Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: ___MoonLight    22/07/2018    3 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


39

 

 

Kintsugi




"Wash the sorrow from off my skin
And show me how to be whole again
'Cause I'm only a crack in this castle of glass

Hardly anything there for you to see"

[Castle Of Glass – Linkin Park]



12 Dicembre, Villa Stark

Dicembre portò con sé pensieri più cupi del solito per Tony. Non aveva mai amato particolarmente il periodo natalizio, che si limitava ad affrontare tappandosi il naso con il rassegnato atteggiamento di chi mal sopporta Jingle Bells Rock e non ha molta compagnia per pranzi e cene comandati. Quelle settimane tendevano anche a richiamare con insistenza ricordi di telefonate nel cuore della notte e di ore passate a intirizzirsi in pigiama sul ciglio di una strada sconosciuta, fissando i resti di una berlina schiantata contro un albero e illuminata dalle sirene blu delle volanti.
No, non amava particolarmente il Natale. Aveva sempre preferito passarlo fuori porta, magari su qualche atollo sperduto molto lontano da freddo e neve. 
Quell'anno non era però un'opzione contemplabile. Il lato positivo era che non avrebbe neanche dovuto tener testa a tutti gli eventi mondani che richiedevano solitamente la sua presenza. Diede una pacca alla gamba meccanica, provando un incoerente senso di gratitudine per il divieto di usare pubblicamente le protesi e per le sue condizioni di salute precarie e non adatte a un gran galà festivo. Poi sospirò, fissando la placca corazzata della futura Mark IV posata sul banco di lavoro e ancora in fase di assemblaggio. Era da un mese che lavorava alla ricostruzione dell'armatura ed era da un mese che la sua voglia di spenderci tempo scemava lentamente fino a rasentare lo zero. Dopotutto non aveva la certezza assoluta di poterla usare, vista l'ottimale combo tra interferenze dei reattori e intossicazione da palladio in via di peggioramento. Ormai non riusciva a tenerla a bada neanche coi litri di clorofilla che ingollava ogni giorno.
Scacciò quel pensiero opprimente, una mosca fastidiosa che si ostinava a ronzargli incessantemente intorno. Stava cercando di aggirare i problemi come al solito, ma non era arrivato a delle soluzioni soddisfacenti e l'ansia iniziava a diventare una compagna sempre più invadente che minava la sua produttività. Inoltre controllare l'armatura a distanza, o peggio, delegare a qualcun altro il compito e l'onere di indossarla non rientrava nei suoi progetti favoriti, ma ormai era troppo tardi per rimangiarsi la proposta fatta allo SHIELD in un eccesso di ottimismo. Non poteva ancora permettersi di rinunciare alla loro protezione, non con un processo ancora in corso. E doveva perlomeno dare qualche contentino a Fury, che si aspettava risultati entro l'inizio del nuovo anno sul fronte Iron Man.
Posò una mano sul reattore cardiaco, consapevole che attorno a quella luce azzurra e brillante si dipanava un reticolo di venature plumbee sempre più stringenti. Ripensò al suo discorso ai Vendicatori: certo, era pur sempre Iron Man... ma per quanto ancora?
Gonfiò le guance ed espirò forte, poi afferrò il bastone e si risolse ad abbandonare il lavoro per quel giorno, visto che si stava rivelando infruttuoso e fonte di pensieri sgraditi. Salì con estrema lentezza le scale, costringendosi a quel gesto che ancora lo stremava. Negli ultimi tempi aveva trascurato la fisioterapia: voleva risolvere del tutto il problema delle interferenze prima di riprenderla seriamente. Il che era una mezza verità alla quale avrebbe voluto credere, ma il problema concreto era il costante senso di affaticamento derivato dall'intossicazione, che lo lasciava sfiancato dopo pochi minuti di esercizio fisico, coi moncherini in preda a crampi e il cuore in fibrillazione.
"Se Nat lo scopre, mi uccide prima lei," si trovò a pensare, con una punta di colpevolezza nei confronti della donna che si era prodigata per rimetterlo in piedi.
Arrivò in cima alla rampa sfiancato e dolorante, ma non si fermò e si diresse in salone, dove sperava stesse lavorando Pepper. Lo trovò vuoto e si lasciò sfuggire una smorfia delusa: doveva essersi trattenuta alle Industries. Adesso ringraziava la sua involontaria lungimiranza nell'averla ufficiosamente nominata amministratore delegato, ma ciò la teneva lontana più di quanto volesse. Forse avrebbe dovuto formalizzare la cosa, prima che le proprie condizioni di salute diventassero evidenti, ma temeva di insospettirla con mosse troppo plateali. Gli venne quasi da ridere di sé. Da quando si preoccupava di essere plateale, soprattutto con lei?
Non poteva lamentarsi per la piega che aveva preso il loro rapporto, ma il fatto che dalla fine dell'estate fosse ancor più raramente a Villa Stark lo rattristava, anche se in quei mesi si era fatta meno schiva e più propensa al dialogo. Spesso era stata lei stessa a mostrarsi disponibile nei suoi confronti, permettendo a entrambi di vivere delle parentesi di serenità in cui sembrava che nulla avesse mai turbato il loro equilibrio, non fosse stato per le occhiate inquiete che a volte la sorprendeva a rivolgergli.
Si accostò al bancone degli alcolici solo per prendere una caraffa di clorofilla, visto che aveva fatto voto d'astinenza da ogni tipo di liquore in seguito a eventi non poi troppo remoti e decisamente disastrosi. Scoccò un'occhiata sbieca alla parete ancora mancante: aveva stabilito che l'open-space completo non gli dispiaceva così tanto da prendersi la briga di ricostruirla. Completò con la mano buona l'operazione di versarsi un bicchiere dell'orrido liquido verdastro: ormai aveva rinunciato a usare la protesi per compiere azioni delicate o che coinvolgessero oggetti fragili.
"Maledette interferenze..."
«Brinda a qualcosa?»
Quasi si strozzò a metà di un sorso, ma riuscì a deglutire senza sbrodolarsi come un bimbo di tre anni. Si voltò un po' bruscamente verso Pepper, appena comparsa in salotto in un impeccabile vestito da ufficio color tortora. Lo fissava con un sorriso sottile, divertita dalla sua reazione, e con il tablet e un plico di documenti stretti al petto. Sembrava di ottimo umore.
«Con questa?» lui sollevò scettico la caraffa facendone sciabordare il contenuto torbido. «Sarebbe un insulto al buon gusto,» commentò, poggiandola con una teatrale smorfia di orrore.
Ringraziò il fatto che Pepper non avesse mai indagato troppo a fondo sulla faccenda della clorofilla: si era limitata a credergli quando le aveva detto che gli serviva come precauzione per "stabilizzare il reattore" e che in realtà il sapore non gli dispiaceva – nonostante avrebbe bevuto più volentieri della candeggina. Mentire gli riusciva ancora straordinariamente facile, nonostante tutte le sue promesse, ma che alternative aveva?
Pepper nel frattempo si era accomodata alla sua solita postazione di lavoro sul divano, sedendosi in modo da non rivolgergli le spalle.
«D'altra parte, a cosa dovrei brindare?» aggiunse lui un po' sovrappensiero, scuotendo la testa.
«Alla sua riammissione ufficiale nei Vendicatori?» lo imbeccò lei, con vivacità.
A quelle parole lui sbuffò, a metà tra un verso di scherno e una risata.
«Come consulente. Di nuovo.»
«È un inizio. E visti i precedenti...»
«Lo so, lo so. Mi ricordo che è colpa mia; non ho bisogno del promemoria,» bofonchiò lui di rimando, prendendo un altro sorso di clorofilla.
Si poggiò di schiena al bancone con aria meditabonda, toccandosi inconsciamente il reattore come ad accertarsi che fosse ancora lì. Captò l'occhiata significativa di Pepper e scostò la mano nel modo più discreto possibile, ma sapeva che si era accorta come sempre di quel riflesso condizionato. Lei non commentò e iniziò a trafficare con le scartoffie – le sue scartoffie – con il solito zelo. Si ritrovò ad osservare con sguardo quasi estasiato il modo in cui la donna aveva appena accavallato le gambe affusolate, dimenticandosi di bere e rimanendo stolidamente col bicchiere a mezz'aria. Gli sembrò che Pepper stesse per alzare la testa dal suo lavoro e si affrettò a rituffare il volto dietro al vetro, per poi costringersi a mantenere l'attenzione sulle venature del marmo sotto ai suoi piedi mentre rimetteva in carreggiata i suoi pensieri volubili.
«Sicuramente da qui al nuovo anno ci sarà qualche altra occasione per brindare,» buttò lì dopo un minuto buono di silenzio, non volendo abbandonare così presto la conversazione. «Si chiamano "feste" per un motivo, no?» abbozzò un sorriso forzato.
«Ha già dei piani per Natale?»
Il tono di quella domanda gli fece capire che lei aveva già i suoi, anche se non riusciva ad immaginare con chi. La nozione che lei aveva una famiglia con cui festeggiare riemerse in ritardo.
«Non saprei. Alla fine è un giorno come tanti. Preferisco Capodanno,» rimuginò, rendendosi conto del suo tono fiacco ma non facendo nulla per ravvivarlo.
Pepper distolse lo sguardo, a disagio, e Tony lo notò. Anche lei sapeva quanto non amasse quel periodo.
«
