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Autore: ___MoonLight    23/08/2018    3 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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40

 

Dancing in the dark




"Oh, the darkness got a hold on me
How long, baby, have I been away?
Oh, it feels like ages, though you say it's only days
There ain't language for the things I've seen
And the truth is stranger than my own worst dreams
The truth is stranger than all my dreams"

[Meet Me In The Woods – Lord Huron]





10 Gennaio, Villa Stark, 22:30

Il petto di Tony si alzava e abbassava lentamente, a ritmo coi suoi respiri profondi e tranquilli. Di tanto in tanto fremeva nel sonno e il suo volto si contraeva appena, per poi rilassarsi di nuovo in un'espressione pacifica.
Pepper aveva passato l'ultima ora cercando di addormentarsi a sua volta, ma era come se una forza invisibile impedisse alle sue palpebre di chiudersi, costringendola a fissare il buio quasi assoluto del salone, rotto solo dal lieve riverbero dell'oceano alle loro spalle. 
"Raccogliere i cocci" si era rivelato più stancante del previsto, e Tony aveva finito per cedere al sonno sulla sua spalla, per poi ridestarsi di colpo in agitato imbarazzo. Si era poi lasciato guidare docilmente, accettando quel contatto e continuando a dormire con la testa posata sulle sue gambe, troppo esausto per articolare qualunque parola di protesta.
Pepper si chiese per l'ennesima volta cosa stessero facendo e si rispose per l'ennesima volta che non le importava. Strinse appena la stoffa della sua felpa all'altezza del petto, percependo una pulsazione ovattata contro il palmo. L'unica cosa che le importasse era sentire il suo cuore che continuava a battere. Sfiorò con la punta delle dita le sottili diramazioni plumbee che si arrampicavano sul suo collo, percependo il blocco di marmo nel suo petto farsi più pesante, e chiedendosi se fosse la stessa sensazione che accompagnava Tony dall'Afghanistan. Non riuscì a spostare la mano sul reattore e tornò a premerla sul suo petto, all'altezza del cuore.
A quel punto Tony si mosse di nuovo, e stavolta restò in apnea per qualche secondo per poi riprendere a respirare regolarmente con un leggero sibilo; Pepper lo imitò in modo inconscio trattenendo a sua volta il fiato, per poi rimproverarsi della propria apprensione. Non c'era nulla di cui preoccuparsi nell'immediato, si ripeté stancamente come aveva fatto poco prima Tony con lei. Tra qualche mese avrebbe avuto senso lasciarsi prendere dall'angoscia e smettere di pensare in modo razionale, ma per ora doveva solo aggrapparsi a quel battito ancora forte ed energico che riusciva a rassicurarla un poco, anche se temeva di sentirlo accelerare in modo incontrollato o affievolirsi fino a tacere.
Reclinò la testa sullo schienale, ma ancora non riusciva ad abbandonarsi al sonno con serenità. Frammenti acuminati della loro discussione continuavano a punzecchiarla, ognuno simile alla scheggia di uno specchio che rifletteva tutto ciò che avrebbe voluto dire e che invece aveva taciuto.
Lasciò la mano sul cuore di Tony e chiuse gli occhi, ma rimase sveglia nel buio.


