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Dancing in the dark
"Oh, the
darkness got a hold on me
How long, baby, have I been away?
Oh, it feels like ages, though you say it's only days
There ain't language for the things I've seen
And the truth is stranger than my own worst dreams
The truth is stranger than all my dreams"
[Meet Me In The Woods – Lord Huron]
10 Gennaio, Villa Stark, 22:30
Il
petto di Tony si alzava e abbassava lentamente, a ritmo coi suoi
respiri profondi e tranquilli. Di tanto in tanto fremeva nel sonno e
il suo volto si contraeva appena, per poi rilassarsi di nuovo in
un'espressione pacifica.
Pepper
aveva passato l'ultima ora cercando di addormentarsi a sua volta, ma
era come se una forza invisibile impedisse alle sue palpebre di
chiudersi, costringendola a fissare il buio quasi assoluto del
salone, rotto solo dal lieve riverbero dell'oceano alle loro
spalle.
"Raccogliere
i cocci" si era rivelato più stancante del previsto, e Tony
aveva finito per cedere al sonno sulla sua spalla, per poi ridestarsi
di colpo in agitato imbarazzo. Si era poi lasciato guidare docilmente,
accettando quel contatto e continuando a dormire con la testa posata
sulle sue
gambe, troppo esausto per articolare
qualunque parola di protesta.
Pepper
si chiese per l'ennesima volta cosa stessero facendo e si rispose per
l'ennesima volta che non le importava. Strinse appena la stoffa della
sua felpa all'altezza del petto, percependo una pulsazione ovattata
contro il palmo. L'unica cosa che le importasse era sentire il suo
cuore che continuava a battere. Sfiorò con la punta delle
dita le
sottili diramazioni plumbee che si arrampicavano sul suo collo,
percependo il blocco di marmo nel suo petto farsi più
pesante, e
chiedendosi se fosse la stessa sensazione che accompagnava Tony
dall'Afghanistan. Non riuscì a spostare la mano sul reattore
e tornò
a premerla sul suo petto, all'altezza del cuore.
A
quel punto Tony si mosse di nuovo, e stavolta restò in apnea
per
qualche secondo per poi riprendere a respirare regolarmente con un
leggero sibilo; Pepper lo imitò in modo inconscio
trattenendo a sua
volta il fiato, per poi rimproverarsi della propria apprensione. Non
c'era nulla di cui preoccuparsi nell'immediato, si ripeté
stancamente come aveva fatto poco prima Tony con lei. Tra qualche
mese avrebbe avuto senso lasciarsi prendere dall'angoscia e smettere
di pensare in modo razionale, ma per ora doveva solo aggrapparsi a
quel battito ancora forte ed energico che riusciva a rassicurarla un
poco, anche se temeva di sentirlo accelerare in modo incontrollato o
affievolirsi fino a tacere.
Reclinò
la testa sullo schienale, ma ancora non riusciva ad abbandonarsi al
sonno con serenità. Frammenti acuminati della loro
discussione
continuavano a punzecchiarla, ognuno simile alla scheggia di uno
specchio che rifletteva tutto ciò che avrebbe voluto dire e
che
invece aveva taciuto.
Lasciò la mano sul cuore di Tony e chiuse
gli occhi, ma rimase sveglia nel buio.
***
10 Gennaio, Villa Stark, due ore prima
«Raccogliere i cocci?»
ripeté stolidamente Tony, con voce così roca e
profonda da essere
irriconoscibile.
Sciolse l'abbraccio per
poterla guardare in volto, ma rimasero vicini, ancora appoggiati l'uno
all'altra.
«Era quello che volevi
fare, no?» replicò Pepper, con una sicurezza che
non rispecchiava
assolutamente il tumulto che stava avendo luogo nella sua testa e nel
suo corpo.
Ma era un tumulto ancora
lontano e soffuso: lo percepiva come un tenue sferragliare di
pensieri sgradevoli in sottofondo, che ancora non riusciva ad isolare
e mettere a fuoco uno per uno, se non i più importanti:
"Tony
ha pianto. Tony mi ha mentito. Tony sta morendo."
Tre concetti di per sé
semplici, eppure inafferrabili. Si fondevano e avvitavano tra loro
formando un'unica spirale confusa in cui si sentiva risucchiare,
rendendola incapace di puntare la bussola delle sue emozioni in una
direzione precisa. Cercò lo sguardo di
Tony, trovandolo altrettanto spaesato, e si chiese se non fosse un
bene per entrambi sentirsi così apatica e incapace di
reagire.
Scorse una lacrima
tardiva sfuggire alle sue ciglia e attraversare lentamente la sua
guancia, andando a impigliarsi nel pizzetto. La rassegnazione con cui
non provò neanche a trattenerla, asciugarla o nasconderla le
causò
una lieve stretta al petto, nel realizzare di stare finalmente
guardando Tony privo di qualsiasi difesa o barriera. Non stava
tentando di mettersi al riparo, né di fingere che andasse
tutto
bene: era completamente esposto a lei, in un campo aperto dove sapeva
di poter essere ferito. Era l'atto di fiducia più cieca che
avesse
mai visto da parte sua, e lo stava donando a lei.
Lui si distanziò un
poco e lo vide deglutire con evidente sforzo, sfregandosi poi la gola
provata dai singhiozzi.
«Sei sicura?» esalò
infine.
«Ci stai ripensando?»
Tony abbassò lo
sguardo, puntandolo sulla protesi della gamba che teneva ripiegata
sotto di sé. Iniziò a seguire metodicamente le
linee del metallo,
come se questo potesse aiutarlo a trovare una risposta.
«Pensavo fossi
arrabbiata,» affermò invece, arrestando l'indice
sullo snodo del
ginocchio e prendendo a stuzzicare un bullone con l'unghia in modo
assente.
«Sono...
preoccupata,» lo corresse lei, nonostante quello fosse
decisamente
un eufemismo.
Sconvolta
e sull'orlo del pianto, con un enorme vuoto che si allargava nel suo
petto e la sensazione di precipitare da ore... quello avrebbe reso
meglio l'idea, ma non poteva lasciarsi andare proprio in quel
momento. Avrebbe avuto tempo per piangere e disperarsi e urlare fino
a perdere anche lei la voce, ma dopo. Doveva prima
capire cosa stesse succedendo, e non era sicura di poterci riuscire.
«Come sempre,» osservò
lui dopo una breve pausa, alzando un poco le sopracciglia con fare
colpevole.
«E
sono anche arrabbiata, per molte
più cose di quante
immagini.»
«Credo di poter fare
uno sforzo di fantasia,» replicò lui con quieta
amarezza.
«Adesso non importa
più,» mormorò lei di rimando, quasi tra
sé.
Tacque a lungo,
soverchiata dai suoi stessi pensieri e dalle immagini che
continuavano a proporle. Cosa importava, adesso?
«Non sei costretta a
rimanere.»
Tony spezzò di nuovo
quel silenzio, parlando in modo stranamente pacato per la situazione
in cui si trovava. Non sapeva dire se, come lei, non avesse ancora
registrato la reale portata di ciò che stava accadendo o se,
al
contrario, ne fosse ormai perfettamente consapevole e sapesse che
agitarsi ancora non avrebbe cambiato le cose. Lo fissò con
aria
stralunata, faticando a comprendere ciò che le stava dicendo
oltre
il rombo che murava le sue orecchie, ma ancora abbastanza presente a
se stessa per rispondere con prontezza senza lasciar trapelare il suo
stato d'animo. Temeva che quest'ultimo fosse comunque fin troppo
evidente dai suoi occhi liquidi e dalla sua voce traballante.
«Non mi sento affatto
costretta,» disse, sforzandosi di non vacillare.
«Perché credi che
voglia rimanere?» chiese poi, a bruciapelo.
«Probabilmente perché
ti faccio pena.»
Tony riprese a
concentrarsi sulla protesi, stavolta accigliato e con una ruga
contrariata a solcargli la fronte.
«Non mi fai pena,»
ribatté lei, sforzandosi di ignorare la stoccata che le
avevano
inflitto quelle parole.
«Ritenta,» sbuffò
lui, serrando improvvisamente i pugni come si stesse preparando a
fronteggiare un nemico.
«Non ti ho mai
compatito, perché dovrei farlo adesso?»
«La formula
"ex-supereroe mutilato e orbo con problemi di deambulazione e
sei mesi di vita" mi sembra un ottimo incentivo,»
replicò con
stizza, palesando il disgusto che gli suscitava ciascuna di quelle
definizioni.
«Compatire
ed
empatizzare
sono due concetti diversi.»
«... per dire la stessa
cosa.»
«Tony, adesso ti stai
impuntando.»
«Non mi sto...»
s'interruppe di colpo.
Tornò finalmente a
guardarla, distogliendosi dai ghirigori che aveva preso a tracciare
sull'arto metallico e dalle sue riflessioni altrettanto convolute.
«Ok, mi sto
impuntando,» cedette a malincuore. «Cerco... cerco
solo di
capire. Fa parte
del processo di riparazione... credo,» borbottò
con uno scatto
irrequieto del capo.
Era evidente come quella
situazione "priva di barriere" lo mettesse a disagio, ma
apprezzò il fatto che si stesse sforzando di non costruirne
altre.
«Quindi, perché vuoi
rimanere?» riprese, affondandosi una mano tra i capelli e
puntando
il gomito contro lo schienale del divano a sostenere la testa
appesantita, in un gesto che tradì la sua enorme stanchezza.
Sembrava quasi che
dovesse cadere addormentato da un momento all'altro, ma la luce acuta
del suo sguardo lasciava intuire l'intensa attenzione per ogni parola
che pronunciavano.
Pepper prese a torcersi le mani, odiandosi per
quel gesto che non riusciva a controllare. Qualunque risposta a
quella domanda sarebbe stata inadeguata o incompleta.