Sono sicura che troverà qualcosa da fare,» disse, un po' debolmente, forse con una punta di colpevolezza.
Lui fece una mezza smorfia poco convinta.
«Potrei passare a trovare i miei,» si sentì dire, come da molto lontano.
A quelle parole Pepper sollevò di nuovo la testa, allarmata.
«Tony?»
«Non ci vado da molti anni,» scrollò le spalle lui, a minimizzare la cosa. «E non ho impegni particolari per il 16 dicembre.» 
Pronunciare quella data gli fece più male di quanto avesse pensato, nonostante tutto il tempo trascorso da quel giorno.
"E chissà se potrò ancora andarci l'anno prossimo..."
«Tony...»
«È solo che ultimamente ci penso spesso. Mi chiedo cosa direbbe mio padre, a vedermi con tre dei suoi reattori in corpo,» continuò a dire in tono piatto, fissandosi involontariamente la mano meccanica. «E mia madre...» esitò e la sua voce si affievolì.
«Tony.»
Stavolta il tono più incalzante di Pepper lo riscosse, strappandolo dalle sue riflessioni cupe. Incrociò fugacemente il suo sguardo preoccupato e si sfiorò a disagio la benda sull'occhio, consapevole di essersi esposto e di aver lasciato trapelare qualche filo della matassa di pensieri che lo teneva sveglio la notte. Lei era l'unica con cui potesse lasciarsi sfuggire simili momenti di vulnerabilità, ma quello non era il frangente più adatto, non ora che era forse riuscito a riconquistare la sua fiducia.
"Fiducia immeritata," gli ricordò prontamente la sua coscienza.
«Sto bene,» affermò, nonostante lei non gliel'avesse chiesto, e ciò suonò molto come una confessione del contrario.
«Come sempre?» stavolta c'era una punta provocatoria nel tono di Pepper.
Forse un tempo l'avrebbe lasciato a crogiolarsi indisturbato nei suoi pensieri, o magari sarebbe stata più delicata, ma adesso sembrava consapevole di quanto chiudersi potesse essere dannoso per lui, e aveva assunto un atteggiamento più diretto e intransigente nell'affrontare le sue continue reticenze. Lui si portò una mano alla nuca, innervosito.
«Meglio del solito,» si limitò a rispondere infine. «Nulla di preoccupante, sono solo... pensieri.»
Percepì lo sguardo indagatore della donna ancora su di lui e seppe di non essere in grado di ingannarla fino in fondo.
«Iron Man, i Vendicatori, le protesi, le interferenze...» elencò monocorde.
"Il 28% di intossicazione..."
«... le solite cose. L'atmosfera del momento non aiuta, ma sono sopravvissuto a diciotto Natali, prima di questo.» 
Scrollò le spalle, lui stesso poco convinto e non troppo stupito dal fatto di non essersi neanche dovuto soffermare a contare gli anni precisi. 
«E ho le mie distrazioni,» concluse, accennando alle protesi e pensando tra sé anche all'armatura e a quanto avrebbe voluto indossarla anche solo per qualche minuto.
Pepper continuò a fissarlo assottigliando le labbra, come se fosse contrariata e volesse aggiungere qualcosa, ma sembrò frenarsi. Optò infine per il silenzio, e se da un lato Tony fu grato di lasciar cadere l'argomento, dall'altro non gli sarebbe dispiaciuto continuare a parlarne con lei. Si ricordò solo allora della chiave dello studio che aveva ritrovato appesa al suo posto. Forse era ancora troppo presto per aprirsi davvero. Dopotutto ci erano voluti dieci anni per arrivare fin là – un ancora privo di una vera e propria connotazione – e le sue sconsideratezze li avevano quasi riportati al punto di partenza. Che senso aveva aprirsi, quando si era a un passo dalla fine?
Si schiarì la gola, richiamando nuovamente la sua attenzione.
«Tra circa un mese sarà un anno. Per quello sarebbe opportuno brindare?»
Lo sguardo di Pepper si fece confuso, tentando di raccapezzarsi nei suoi discorsi sconclusionati.
«Per il suo incidente?» realizzò infine, e sollevò le sopracciglia come ad accertarsi di aver capito bene.
«Per il fatto di essere ancora vivo e di riuscire a romperle le scatole come prima e meglio di prima.» 
Tony sfoggiò un ghigno tronfio che gli incorniciò il volto di piccole rughe del sorriso, un chiaro segnale a riportare il discorso su temi più leggeri.
«Meglio di prima? Ha degli standard molto alti da superare,» ribatté Pepper, stando al gioco, ma Tony colse una vena di serietà nel suo tono scherzoso.
Forse quel "prima" aveva un significato più ristretto di quanto intendesse lui e non si riferiva solo alle bravate goliardiche di cui lei era stata spesso testimone. Si versò distrattamente un altro po' di clorofilla per prendere tempo.
«Per esempio?» si arrischiò a chiedere infine, sapendo di entrare in un terreno potenzialmente pericoloso: stava a Pepper decidere se dargli corda continuando lo scherzo o riportarlo bruscamente coi piedi per terra.
«Baltimora,» e a quella semplice parola le labbra di Pepper si incurvarono un poco verso l'alto, nonostante stesse provando in tutti i modi di impedire al sorriso di far breccia sul suo volto forzatamente severo.
Tony rimase fermo per un istante col bicchiere a mezz'aria per poi lasciarsi scappare un risolino, stupito e in cuor suo sollevato.
«Se lo ricorda ancora?»
Lo sguardo eloquente e prossimo all'omicida di Pepper gli disse che, sì, ricordava ogni dettaglio delle sue prodezze alla prima festa di fine anno aziendale alla quale avevano partecipato insieme, ormai quasi dieci anni prima.
«Giusto, sono indimenticabile,» si corresse subito dopo, nascondendo il suo sogghigno dietro al secondo bicchiere di clorofilla.
«Per i motivi sbagliati,» puntualizzò lei, e Tony non poté fare a meno di soffermarsi sul suo volto sorridente e su quanto sembrasse rilassato ora che era acceso da una luce spensierata.
Gli sembrava di rivivere un momento strappato a un giorno qualsiasi di qualche anno prima, prima dell'incidente, dei Vendicatori, dell'Afghanistan, prima ancora di Iron Man. Era cambiato tutto da allora, ma sentiva che l'essenziale era sempre lì, a fare da raccordo tra loro due. Voleva credere che fosse così.
«Sono contento che lei sia qui,» si lasciò sfuggire, e, nonostante non avesse avuto intenzione di dirlo ad alta voce, non si pentì di averlo fatto.
Vide gli occhi chiari di Pepper sgranarsi appena in un moto di sorpresa. La donna chinò brevemente la testa sui suoi documenti, così che la frangetta ricadesse a celare il suo sguardo.
«Sono qui perché lei ha finalmente deciso di non impedirmelo,» disse infine, e una punta di rimprovero lo raggiunse, smorzata dal tono caldo di quelle parole che non sapeva bene se interpretare positivamente o meno.
Stavolta fu lui a chinare il capo, fissando il suo bicchiere semivuoto senza parlare. Di nuovo la sua mano corse al reattore in cerca di sicurezza e si odiò per non riuscire a impedirselo. Sapeva che quel gesto turbava anche lei.
«È ancora arrabbiata?» si decise a chiedere quasi tra sé, dando voce a quella domanda infantile che gli premeva dentro da mesi.
«A volte sì,» replicò subito lei, di getto.
La vide mordersi il labbro inferiore, come pentendosi di ciò che aveva appena detto, ma lui la anticipò prima che potesse aggiungere altro:
«Sarei deluso se non lo fosse.» 
Sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso amaro e colse il suo sguardo incupito. Si odiò per aver cancellato l'espressione serena di poco prima dal suo volto.
Fissò di nuovo il bicchiere, scrutando il fondo appena ricoperto da uno strato di clorofilla e percepì la ragnatela di palladio chiudersi sul suo petto, a ricordargli che non poteva fingere per sempre. Aveva davvero il diritto di nasconderle di nuovo tutto? Sarebbe stato così facile non farlo.
"Pepper, sto morendo."
«Deve ammettere che mi sto impegnando, però,» disse invece, reprimendo quelle parole pesanti come piombo mentre beveva l'ultimo goccio di clorofilla.
«C'è margine di miglioramento, ma ammetto che ha fatto molti progressi,» puntualizzò lei, di nuovo spigliata.
Tony poté giurare di scorgere un pizzico d'orgoglio nello sguardo limpido che gli rivolse, ma forse voleva solo illudersi per compiacersi.
«
Imparo in fretta,» si vantò sornione, ignorando la fitta molesta accanto al reattore che pareva voler commentare quelle parole.
Poggiò il bicchiere al suo posto e si staccò dal minibar con l'aiuto del bastone per accostarsi al divano. Si sedette poi accanto a lei, come sempre un po' goffamente, non così vicino da toccarla, ma non così lontano da non percepire il suo calore. Pepper non si ritrasse, ma tenne lo sguardo fisso sul tablet, chiaramente impreparata a quella situazione. Tony si posizionò col capo reclinato in avanti come a fissarsi le punte dei piedi
, mentre in realtà la osservava di sfuggita da sotto le ciglia scure.
«Sono bravo a riparare cose,» affermò all'improvviso, voltandosi infine a guardarla con un'ombra giocosa sulle labbra. «Ma qua mi serve il suo aiuto, signorina Potts,» concluse, e si rallegrò nel vedere di aver di nuovo incrinato la sua maschera seria lasciando trapelare quel sorriso luminoso che amava.
Si rese conto solo in quel momento di quanto volesse davvero quell'aiuto e di quanto sarebbe stato inutile chiederglielo.
«Sto facendo del mio meglio, signor Stark.»
«Anch'io,» mormorò lui, ma abbassò lo sguardo, incapace di sostenere il suo.