***


10 Gennaio, Villa Stark, due ore prima

«Raccogliere i cocci?» ripeté stolidamente Tony, con voce così roca e profonda da essere irriconoscibile.
Sciolse l'abbraccio per poterla guardare in volto, ma rimasero vicini, ancora appoggiati l'uno all'altra.
«Era quello che volevi fare, no?» replicò Pepper, con una sicurezza che non rispecchiava assolutamente il tumulto che stava avendo luogo nella sua testa e nel suo corpo.
Ma era un tumulto ancora lontano e soffuso: lo percepiva come un tenue sferragliare di pensieri sgradevoli in sottofondo, che ancora non riusciva ad isolare e mettere a fuoco uno per uno, se non i più importanti:
"Tony ha pianto. Tony mi ha mentito. Tony sta morendo."
Tre concetti di per sé semplici, eppure inafferrabili. Si fondevano e avvitavano tra loro formando un'unica spirale confusa in cui si sentiva risucchiare, rendendola incapace di puntare la bussola delle sue emozioni in una direzione precisa. Cercò lo sguardo di Tony, trovandolo altrettanto spaesato, e si chiese se non fosse un bene per entrambi sentirsi così apatica e incapace di reagire.
Scorse una lacrima tardiva sfuggire alle sue ciglia e attraversare lentamente la sua guancia, andando a impigliarsi nel pizzetto. La rassegnazione con cui non provò neanche a trattenerla, asciugarla o nasconderla le causò una lieve stretta al petto, nel realizzare di stare finalmente guardando Tony privo di qualsiasi difesa o barriera. Non stava tentando di mettersi al riparo, né di fingere che andasse tutto bene: era completamente esposto a lei, in un campo aperto dove sapeva di poter essere ferito. Era l'atto di fiducia più cieca che avesse mai visto da parte sua, e lo stava donando a lei.
Lui si distanziò un poco e lo vide deglutire con evidente sforzo, sfregandosi poi la gola provata dai singhiozzi.
«Sei sicura?» esalò infine.
«Ci stai ripensando?»
Tony abbassò lo sguardo, puntandolo sulla protesi della gamba che teneva ripiegata sotto di sé. Iniziò a seguire metodicamente le linee del metallo, come se questo potesse aiutarlo a trovare una risposta.
«Pensavo fossi arrabbiata,» affermò invece, arrestando l'indice sullo snodo del ginocchio e prendendo a stuzzicare un bullone con l'unghia in modo assente.
«Sono... preoccupata,» lo corresse lei, nonostante quello fosse decisamente un eufemismo.
Sconvolta e sull'orlo del pianto, con un enorme vuoto che si allargava nel suo petto e la sensazione di precipitare da ore... quello avrebbe reso meglio l'idea, ma non poteva lasciarsi andare proprio in quel momento. Avrebbe avuto tempo per piangere e disperarsi e urlare fino a perdere anche lei la voce, ma dopo. Doveva prima capire cosa stesse succedendo, e non era sicura di poterci riuscire.
«Come sempre,» osservò lui dopo una breve pausa, alzando un poco le sopracciglia con fare colpevole.
«E sono anche arrabbiata, per molte più cose di quante immagini.»
«Credo di poter fare uno sforzo di fantasia,» replicò lui con quieta amarezza.
«Adesso non importa più,» mormorò lei di rimando, quasi tra sé.
Tacque a lungo, soverchiata dai suoi stessi pensieri e dalle immagini che continuavano a proporle. Cosa importava, adesso?
«Non sei costretta a rimanere.»
Tony spezzò di nuovo quel silenzio, parlando in modo stranamente pacato per la situazione in cui si trovava. Non sapeva dire se, come lei, non avesse ancora registrato la reale portata di ciò che stava accadendo o se, al contrario, ne fosse ormai perfettamente consapevole e sapesse che agitarsi ancora non avrebbe cambiato le cose. Lo fissò con aria stralunata, faticando a comprendere ciò che le stava dicendo oltre il rombo che murava le sue orecchie, ma ancora abbastanza presente a se stessa per rispondere con prontezza senza lasciar trapelare il suo stato d'animo. Temeva che quest'ultimo fosse comunque fin troppo evidente dai suoi occhi liquidi e dalla sua voce traballante.
«Non mi sento affatto costretta,» disse, sforzandosi di non vacillare. «Perché credi che voglia rimanere?» chiese poi, a bruciapelo.
«Probabilmente perché ti faccio pena.»
Tony riprese a concentrarsi sulla protesi, stavolta accigliato e con una ruga contrariata a solcargli la fronte.
«Non mi fai pena,» ribatté lei, sforzandosi di ignorare la stoccata che le avevano inflitto quelle parole.
«Ritenta,» sbuffò lui, serrando improvvisamente i pugni come si stesse preparando a fronteggiare un nemico.
«Non ti ho mai compatito, perché dovrei farlo adesso?»
«La formula "ex-supereroe mutilato e orbo con problemi di deambulazione e sei mesi di vita" mi sembra un ottimo incentivo,» replicò con stizza, palesando il disgusto che gli suscitava ciascuna di quelle definizioni.