Una parte di lei
insisteva nel ricordarle che quello stesso uomo aveva cercato di
togliersi la vita meno di un anno prima, incurante di chi aveva
intorno, ma la mise a tacere con sorprendente facilità,
quando non
era mai riuscita a ignorarla del tutto nel corso di quei mesi. Aveva
sempre avuto il ragionevole sospetto che l'atteggiamento rilassato e
ottimista in cui l'aveva ritrovato fosse solo un'altra facciata
abilmente costruita, e che in realtà fosse ancora sul punto
di
cadere: la paura di poter entrare un giorno alla villa e trovarlo di
nuovo esanime e in fin di vita era tangibile e insistente,
così come
quella di non essere in grado di salvarlo, stavolta. Adesso
però era
emerso quel pezzo mancante che faceva crollare il suo castello di
supposizioni scettiche, facendola in verità vergognare della
sua
sfiducia: se Tony aveva saputo sin dall'inizio dell'intossicazione e
della
sua gravità – sentì una secca puntura
al cuore al solo sfiorare
quel pensiero – avrebbe potuto lasciarsi andare in qualsiasi
momento. Eppure l'aveva visto lavorare con equilibrio e
costanza
e tentare di riprendere la vita di prima accettandone i cambiamenti,
piuttosto che farsi logorare dai suoi progetti e negare quello che
gli era accaduto come lo aveva visto fare in precedenza.
Nell'ultimo mese le era
sembrato più cupo e oppresso da mille pensieri che aveva
erroneamente
ricondotto all'astio generale che provava per il periodo natalizio,
ma non l'aveva mai visto scivolare nell'apatia o essere di cattivo
umore per più di mezza giornata. Soprattutto, le aveva fatto
capire
spesso, più a gesti che a parole, quanto fosse realmente
contento
della sua presenza lì e quanto fosse determinato a rimettere
a posto
le cose con lei, oltre che col resto del mondo. In quei mesi erano
riusciti a riavvicinarsi un passo alla volta. Si rendeva conto che
i suoi erano stati piccoli e titubanti, mentre quelli di Tony le
sembravano giganteschi nella loro delicatezza, che fossero sotto
forma delle sue battute scanzonate, dei suoi sguardi più che
significativi, di un regalo di Natale inatteso, del suo evitarle di
scendere in laboratorio o di una chiave che aveva deciso di
affidarle. Persino poco prima, anche se con immenso ritardo,
riluttanza e col peso di troppe bugie, aveva provato a farsi avanti
lui di sua volontà, senza aspettare di essere smascherato.
Pepper incontrò la sua
unica iride e non trovò lo sguardo di un uomo che vuole
morire, ma
un'eco lontana di quello che gli aveva visto al ritorno
dall'Afghanistan. Forse più colmo di mestizia e stanchezza,
provato
dal pianto, ma egualmente vivo. Era lo sguardo di
qualcuno che
non vuole tirarsi indietro, che sa quello che deve fare e sa, in cuor
suo, che è giusto. Lo stesso di quella volta, due anni
prima, quando
lei aveva acconsentito a rimanergli accanto per ciò in cui
credeva
perché, in fondo, voleva crederci anche lei.
«Perché penso ancora
che ne valga la pena,» rispose, con voce bassa ma ferma.
"E anch'io ho solo
te," questo riuscì solo a pensarlo, come quella volta
sull'Helicarrier; temeva che dirlo avrebbe spezzato quel fragile filo
che le stava ancora permettendo di non crollare.
Tony si limitò a
fissarla assorto, senza proferir parola. Il suo volto esausto non
lasciò emergere alcuna reazione se non un lieve fremito
delle sue
labbra, come se fosse stato sul punto di dire qualcosa per poi
ripensarci.
«Vuol dire che
adesso mi sono impegnato abbastanza?» chiese, con
un piccolo
sorriso a tradire quanto in realtà gli avessero fatto
piacere quelle
parole. «È ironico,» commentò
mestamente, prima che lei potesse
rispondere.
«È ingiusto,» ribatté
d'istinto lei, e stavolta la sua voce tremò in modo
innegabile.
«Potremmo passare tutta
la notte a discutere di quanto sia giusto o meno, e non cambierebbe
comunque nulla,» osservò lui quasi distratto,
portandosi una mano
al reattore senza neanche preoccuparsi di nasconderlo.
Pepper non poté fare
altro che tacere, sentendo ogni fibra di sé tendersi e
contrarsi
dolorosamente nel riconoscere la verità di
quell'affermazione.
«Davvero non c'è una
soluzione?» si trovò a chiedere flebilmente,
sentendosi una bambina
in cerca di rassicurazioni, e di nuovo il suo sguardo si
appannò.
«Non riesco a
trovarla.» Scosse piano la testa, come se non riuscisse
ancora
ad accettare pienamente la sconfitta del suo ingegno. «Ho
provato
tutto, ormai. Ho persino cercato nello studio di mio padre, ma
è
stato un altro buco nell'acqua. Non so più che
fare,» ammise con
sincerità, guardandola smarrito.
«Non puoi
arrenderti così,» proruppe lei, con improvvisa
veemenza.
Tony inclinò appena il
capo, scrutandola con lieve sorpresa. Lei non si ritrasse al suo
sguardo: non le importava di suonare implorante, ma vederlo
così
rassegnato la lacerava e voleva convincersi che spronarlo potesse
fare la differenza.
«Non ho il diritto
di
arrendermi,» asserì sibillino. «Ma non
posso neanche sprecare il
resto dei miei giorni a cercare una soluzione inesistente,»
continuò, con cauta lentezza. «Preferirei
impiegarli in qualcosa di
più utile,» finì, con un'alzata di
spalle.
«La Expo?» indovinò
subito Pepper, fissandolo in cerca di conferma.
"Ecco perché
voleva allestirla entro sei mesi..." realizzò poi,
sentendosi
raggelare.
«Anche,» annuì lui,
incerto. «Ho vari progetti in cantiere... e sto ancora
abbastanza
bene.
Ho all'incirca tre mesi prima che la mia... condizione
inizi a
diventare ingestibile. Vorrei sfruttarli al meglio. Non vuol dire
che smetterò di lavorare al problema del palladio,
ma...» si bloccò
con improvvisa reticenza, un attimo prima che la sua voce si
sfaldasse, e si passò una mano tra i capelli scomposti.
Inspirò a fondo,
recuperando il controllo senza smettere di guardarla negli occhi.
«Ho bisogno di
fare qualcosa di concreto.» Tagliò l'aria col
palmo a sottolineare
quel concetto e a scandire anche le sue successive parole.
«La Expo,
Iron
Man, le protesi, i lavori per K e lo SHIELD... qualunque
cosa. Altrimenti impazzisco,» concluse in un mormorio,
afferrando
poi con forza il polso della protesi fino a sbiancarsi le nocche.
La sua pupilla si era
dilatata, enorme e smarrita nel buio, e Pepper colse distintamente la
paura che vi si annidava. Posò una mano sulla sua,
avvertendone il
tremito contratto, e la insinuò poi tra il suo palmo e il
metallo per
allentare quella morsa. Sperò che quel semplice gesto
riportasse un
po' di serenità sul suo volto teso, cancellando i segni di
quell'angoscia sommersa che aveva lasciato trapelare fugacemente. Lui
oppose resistenza, per poi sciogliere la propria stretta serrata e
accettare quella più gentile della sua mano.
«Chi altro lo sa?» si
decise a chiedergli Pepper, con un pizzico di timore.
«Solo tu, è ovvio,»
fugò ogni suo dubbio Tony. «Il Doc sa
dell'intossicazione, ma non mi
visita da mesi e crede che sia sotto controllo. A quest'ora
avrà
fatto due più due, ma... non ne abbiamo mai parlato in modo
esplicito.
Forse K ha intuito più del dovuto, ma non credo ne immagini
la
gravità,» aggiunse, adesso con aria preoccupata.
«Non lo sa nessun
altro,» ribadì.
A quel punto rialzò di
scatto la testa, estremamente accigliato e con una viva nota di
apprensione nello sguardo.
«E deve
rimanere così,»
asserì con veemenza, aumentando di riflesso la stretta sulla
sua
mano.
Pepper sospirò appena:
se l'era aspettato, ma poteva immaginare che le sue motivazioni
andassero oltre il semplice orgoglio, e per una volta concordava con
le sue manie di segretezza, almeno per il momento. Tony mal
interpretò la sua reazione e prese ad agitarsi, sfuggendo di
scatto
la sua mano e riportandola alla protesi, in cerca di un altro
appiglio sicuro. Iniziò a parlare in modo concitato:
«Sono serio. È
importante. Se lo SHIELD lo scopre sarò di nuovo tagliato
fuori dal Progetto Vendicatori e io
ho lavorato troppo per...»
«Tony, calmati, io
non...»
«... a loro importa
solo di Iron Man, se lo scoprono vorranno solo sbarazzarsi di me
e...» continuò lui imperterrito, ora quasi senza
fiato.
«...pensi veramente
che andrei a dirlo allo SHIELD o a chiunque altro, se tu non
vuoi?» lo interruppe infine, alzando un poco la voce.
Lo trapassò con lo
sguardo, sentendosi un po' ferita da quella sua sfiducia, a dispetto
delle circostanze che avrebbero dovuto farla soprassedere su un
dettaglio del genere.
Lui rimase interdetto per qualche secondo,
boccheggiando in cerca d'aria e di una replica adeguata, per poi
ammutolire. Si mosse in cerca di una
posizione più comoda sul divano, in modo così
rigido che poteva vedere i
muscoli del suo collo in tensione, quasi fossero sul punto di
spezzarsi assieme alla mascella serrata. Era impallidito, tanto
che la cicatrice sul volto pareva risaltare più del solito;
un velo di
sudore era apparso sulla sua pelle cerea, nonostante la temperatura
tutt'altro che calda. Finì per risistemarsi nella posizione
di
partenza, fremendo appena.
«Non posso rendere
inutile tutto
ciò che ho fatto finora,»
confessò in fretta, quasi
mangiandosi le parole, e dal suo tono fu evidente che non parlasse
solo dello SHIELD. «Non posso vanificare tutto e... e sprecare
la mia vita e buttare al vento il mio retaggio e... e adesso ho
così
poco tempo da... non posso,»
farfugliò smarrito, guardandosi
intorno come se fosse in trappola.