***


Le feste trascorsero con una rapidità disarmante, tanto che Tony si stupì nel constatare che Natale fosse passato senza che se ne fosse neanche reso conto.
Alla fine non era andato a trovare i suoi genitori. Sarebbe bastato chiamare Happy e farsi portare fino al cimitero a Santa Monica, ma aveva preferito rimanere chiuso in laboratorio per tutta la giornata del 16 dicembre, accanendosi su un propulsore di volo della Mark IV che probabilmente non avrebbe mai avuto occasione di testare dal vivo.
Pepper era partita dalla Vigilia fino al 28 in visita obbligata ai suoi, ma la sua assenza gli era pesata meno di quanto avesse temuto, impegnato com'era nei suoi vari progetti. Aveva accolto il suo ritorno con il primo regalo di Natale che le avesse fatto in quasi dieci anni, ovvero due inviti esclusivi al Nightingale Plaza per l'evento di Capodanno: un chiaro incentivo a trascorrerlo fuori con chi avesse voluto – reprimendo fitte di gelosia – piuttosto che farla sentire in dovere di rimanere con lui alla villa. La donna era passata dall'incredulità totale alla pura gioia, per poi cadere in un deciso imbarazzo per essere invece a mani vuote, ma lui aveva liquidato la questione con la sua consueta, spigliata fermezza e non aveva ammesso repliche, pensando tra sé che anche solo il fatto che lei fosse ancora lì poteva considerarsi un regalo.
La giornata di Capodanno era passato in volata e aveva preso una piega decisamente imprevista quando Rhodey aveva fatto irruzione alla villa appena pochi minuti prima di mezzanotte per brindare con lui, trovandolo con suo grande stupore in laboratorio a trafficare coi suoi congegni, come se fosse un giorno qualunque. Era stato un gesto così inaspettato che per poco non avevano perso il countdown alla frenetica ricerca di una bottiglia di spumante. L'avevano poi stappato in terrazza, sull'oceano, godendosi i fuochi d'artificio sulla costiera californiana in compagnia di una videochiamata inattesa da parte di Banner e Romanov, che per motivi non meglio chiariti si erano ritrovati ad aspettare insieme il nuovo anno a Times Square. Ciò aveva suscitato l'ilarità irrefrenabile di Tony e una raffica di battutine maliziose, interrotte solo dalla provvidenziale chiamata d'auguri di Kyle, impegnato invece a festeggiare con Ian e famiglia.
Pepper li aveva raggiunti a sorpresa poco dopo, in combutta con Rhodey e Happy, e Tony aveva rischiato di iniziare quel 2010 con un piacevole infarto quando l'aveva vista fasciata nel vestito cobalto che le aveva "regalato" per compleanno un paio d'anni prima; a malapena era riuscita a salutarla e augurarle buon anno senza balbettare, sentendosi insolitamente a disagio nella sua tenuta da casa molto poco elegante. Per fortuna Rhodey e Happy erano stati abbastanza alticci da ravvivare la situazione per tutti fino al mattino, o avrebbe passato il tempo a fissarla rapito senza riuscire a spiccicare parola. Si era invece trovato a parlare in modo spensierato come non faceva da mesi, ridacchiando un po' troppo e più disinibito del solito, complice quel goccio d'alcol che si era concesso e che gli aveva subito dato alla testa dopo la lunga astinenza. Forse aveva detto un paio di cose stupide – forse anche più di un paio –, ma Rhodey e Happy ridevano, e Pepper rideva, e lui si sentiva bene e si era trovato a desiderare che quella notte non finisse mai.
Non ricordava il momento preciso in cui il sonno aveva avuto la meglio su di lui, ma si era svegliato che il sole era già alto, rannicchiato sul divano con un plaid addosso e un thermos di caffè caldo sul tavolino che gli aveva fatto iniziare il nuovo anno con un sorriso. Nel corso di quel primo gennaio si era spesso ritrovato a pensare che forse quello era stato era stato uno dei migliori Capodanni che ricordasse – anche meglio di Berna nel '99.
Poi, il tempo aveva preso a rallentare fino a strisciare e trascinarsi per terra a fatica, come intorpidito dal freddo e dalla quiete innaturale del nuovo anno. L'unica costante che aveva scandito quei brevi e uggiosi giorni invernali era l'indice di tossicità che si innalzava lento ma inesorabile, decimo dopo decimo, rendendolo sempre più fiacco. Non sapeva perché continuasse a concentrarsi su Iron Man quando tutta la sua attenzione si sarebbe dovuta rivolgere al problema del palladio, ma ogni volta che si sedeva alla scrivania con l'intenzione di farlo si ritrovava puntualmente a scarabocchiare schizzi di armature su armature. Si convinceva che fossero utili per migliorare la sua grafia con la sinistra e per calibrare la protesi, mentre in realtà voleva solo perdercisi e fingere di poter davvero tornare a indossarla, come se quel metallo potesse proteggerlo da ciò che lo stava corrodendo dall'interno. Sognava costantemente di volare e spesso si svegliava con l'impressione di cadere, colto da forti vertigini alle quali non voleva trovare una spiegazione medica.
La mattina del 4 gennaio 2010, alla vigilia del suo incidente, si ritrovò a fissare con sguardo vacuo i pixel verdognoli del 29% che mutavano nel rosso acceso e definitivo del 30%.
Ripose il rilevatore di tossicità e si poggiò al lavandino con entrambe le braccia, facendo leva sui bordi nel sentirsi improvvisamente debole. Si guardò allo specchio, riconoscendo sul suo volto i ben noti segni della stanchezza, accentuati dall'intossicazione: il suo occhio arrossato e spento, le occhiaie violacee, le rughe più numerose e profonde e le guance così smunte da ricordargli se stesso appena tornato dall'Afghanistan. Fino all'anno prima avrebbe probabilmente intravisto nei propri lineamenti anche i segni di una rabbia incontenibile. Magari si sarebbe trovato a infrangere di nuovo quel maledetto specchio odiando il proprio riflesso, avrebbe finito per farsi male e sarebbe precipitato di nuovo nel flusso di autodistruzione che l'aveva portato a strapparsi il reattore dal petto.
Adesso provava solo un senso di sorda accettazione, un constatare pacato di ciò che stava avvenendo, ma il desiderio di accelerare quel processo era svanito. Gli sembrava di osservarsi dall'esterno e avrebbe quasi potuto convincersi che il tutto stesse accadendo a qualcun altro, non fosse stato per i segnali inequivocabili che il suo corpo continuava a inviargli. Avrebbe solo voluto sentirsi meglio e liberarsi della nausea continua, dei crampi sempre più frequenti, dei mal di testa atroci che lo tormentavano per giorni interi annebbiandogli la mente, di quel senso di fiacchezza costante contro il quale combatteva ogni mattina, quando si forzava ad alzarsi per non passare la giornata a letto lasciandosi vincere dalla propria debolezza.
Fissò la luce azzurrina che gli scaturiva dal petto, tracciando esitante la circonferenza metallica del reattore con il pollice. Insinuò poi la mano sotto la maglietta e strinse la presa sul congegno; lo ruotò appena fino a sentire un click e lo sfilò delicatamente dal supporto, sentendo all'istante un profondo vuoto al centro del petto, così forte che avrebbe potuto risucchiarlo. Si affrettò a sostituire con mani tremanti il nucleo di palladio esaurito e a inserire nuovamente la propria fonte di vita al suo posto, con uno scatto rassicurante che gli riempì i polmoni d'aria pura. Riprese a respirare.
Quell'operazione lo nauseava. La prima volta che era stato costretto a compierla subito dopo il tentato suicidio si era trovato avvinghiato al gabinetto per arginare i conati, al vivido ricordo del senso di soffocamento che l'aveva assalito nel trovarsi sul ciglio della morte. Si era sentito di nuovo come se stesse annegando coi polmoni pieni d'acqua salata e anche adesso percepiva un tenue retrogusto salmastro sulla lingua.
Deglutì, sentendosi invece la gola completamente secca e un velo di sudore freddo che gli imperlava la fronte. Come sempre, ripensare a quei momenti accelerava il suo battito e gli causava una stretta alla bocca dello stomaco, come una mano pronta a rivoltarlo; ringraziò la sua inappetenza per non aver ancora toccato cibo.
Era assurdo come a spaventarlo fosse più il ricordo del proprio suicidio fallito piuttosto che la consapevolezza di stare morendo a poco a poco. Scosse la testa confuso dai suoi stessi ragionamenti, e distolse lo sguardo dallo specchio faticando a concentrarsi. Gli sembrava di avere del piombo nel cervello, e forse non era un'impressione così lontana dalla realtà. Era stanco, lo percepiva in ogni osso e fibra spossata del proprio corpo e in ogni neurone e sinapsi che si attivavano frenetici alla ricerca di una via d'uscita, ma non poteva cedere di nuovo. Un senso di impellenza lo rianimò e minacciò poi di sopraffarlo quando la mole di ciò a cui andava incontro gli si delineò davanti. 
Stava morendo, aveva vissuto una vita incompleta e doveva ancora decidere quali porte chiudere dietro di sé, quali lasciare aperte e quali avrebbe invece dovuto aprire prima che fosse troppo tardi.
Riportò lo sguardo al suo riflesso e lo trovò determinato, nonostante tutto lo smarrimento e la paura che portavano disordine tra i i suoi pensieri. Doveva sfruttare al meglio quel tempo – chissà quanto, poi – che ancora gli rimaneva, pensare a cosa voleva lasciare dietro di sé. 
Il retaggio, così lo chiamava suo padre. Doveva pensare a quale sarebbe stato il suo retaggio, a cosa poteva fare per non considerare sprecata la sua vita, diventata adesso così breve.
Ma prima doveva pensare a quelle porte che incombevano dietro di lui, già pronte a serrarsi o spalancarsi in attesa di una sua decisione.