«Compatire ed empatizzare sono due concetti diversi.»
«... per dire la stessa cosa.»
«Tony, adesso ti stai impuntando.»
«Non mi sto...» s'interruppe di colpo.
Tornò finalmente a guardarla, distogliendosi dai ghirigori che aveva preso a tracciare sull'arto metallico e dalle sue riflessioni altrettanto convolute.
«Ok, mi sto impuntando,» cedette a malincuore. «Cerco... cerco solo di capire. Fa parte del processo di riparazione... credo,» borbottò con uno scatto irrequieto del capo.
Era evidente come quella situazione "priva di barriere" lo mettesse a disagio, ma apprezzò il fatto che si stesse sforzando di non costruirne altre.
«Quindi, perché vuoi rimanere?» riprese, affondandosi una mano tra i capelli e puntando il gomito contro lo schienale del divano a sostenere la testa appesantita, in un gesto che tradì la sua enorme stanchezza.
Sembrava quasi che dovesse cadere addormentato da un momento all'altro, ma la luce acuta del suo sguardo lasciava intuire l'intensa attenzione per ogni parola che pronunciavano.
Pepper prese a torcersi le mani, odiandosi per quel gesto che non riusciva a controllare. Qualunque risposta a quella domanda sarebbe stata inadeguata o incompleta.
Una parte di lei insisteva nel ricordarle che quello stesso uomo aveva cercato di togliersi la vita meno di un anno prima, incurante di chi aveva intorno, ma la mise a tacere con sorprendente facilità, quando non era mai riuscita a ignorarla del tutto nel corso di quei mesi. Aveva sempre avuto il ragionevole sospetto che l'atteggiamento rilassato e ottimista in cui l'aveva ritrovato fosse solo un'altra facciata abilmente costruita, e che in realtà fosse ancora sul punto di cadere: la paura di poter entrare un giorno alla villa e trovarlo di nuovo esanime e in fin di vita era tangibile e insistente, così come quella di non essere in grado di salvarlo, stavolta. Adesso però era emerso quel pezzo mancante che faceva crollare il suo castello di supposizioni scettiche, facendola in verità vergognare della sua sfiducia: se Tony aveva saputo sin dall'inizio dell'intossicazione e della sua gravità – sentì una secca puntura al cuore al solo sfiorare quel pensiero – avrebbe potuto lasciarsi andare in qualsiasi momento. Eppure l'aveva visto lavorare con equilibrio e costanza e tentare di riprendere la vita di prima accettandone i cambiamenti, piuttosto che farsi logorare dai suoi progetti e negare quello che gli era accaduto come lo aveva visto fare in precedenza.
Nell'ultimo mese le era sembrato più cupo e oppresso da mille pensieri che aveva erroneamente ricondotto all'astio generale che provava per il periodo natalizio, ma non l'aveva mai visto scivolare nell'apatia o essere di cattivo umore per più di mezza giornata. Soprattutto, le aveva fatto capire spesso, più a gesti che a parole, quanto fosse realmente contento della sua presenza lì e quanto fosse determinato a rimettere a posto le cose con lei, oltre che col resto del mondo. In quei mesi erano riusciti a riavvicinarsi un passo alla volta. Si rendeva conto che i suoi erano stati piccoli e titubanti, mentre quelli di Tony le sembravano giganteschi nella loro delicatezza, che fossero sotto forma delle sue battute scanzonate, dei suoi sguardi più che significativi, di un regalo di Natale inatteso, del suo evitarle di scendere in laboratorio o di una chiave che aveva deciso di affidarle. Persino poco prima, anche se con immenso ritardo, riluttanza e col peso di troppe bugie, aveva provato a farsi avanti lui di sua volontà, senza aspettare di essere smascherato.
Pepper incontrò la sua unica iride e non trovò lo sguardo di un uomo che vuole morire, ma un'eco lontana di quello che gli aveva visto al ritorno dall'Afghanistan. Forse più colmo di mestizia e stanchezza, provato dal pianto, ma egualmente vivo. Era lo sguardo di qualcuno che non vuole tirarsi indietro, che sa quello che deve fare e sa, in cuor suo, che è giusto. Lo stesso di quella volta, due anni prima, quando lei aveva acconsentito a rimanergli accanto per ciò in cui credeva perché, in fondo, voleva crederci anche lei.
«Perché penso ancora che ne valga la pena,» rispose, con voce bassa ma ferma.
"E anch'io ho solo te," questo riuscì solo a pensarlo, come quella volta sull'Helicarrier; temeva che dirlo avrebbe spezzato quel fragile filo che le stava ancora permettendo di non crollare.
Tony si limitò a fissarla assorto, senza proferir parola. Il suo volto esausto non lasciò emergere alcuna reazione se non un lieve fremito delle sue labbra, come se fosse stato sul punto di dire qualcosa per poi ripensarci.