«Non succederà. Cerca
di fidarti almeno di me, ti prego,» lo
tranquillizzò lei,
rendendosi conto solo ora che Tony pareva non sentirla più e
continuava a gettare occhiate spaurite attorno a sé, nel
buio del
salotto, come in cerca di una via di fuga o di una minaccia
incombente acquattata nell'ombra.
Ciò che aveva appena
detto l'aveva scosso più di quanto volesse mostrare:
improvvisamente
parve che il divano gli andasse troppo stretto e che volesse scattare
in piedi da un momento all'altro. Si aprì la zip della
felpa,
allargandosi il colletto come se si sentisse soffocare, e prese a
respirare rapidamente e in modo discontinuo, con la palpebra serrata.
Come quella volta sull'Helicarrier. Pepper si sentì mancare
quasi
quanto lui e gli posò con timore una mano sul braccio,
sentendo il bicipite contratto in modo quasi doloroso. Il suo pugno era
chiuso in una
morsa che non riuscì ad allentare in nessun modo.
«Tony?»
cercò di riscuoterlo, sentendo la paura che prendeva a
pulsarle
nello stomaco, risalendole come una scossa lungo gli arti.
«Sto bene, è solo...»
riuscì a balbettare lui con voce più acuta del
normale, tra un
respiro sempre più affannato e l'altro.
Serrò di scatto
entrambe le mani attorno al reattore, raggomitolandosi su se stesso e
sfuggendo alla sua presa.
«Tony! Tony, guardami.»
Cercò di intercettare il suo sguardo e gli sfiorò
appena una
guancia. A quel contatto lui si
ritrasse di colpo come se si fosse scottato; tentò di
alzarsi
precipitosamente in piedi, ma crollò di nuovo sul divano
tenendosi
la gamba meccanica con un singulto sofferente. Pepper
incrociò per
un istante il suo occhio e vi lesse puro terrore e smarrimento, tanto
che rimase paralizzata lei stessa sul posto, mentre Tony si chiudeva
di nuovo a riccio, adesso rantolando.
Cosa doveva fare? Non
sapeva dire per quale motivo si stesse sentendo male – era un
attacco di panico? Un infarto? Il palladio? – e saperlo non
l'avrebbe comunque aiutata a fare qualcosa. Per un attimo si
sentì
trascinare a nove mesi prima, nel laboratorio, e lo rivide davanti a
sé riverso a terra, pallido come adesso e immobile...
Si costrinse a
riscuotersi quasi con rabbia. Si impose di rimanere ancorata al
presente: era lì e ora
che Tony aveva bisogno di lei,
e se l'aveva salvato una volta poteva farlo una seconda, si
ripeté,
mettendo a tacere le acute voci di panico che continuavano ad
emergere come aghi nella sua testa. Si accostò di nuovo a
lui, stavolta con più lentezza, nonostante si sentisse
fremere per
l'angoscia. Adesso le voltava le spalle, col capo stretto tra le
braccia, la fronte sulle ginocchia e le mani
intrecciate sulla nuca a stringersi i capelli e coprirsi le orecchie,
accartocciato su se
stesso nel tentativo di vincere l'iperventilazione. Non era del tutto
certa che fosse cosciente di ciò che accadeva attorno a lui.
«Tony?» lo chiamò
ancora, non osando toccarlo di nuovo.
«Oddio... sto cadendo,»
gemette lui appena comprensibile, e il suo respiro spezzato si
arrestò con un singulto, come se qualcosa lo stesse
soffocando.
«Non stai cadendo, sei
qui. Va tutto bene,» sussurrò nel tono
più rassicurante che le
riuscì, ma allarmata dalla sua apnea.
«Respira.»
«Non
ci riesco!» rantolò lui, senza sollevare il volto.
«Sto
cadendo...» ripeté flebilmente, con voce rotta e
nauseata, e si
contrasse ancor di più come per frenare quella caduta
immaginaria,
espirando quasi in un colpo di tosse per la carenza d'aria.
«... Pepper?» la
chiamò strozzato, in un uggiolio impotente.
«Sono qui,» rispose
subito lei.
Solo a quel punto si
arrischiò a posargli una mano sulla schiena, trovandola
scossa da
violenti brividi e sussulti mentre tentava ancora, inutilmente, di
prendere fiato. Lo sentì sobbalzare a quel contatto, ma
stavolta non
si ritrasse. Esitò per un breve istante, senza la minima
idea di
cosa fare, poi si lasciò guidare dall'istinto, sperando solo
di non
peggiorare le cose: si appoggiò appena alla sua schiena,
percependo
chiaramente i tremiti che la squassavano e il suo cuore che batteva
come un tamburo fuori tempo contro le coste. Prese come un buon segno
il fatto che non si fosse sottratto.
«Tony, sono qui.
Respira con me,» lo rassicurò, e
inspirò profondamente,
cingendogli il torace e cercando di trasmettergli quel movimento.
Lui non rispose, ma lo
sentì cercare di inspirare con lei; fu troncato a
metà e ripiombò
nell'affanno, ma si sforzò di recuperare e dopo un paio di
tentativi
riuscì a prendere il primo respiro completo.
Stentò il secondo,
faticando a seguire il suo ritmo, così lei
rallentò appena
permettendogli di adeguarsi e ritrovare il controllo, parlandogli di
tanto in tanto all'orecchio con voce pacata per calmarlo.
«Va tutto bene. Sono
qui. Respira,» continuò a sussurrargli, in una
nenia che sembrava
riuscire a far breccia nella cortina di cieco panico che
l'aveva avvolto.
Perseverò, anche se
iniziava a sentirsi la testa leggera per il troppo ossigeno,
percependo che Tony respirava e si rilassava a poco a poco, pur
rimanendo
rannicchiato come a proteggersi da un pericolo imminente. Solo dopo
molti minuti
lo vide infine schiudere la debole difesa delle sue braccia e
sollevare la testa, col respiro flebile ma più regolare.
Rimase
poggiata alla sua schiena anche quando si raddrizzò senza
osare muoversi per paura di turbare quell'equilibrio appena
ritrovato.
Fu lui a rompere quel
contatto per primo, voltandosi verso di lei solo per cercarla di
nuovo e poggiare la fronte sulla sua spalla, celando il proprio
sguardo. Lo accolse tremando di sollievo e lo strinse a sé
con più
impeto di quanto intendesse. Lui rimase inerte, completamente
abbandonato contro di lei se non per la mano meccanica che era andata
di nuovo a stringere il reattore. L'altra si era posata sul suo
fianco stringendo appena la stoffa del tailleur, in una ricerca di
contatto quasi inconsapevole.
«Mi dispiace,» lo sentì
bisbigliare, con voce svuotata di qualunque energia.
«Non lo dire neanche
per scherzo,» lo rimbrottò lei con fermezza.
«Come stai adesso?»
continuò subito, prima che potesse replicare.
Tony tacque per molti
secondi, come se stesse riflettendo su quella domanda. Solo quando il
silenzio si fece eccessivamente lungo Pepper capì che si era
assopito senza neanche rendersene conto. Gli scostò i
capelli dalla
fronte bollente, e una parte della sua tensione si dissipò
nel
sentire il suo respiro di nuovo regolare che le intiepidiva la
spalla.
Si chiese se adesso si
fosse infine guadagnata il diritto di piangere, ma si
ritrovò con
gli occhi completamente asciutti.
***
11 Gennaio, Villa Stark, 01:00
Si
svegliò cadendo.
Aprì
con cautela l'occhio, incontrando la penombra del salone e
realizzando di essere sdraiato supino sul divano e non per terra come
aveva temuto. Cercò di scacciare le vertigini e i milioni di
puntini
che danzavano nella sua visuale come moscerini impazziti. La testa
non gli aveva mai fatto così male come in quel momento,
neanche dopo
la peggiore delle sbronze, e desiderò solo di potersi
riaddormentare, cosa che i mille chiodi conficcati nel suo cervello e
la nausea avrebbero sicuramente reso molto difficile.
Realizzò
dopo qualche istante di essere solo: aveva un cuscino sotto la testa
e un plaid rimboccato addosso, ma di Pepper non c'era traccia.
Maledisse il suo sonno insolitamente profondo per non essersene reso
conto. Probabilmente era tornata a casa. O forse dormiva nella stanza
degli ospiti. Volle credere a quell'ultima ipotesi, che
trovò
conferma quando scorse i suoi tacchi abbandonati per terra. D'altra
parte, dubitava che l'avrebbe mai lasciato da solo dopo quanto era
successo. Che cose fosse successo, di preciso, faticava a spiegarselo
lui stesso.
Si
portò una mano al petto, tracciando sovrappensiero la sagoma
del
reattore. Sentiva ancora un tangibile nodo d'ansia alla bocca dello
stomaco, pronto a stringersi e trasformarsi in qualcosa di peggiore.
Non avrebbe saputo dire cosa l'avesse fatto precipitare in quel
baratro di panico irrazionale e incontrollabile. Forse il terrore di
essere di nuovo messo da parte dopo tutti i suoi sforzi, forse la
semplice, umana paura di morire che era infine scattata dentro di
lui con potenza ancestrale, forse la debolezza causata dalle prime,
vere lacrime in quasi
vent'anni.
Si
era sentito come se si stesse dondolando su una sedia, immerso nei
propri pensieri cupi, ma tutto sommato rilassato. Poi si era spinto
audacemente un po' troppo indietro, quel tanto che bastava per
turbare il suo precario equilibrio, con un vuoto allo stomaco e la
sensazione di caduta imminente e inevitabile. Era rimasto bloccato in
quell'istante
di paura, prolungato all'infinito. E non c'era una sedia da rimettere
a posto per porvi fine, non c'era neanche un pavimento su cui
schiantarsi. Solo il vuoto, buio e profondo, un rombo nelle orecchie
e un'incudine bollente nel petto; poi una forza brutale l'aveva
cacciato fuori dal suo stesso corpo, sottraendogli il comando e
costringendolo a guardare dall'esterno mentre cadeva per minuti
interi, senza fiato, come se un'arma l'avesse arpionato alle viscere
trascinandolo senza preavviso verso il basso. Si
portò una mano all'addome, quasi aspettandosi di trovarvi
conficcato
qualcosa, ma avvertì solo uno spiacevole formicolio che
andava a
fomentare la sua nausea.