***


10 Gennaio, 18:40, Villa Stark

Era stata una giornata lenta e oziosa.
Tony aveva lavorato svogliatamente in salotto per tutto il pomeriggio, dopo aver spostato un tavolino di fronte alla vetrata così da poter spaziare con lo sguardo sul mare grigio e invernale. Passava più tempo a fissare le onde che i fogli di carta e le schermate attorno a lui. Pepper lavorava sul divano alle sue spalle, seduta nel suo angolo preferito con le ginocchia ripiegate come appoggio per il tablet e il plaid gettato sulle spalle, nonostante il caminetto scoppiettasse vivacemente. Di tanto in tanto, uno dei due si voltava a guardare l'altro, trovandolo assorto nelle sue faccende a capo chino.
Pepper si era stupita di fronte a quella situazione anomala, ma anche inspiegabilmente intima. Tony non era solito lavorare al di fuori del suo laboratorio: aveva sempre detto che altrove non riusciva a concentrarsi al meglio e che quando pensava aveva bisogno di stare solo, al riparo da qualunque distrazione che non fosse la sua musica assordante. Ultimamente era di nuovo taciturno, ma a quello aveva iniziato a fare l'abitudine, anche se a volte si trovava a rimpiangere la sua parlantina sfacciata e spiritosa che adesso tornava a fare capolino solo quando era più rilassato – o un po' brillo, come quel Capodanno. 
Pepper si scoprì a sorridere appena: aveva preso a custodire gelosamente il ricordo di quel breve sprazzo di spontanea allegria e serenità che aveva riacceso per una serata il volto dell'uomo, altrimenti sempre ombroso e segnato da linee rigide che si nascondevano anche nei suoi sorrisi. Non riusciva a decifrare l'aura di tensione che Tony aveva preso a irradiare nel corso dell'ultimo mese, ed era poco convinta dalle sue spiegazioni vaghe ed evasive, comunque più rassicuranti della facciata di spavalda indifferenza che sembrava aver definitivamente abbandonato. Lei stessa era restia a far breccia in quel guscio fragile che riusciva appena a intravedere: avrebbe voluto che fosse lui ad abbatterlo ed era convinta che ci stesse lavorando come aveva promesso, sebbene coi suoi tempi.
Pepper voltò il capo a fissare la sua schiena, avvolta da una felpa bordò a collo alto che aveva sempre affermato di odiare e che stonava decisamente coi suoi ormai abituali pantaloncini da basket, che indossava a dispetto del freddo per agevolare i movimenti della protesi. Dalla sua postura, con la guancia appoggiata alla mano meccanica e la testa appena reclinata di lato, sembrava di nuovo immerso nei suoi pensieri, come se si stesse sforzando di trasporli sulla vetrata assieme alle schermate olografiche così da potervi fare ordine. Sul vetro scorgeva appena il suo riflesso traslucido, che sembrava sospeso sulla coltre di nubi da cui filtrava il riverbero livido del tramonto.
Tony incrociò il suo sguardo nel riflesso e si riscosse, rivolgendole un lieve sorriso che lei ricambiò titubante, imbarazzata per essersi fatta sorprendere ad osservarlo. L'uomo si voltò con studiata lentezza verso di lei, sedendosi di traverso sulla sedia in una posa disinvolta, esibendo un sorrisetto sornione ed esageratamente languido.
«A quanto pare catturo la sua attenzione anche senza volerlo, signorina Potts,» la stuzzicò con voce vellutata e bassa, facendole subito assumere l'espressione indifferente ma segretamente divertita che aveva sempre riservato alle sue innumerevoli avances.
Poteva anche essere rimasto sfigurato, ma non aveva perso neanche un briciolo del suo innato fascino.
«È il suo ego a crederlo, come sempre,» gli fece notare senza scomporsi.
«Il mio ego raramente ha torto,» ribatté lui, nel tentativo di conquistare l'ultima parola, cosa che Pepper non aveva alcuna intenzione di concedergli.
«Il suo ego ha sempre avuto urgente bisogno di essere ridimensionato.»
«Potrei farci un pensierino, dopotutto non c'è nulla che debba compensare,» sogghignò appena e Pepper alzò teatralmente gli occhi al cielo, decidendosi a tornare ad occuparsi dei suoi fascicoli, ma continuò a guardarlo di sottecchi.
Mentra parlavano Tony l'aveva fissata con una strana intensità, e si rese conto che anche adesso il suo sguardo sembrava più assorto e vivo del solito, come se volesse riempirlo appieno di tutto ciò che vedeva. Sentì una stretta allo stomaco che non riuscì a spiegarsi se non dopo qualche istante, e fu come se qualcuno le avesse rovesciato addosso un secchio d'acqua ghiacciata.
Era quello sguardo.
Il ricordo di un quadro rotto, di parole stanche e incomprensibili e di una notte insonne si ripresentò con prepotenza davanti ai suoi occhi e nelle sue orecchie.
"Sei bellissima."
E poi, a un soffio, tutto ciò che era accaduto dopo. Fu costretta a respirare a fondo per riprendere la calma, e si rese conto in ritardo che Tony le aveva parlato nel frattempo. Sollevò un po' bruscamente la testa, tornando a fissarlo, ma stavolta nella sua iride nocciola scorse solo la consueta tinta giocosa.
«Come, scusi?» quasi balbettò, sentendosi immensamente sollevata dalla scomparsa di quell'espressione troppo intensa dal suo volto.
Lui liberò un risolino leggero nel vedere la sua aria assente.
«Ma come, le faccio addirittura quest'effetto?» la canzonò, facendo sì che le sue guance virassero su una sfumatura di rosso più accesa. «Ho detto: mi lascia davvero vincere così?» si decise a ripetere alla fine, con una nota di finto rimprovero nella voce morbida.
Pepper forzò un sorriso sul suo volto, capendo che si riferiva al battibecco troncato su quello che lui considerava probabilmente il più bello.
«Sono fuori allenamento,» confessò sbrigativa, e si pentì di quelle parole nel vedere il modo in cui lui si ritrasse appena, convinto di aver mosso un passo falso.
«Touché,» ammise semplicemente, e un'ombra di quello sguardo balenò per un istante sul suo volto, prima di tornare alla sua solita disinvoltura.
Rimase immobile per un po', abbandonato mollemente sulla sedia come intento a raccogliere i propri pensieri; portò la mano sulla benda, a coprire del tutto lo sfregio sul viso con fare assente. Pepper strinse nervosa le labbra, sentendosi in colpa per aver guastato uno dei rari momenti in cui il vero Tony sembrava trovare il coraggio di riemergere.
«Piuttosto, stavo pensando...» esordì lui repentinamente, afferrando il bastone e alzandosi per avvicinarsi.
Si chinò in avanti poggiando gli avambracci sullo schienale del divano, e sbirciò i documenti che Pepper stava visionando. Nel farlo portò la testa all'altezza della sua, mentre si sporgeva per leggere e scorrere i vari fogli sparsi qua e là. Lei quasi sobbalzò a quell'improvvisa vicinanza, che portava con sé il suo odore misto a una traccia di mentolo e dopobarba; non si ritrasse, ma prese a respirare appena.
«Ah, ecco,» Tony puntò infine l'indice meccanico sull'intestazione di un contratto e sfilò con impaccio il foglio dal dossier, «Il parco eolico: credo sia una buona idea e un ottimo investimento, ho già dato direttive di stanziare i fondi. Devo solo firmare questo, giusto?» si voltò verso di lei interrogativo, e solo allora sembrò rendersi conto della propria posizione, perché si sollevò appena sui gomiti per recuperare distanza tra loro.
Pepper lo fissò con l'aria di chi ha appena visto materializzarsi una tigre parlante in salotto, o qualcosa di egualmente assurdo e inimmaginabile.
«Lei ha controllato personalmente l'agenda delle Stark Industries?» riuscì a formulare dopo qualche secondo di attonito silenzio.
Tony corrugò appena le sopracciglia, perplesso da quella reazione.
«Sì, e allora?»
«Niente. È solo... insolito.»
«Ero curioso.» 
«Curioso?»
A quel punto alla sua espressione un po' accigliata si unì un mezzo sorriso forzato:
«Da quando non posso interessarmi della mia azienda?» disse a metà tra il piccato e il divertito eludendo rapidamente il suo sguardo, cosa che non sfuggì a Pepper.
«Tony, deve dirmi qualcosa?» si decise a chiedere con cautela.
C'erano solo due motivi che potevano spingere Tony Stark anche solo ad avvicinarsi alla burocrazia e al lavoro aziendale: o era impazzito del tutto, o voleva ingraziarsela per avanzare proposte o richieste assolutamente fuori luogo e inappropriate.
«In realtà sì, ma non c'entra con questo. Cioè, non direttamente,» rispose lui dopo una lieve esitazione, giungendo le mani davanti a sé.
Portò le dita davanti alle labbra in una posa riflessiva e si schiarì un poco la gola.
«Il fatto è...» cominciò ancora.
Si bloccò come cercando le parole giuste, cosa assolutamente inusuale per lui, che sembrava sempre sapere cosa dire e come dirlo. 
«Stavo pensando di riorganizzare la Stark Expo,» disse infine, quasi precipitosamente.
A Pepper quasi cadde la mandibola per lo stupore, ma prima che potesse formulare qualsiasi obiezione o commento in proposito fu bloccata dalla voce decisa di Tony:
«È solo un'idea. Ci sto ancora riflettendo, anche se in teoria ho già pianificato il tutto a grandi linee. I fondi ci sono, ma ho pensato che nel frattempo fosse saggio accettare tutto il supporto che riusciamo a trovare. E ci serve uno sponsor per l'energia pulita,» accennò rapido al contratto.
Pepper riuscì a ricomporsi a fatica, in uno sfoggio di autocontrollo notevole:
«È un'idea... immensa. Non dico che sia una cattiva idea, ma, insomma, richiederà un'enormità di preparativi e...»
«Per questo sto chiedendo il suo aiuto,» la interruppe Tony con vivacità quasi eccessiva, sorridendo furbetto. «Il progetto è a buon punto, ma non ho tem–... cioè, mi serve ancora un po' di tempo per perfezionare il tutto. Volevo solo che lo sapesse,» concluse con leggerezza. «Anche se mi farebbe piacere riuscire a completare i preparativi entro sei mesi. Preferibilmente prima,» aggiunse, evitando di nuovo il suo sguardo.
Pepper lo scrutò intensamente, alla ricerca di qualsiasi traccia di sarcasmo o scherzosità, ma non ne trovò. Sentiva che le stava sfuggendo qualcosa, ma non riusciva a focalizzare cosa e ciò la intimoriva e preoccupava. Non capire Tony voleva dire non poter prevedere le sue azioni, e ciò poteva rivelarsi estremamente rischioso. Decise di non sbilanciarsi finché non avesse intuito dove voleva andare a parare con quella mossa inattesa.
«Va bene, quando vorrà ne discuteremo meglio,» concordò imponendo fermezza alla sua voce, e le sembrò che Tony si illuminasse a quelle parole, come se si fosse aspettato di incontrare molta più resistenza da parte sua.
«Perfetto, allora domani le faccio vedere i progetti, e mi dirà se sono fattibili dal punto di vista organizzativo,» stabilì allegro.
Non diede cenno di volersi allontanare, e Pepper ebbe l'impressione che fosse sul punto di aggiungere qualcos'altro. Scoccò un'occhiata nervosa e improvvisamente consapevole all'orologio da polso, rendendosi conto di quanto fosse tardi e convicendosi di stare abusando dell'ospitalità di Tony, anche se a lui probabilmente non importava, anzi.
«Va bene, però adesso sarà meglio che vada,» annunciò con tono di scuse, radunando i documenti e le cartelle sparsi un po' ovunque sui cuscini.
Lui trasalì a quelle parole, come se l'avessero colto sovrappensiero, e la guardò stupito mentre finiva di riordinare.
«Di già?» riuscì a chiedere, in modo un po' infantile.
Pepper gli rivolse un'occhiata paziente:
«Sono quasi le sette, ed è stata una giornata pesante,» spiegò concisa, alzandosi e imbracciando la borsa, già diretta all'uscita.
Voleva allontanarsi da quello sguardo di nuovo torbido, da quelle parole estranee che ne lasciavano intuire altre indecifrabili, dalla consapevolezza che le stesse sfuggendo qualcosa e che quel qualcosa fosse fondamentale. E non voleva soffermarsi a riflettere su ciò che era accaduto l'ultima volta che le era sfuggito qualcosa riguardante Tony. In quel momento desiderava solo uscire dalla villa nell'aria fredda e pulita, sperando che la aiutasse a dissipare il velo d'insensata inquietudine che le era scivolato addosso.
«Domattina discuteremo meglio del contratto e della Expo,» aggiunse a mo' di saluto, con un sorriso cordiale.
Tony annuì, ancora chino sul divano. Abbassò appena il capo con aria meditabonda, per poi rialzarlo di scatto come se avesse finalmente preso una decisione:
«Posso chiederle di rimanere a cena?»


