temporalesco. Chiuse brevemente l'occhio per poi costringersi a
riaprirlo e rivolgersi verso di lei. La trovò impietrita,
con lo
sguardo vacuo e sgomento che sembrava passargli attraverso.
«Cosa?»
riuscì infine ad articolare con voce sottile, nel chiaro
tentativo
di raccapezzarsi, con la flebile speranza di aver capito male.
«Non
volevo dirtelo così.»
Fu l'unica risposta che lasciò le sue labbra, colorata da
una punta
di risentimento che avrebbe voluto estirpare. La
vide sbiancare fino a diventare cerea, come se qualcuno avesse
risucchiato
ogni pigmento dal suo volto, ora chiazzato solo dal tenue arancio
delle sue efelidi.
«Come...»
non sembrò in grado di aggiungere altro, così
Tony raccolse
le sue forze per ricomporsi e rimanere lucido:
«Il
palladio mi sta intossicando,»
disse, stavolta con voce chiara, benché bassa.
Esitò,
per poi aprire la zip della felpa e scostare appena il colletto della
maglia sottostante, rivelandole una porzione del reticolo bluastro
che gli attraversava il torace, il tutto senza osare guardarla in
faccia. Colse i suoi occhi che si sgranavano a quella vista.
Sperò
che bastasse. Non avrebbe avuto senso aggiungere parole vuote ad
altre parole vuote.
Lasciò
il colletto e tirò nuovamente su la zip con un gesto secco;
la
stoffa tornò a celare il groviglio venefico. Si
chinò in avanti
incrociando le braccia sul petto, con le mani a stringersi le spalle in
un'ulteriore protezione. Sbirciò in direzione di Pepper e la
vide
scuotere appena la testa ad occhi sbarrati, sotto shock e sempre
più
pallida.
Non
aveva pensato a cosa avrebbe fatto dopo. Aveva pianificato il prima e
il come, che erano ovviamente andati a rotoli. Aveva pensato per
giorni a come liberarsi del macigno che gli premeva nel petto. Non si
era assolutamente preparato a fronteggiare la sua reazione e aveva
evitato in tutti i modi di immaginarla, spinto dal solo, egoistico
pensiero di volersi liberare di quel peso al più presto
prima che lo
schiacciasse.
«Da
quanto?» le parole di Pepper
ruppero il silenzio, inaspettatamente fredde.
«Da
quando mi hanno impiantato il...»
«Da
quanto lo sai?» scandì lei
in tono vibrante.
Si
voltò a guardarla e vide l'azzurro dei suoi occhi farsi duro
come
ghiaccio. Gli mancò l'aria nei polmoni.
«È
stato il motivo per cui ho tentato di...»
Strinse i denti nel sentire la sua voce che si incrinava,
rifiutandosi di formare quelle parole, ma sapeva che non ce n'era
bisogno: la mano che era corsa al reattore l'aveva tradito.
Il
volto di Pepper si fece livido.
«Non
il solo motivo,» si corresse lui,
rendendosi conto di suonare patetico. «Uno
dei tanti, ma... ma questo è inevitabile. Dopo che ho
tentato di...
dopo l'intossicazione è migliorata, e
credevo di poter trovare
una soluzione. Non ci sono riuscito.»
concluse in un mormorio appena udibile.
Pepper
giunse le mani davanti al volto e la sentì respirare
profondamente,
non seppe se per placare la rabbia o qualche altra emozione che non
le aveva mai visto provare. Non osò avvicinarsi,
né toccarla, né
parlarle, anche se non avrebbe voluto far altro che stringerla a
sé,
pur sapendo che l'avrebbe sicuramente respinto. Rimase immobile e
rigido, più simile a una statua di sale e sentendosi come se
il suo
corpo
fosse sul punto di spezzarsi di netto. Voleva
solo chiudersi di nuovo nel suo guscio, isolarsi da tutto e tutti,
anche se tutto se stesso gli gridava di non voler morire da solo.
«Tutte
quelle chiacchiere su sincerità e fiducia... e non me l'hai
detto.»
Tony
si sentì accartocciare il cuore nel sentire la delusione di
cui
erano intrise le sue parole.