Non
riusciva a immaginare cosa sarebbe potuto accadere se non ci fosse
stata Pepper con lui. E non aveva intenzione di provare a farlo. Era
lì
con lui e non se ne sarebbe andata, almeno per ora.
Si
tirò su a sedere, mettendo a tacere le proteste del suo
corpo
indolenzito e recalcitrante. Si tastò cautamente i punti di
sutura
delle protesi, trovandoli innaturalmente caldi e dolenti come non lo
erano da mesi. Aveva urgente bisogno dei suoi antidolorifici, magari
anche di un bagno caldo, poi avrebbe dormito per un mese.
Recuperò a
tentoni il bastone caduto per terra e si issò in piedi con
un
mugolio, sentendosi più malfermo del solito sulle gambe, ma
abbastanza in forze per raggiungere il bagno.
Ne
uscì mezz'ora dopo, più rilassato, meno dolorante
e con un senso di torpore indotto dall'acqua calda e dagli
analgesici. Si
frizionò i
capelli ancora tiepidi e umidi, sentendosi rimesso al mondo. Si era
liberato della felpa a collo alto che aveva ormai esaurito la sua
funzione, optando per una semplice t-shirt nera che lasciava
intravedere qualche vena intossicata attorno alle clavicole. Persino
il fatto di poter indossare ciò che voleva senza
preoccupazioni lo
faceva sentire un po' meno teso.
Stava
per avviarsi in camera sua, già mezzo addormentato, quando
si bloccò
con un sospiro: doveva prima bere la sua inutile clorofilla. Al solo
pensiero sentì i primi scampoli di sonno ritrarsi di scatto,
e quella
che riuscì ad associare solo a una secca, inattesa puntura
sulla
nuca che mandò una scossa lungo la sua spina dorsale
risvegliando i suoi sensi intorpiditi. Fece
dietrofront, barcollando verso la cucina, e solo allora notò
che la
luce era accesa. Temporeggiò in corridoio, chiedendosi se
fosse il
caso di entrare, infine si spronò a non esitare: Pepper
l'aveva
sicuramente sentito avvicinarsi grazie all'inconfondibile rumore
della sua protesi combinato al ticchettio del bastone sul pavimento,
quindi tanto valeva non fare la figura del vigliacco. E poi non
poteva permettersi di rinunciare neanche a una goccia di clorofilla.
Varcò
la soglia con decisione, accompagnato dal secco clonk
del
piede metallico, e subito desiderò d'aver fatto
più piano: Pepper
era seduta al tavolino, profondamente addormentata con la testa sulle
braccia incrociate; accanto a lei giaceva un tazza di tè
mezza vuota
e ormai fredda. Si
avvicinò di un passo, in punta di piedi per quanto possibile
e cercando di poggiare delicatamente la protesi per non svegliarla,
diretto al piano cucina alle sue spalle dove aveva individuato una
borraccia di clorofilla. Arrivato accanto a lei non poté
fare a meno
di guardarla, suo malgrado incuriosito.
Di
rado gli era capitato di vederla dormire o anche solo riposarsi.
L'immagine costante che aveva di lei era quella di una donna
energica, sempre impeccabile e composta e apparentemente
instancabile. Sorrise appena quando notò che come pigiama
improvvisato gli aveva sottratto una vecchia maglietta dei Clash
che le stava tre volte più grande e un paio di pantaloncini
che le
arrivavano comunque sotto il ginocchio. I capelli ramati erano
sciolti e sparsi sulle spalle, con ancora una leggera piega ondulata
per via della solita coda alta.
Era
strano coglierla al di fuori del suo ruolo professionale e la cosa
suscitava in lui un insolito sollievo. Era una sensazione che non
riusciva del tutto a collocare; sapeva solo che vederla per un
momento non preoccupata per lui o impegnata in qualcosa che lo
riguardava lo faceva sentire meglio. In
quel sollievo s'insinuò anche una bruciante colpevolezza nel
notare
i suoi occhi gonfi e le guance rigate di sale, ancora leggermente
umide. Represse la tentazione di avvicinarsi a lei per timore di
svegliarla, e anche di ciò che avrebbe potuto fare lui
stesso, oltre
che della reazione di lei. Si guardò istintivamente la mano
metallica,
fissando poi il suo braccio poco sopra il gomito, come aspettandosi
di trovarvi ancora impressa un'orma rossa e rovente. Non riusciva ancora a capacitarsi di come avesse
potuto stringerlo a sé con così tanta
naturalezza. Distolse lo
sguardo con un rinnovato senso di vertigine e nausea che stavolta non
aveva nulla a che fare col palladio.
Raggiunse infine la sua mèta e
si attaccò di malavoglia alla borraccia, accogliendo con
disgusto
quel sapore che detestava, ma si forzò a ingollare senza
pause
l'intero litro di clorofilla.
"Come
se servisse a qualcosa..." pensò tetramente mentre posava la
borraccia sul bancone, reprimendo un moto di stizza per non far
rumore.
Pepper
continuava a dormire beatamente e ne udiva il respiro rallentato e
profondo: doveva essere esausta, la capiva fin troppo bene. Sarebbe
dovuto uscire, spegnere la luce e lasciarla riposare, ma
esitò e
rimase poggiato al bancone della cucina, fissando intentamente la sua
schiena snella incurvata sul tavolo. Il collo era piegato di lato in
un'angolazione rigida e aveva una guancia poggiata per metà
sulle
mani e per metà sul piano di vetro leggermente appannato. Si
era
addormentato in quella posizione abbastanza spesso per sapere che si
sarebbe svegliata con un torcicollo devastante e tremendi crampi alle
spalle; lui almeno ci aveva ormai fatto l'abitudine. Si
sfregò il
pizzetto colto dall'indecisione, che durò ben poco, visto
che i suoi
piedi zoppicanti lo avevano già portato al fianco della
donna di
loro volontà.
Si
chinò appena su di lei, ancora molto restio
a toccarla, a maggior ragione se lei ne era inconsapevole.
«Pepper?»
la chiamò a bassa voce. «Pepper?»
tentò di nuovo, più
forte ma senza risultati evidenti.
Sospirò: dimenticava
che, quelle poche volte che dormiva, era come se cadesse in letargo.
«Pep?» stavolta si
accostò al suo orecchio e ottenne un mugolio di risposta
quando si
forzò infine a posarle la mano sana sulla spalla,
riscuotendola
gentilmente dal suo torpore.
Lei sollevò appena la
testa, schiudendo a fatica le palpebre e mettendo a fuoco il suo
volto con lieve sorpresa.
«Signorina Potts, sono
io quello
che si addormenta in posti improbabili: le sue sono solo
squallide imitazioni,» la prese in giro con dolcezza,
rivolgendole
un tenue sorriso.
«Tony?» articolò lei,
raddrizzandosi del tutto con sguardo più vigile.
«Va tutto bene?»
chiese poi, allarmata, sebbene ancora intontita dal sonno.
«Sto bene. Davvero,»
si affrettò a rassicurarla, evitando i sottintesi di quella
domanda. «Lei, piuttosto, stava rischiando di
svegliarsi con la schiena e il collo a pezzi, ma l'ho salvata in
tempo, da bravo super-eroe,» proseguì, mantenendo
la conversazione su un tono leggero.
Si era scostato un poco,
ma rimase accanto a lei, con la mano ancora posata sulla sua spalla
in un contatto appena accennato che era incerto se rompere o meno.
Rimase
attento a captare il minimo segno di fastidio o disagio da parte sua.
«Grazie,» mormorò
Pepper, inclinando con una smorfia il collo indolenzito e
stropicciandosi gli occhi
arrossati
senza curarsi di nasconderli. «Non mi ero neanche accorta di
essermi
addormentata,» aggiunse, a giustificarsi.
«Sì, di solito il
sonno funziona così,» la canzonò lui,
strappandole a sua volta un
lieve sorriso. «Mi creda, sono un esperto del
settore.»
Nel parlare
si accigliò appena notando che gli occhi di Pepper si erano
fatti
liquidi, probabilmente in modo inconsapevole e slegato da
ciò che
le stava dicendo. Fece finta di niente e
rilassò di nuovo il volto.
«Non dovrebbe dormire
anche lei?» gli fece notare Pepper, in un richiamo bonario.
«La mia insonnia è
giustificata e inevitabile,» rispose lui, scivolando senza
volerlo
in un tono più cupo.
Pepper esitò, e lui ebbe
l'impressione che la sua aria composta potesse sfaldarsi al primo
soffio di vento.
«Anche la mia,»
ribatté infine, fissando le vene più scure che
sbucavano dal suo
colletto.
«Ha anche lei del
palladio nel sangue?» gli sfuggì, in modo troppo
ambiguo per far
capire se fosse una battuta o un rimprovero, e non sapendo lui stesso
come volesse intendere quelle parole.
Pepper cercò il suo
sguardo con occhi improvvisamente addolorati e lui sospirò,
staccando la mano dalla sua spalla per portarsela alla nuca in un
gesto stanco.
«Questa era pessima,»
ammise, contrito.
«Vorrei riuscire a
scherzarci su anch'io,» alzò le spalle lei, senza
risentirsi, ma
distolse lo sguardo.
Tony indugiò sul posto,
poi si sedette sul bordo del tavolo di fronte a lei per alleviare la
pressione sul moncherino.
«Andrà tutto bene,»
si trovò a mormorarle, forse rivolto più a se
stesso che a lei.
Soppresse l'impulso di
accarezzarle il volto e tenne le mani raccolte in grembo, strette
l'una all'altra a frenarsi da gesti che non era neanche certo di
volere o poter compiere. Pepper alzò lo sguardo
a incontrare il suo, ovviamente non persuasa da quelle parole banali
e artefatte. Tony si chiese da quando le sue iridi fossero diventate
di un azzurro più profondo e se avessero sempre avuto tutte
quelle
sfaccettature. Forse era per via dei suoi occhi ancora lucidi.
«Non ci crede neanche
lei,» replicò stancamente, cercando
però di riflesso la sua mano.