***


Pepper si bloccò tra l'atrio e il salotto, la mano a mezz'aria nel gesto di recuperare la sua giacca, evidentemente presa in contropiede dal suo invito. Tony non distolse lo sguardo, ma si sentì il cuore in gola e si chiese cosa diavolo gli fosse passato per la testa.
"Bravo, Tony. Alla faccia dell'approccio discreto."
«Signor Stark...» cominciò prevedibilmente lei, titubante e in vago tono di rimprovero, al che Tony corse ai ripari sfoggiando un'espressione disinvolta che non sentiva sua.
Si staccò dal divano, passandosi il bastone da una mano all'altra come un prestigiatore intento a preparare il suo prossimo trucco – o, in quel caso, a porre rimedio a un trucco appena fallito.
«Non si preoccupi, non sarà nulla di esagerato: pensavo a una pizza a portar via e...»
«Non credo sia una buona idea.»
Tony ammutolì per qualche istante, spiazzato dall'improvvisa severità nel tono della donna.
«Andiamo, Pepper, le sto solo chiedendo di rimanere a cena, la mia proposta non cela nient'altro... anche perché al momento non sarei fisicamente in grado di fare altro,» aggiunse in tono eccessivamente scherzoso, per nascondere la delusione alla risposta fredda della donna.
«Signor Stark,» calcò quelle parole con particolare intensità, «la ringrazio per l'offerta, ma sento di doverla rifiutare.»
«Perché?» proruppe lui frustrato, lasciando cadere la sua maschera gioviale.
Pepper sembrò spaesata a quella semplice domanda e perse per un attimo la sua compostezza, lasciando trasparire tutta l'indecisione che nascondeva. Durò un istante, ma non gli sfuggì, ormai allenato da anni a riconoscere ogni sfumatura emotiva della sua composta assistente.
«Penso che sia ancora troppo presto.»
«Troppo presto per cosa? Per mangiare una pizza insieme e discutere di parchi eolici ed Expo?» e allargò appena le braccia per dare enfasi a quella domanda assurda, sentendosi però torcere le viscere al pensiero che lei fosse così turbata da quell'invito.
Non era abituato a vedersi rifiutare da una donna, ma in quel caso non si trattava neanche di quel tipo di invito. Voleva semplicemente parlarle. Solo parlarle.
"Pepper, sto morendo."
Quelle parole quasi gli scapparono di bocca.
Non aveva spazio per pensare ad altro. Il suo stomaco si attorcigliò ancora a contraddirlo, a fargli notare che avrebbe voluto con tutto se stesso che ci fosse spazio per altro, oltre a quello. Forse c'era stato, realizzò, ma ormai era tardi per pensarci.
«È troppo...» 
Pepper lo riscosse, ma s'interruppe di colpo e si strinse la radice del naso tra le dita come a voler ritrovare la calma, per poi fare un gesto secco con la mano, a scacciare la sua reticenza. 
«È troppo presto per me. Non riesco ancora a fare finta che non sia successo niente. Sto cercando di perdonarla in ogni modo... e in parte ci sto riuscendo e so che anche lei ce la sta mettendo tutta per migliorare. Sono contenta di essere di nuovo qui con lei. Ma ogni volta che vedo quello...» additò la fioca luce del reattore al centro del suo petto e inspirò bruscamente, interrompedosi. «Lo sa a cosa penso. E non posso farci niente.»
Tony lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e si poggiò di peso al bastone, sentendosi come se una stoccata l'avesse colpito proprio in pieno petto quando la donna l'aveva indicato.
«Bene. Questo mi risparmia di introdurle l'argomento della serata,» si trovò a dire piattamente, senza riuscire a frenarsi.
Vide la confusione affiorare sul volto di Pepper e seppe che non sarebbe riuscito a resistere ancora a lungo prima di cedere al flusso di parole che sentiva premere dentro di sé. Ma voleva vivere ancora una parentesi di normalità prima che ciò avvenisse, prima di permettere al mondo di sbriciolarsi sotto ai suoi piedi appena riconquistati.
«Quale argomento?» la voce di Pepper tremò appena, realizzando l'improvvisa gravità di Tony e il ritorno di quello sguardo profondo e cupo che detestava.
«Volevo parlarle. Seriamente. Non sono bravo in queste cose, quindi pensavo che una situazione... informale mi avrebbe facilitato.»
«Se c'è qualcosa che deve dirmi perché non lo fa e basta?»
Tony colse l'urgenza del suo tono, inaspettata. L'urgenza di chi è disposto a mettere tutto il resto in secondo piano di fronte a un problema più grande, ignorando qualsiasi futile questione in sospeso. Seppe in quel momento che, sotto tutta la sua delusione e il suo distacco, Pepper non aveva mai, neanche per un istante, smesso di preoccuparsi per lui, e forse anche di volergli bene, nonostante il modo orribile in cui si era comportato con lei. Quella consapevolezza affondò con un peso spiacevole nel suo petto assieme a tutte le altre cose, reali e non, che lo opprimevano.
«È complicato. Probabilmente sarà difficile parlarne. È il genere di argomento che si affronta meglio a stomaco pieno,» cercò di sdrammatizzare, ma lo sguardo di Pepper raggelò il sorriso che aveva tentato di formare.
«Quanto devo preoccuparmi?»
"Pepper, sto morendo."
Trasse un lungo sospiro, capendo che tutti i suoi buoni propositi di passare una serata serena e piacevole per prepararsi a dirle ciò che doveva erano appena saltati.
«Ho detto che voglio riparare ciò che ho rotto. Forse però dovrò prima romperlo un po' di più, e non sono sicuro che dopo potrò ancora raccogliere e rimettere insieme i cocci e...»
«Tony, la prego, non è così che...»
«Non mi importa, se non è così che dovrei fare!» proruppe lui a voce alta, sentendo improvvisamente il sangue che prendeva a rombargli nelle orecchie.
Pepper trasalì appena.
«Sto cercando di migliorare a modo mio; se lei non me lo permette e vuole che lo faccia a modo suo, non ce la farò mai!» 
Si sarebbe strappato la lingua per la propria veemenza, ma si trovò a continuare ancora, tagliente e alterato:
«Tutto ciò che le stavo chiedendo era un momento, un solo momento di tregua per parlare!»
Pepper gli rivolse uno sguardo incredulo e colpevole, e fu come se fossero tornati a un giorno di quasi un anno prima, in una cucina ancora integra, per poco, con una brocca schiantata per terra e una domanda lasciata in sospeso che aleggiava tra loro. Stavolta però non diede voce agli altri pensieri crudeli che lottavano per emergere. Li ricacciò indietro e si limitò a fissarla smarrito e affannato, sentendosi semplicemente esausto e sul punto di soccombere al dolore al petto.
Fu colto da un improvviso giramento di testa e barcollò all'indietro, trovando l'appoggio del divano sul quale si lasciò cadere di peso. Portò la mano alla fronte trovandola bollente al tatto, e si chinò a nascondere il volto col gomito poggiato sul ginocchio, avvertendo il cuore in preda alle palpitazioni. Portò una mano al petto, accanto al reattore, stringendo la stoffa della felpa come a domare quel battito impazzito. Riconosceva quei sintomi, adesso erano solo più accentuati a causa della sua agitazione, e lottò per riprendere controllo del proprio corpo imbizzarrito.