«La
situazione sembrava sotto controllo,»
ribatté debolmente.
«Sotto
controllo?» il tono di Pepper
s'innalzò di un'ottava, divenendo stridula in quella che
sembrava
una morsa di panico e Tony poté finalmente vedere i suoi
occhi
tremolanti.
La
donna si alzò di scatto, come se non potesse sopportare di
stare accanto a lui
per un secondo di più.
«Hai
cercato di ucciderti per questo e hai il coraggio di dire che
era tutto sotto controllo?»
riprese il comando della propria voce, ma lo sforzo per mantenerla
bassa e ferma era tale da farla tornare rossa in volto. «Quanto
puoi essere egoista?»
A
quelle parole il volto di Tony si inasprì, solcato di
risentimento.
«Egoista?»
respirò a fondo dal naso per calmarsi, sentendo il cuore che
tornava a pompare in un ritmo irregolare e doloroso. «L'ho
fatto solo per non causare altri problemi,»
sibilò.
«Cosa,
esattamente? Tentare di ucciderti o non dirmi che stai
morendo?»
Pepper
piantò gli occhi nel suo e lui vacillò, spiazzato
da quella domanda,
ritrovandosi nella ben nota situazione di non sapere dove puntare il
suo sguardo, finché qualcosa non scattò in lui e
la sua unica iride
nocciola si fissò con decisione in una di quelle cerulee di
Pepper.
«Non
ho intenzione di giustificare il mio tentato suicidio; non posso
né
ho mai voluto farlo.» Sentiva la
sua voce fremere nel realizzare quanto la persona che
avrebbe dovuto capirlo più di tutte lo avesse frainteso e
ciò lo
colpì più duramente di qualsiasi condanna a
morte.
«Pensavo
che almeno questo l'avessi capito,»
concluse voltando la testa senza celare il suo sdegno, e la vide
trasalire appena.
Si umettò le labbra, senza sapere perché si
sentisse così insensatamente arrabbiato, né
perché quella rabbia si stesse convertendo in un dolore
acuto che sembrava permeare il suo intero corpo.
«Non
ti ho detto nulla del palladio perché non volevo darti altre
preoccupazioni. Te ne ho già date abbastanza e pensavo che
almeno stavolta
sarei riuscito a
cavarmela da solo, ma...» la sua voce si spense e
lasciò in sospeso
il resto di una frase inutile senza che potesse impedirselo.
Si
sentiva improvvisamente spossato. Non gli importava più
della
reazione di Pepper, né del palladio, né di Iron
Man. Avrebbe solo
voluto dormire, risvegliarsi e avere una soluzione in mano. Quasi gli
venne da ridere a quel desiderio così infantile.
Pepper
continuava a tacere, rigidamente in piedi, come se non si sentisse
realmente lì. Non osò guardarla. Era giusto che
lo accusasse, ed era anche giusto che non sapesse come reagire a
quell'ennesima mancanza da parte sua.
«Sono
stanco,» mormorò infine. «Da
mesi faccio progressi che non mi porteranno da nessuna
parte.»
Sollevò mollemente il braccio meccanico, soffermandosi a
contemplarne la placcatura rifinita. Ammirò
la cura che aveva instillato in ogni dettaglio della mano, la
precisione maniacale con cui aveva riprodotto le linee del palmo, le
sottili scanalature che aveva tracciato per adattarla un giorno
all'armatura. Riconobbe la stessa dedizione che suo padre aveva
riversato in quel plastico della Expo, nella speranza che diventasse
qualcosa di buono per tutti e non solo per se stesso. Qualcosa in cui
credere, una ragione di vita, un qualcosa all'altezza di quell'unica
cosa
giusta mai realizzata.
Pensò
alle ore trascorse in laboratorio, ai collaudi, alle notti insonni e
alle crisi di rabbia e frustrazione, ai suoi errori, a tutto
ciò che
aveva rifiutato e accettato di se stesso in quell'anno, alle cadute,
alle mani tese che aveva accolto, alla gioia di potersi ergere
nuovamente sulle sue gambe, alla stima che aveva riconquistato con
ogni goccia di sudore versata per migliorarsi.