Tony la avvolse
d'istinto tra le sue, per poi realizzare ciò che aveva fatto
e
rimanere paralizzato, lottando contro l'impulso di sottrarre quella
artificiale. Rimase sorpreso quando lei non si ritrasse al contatto col
metallo e, anzi, gli strinse il pollice
meccanico con una naturalezza che lo lasciò confuso.
«Per ora no, ma ci sto
lavorando,» affermò schietto, con una debole
alzata di spalle. «C'è
sempre una via d'uscita. Devo solo trovarla o inventarla,
no?»
aggiunse poi, con più convinzione di quanta ne provasse.
A quello Pepper non
rispose, ma avvertì la stretta della sua mano farsi
più salda tra
le sue e sperò di essere riuscito a rassicurarla almeno un
po'. Rimasero in silenzio per
qualche minuto senza avvertirne il peso, accogliendolo come un
balsamo dopo così tante ore colme di apprensione e
negatività,
rinfrancati l'uno dalla presenza dell'altro.
Dopo un po', Tony si
accorse che Pepper iniziava a faticare nel tenere gli occhi aperti,
così si scostò dal tavolino e le
strizzò appena la mano per
riscuoterla.
«Signorina
Potts, va a letto da sola o devo portarcela io?»
la stuzzicò con un sorrisino malizioso ripescato
chissà
dove.
«Credo
di potermela cavare da sola,»
ribatté pronta lei, accogliendo quel tono spensierato come
una
boccata d'ossigeno.
«Peccato,»
commentò lui, mettendo su il suo impeccabile broncio unito
alla
collaudata espressione da cane bastonato.
Pepper
scosse la testa in un finto gesto di esasperazione e si alzò
dal
tavolo, coi movimenti rallentati e cauti che tradivano la sua
stanchezza, ma gli rivolse un piccolo sorriso mentre s'impegnava meno
del solito a ignorare le sue moine. Tony la sorresse d'istinto nel
vederla un po' instabile e quasi gli venne da ridere per la
situazione surreale in cui lui, quello con evidenti problemi motori,
aiutava lei. Pepper
uscì dalla cucina, coi piedi nudi che si posavano silenziosi
sul
marmo e i lembi di quei vestiti troppo larghi per lei che
ondeggiavano appena attorno alla sua figura esile e aggraziata. La
fissò quasi ipnotizzato. Avrebbe potuto avere addosso uno
straccio
di ultima mano e saperlo calzare con la stessa eleganza di un vestito
di Chanel. Si
trovò a seguire i suoi passi senza rendersene conto, spinto
da un
impulso che non era sicuro di dover assecondare. Lei non
obiettò, se
non quando furono ai piedi delle scale.
«Mi
sta facendo da scorta?»
osservò, in una domanda scherzosa che però ne
tradiva una più
seria, unita a un tenue rimprovero.
«Devo
tenerla d'occhio, in caso decida di sgattaiolare in ufficio per
lavorare,»
alzò le spalle lui, salendo al suo fianco i gradini
e tentando di
sfoggiare disinvoltura mentre si impegnava a non terminare la serata
ruzzolando giù e perdendo la poca dignità
superstite.
Pepper gli scoccò
un'occhiata divertita da sopra una spalla, rallentando appena per
permettergli di arrivarle accanto.
«Da
che pulpito...»
«...
il migliore,»
terminò lui, con un mezzo ghigno.
Arrivò
infine in cima alla rampa affaticato e con una fitta intercostale, ma
integro. La accompagnò fino
alla porta della sua camera, iniziando a farsi un po' più
cupo ad
ogni passo, e si fermò a una distanza superiore al
necessario,
esitando.
«Allora
io andrei a...»
Pepper
s'interruppe, notando lo sguardo grave che le stava rivolgendo e il
modo nervoso in cui spostava il peso da un piede all'altro,
ticchettando a terra col bastone. Si limitò a fissarlo
interrogativa, con un lieve imbarazzo che si palesò nel
rossore
affiorato al suo volto.
«Senti, lasciamo per un
attimo da parte le formalità, anche se in effetti sono molto
comode...» iniziò incerto lui.
Deglutì a vuoto,
trovandosi sotto il tiro dei suoi occhi chiari, fattisi di nuovo
penetranti e inquisitori.
«Forse è il caso di
parlare di nuovo delle nostre "esistenze
complicate".»
Scrutò la sua reazione, che fu un misto di sorpresa e
riluttanza: tamburellò brevemente
sullo stipite con le dita sottili, meditando sul da farsi.
«Pensavo volessi
dormire.»
«Non sai quanto, ma
stasera ho già dato il meglio di me. Ho pensato di chiudere
in
bellezza,» sospirò lui con debole ironia,
rivolgendole un sorriso
altrettanto fiacco. «Seriamente, è una faccenda
che
mi peserebbe
molto lasciare... in sospeso,» aggiunse a mo' di spiegazione,
per poi
abbassare di colpo lo sguardo, schiacciato dal reale significato di
ciò che aveva detto.
Si costrinse a prendere
un respiro profondo, sperando di non cadere di nuovo nell'affanno, ma
avvertì solo la costante costrizione al petto farsi un po'
più
marcata, come se anche la sua ansia fosse troppo stanca per provare
davvero ad assalirlo.
«Forse è meglio se ci
sediamo,» lo invitò lei, con un'occhiata alle sue
gambe sempre più
instabili, e in un solo movimento schiuse la porta varcando la soglia
per
prima.
Tony esitò una frazione
di secondo per poi entrare a sua volta, avvertendo le palpitazioni
del tutto illogiche del suo cuore mentre cercava di ignorare il fatto
di essere in camera di Pepper, con
Pepper e che
stavano per sedersi insieme sullo stesso
letto mentre
parlavano di... loro? Maledisse i propri
pensieri incontrollati. Non avevano altro su cui orientarsi? Per
esempio il palladio che lo stava uccidendo? A quel punto si
lasciò
sfuggire un involontario sospiro esausto, concludendo che le agitate
elucubrazioni riguardo al loro rapporto ambiguo erano comunque
più
piacevoli di quello.
Pepper accese
l'abat-jour mentre lui si lasciava cadere con ben poca leggerezza
sulla sponda del letto, soffocando un lamento: fare le scale non era
stata un'idea così saggia, nelle sue condizioni
già provate. Non
appena la donna si sedette accanto a lui captò un deciso
tuffo al
cuore e seppe che non aveva speranza di intavolare alcuna discussione
logica, con lei così vicino.
«Ti
dispiace se mi sdraio?» chiese
quindi, scostandosi un poco. «Non sono proprio in forma,
stasera,» si giustificò a
disagio, dandosi una pacca sulla gamba meccanica e sperando che la
vera causa della sua tensione non fosse così evidente.
Lei
alzò le spalle a significare che non era un problema e Tony
si
distese con sollievo, affondando la testa nel cuscino.
Realizzò
di aver commesso un errore quando riconobbe il profumo di Pepper
rimasto impresso sulla federa. Non poté fare a meno di
inspirarlo a
fondo, dandosi mentalmente dell'idiota mentre indulgeva in quel gesto
del tutto inappropriato. Lei si sistemò
seduta sull'altro posto,
poggiata contro la testiera e abbastanza vicina da poterla sfiorare
allungando una mano, se mai avesse voluto. La osservò di
sottecchi
mentre si raccoglieva i capelli in uno chignon morbido, e si costrinse
a distogliere lo sguardo da quei riflessi ramati, prima che
diventasse troppo vacuo.
«Quindi...»
esordì Pepper, schiarendosi un poco la voce e spostando
dietro
l'orecchio una ciocca ribelle sfuggita all'elastico.
«Sì...»
ribatté Tony, altrettanto a corto di inventiva su come
affrontare
l'ennesimo discorso complicato e per di più distratto da
quel gesto
e dall'orma del suo profumo.
Si
passò una mano sul volto e dissimulò un colpetto
di tosse,
esitando.
«Forse
conviene partire dalle basi,» ragionò infine
Pepper, traendolo
d'impaccio.
«Qualunque
cosa significhi, per me va bene,» concordò lui con
vigore,
accogliendo sollevato il fatto che fosse lei a parlare per prima.
«Ci
conosciamo da quasi dieci anni,» esordì lei a
mezza voce, come se
avesse timore di ciò che stava dicendo.
«Mi
sopporti da dieci anni.»
«Soprattutto.»
«Fa
parte del mestiere, no?»
«Di
solito ti sopporto volentieri.» Si bloccò,
diventando poi paonazza. «Di
solito.»
«Ormai
l'ha detto, signorina Potts. Verrà messo agli atti e usato
contro di
lei,» sogghignò Tony, sentendosi lusingato da
quell'ammissione,
sebbene un po' colpevole per quello che le aveva fatto "sopportare"
ultimamente.
Lei
gli rivolse un'occhiata storta, ma sembrava apprezzare il fatto che
stesse cercando di stemperare un po' l'imbarazzo con le sue solite
battutine sfacciate.
«In
dieci anni hai mai pensato di fare questo... tipo di
discorso?»
«Che
intendi?»
Ma
aveva già capito benissimo dove volesse andare a parare e,
se da un
lato la cosa lo feriva, dall'altro capiva come quello fosse un dubbio
ragionevole dal suo punto di vista.
«Se
non fossi in... in questa situazione, ne
parleresti?» confermò i
suoi sospetti lei, ancora a sguardo basso e torturando l'orlo del
lenzuolo.
Tony
sbuffò appena, pentendosi con tutto se stesso di essersi
andato a
cacciare in quella situazione senza uscita. E, per di più,
con
l'auto-imposta promessa di essere sincero.
«Diciamo
che fino a qualche tempo fa non ne avrei mai parlato in questi
termini. Ma non è un
capriccio dell'ultimo
minuto,» chiarì con fermezza.
«Ci sei... ci sei sempre
stata. Già in Afghanistan ho avuto modo di
riflettere su quali fossero le mie priorità, e ho capito...
hai
capito,» tergiversò, deglutendo con la gola secca.
«L'ho
capito anch'io mentre non c'eri,» lo sorprese
Pepper, in
un tono dolce che raramente le aveva sentito usare e che
accelerò i
suoi battiti. «Il punto è...»