Sentì montare una frustrazione mista a quella che identificò come paura, semplice e cruda, che iniziò subito a premere ferocemente contro la sua gola e il suo occhio chiedendo solo di strabordare. Gli si appannò la vista e si immobilizzò per evitare che le lacrime traboccassero. Aveva rovinato tutto, come sempre. Non era così che doveva andare. Non voleva rimanere di nuovo solo, non adesso.
Sentì un ticchettio di tacchi avvicinarsi, poi percepì la figura esile di Pepper che si sedeva accanto a lui in silenzio, in attesa. Non osò alzare la testa sconvolta dal sollievo di saperla ancora lì finché la sua visione non fu di nuovo ben asciutta e nitida. Schiacciò il palmo sulla fronte, come a spremerne fuori i pensieri venefici che la occludevano. Avrebbe dovuto dire qualcosa, scusarsi, ma non riusceva nemmeno a schiudere le labbra tirate.
«Mi dispiace.» 
Pepper anticipò le parole che avrebbe dovuto pronunciare lui e sentì il nodo alla gola sciogliersi appena. 
«Ho esagerato,» concluse in un bisbiglio costernato. 
Lui riuscì a sollevare lo sguardo verso i suoi occhi chiari e se ne sentì trapassare.
«No, hai ragione,» dichiarò, lasciando cadere le formalità. «Così non risolvo nulla.» 
Deglutì a vuoto: non avrebbe comunque risolto nulla mandando avanti quella farsa patetica. Prese a tormentare la zip della felpa, chiusa fin sotto il mento per celare l'intrico plumbeo che da qualche giorno aveva iniziato a risalire il collo.
«Vuoi ancora dirmi cosa succede?» gli chiese lei dopo molti, lunghi secondi.
Dal suo tono gentile e venato di apprensione capì che avrebbe anche potuto ritrarsi e lei l'avrebbe accettato, come aveva provato ad accettare tutto ciò che aveva commesso nel corso quell'anno. Avrebbe cercato di capirlo, avrebbe aspettato e aspettato ancora, mossa da una pazienza e una perseveranza per lui inconcepibili verso qualcuno che si rivelava puntualmente una delusione. Trovò l'idea insopportabile e si trovò ad annuire appena in risposta, con la testa pesante, oppressa dal peso delle sue stesse bugie. Percepiva la tensione di Pepper al suo fianco e si sentì in colpa per quello che le stava facendo penare. Sarebbe stato così semplice ignorare tutto e fingere fino all'inevitabile. Ma aveva promesso a se stesso e agli altri di essere migliore di così.
Il silenzio si protrasse e sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto romperlo lui. Sapeva già come. Che senso aveva girarci intorno? Che senso aveva addolcire la pillola? Quelle parole gli ronzavano in testa come api insistenti da settimane, fastidiose e sempre più pungenti e bizzose, col rischio di sfuggirgli in ogni istante.
Trasse un respiro profondo e con esso le liberò, vibranti e spigolose:
«Pepper, sto morendo.»
Fu poco più di un sussurro, ma sembrò echeggiare nel salone come un rombo temporalesco. Chiuse brevemente l'occhio per poi costringersi a riaprirlo e rivolgersi verso di lei. La trovò impietrita, con lo sguardo vacuo e sgomento che sembrava passargli attraverso.
«Cosa?» riuscì infine ad articolare con voce sottile, nel chiaro tentativo di raccapezzarsi, con la flebile speranza di aver capito male.
«Non volevo dirtelo così.» 
Fu l'unica risposta che lasciò le sue labbra, colorata da una punta di risentimento che avrebbe voluto estirpare. La vide sbiancare fino a diventare cerea, come se qualcuno avesse risucchiato ogni pigmento dal suo volto, ora chiazzato solo dal tenue arancio delle sue efelidi.
«Come...» non sembrò in grado di aggiungere altro, così Tony raccolse le sue forze per ricomporsi e rimanere lucido:
«Il palladio mi sta intossicando,» disse, stavolta con voce chiara, benché bassa.
Esitò, per poi aprire la zip della felpa e scostare appena il colletto della maglia sottostante, rivelandole una porzione del reticolo bluastro che gli attraversava il torace, il tutto senza osare guardarla in faccia. Colse i suoi occhi che si sgranavano a quella vista. Sperò che bastasse. Non avrebbe avuto senso aggiungere parole vuote ad altre parole vuote.
Lasciò il colletto e tirò nuovamente su la zip con un gesto secco; la stoffa tornò a celare il groviglio venefico. Si chinò in avanti incrociando le braccia sul petto, con le mani a stringersi le spalle in un'ulteriore protezione. Sbirciò in direzione di Pepper e la vide scuotere appena la testa ad occhi sbarrati, sotto shock e sempre più pallida.
Non aveva pensato a cosa avrebbe fatto dopo. Aveva pianificato il prima e il come, che erano ovviamente andati a rotoli. Aveva pensato per giorni a come liberarsi del macigno che gli premeva nel petto. Non si era assolutamente preparato a fronteggiare la sua reazione e aveva evitato in tutti i modi di immaginarla, spinto dal solo, egoistico pensiero di volersi liberare di quel peso al più presto prima che lo schiacciasse.
«Da quanto?» le parole di Pepper ruppero il silenzio, inaspettatamente fredde.
«Da quando mi hanno impiantato il...»
«Da quanto lo sai?» scandì lei in tono vibrante.
Si voltò a guardarla e vide l'azzurro dei suoi occhi farsi duro come ghiaccio. Gli mancò l'aria nei polmoni.
«È stato il motivo per cui ho tentato di...» 
Strinse i denti nel sentire la sua voce che si incrinava, rifiutandosi di formare quelle parole, ma sapeva che non ce n'era bisogno: la mano che era corsa al reattore l'aveva tradito.
Il volto di Pepper si fece livido.
«Non il solo motivo,» si corresse lui, rendendosi conto di suonare patetico. «Uno dei tanti, ma... ma questo è inevitabile. Dopo che ho tentato di... dopo l'intossicazione è migliorata, e credevo di poter trovare una soluzione. Non ci sono riuscito.» concluse in un mormorio appena udibile.
Pepper giunse le mani davanti al volto e la sentì respirare profondamente, non seppe se per placare la rabbia o qualche altra emozione che non le aveva mai visto provare. Non osò avvicinarsi, né toccarla, né parlarle, anche se non avrebbe voluto far altro che stringerla a sé, pur sapendo che l'avrebbe sicuramente respinto. Rimase immobile e rigido, più simile a una statua di sale e sentendosi come se il suo corpo fosse sul punto di spezzarsi di netto. Voleva solo chiudersi di nuovo nel suo guscio, isolarsi da tutto e tutti, anche se tutto se stesso gli gridava di non voler morire da solo.
«Tutte quelle chiacchiere su sincerità e fiducia... e non me l'hai detto
Tony si sentì accartocciare il cuore nel sentire la delusione di cui erano intrise le sue parole.
«La situazione sembrava sotto controllo,» ribatté debolmente.
«Sotto controllo?» il tono di Pepper s'innalzò di un'ottava, divenendo stridula in quella che sembrava una morsa di panico e Tony poté finalmente vedere i suoi occhi tremolanti.
La donna si alzò di scatto, come se non potesse sopportare di stare accanto a lui per un secondo di più.