«Se
non trovo un'alternativa al palladio la mia aspettativa di vita
è di
sei mesi, forse un anno.» Sentì la sua voce
spezzarsi di colpo e non la
frenò, si lasciò precipitare insieme ad essa.
«Che
me ne faccio di queste, adesso?»
Strinse convulsamente le protesi e si trovò a singhiozzare,
senza
capire come fosse accaduto.
Si
ripiegò su se stesso, nascondendosi con una mano il volto
rigato di lacrime
e
implorando che il suo guscio ormai incrinato tornasse ad avvolgerlo,
a proteggerlo, a contenere quell'ennesima debolezza. Sentì
invece le mani di Pepper che si adagiavano sulle sue spalle, per poi
indurlo a rialzare il viso per stringerlo a sé, con
fermezza. Lui non
oppose resistenza e si abbandonò inerte a quell'abbraccio,
tiepido e saldo attorno al proprio corpo freddo e tremante.
Premette il volto
sulla sua spalla, col respiro spezzato, sentendo il guscio che
avvizziva e scivolava via senza che potesse fare nulla per impedirlo.
Tentò ancora di soffocare un singhiozzo contro la stoffa
della sua giacca, ma si
ritrovò a cedere ancor di più, sussultando appena
nella
stretta della donna. A quel punto si arrese, e si trovò solo
a
desiderare di avere due occhi per piangere.
Si
liberò del tappo che sentiva dentro di sé, quello
che aveva soffocato il dolore finora, e
permise a tutto ciò
che aveva sublimato e trattenuto in quell'anno di riversarsi
finalmente fuori. Si trovò frastornato dalla mole di
sensazioni vertiginose che lo investì, tanto che non seppe
più per cosa,
esattamente,
stesse piangendo. Gli sembrò solo che quel costante senso di
oppressione al petto si allentasse un poco, tra un singulto e
l'altro.
Quel
senso di liberazione completa era esattamente quello che aveva bramato
nel
momento in cui si era tolto il reattore, solo per ritrovarsi con
sconcerto ancora più costretto dalle sue stesse catene nel
rendersi
conto del proprio errore. Aveva dovuto ricominciare da capo, e ci era
riuscito: infine aveva vinto, anche se per poco e in modo effimero.
Questa invece era una battaglia che non poteva vincere, ma solo
portare a termine cadendo sul campo sotto il peso dei suoi difetti.
Aveva creduto di aver accettato quel destino beffardo, e adesso si
trovava a rifiutarlo con ogni lacrima di angoscia, rabbia e
disperazione che gli solcava le guance.
Sentiva
le mani di Pepper che lo cingevano ferme, accarezzandogli la schiena,
e il profumo della sua pelle, e i suoi capelli ramati che gli
solleticavano il volto, e il suo calore morbido e rassicurante contro
di lui. Inspirò a fondo, stordito da tutti quegli impulsi
e
aggrappandosi a ognuno di essi con repentina lucidità, come
quando si era ancorato alla sua voce a un passo dal baratro.
Non
era pronto a morire.
Quel
pensiero cancellò ogni altro, naturale, semplice e
prepotente quanto
irrealizzabile, e solo allora la strinse a sé, quasi a
impedirle
di dissolversi. Lei accostò la guancia alla sua, continuando
a
sostenergli la testa e ad asciugargli di tanto in tanto una lacrima con
il pollice. La sentì poggiarsi a sua volta contro di lui, in
silenzio, le labbra premute contro la sua tempia. Tremava appena nel
suo abbraccio e forse
stava
piangendo anche lei, ma non volle saperlo con certezza. I suoi
singhiozzi si attenuarono appena, scivolando infine in un pianto
sommesso ed esausto al quale non era ancora in grado di
sottrarsi.
Tenne il
volto nascosto contro di lei e aspettò
con crescente sollievo che quella marea benefica finisse, lasciandosi
cullare dalle sue mani.