«Il
punto è che sto morendo,» completò lui
con durezza, provando
l'improvviso e inspiegabile bisogno di dirottare il discorso su un
piano più crudo e realistico. «E questa
è una variabile che di
solito non si considera in nessuna... in nessun rapporto di qualsiasi
tipo,» si corresse in fretta esitando a classificare il loro
in termini netti, anche quello lavorativo era andato a farsi benedire
da tempo.
Pepper
giunse i palmi davanti al volto e poggiò i gomiti sulle
gambe
incrociate, come nel tentativo di assorbire quello che le aveva
detto.
«Che
casino,» riuscì a dire soltanto, in
tono così stanco da non sembrare quasi più lei.
«Non
mi sono mai piaciute le cose semplici,»
la rimbeccò lui, e Pepper sobbalzò a quelle
parole.
Tony
sprimacciò con un brusco gesto il cuscino, rifugiandosi poi
nel suo
odore rassicurante: iniziava a sentirsi frustrato e in gabbia,
mentre avrebbe solo voluto abbracciarla e stringerla a sé,
fregandosene di tutto il resto e di ciò che sarebbe arrivato
dopo.
Ma sarebbe stato solo l'ennesimo gesto egoista e impulsivo che
avrebbe poi rimpianto. Non poteva imporle tutto ciò. Non si
meritava qualcuno di così rotto, che
aveva rischiato di
rompere anche lei e che poi l'avrebbe lasciata sola.
«Senti,
vorrei solo capire cosa vuoi fare tu,»
sbottò infine, rendendosi conto con rassegnazione di come la
sua
voce fosse di nuovo instabile. «Ho
bisogno di avere almeno una certezza nella mia vita, oltre
a...» la
frase sfumò a metà, nel rendersi conto di quanto
sarebbe suonata
crudele. «Quello,» concluse con un nodo in gola,
pentendosi per
essersi lasciato andare.
«Possiamo
non decidere queste cose a tavolino?»
proruppe lei, innervosendosi a sua volta ed evidentemente
turbata dalle sue parole.
«Stiamo
solo analizzando i fatti.»
«Appunto.
Qui non stiamo parlando dei tuoi progetti o di un teorema.»
«In
realtà ci sarebbe l'equazione di Dirac che...»
«Ti
prego, non cominciare. Stiamo cercando di fare il punto della
situazione.»
«Beh,
siamo al punto in cui mi rubi i vestiti e...»
«È
un'emergenza, sai benissimo che...»
«...
credo rappresenti un traguardo importante, no? Insomma...»
«Tony,
non provare a sviare il discorso.»
«Beccato.»
Lui alzò appena le mani, chiedendosi come facesse a parlare
in modo
così leggero con quel peso sul petto che avrebbe dovuto
schiacciarlo, e trovando risposta nel sorriso appena intuibile che si
era disegnato sul volto di Pepper. Scosse
la testa, in un rimprovero a se stesso per quelle reazioni che
sfuggivano totalmente al suo controllo. Tornò serio e si
sforzò
davvero di non divagare ancora:
«Senti,
se anche vorrai andartene...»
«Ti
ho già detto che la mia risposta è no.»
Lui
tacque, di nuovo incredulo di fronte alla sua volontà di
rimanere.
«Trovare
altri lavori dev'essere veramente difficile al
giorno d'oggi,
signorina Potts,» commentò infine,
evitando il contatto visivo con lei.
«E
lei, signor Stark, è veramente
inopportuno.»
«Concordo,
ma potrei comportarmi molto peggio, vista la situazione,»
concluse, guardandola con un accenno della sua solita espressione da
discolo impertinente che inclinò verso l'alto le labbra
della donna.
La
vide accigliarsi subito dopo, scuotendo appena il capo.
«Tony,
so cosa vorrei fare... ma non è
così semplice.»
«Prova
a spiegarmelo. Anche non a parole, tanto abbiamo ancora tutta
la notte,» insinuò, tirando
di nuovo un sorrisetto e sperando di suscitarne un altro sul suo volto
per
allontanare di nuovo quella cappa opprimente che incombeva sui suoi
pensieri.
Lei
invece gli scoccò un'occhiata di blando rimprovero, per poi
farsi
seria. Così seria che il sorriso sul volto di Tony si
oscurò
all'istante, riconoscendo la durezza inequivocabile nei suoi occhi
limpidi.
«Mi
hai mentito,» dichiarò
infine lei. «E questo è
qualcosa che non posso ignorare, al contrario di
tutto il
resto. Posso perdonare le cucine distrutte, le sbronze, le risse, le
scappatelle disastrose, la tua arroganza e le tue risposte ingrate,
perché capisco
che almeno avevi dei motivi per comportarti
così,
per quanto discutibili,» disse tutto
d'un fiato, lasciandolo per un momento frastornato di fronte
all'enormità e al numero di errori che aveva commesso.
Tenne
lo sguardo fisso sul braccio che le aveva ferito, chiedendosi se non
avesse menzionato quell'episodio per una semplice dimenticanza o
consapevolmente e non riuscì a darsi risposta. Colse
però
l'occhiata fugace che rivolse al reattore. Forse avrebbe voluto
aggiungere anche quello alla lista di errori perdonabili. O forse era
lui a voler essere troppo ottimista.
«Mentirmi non ha giustificazioni,»
concluse lei, con durezza.
«So
di aver sbagliato,» replicò
quasi automaticamente lui: era così stanco di ripeterlo.
«Non
volevi dirmi di Iron Man, non mi hai detto di quanto stessi davvero
soffrendo dopo l'incidente, non mi hai detto dell'intossicazione fino
ad ora...»
Pepper si coprì la bocca con una mano,
fissandolo
corrucciata e con lo sguardo più addolorato che le avesse
mai visto,
e non ebbe bisogno di sentire il resto per rispondere, più
bruscamente di quanto intendesse:
«Non
ho più nulla da nasconderti.»
«Come
faccio ad esserne sicura?»
«Cosa
potrebbe esserci di più grave di questo?»
Si ritrovò ad alzare la voce e si allentò il
colletto in un gesto
quasi irato, scoprendo le vene intossicate, uniche vere colpevoli di
tutta quella
situazione. Vide
Pepper sobbalzare e ritrarsi a quella vista. Si pentì della
sua
reazione avventata e lasciò che la maglietta tornasse a
coprire quel
reticolo venefico, mantenendo però la mano posata sul
reattore.
«Sono
al capolinea, non avrebbe senso mentire ancora, soprattutto a
te,»
riprese, di nuovo pacato e in quel tono meccanico che non gli
apparteneva.
«E
io voglio crederti. Ma non posso ignorare il fatto che tu abbia mentito
a
tutti per un anno intero, su più questioni,
costantemente.»
«Non
sempre,» replicò lui
sottovoce, ma gli mancò il coraggio di continuare.
«Non
sto dicendo di non aver commesso errori io stessa,»
continuò lei, senza sentirlo. «Ho
sbagliato anch'io. Avrei dovuto ascoltarti davvero, capire che non
potevi stare bene e dirti che mi sentivo... che mi
sento
in colpa per quello che ti è successo, ma...»
«Ci
pensi ancora?» la interruppe lui, incupendosi.
Lei
si limitò a fissarlo senza parlare: il suo sguardo di nuovo
afflitto
rispose per lei e Tony avvertì una dolorosa stretta allo
stomaco.
Rimase a sua volta in silenzio, non sapendo come dissipare dai suoi
occhi quell'angoscia e quel rimorso ingiustificati, e finì
per
sfiorarle quasi inconsciamente il ginocchio, rompendo le barriere che
si era imposto in un tenue gesto di conforto a cui lei non si
sottrasse.
«Quando
abbiamo litigato, in laboratorio...»
esordì di colpo, inciampando però nelle sue
stesse parole.
Pepper
smise di torturare l'orlo del lenzuolo e lo guardò di
sottecchi.
Tony si arrischiò a continuare, esitante, rompendo il
contatto con
la sua pelle:
«È
stato mesi e mesi fa, magari neanche ti...»
«Mi
ricordo,» lo contraddisse
lei, stringendo di nuovo la stoffa tra le dita.
«Ok,
lasciamo da parte il "pre-doccia di caffè" e passiamo al
dopo,» disse in
fretta, sentendo di nuovo divampare la vergogna per il modo in ci
l'aveva trattata in quell'occasione. «Dopo
sono stato sincero.»
«E
poi hai ripreso a comportarti esattamente come
prima.»
«Non
intendevo quello. Insomma, hai ragione, ma non mi riferivo solo a
ciò che
ho detto,»
si interruppe, premendo le labbra e concludendo che quella era
davvero una pessima
idea, ma si costrinse a continuare: «Ero
sincero anche quando... anche in quello che stavo per...»
incespicò ancora, portandosi una mano al volto in un moto
di
frustrazione.
Rinunciò
a quella pantomima e sprofondò di nuovo nel silenzio,
mandando al
diavolo i chiarimenti. Che pensasse ciò che voleva: ormai
non aveva
comunque importanza, con un piede già nella fossa.
«Cosa
avresti voluto fare?» insistette lei
con sua sorpresa, dando perfettamente a intendere come conoscesse
già
la risposta a quella domanda, ma volesse sentirla con le sue
orecchie.
«Secondo
te cosa avrei voluto fare?» la
rimbeccò puntando lo sguardo altrove, all'altro capo della
stanza.
"Secondo
te cosa vorrei fare adesso?" pensò
invece, affondando la
testa nel cuscino e chiudendo l'occhio per impedirsi di vederla,
annegando però in quel profumo che
gli stava dando alla testa suggerendogli azioni sconsiderate.
Sapeva
che se in quel momento avesse incrociato i suoi occhi o guardato le
sue labbra o sfiorato la sua pelle avrebbe ceduto. Per l'ennesima
volta, si rammentò di dover essere migliore di
così.
Lei non era
una Everhart qualunque, non era una delle sue modelle o belle donne
in cui si era concesso di perdersi per anni senza rimpianti, non era
un desiderio passeggero che gli scaldava il basso ventre lasciandogli
freddi il cervello e gli occhi schermati da lenti scure, non era una
singola notte passata a cercare qualcosa in cui forse non aveva mai
creduto e che neanche si era mai aspettato di trovare. Qualcosa che
aveva trovato lontano dalle sue feste sfrenate e dal suo mondo dorato
di piaceri ed eccessi: era emerso in una grotta buia quando la
sua vita era attaccata a una batteria, riecheggiava nel richiamo
lontano che lo aveva spinto ad aggrapparsi alla vita anche quando
questa avrebbe voluto sbarazzarsi di lui, o lui di essa.