«Hai cercato di ucciderti per questo e hai il coraggio di dire che era tutto sotto controllo?» riprese il comando della propria voce, ma lo sforzo per mantenerla bassa e ferma era tale da farla tornare rossa in volto. «Quanto puoi essere egoista?»
A quelle parole il volto di Tony si inasprì, solcato di risentimento.
«Egoista?» respirò a fondo dal naso per calmarsi, sentendo il cuore che tornava a pompare in un ritmo irregolare e doloroso. «L'ho fatto solo per non causare altri problemi,» sibilò.
«Cosa, esattamente? Tentare di ucciderti o non dirmi che stai morendo?»
Pepper piantò gli occhi nel suo e lui vacillò, spiazzato da quella domanda, ritrovandosi nella ben nota situazione di non sapere dove puntare il suo sguardo, finché qualcosa non scattò in lui e la sua unica iride nocciola si fissò con decisione in una di quelle cerulee di Pepper.
«Non ho intenzione di giustificare il mio tentato suicidio; non posso né ho mai voluto farlo.» Sentiva la sua voce fremere nel realizzare quanto la persona che avrebbe dovuto capirlo più di tutte lo avesse frainteso e ciò lo colpì più duramente di qualsiasi condanna a morte. «Pensavo che almeno questo l'avessi capito,» concluse voltando la testa senza celare il suo sdegno, e la vide trasalire appena.
Si umettò le labbra, senza sapere perché si sentisse così insensatamente arrabbiato, né perché quella rabbia si stesse convertendo in un dolore acuto che sembrava permeare il suo intero corpo.
«Non ti ho detto nulla del palladio perché non volevo darti altre preoccupazioni. Te ne ho già date abbastanza e pensavo che almeno stavolta sarei riuscito a cavarmela da solo, ma...» la sua voce si spense e lasciò in sospeso il resto di una frase inutile senza che potesse impedirselo.
Si sentiva improvvisamente spossato. Non gli importava più della reazione di Pepper, né del palladio, né di Iron Man. Avrebbe solo voluto dormire, risvegliarsi e avere una soluzione in mano. Quasi gli venne da ridere a quel desiderio così infantile.
Pepper continuava a tacere, rigidamente in piedi, come se non si sentisse realmente lì. Non osò guardarla. Era giusto che lo accusasse, ed era anche giusto che non sapesse come reagire a quell'ennesima mancanza da parte sua.
«Sono stanco,» mormorò infine. «Da mesi faccio progressi che non mi porteranno da nessuna parte.» 
Sollevò mollemente il braccio meccanico, soffermandosi a contemplarne la placcatura rifinita. Ammirò la cura che aveva instillato in ogni dettaglio della mano, la precisione maniacale con cui aveva riprodotto le linee del palmo, le sottili scanalature che aveva tracciato per adattarla un giorno all'armatura. Riconobbe la stessa dedizione che suo padre aveva riversato in quel plastico della Expo, nella speranza che diventasse qualcosa di buono per tutti e non solo per se stesso. Qualcosa in cui credere, una ragione di vita, un qualcosa all'altezza di quell'unica cosa giusta mai realizzata.
Pensò alle ore trascorse in laboratorio, ai collaudi, alle notti insonni e alle crisi di rabbia e frustrazione, ai suoi errori, a tutto ciò che aveva rifiutato e accettato di se stesso in quell'anno, alle cadute, alle mani tese che aveva accolto, alla gioia di potersi ergere nuovamente sulle sue gambe, alla stima che aveva riconquistato con ogni goccia di sudore versata per migliorarsi.
«Se non trovo un'alternativa al palladio la mia aspettativa di vita è di sei mesi, forse un anno.» Sentì la sua voce spezzarsi di colpo e non la frenò, si lasciò precipitare insieme ad essa. «Che me ne faccio di queste, adesso?» 
Strinse convulsamente le protesi e si trovò a singhiozzare, senza capire come fosse accaduto.
Si ripiegò su se stesso, nascondendosi con una mano il volto rigato di lacrime e implorando che il suo guscio ormai incrinato tornasse ad avvolgerlo, a proteggerlo, a contenere quell'ennesima debolezza. Sentì invece le mani di Pepper che si adagiavano sulle sue spalle, per poi indurlo a rialzare il viso per stringerlo a sé, con fermezza. Lui non oppose resistenza e si abbandonò inerte a quell'abbraccio, tiepido e saldo attorno al proprio corpo freddo e tremante. Premette il volto sulla sua spalla, col respiro spezzato, sentendo il guscio che avvizziva e scivolava via senza che potesse fare nulla per impedirlo. Tentò ancora di soffocare un singhiozzo contro la stoffa della sua giacca, ma si ritrovò a cedere ancor di più, sussultando appena nella stretta della donna. A quel punto si arrese, e si trovò solo a desiderare di avere due occhi per piangere.
Si liberò del tappo che sentiva dentro di sé, quello che aveva soffocato il dolore finora, e permise a tutto ciò che aveva sublimato e trattenuto in quell'anno di riversarsi finalmente fuori. Si trovò frastornato dalla mole di sensazioni vertiginose che lo investì, tanto che non seppe più per cosa, esattamente, stesse piangendo. Gli sembrò solo che quel costante senso di oppressione al petto si allentasse un poco, tra un singulto e l'altro.
Quel senso di liberazione completa era esattamente quello che aveva bramato nel momento in cui si era tolto il reattore, solo per ritrovarsi con sconcerto ancora più costretto dalle sue stesse catene nel rendersi conto del proprio errore. Aveva dovuto ricominciare da capo, e ci era riuscito: infine aveva vinto, anche se per poco e in modo effimero. Questa invece era una battaglia che non poteva vincere, ma solo portare a termine cadendo sul campo sotto il peso dei suoi difetti. Aveva creduto di aver accettato quel destino beffardo, e adesso si trovava a rifiutarlo con ogni lacrima di angoscia, rabbia e disperazione che gli solcava le guance.
Sentiva le mani di Pepper che lo cingevano ferme, accarezzandogli la schiena, e il profumo della sua pelle, e i suoi capelli ramati che gli solleticavano il volto, e il suo calore morbido e rassicurante contro di lui. Inspirò a fondo, stordito da tutti quegli impulsi e aggrappandosi a ognuno di essi con repentina lucidità, come quando si era ancorato alla sua voce a un passo dal baratro.
Non era pronto a morire.
Quel pensiero cancellò ogni altro, naturale, semplice e prepotente quanto irrealizzabile, e solo allora la strinse a sé, quasi a impedirle di dissolversi. Lei accostò la guancia alla sua, continuando a sostenergli la testa e ad asciugargli di tanto in tanto una lacrima con il pollice. La sentì poggiarsi a sua volta contro di lui, in silenzio, le labbra premute contro la sua tempia. Tremava appena nel suo abbraccio e forse stava piangendo anche lei, ma non volle saperlo con certezza. I suoi singhiozzi si attenuarono appena, scivolando infine in un pianto sommesso ed esausto al quale non era ancora in grado di sottrarsi. 
Tenne il volto nascosto contro di lei e aspettò con crescente sollievo che quella marea benefica finisse, lasciandosi cullare dalle sue mani.