***
10 Gennaio, Villa Stark, 20:15
Tony
trasse un altro sospiro tremolante, avvertendo ancora un leggero
sussulto nel petto. Percepì Pepper sospirare di rimando e
passargli
distrattamente una mano tra i capelli. Socchiuse l'occhio a quel
contatto, sentendo la tensione residua scivolare via dai suoi
muscoli. Si adagiò meglio contro lo schienale del divano,
senza
sciogliere l'abbraccio che li univa. Anche quando il pianto era
scemato, lasciandolo inerme e prosciugato, era stato incapace di
separarsi da lei. Sentiva che se l'avesse fatto si sarebbe spezzato
definitivamente.
Lei
sembrava esserne cosciente e assecondò il suo movimento,
continuando
ad accarezzargli i capelli in modo forse inconsapevole. Non capiva se
cercasse quella vicinanza per pietà o perché ne
traeva anche lei un
qualche tipo di conforto, ma non era il momento di cercare un
risposta. Le sfiorò a sua volta il braccio in una carezza
istintiva,
con lo sguardo fisso sul salotto in penombra, interrotta fiocamente
dal riverbero delle braci morenti nel caminetto. La sentì
stringersi
di più a lui e incassare il volto nella sua spalla per
sfuggire il
suo sguardo, col respiro che gli scaldava la pelle.
Tony
si rilassò appena a quel gesto e si passò una
mano sulla guancia
ruvida di sale, per poi tornare a posarla sulla schiena della donna;
anche quel movimento gli sembrò estenuante.
«Come
ti senti?» la voce di
Pepper gli sfiorò il collo.
Lui
si schiarì un poco la gola, sentendola arida e gonfia.
«Meglio.»
La sua voce suonò cavernosa, come se provenisse da
sottoterra.
«Tu?»
chiese subito dopo, realizzando con un po' di ritardo quanto fossero
vuote, eppure necessarie quelle domande.
«Meglio,»
confermò lei, flebilmente.
Nessuno
dei due aveva la certezza che fosse la verità, ma era
ciò che
entrambi avevano bisogno di sentire. Rimasero in silenzio, intimoriti
da quella situazione anomala, ma senza
alcuna intenzione di turbarla, preferendo annidarsi in quel
momento di quiete.
«E
adesso?»
La domanda sfuggì
le labbra di Tony di sua volontà, sospesa e irreale.
Pepper
si scostò un poco da lui, così da guardarlo in
volto.
«Adesso,
raccogliamo i cocci,» rispose
con semplicità.
Note: *inserire musica di Super Quark* Kintsugi (letteralmente "riparare con l'oro"): pratica giapponese che consiste nella riparazione di oggetti in ceramica usando oro fuso per saldarne assieme i frammenti. La pratica nasce dall'idea che dall'imperfezione possa nascere una nuova forma di perfezione.
Note Dell'Autrice:
Ed eccoci finalmente qui, al capitolo da cui è partito tutto. Questo è stato il primo che ho scritto quando ho ripreso la storia, a gennaio, ed è rimasto pressoché immutato nel corso di questi mesi, salvo aggiunte e correzioni minori, per cui vi sono particolarmente affezionata, considerando che da qui si sono dipanati tutti gli eventi precedenti e successivi.
In realtà credo di non aver poi molto da dire al riguardo, essendo di per sé piuttosto esplicativo... quindi godetevi semplicemente il primo, vero e genuino crollo emotivo di Tony. Per quello di Pepper, si vedrà ;)
Ringrazio tantissimo _Atlas_ per aver commentato lo scorso capitolo (sono molto curiosa di sapere la tua opinione su 'sto benedetto crollo, visto che lo aspetti da 3 anni e 40 capitoli :'D) e tutti coloro che hanno commentato e/o letto i precedenti e/o aggiunto la storia tra le seguite, preferite o ricordate <3
Il prossimo capitolo arriverà probabilmente tra un mesetto buono, visto che è l'ultimo che ho pronto e gli altri sono ancora in fase di rodaggio. Pubblicare questo ora non è esattamente una mossa brillante, in effetti, ma mi serve un po' di "pepe" per mettermi a tavolino e terminarli senza procrastinare in eterno. A proposito, -7 :P
Sayonara e alla prossima,
-Light-
P.S. Il riferimento a Baltimora è un mio headcanon che fa la sua comparsa nella one-shot Baltimora, 2001 (ovvero, quando Tony Stark perse gli occhiali da sole)
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