Non
poteva cedere di nuovo solo perché si
sentiva debole e
spaventato.
«Probabilmente
quello che vorresti fare anche ora,» constatò
infine lei con
un'acutezza che lo fece quasi boccheggiare.
Tony
si voltò infine a incrociare i suoi occhi, più
penetranti che mai,
e stavolta non riuscì a sottrarvisi. Poteva
mentire. Poteva ancora dirle che stavano ingigantendo una questione
banale, che non era del tutto lucido e stava farneticando, che era
umano e naturale che si sentisse attratto da lei, o che era
semplicemente terrorizzato dalla paura di morire da solo. C'era un
fondo di verità in ognuna di quelle risposte.
Quella
che gli sfuggì era l'unica che non avesse bisogno di alcun
filtro, e
lasciò le sue labbra intonsa nella sua semplicità:
«Non
è un segreto che io ti voglia nella mia vita.»
Deglutì a vuoto, senza osare muovere un muscolo.
«Ma
non con
del palladio che mi avvelena, un corpo da buttare, attacchi di panico
e sei mesi davanti. Non ho spazio per pensare a... ad altro,
anche se vorrei. Anche se vorrei,» ripeté a
fatica, chiudendo infine la palpebra per nasconderle quanto gli
stesse pesando fare quell'ultima confessione.
Udì
un suo respiro più profondo. Non un sospiro, né
uno sbuffo: un
semplice moto istintivo, quasi a scacciare la pesantezza di quelle
parole.
«Su
questo siamo d'accordo,» commentò infine,
sibillina e forse
sovrappensiero.
Tony
avvertì un'improvvisa morsa di gelo nelle viscere e
riaprì di
scatto l'occhio.
«Non
fraintendermi...»
Pepper continuò a parlare senza
alzare la testa,
concentrata sugli arabeschi del lenzuolo.
«Ho
capito benissimo. È comprensibile che tu non voglia qualcuno
di così problematico o rotto nella tua
vita, soprattutto dopo quello che ti ho fatto passare,» lo
disse in modo deciso ma senza rancore, col medesimo senso
di distaccata accettazione che aveva provato quando aveva realizzato
di star morendo.
«Sei
un idiota.»
A
quelle parole Tony rialzò lo sguardo, allarmato dal tremito
che le
aveva scosse. Pepper lo fissava con occhi lucidi, forse più
ferita
di quanto l'avesse mai vista.
«Pensi
che sarei ancora qui, se pensassi una cosa del genere? O che sarei
rimasta accanto a te per tutto questo tempo, se ti considerassi solo
un qualcosa di "rotto"?» gli chiese tagliente, alzando a
poco a poco la voce. «Non è più quello
il problema più importante,» continuò
alterata, indicando infine
il reattore al centro del suo petto, che lui coprì d'istinto
con
fare protettivo.
«Non
è ciò che hai detto qualche ora fa,»
ribatté disorientato, in
cerca di un appiglio e senza sapere come sottrarsi a quella furia
inspiegabile.
«Fino
a qualche ora fa non sapevo che stessi morendo!» proruppe
lei, a
voce più alta. «Non
so dirti che cosa vorrei fare adesso, perché non so neanche
che cosa
stia succedendo e non voglio capirlo,»
concluse, concedendosi
infine un sospiro tremolante.
A
quel punto le sue lacrime traboccarono, ma in silenzio, con una
compostezza così innaturale che gli ci volle più
di qualche secondo
per registrarle.
«E questo
perché
mi hai mentito, come
sempre,» ripeté, con voce rotta.
Tony
a quel punto si sollevò con sforzo sui gomiti, lacerato tra
l'istinto di abbracciarla e quello di scappare di lì prima
di
infliggerle altre ferite. Ma prima che potesse prendere una
decisione, Pepper tirò appena su col naso, si
asciugò con forza le
lacrime e tornò a guardarlo, con una sorta di fierezza negli
occhi
ancora umidi che lo persuase a rimanere al suo posto.
«Neanch'io
ho spazio per pensare ad altro. Anche se vorrei.»
Tony
riuscì solo ad annuire appena in risposta, ancora
paralizzato, con
lo sguardo vacuo e la lingua intorpidita. Ricadde sdraiato,
sentendosi privo di forze e spezzato da quell'ultima, schietta
affermazione. Si
portò una mano al volto, iniziando a capire cosa
intendesse
Pepper nel dire che non sapeva cosa stesse succedendo.
Quando
le aveva chiesto di parlare non aveva avuto una chiara idea di come
sarebbe finita la discussione, né di cosa volesse ottenere
lui
stesso. In realtà, una parte di lui aveva sempre saputo che
la
conclusione sarebbe stata quella, e non trovava la forza di
ribellarvisi. Non ancora, almeno, non quando si sentiva così
debole
e a un passo dal baratro.
«Ok,»
riuscì a dire con voce stentata «Allora siamo davvero
d'accordo, anche se per motivi diversi,» mormorò
frastornato.
«Tony, non sto parlando in modo definitivo. Ti sto solo
chiedendo di darmi... di darci
tempo,»
capitolò infine Pepper, fissandolo intensamente a rafforzare
la sua richiesta.
Quell'affermazione inaspettata portò con sé una
ventata di sollievo e un velo di serenità che sciolse il
nodo di tensione in cui si
erano avviluppate le sue membra. Sfruttò
quella calma momentanea per parlare, finché ne era in grado.
Non
poteva permettersi di rimandare nulla, e i dubbi e le esitazioni
erano un lusso che non poteva più concedersi:
«Ho
un paio di milioni di cose a cui pensare, il doppio da risolvere e la
metà del tempo che mi servirebbe per farlo,»
esordì in tono stanco, ma determinato. «A
questo punto sarebbe stupido correre.» Alzò un
sopracciglio con aria ovvia. «Ho
fatto un errore dietro l'altro, ma almeno ho imparato che le cose
riescono meglio quando si fanno un passo alla volta.»
Tornò
a guardarla, incatenando i loro occhi per essere sicuro che nessuna
sfumatura di ciò che voleva dirle passasse inosservata.
«E
appunto per questo neanch'io credo che sia il momento giusto
per...»
esitò brevemente, per poi rinunciare a trovare una metafora
calzante e fissarla
interrogativo, sentendosi allo stesso tempo pervadere da un calore
improvviso. «Per qualunque cosa volessimo provare a far...
funzionare.»
Pepper
annuì in risposta, indecifrabile, e sperò che
avesse capito ciò
che intendeva: sarebbe stato fin troppo facile tuffarsi a capofitto
in qualcosa di piacevole fingendo che tutto il resto non esistesse.
Avrebbe potuto baciarla lì, in quel momento, avrebbero
potuto
passare tutta la notte a cercarsi e trovarsi, finalmente,
dimenticandosi del resto – del palladio, delle bugie, del
futuro incerto
– e continuare a dimenticarsene per i giorni
e le notti successivi.
E
dopo? Cosa sarebbe successo quando avrebbe iniziato a stare davvero
male, quando avrebbe inevitabilmente cominciato a mentirle di nuovo e
ad allontanarla da sé
per schermarla dalla propria sofferenza? Si sarebbero solo ritrovati
con qualcosa di affrettato e incompleto, fragile e troppo doloroso da
sostenere. Sarebbero stati legati con un nodo malfatto, impossibile da
sciogliere se non recidendolo di netto, condannandola così a
convivere col groviglio doloroso che si sarebbe lasciato dietro. Non
era abbastanza coraggioso per affrontare una
situazione simile, né abbastanza vigliacco per trascinarvi
lei.
Soprattutto,
in fondo, sentiva di non meritarsi quel tipo di felicità
dopo aver
sbagliato così clamorosamente, più e
più volte, ferendola a più
riprese.
Prima
ancora di guarire nel fisico doveva combattere tutto ciò che
lo
teneva sveglio la notte e venire a patti con l'ombra dei suoi errori
che continuava a perseguitarlo. Poi avrebbe dovuto aprirsi davvero,
con tutti i suoi difetti e debolezze, e aspettare che anche lei fosse
pronta a fare lo stesso. Si rendeva conto di non essere l'unico ad
avere qualcosa da riparare, e mentre lei poteva intuire con discreta
chiarezza dove fossero le sue fratture, lui riusciva a malapena a
intravedere quelle che segnavano lei. Si era aspettato di chiudere una di quelle porte che continuavano a
occhieggiare dietro di lui, ma
alla fine l'aveva socchiusa per entrambi.
Forse un giorno avrebbero potuto
decidere di varcarla senza esitazioni, se avessero ancora
avuto tempo per farlo.
«È
strano sentirti parlare di calma, ragionevolezza e
prudenza.»
Pepper
inclinò appena le labbra in un qualcosa che poteva essere un
sorriso, così come una smorfia amara, e si sfregò
le guance ancora
bagnate.
«Chissà,
magari in dieci anni sei riuscita a contagiarmi con un po' del tuo
buonsenso,» commentò, con un mezzo sbuffo
soffocato dal cuscino.
«Anch'io
ho solo te,» proruppe lei a sproposito, e Tony ebbe
l'impressione
che avesse voluto dirlo già da molto tempo.
Ebbe
anche l'intuizione di non replicare, prima di scoraggiarla dal dire
altro.
«E
voglio solo starti accanto,»
affermò infatti subito dopo, con il tono di chi si
è tolto un
enorme peso dal cuore tornando finalmente a respirare.
«Allora
ti chiedo di starmi accanto nel modo che ritieni più giusto.
Non ho
bisogno d'altro. So che anche questo è strano, detto da
me,»
aggiunse, con un sorriso furbetto che suscitò una lieve
esasperazione
sul volto ora un po' più disteso di Pepper.
Tony
a quel punto s'incupì un poco, cercando la forza di
pronunciare le
parole che lo avevano oppresso sin da quando riusciva a ricordare:
«E
non merito di più.»