***


10 Gennaio, Villa Stark, 20:15

Tony trasse un altro sospiro tremolante, avvertendo ancora un leggero sussulto nel petto. Percepì Pepper sospirare di rimando e passargli distrattamente una mano tra i capelli. Socchiuse l'occhio a quel contatto, sentendo la tensione residua scivolare via dai suoi muscoli. Si adagiò meglio contro lo schienale del divano, senza sciogliere l'abbraccio che li univa. Anche quando il pianto era scemato, lasciandolo inerme e prosciugato, era stato incapace di separarsi da lei. Sentiva che se l'avesse fatto si sarebbe spezzato definitivamente.
Lei sembrava esserne cosciente e assecondò il suo movimento, continuando ad accarezzargli i capelli in modo forse inconsapevole. Non capiva se cercasse quella vicinanza per pietà o perché ne traeva anche lei un qualche tipo di conforto, ma non era il momento di cercare un risposta. Le sfiorò a sua volta il braccio in una carezza istintiva, con lo sguardo fisso sul salotto in penombra, interrotta fiocamente dal riverbero delle braci morenti nel caminetto. La sentì stringersi di più a lui e incassare il volto nella sua spalla per sfuggire il suo sguardo, col respiro che gli scaldava la pelle.
Tony si rilassò appena a quel gesto e si passò una mano sulla guancia ruvida di sale, per poi tornare a posarla sulla schiena della donna; anche quel movimento gli sembrò estenuante.
«Come ti senti?» la voce di Pepper gli sfiorò il collo.
Lui si schiarì un poco la gola, sentendola arida e gonfia.
«Meglio.»
La sua voce suonò cavernosa, come se provenisse da sottoterra. 
«Tu?» chiese subito dopo, realizzando con un po' di ritardo quanto fossero vuote, eppure necessarie quelle domande.
«Meglio,» confermò lei, flebilmente.
Nessuno dei due aveva la certezza che fosse la verità, ma era ciò che entrambi avevano bisogno di sentire. Rimasero in silenzio, intimoriti da quella situazione anomala, ma senza alcuna intenzione di turbarla, preferendo annidarsi in quel momento di quiete.
«E adesso?» 
La domanda sfuggì le labbra di Tony di sua volontà, sospesa e irreale.
Pepper si scostò un poco da lui, così da guardarlo in volto.
«Adesso, raccogliamo i cocci,» rispose con semplicità.




_____________________________________________________________________________________________
 

Note: *inserire musica di Super Quark* Kintsugi (letteralmente "riparare con l'oro"): pratica giapponese che consiste nella riparazione di oggetti in ceramica usando oro fuso per saldarne assieme i frammenti. La pratica nasce dall'idea che dall'imperfezione possa nascere una nuova forma di perfezione.

Note Dell'Autrice:

Ed eccoci finalmente qui, al capitolo da cui è partito tutto. Questo è stato il primo che ho scritto quando ho ripreso la storia, a gennaio, ed è rimasto pressoché immutato nel corso di questi mesi, salvo aggiunte e correzioni minori, per cui vi sono particolarmente affezionata, considerando che da qui si sono dipanati tutti gli eventi precedenti e successivi.
In realtà credo di non aver poi molto da dire al riguardo, essendo di per sé piuttosto esplicativo... quindi godetevi semplicemente il primo, vero e genuino crollo emotivo di Tony. Per quello di Pepper, si vedrà ;)

Ringrazio tantissimo
_Atlas_ per aver commentato lo scorso capitolo (sono molto curiosa di sapere la tua opinione su 'sto benedetto crollo, visto che lo aspetti da 3 anni e 40 capitoli :'D) e tutti coloro che hanno commentato e/o letto i precedenti e/o aggiunto la storia tra le seguite, preferite o ricordate <3

Il prossimo capitolo arriverà probabilmente tra un mesetto buono, visto che è l'ultimo che ho pronto e gli altri sono ancora in fase di rodaggio. Pubblicare questo ora non è esattamente una mossa brillante, in effetti, ma mi serve un po' di "pepe" per mettermi a tavolino e terminarli senza procrastinare in eterno. A proposito, -7 :P
Sayonara e alla prossima,

-Light-


P.S. Il riferimento a Baltimora è un mio headcanon che fa la sua comparsa nella one-shot Baltimora, 2001 (ovvero, quando Tony Stark perse gli occhiali da sole)
 




© Marvel
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: ___MoonLight