Finì per dirlo
molto più piano di quanto
avesse voluto. Era
stato poco più di un respiro, ma era certo che Pepper avesse
sentito
benissimo. Fissò le proprie mani asimmetriche e imperfette,
una
segnata da scalfitture nel metallo, l'altra da ustioni e cicatrici.
Percepiva lo sguardo della donna che lo osservava in modo insistente,
senza parlare. Dopo qualche secondo di quieto silenzio,
sentì le sue
dita che si insinuavano tra le ciocche disordinate dei suoi capelli,
scostandoli dalla sua fronte
in una breve carezza che gli strappò un sospiro involontario.
«Questo
non sei tu a deciderlo,» gli disse. «E neanche
io,» concluse con un
filo di voce, ritraendo la mano.
Con
un istante d'esitazione finì per posarla sulla sua guancia
sana,
in un tocco così leggero che avrebbe potuto essere
impalpabile, se
lui non fosse stato intento a percepire e accogliere ogni suo gesto.
Osservandola, invece dei mille pensieri intelligenti che avrebbe
potuto avere, provò solo l'improvvisa urgenza di riportarle
dietro
l'orecchio quella ciocca fulva e ribelle che continuava a scivolarle
davanti al volto.
«Dovremmo
cercare insieme la soluzione,» affermò lei con
improvvisa fermezza,
mentre lo derubava inconsapevolmente del gesto che avrebbe voluto
compiere lui e si sistemava sovrappensiero i capelli.
Tony
ci mise qualche istante a realizzare cosa avesse detto e rimase un
poco spiazzato, mentre risaliva al giorno in cui lui stesso le aveva
rivolto quella richiesta. Nel parlare rivolse di nuovo in basso lo
sguardo.
«Alle
nostre esistenze complicate?»
«A
tutto quanto.»
Tony
si decise a girare la testa per guardarla, seduta a gambe incrociate
con lo chignon sfatto, gli occhi ancora arrossati, le guance rigate e
quella maglietta troppo grande per lei che la faceva sembrare ancor
più esile di quanto non fosse. Nelle sue spalle appena
incurvate,
nelle dita della mano libera attorcigliate strettamente attorno al
lenzuolo, nei piccoli segni di tensione sul suo volto fine, riusciva a
leggere la sua paura. Paura di perderlo, di poter sbagliare, di
affrontare una realtà dalla quale lui avrebbe voluto e
dovuto
proteggerla. E allo stesso tempo percepiva distintamente la sua
risolutezza: emergeva dalla piega decisa delle labbra, dalla mano
posata sul suo viso, come a voler ancorare se stessa e lui nello
stesso punto, dai suoi occhi rossi, sì, ma limpidi e
determinati,
che sostenevano il suo senza vacillare.
Sentì
le proprie labbra incurvarsi spontaneamente verso l'alto, in un sorriso
che
scaturì da quel punto imprecisato tra il reattore e il cuore
che
aveva ormai imparato a riconoscere. In quell'istante capì
che gli
bastava quello: vederla accanto a sé e sentirla
così vicina
da potersi dimenticare per un attimo di se stesso.
Era
sempre Pepper, e quello non sarebbe mai
cambiato.
«È
un'ottima idea. Non per niente in principio era mia,»
puntualizzò,
sollevandosi in modo un po' goffo per portarsi seduto accanto a lei e
fissarla con tenue impertinenza.
«Sei
sempre il solito,» lo riprese prontamente lei nonostante la
voce un
po' rotta, scostandogli appena il volto con una spinta giocosa.
«Questa
sì che è una buona notizia,» la
canzonò lui.
Pepper
continuò a fissarlo, ruotando leggermente il capo, e lui si
rese
conto solo in quel momento di quanto i loro volti fossero vicini e di
come la mano di Pepper fosse ancora posata sulla sua guancia.
Sentì
un nodo d'apprensione tornare a strozzargli lo stomaco e
rimase immobile,
non osando quasi respirare, mentre la loro discussione gli scorreva
insistentemente in testa intimandogli di...
"...
non fare stronzate," si ripeté, in modo incredibilmente poco
convincente.
Guardò
Pepper negli occhi, ancora troppo vicini.
Prima
di poter realizzare cosa stesse facendo, si sporse appena verso di
lei e le sfiorò la guancia in un bacio leggero, senza
trovare il
coraggio di indugiare troppo a lungo sulla sua pelle tiepida, sulla
quale percepì il sentore del sale. Rimase a un soffio da
lei,
accarezzando con lo sguardo le sue guance punteggiate di efelidi e
chiedendosi se iniziare a contarle una ad una potesse essere un modo
efficace per distogliersi dalle sue labbra ora appena schiuse in un
moto di sorpresa.
«Forse
dovremmo...»
«...
dormire,» concluse con decisione lei,
sostenendo il suo
sguardo con fare eloquente senza però spostarsi di un
centimetro, guardando di rimando la sua bocca.
Tony
si riscosse nell'udire quelle parole già sentite e si
ritrasse,
rimanendo vicino a lei ma a una distanza più ragionevole,
con
sollievo e rammarico allo stesso tempo. La mano di Pepper era
scivolata sul suo braccio, come se niente fosse accaduto.
«Ho
ancora qualche ora di autonomia,» ribatté lui,
tentando di
riportare la situazione in campo neutrale.
Il
suo tono più basso di mezza ottava tradì quanto
gli eventi di
quella giornata interminabile l'avessero provato, così come
lo
sbadiglio trattenuto a stento che seguì, e che
strappò
un'espressione da "te-l'avevo-detto" a Pepper. Si sentiva
avvolgere sempre più da una piacevole, rilassata cappa di
stanchezza
che non aveva nulla a che vedere col senso di crescente esaurimento
delle ultime settimane. Forse, almeno per quella notte, sarebbe
riuscito a dormire sonni tranquilli.
Scivolò
oltre il bordo del letto, recuperò il bastone e si
alzò con
cautela, controvoglia e sentendo la gamba meccanica che protestava
vivacemente per lo sforzo.
«In
realtà mi piacerebbe rimanere qui, ma credo che sarebbe
inopportuno,» confessò, senza pensarci e
pentendosene all'istante.
Si
scambiarono un'occhiata e fu chiaro a entrambi che in realtà
nessuno
dei due lo avrebbe ritenuto così
inopportuno.
«Sarebbe
strano,» commentò solamente Pepper, con lo sguardo
puntato sul
materasso.
Tony
si limitò ad annuire, ammettendo che non era il caso di
confondere
ulteriormente le cose, soprattutto dopo ciò che si erano
detti e ciò
che aveva appena deciso contro ogni presunto buonsenso, così
si avviò
zoppicando verso la porta.
«Cominciamo
da domani? A cercare soluzioni, intendo,» le propose poi con
spossato entusiasmo, bloccandosi sulla soglia e appoggiandosi allo
stipite.
«È
la prima volta che la vedo ansioso di lavorare. Potrei davvero
iniziare a preoccuparmi, signor Stark,» lo prese in giro lei,
a sua
volta assonnata.
«L'ho
detto che sta iniziando ad avere una cattiva influenza su di me,
signorina Potts,» rispose a tono lui, rivolgendole uno
sguardo di
finto rimprovero.
Prima
di uscire, temporeggiò ancora qualche istante per
contemplare il suo
volto affaticato, ora ravvivato da un sorriso pieno e deciso che
le faceva brillare gli occhi.
Sorrise anche lui: era sempre la sua
Pepper.
Forse
non si meritava di più, ma non aveva davvero bisogno d'altro.
Salve, prodi lettori giunti fin qua, e bentornati alla sagra dell'angst! <3
Scherzi a parte, mi rendo conto che questo capitolo è più pesante del solito, per usare un eufemismo. So che vi aspettavate altri sviluppi, ma nonostante la situazione tra quelle due zucchine sia finalmente "chiarita" dovrete aspettare ancora. Ammetto che in questo capitolo è stato particolarmente delicato e mi sono trovata ad affrontare temi per me molto sensibili. Perciò non mi sono sentita di "affrettare" le cose (per quanto sia paradossale un'espressione simile dopo 40+ capitoli...) Non mi dilungo ancora su questo punto: credo che i ragionamenti di Tony sulla "questione dell'attesa" esprimano già tutto, condivisibili o meno che siano :)
Per il resto: tirate un sospiro di sollievo, perché la carrellata d'angst più intenso
Seriamente, i prossimi capitoli si manterranno su un sano miscuglio di fluff-angst con la battuta pronta di Tony a stemperare la situazione, quindi dovrebbero risultare molto più leggeri di questo. E avrete un sacco di PoV Pepper in cui riuscirò a mandare OOC pure lei :D (sto realmente meditando se inserire l'avvertimento OOC proprio in seguito a questo capitolo, fatemi sapere se la ritenete un'idea sensata).
Ringrazio _Atlas_ e Emyclarinet per aver recensito lo scorso capitolo e tutti coloro che leggono, seguono e aggiungono alle ricordate/preferite/seguite <3 Un grazie speciale a T612 che si è recuperata tutta la storia in tempo record, commentandone i capitoli salienti <3
Il prossimo capitolo in teoria è pronto. In pratica non mi soddisfa per niente, quindi preannuncio un aggiornamento attorno al 15-20 del mese prossimo per aver modo di lasciarlo "a riposo" per poi sistemarlo.
Bye bye,
-Light-
P.S. Nota tecnica: il metodo che usa Pepper per tranquillizzare Tony è funzionale alla storia, ma a onor del vero non è affatto consigliato durante un attacco di panico come primo approccio. La reazione al contatto fisico in questi casi è estremamente soggettiva e, mentre con alcune persone funziona (per la scena mi sono blandamente rifatta a delle esperienze con u* mi* amic* che reagiva bene agli abbracci), con altre scatena la reazione opposta e rischia anche di peggiorare l'attacco. Tutto ciò per evitare fraintendimenti o di urtare la sensibilità di chi, magari, soffre di questo disturbo e non si riconosce nella scena descritta.
P.P.S. Si è creato di sua sponte un altro capitolo, quindi il countdown si resetta a -8 ;)
© Marvel