«Vuol dire che adesso mi sono impegnato abbastanza?» chiese, con un piccolo sorriso a tradire quanto in realtà gli avessero fatto piacere quelle parole. «È ironico,» commentò mestamente, prima che lei potesse rispondere.
«È ingiusto,» ribatté d'istinto lei, e stavolta la sua voce tremò in modo innegabile.
«Potremmo passare tutta la notte a discutere di quanto sia giusto o meno, e non cambierebbe comunque nulla,» osservò lui quasi distratto, portandosi una mano al reattore senza neanche preoccuparsi di nasconderlo.
Pepper non poté fare altro che tacere, sentendo ogni fibra di sé tendersi e contrarsi dolorosamente nel riconoscere la verità di quell'affermazione.
«Davvero non c'è una soluzione?» si trovò a chiedere flebilmente, sentendosi una bambina in cerca di rassicurazioni, e di nuovo il suo sguardo si appannò.
«Non riesco a trovarla.» Scosse piano la testa, come se non riuscisse ancora ad accettare pienamente la sconfitta del suo ingegno. «Ho provato tutto, ormai. Ho persino cercato nello studio di mio padre, ma è stato un altro buco nell'acqua. Non so più che fare,» ammise con sincerità, guardandola smarrito.
«Non puoi arrenderti così,» proruppe lei, con improvvisa veemenza.
Tony inclinò appena il capo, scrutandola con lieve sorpresa. Lei non si ritrasse al suo sguardo: non le importava di suonare implorante, ma vederlo così rassegnato la lacerava e voleva convincersi che spronarlo potesse fare la differenza.
«Non ho il diritto di arrendermi,» asserì sibillino. «Ma non posso neanche sprecare il resto dei miei giorni a cercare una soluzione inesistente,» continuò, con cauta lentezza. «Preferirei impiegarli in qualcosa di più utile,» finì, con un'alzata di spalle.
«La Expo?» indovinò subito Pepper, fissandolo in cerca di conferma.
"Ecco perché voleva allestirla entro sei mesi..." realizzò poi, sentendosi raggelare.
«Anche,» annuì lui, incerto. «Ho vari progetti in cantiere... e sto ancora abbastanza bene. Ho all'incirca tre mesi prima che la mia... condizione inizi a diventare ingestibile. Vorrei sfruttarli al meglio. Non vuol dire che smetterò di lavorare al problema del palladio, ma...» si bloccò con improvvisa reticenza, un attimo prima che la sua voce si sfaldasse, e si passò una mano tra i capelli scomposti.
Inspirò a fondo, recuperando il controllo senza smettere di guardarla negli occhi.
«Ho bisogno di fare qualcosa di concreto.» Tagliò l'aria col palmo a sottolineare quel concetto e a scandire anche le sue successive parole. «La Expo, Iron Man, le protesi, i lavori per K e lo SHIELD... qualunque cosa. Altrimenti impazzisco,» concluse in un mormorio, afferrando poi con forza il polso della protesi fino a sbiancarsi le nocche.
La sua pupilla si era dilatata, enorme e smarrita nel buio, e Pepper colse distintamente la paura che vi si annidava. Posò una mano sulla sua, avvertendone il tremito contratto, e la insinuò poi tra il suo palmo e il metallo per allentare quella morsa. Sperò che quel semplice gesto riportasse un po' di serenità sul suo volto teso, cancellando i segni di quell'angoscia sommersa che aveva lasciato trapelare fugacemente. Lui oppose resistenza, per poi sciogliere la propria stretta serrata e accettare quella più gentile della sua mano.
«Chi altro lo sa?» si decise a chiedergli Pepper, con un pizzico di timore.
«Solo tu, è ovvio,» fugò ogni suo dubbio Tony. «Il Doc sa dell'intossicazione, ma non mi visita da mesi e crede che sia sotto controllo. A quest'ora avrà fatto due più due, ma... non ne abbiamo mai parlato in modo esplicito. Forse K ha intuito più del dovuto, ma non credo ne immagini la gravità,» aggiunse, adesso con aria preoccupata. «Non lo sa nessun altro,» ribadì.
A quel punto rialzò di scatto la testa, estremamente accigliato e con una viva nota di apprensione nello sguardo.
«E deve rimanere così,» asserì con veemenza, aumentando di riflesso la stretta sulla sua mano.
Pepper sospirò appena: se l'era aspettato, ma poteva immaginare che le sue motivazioni andassero oltre il semplice orgoglio, e per una volta concordava con le sue manie di segretezza, almeno per il momento. Tony mal interpretò la sua reazione e prese ad agitarsi, sfuggendo di scatto la sua mano e riportandola alla protesi, in cerca di un altro appiglio sicuro. Iniziò a parlare in modo concitato:
«Sono serio. È importante. Se lo SHIELD lo scopre sarò di nuovo tagliato fuori dal Progetto Vendicatori e io ho lavorato troppo per...»
«Tony, calmati, io non...»
«... a loro importa solo di Iron Man, se lo scoprono vorranno solo sbarazzarsi di me e...» continuò lui imperterrito, ora quasi senza fiato.
«...pensi veramente che andrei a dirlo allo SHIELD o a chiunque altro, se tu non vuoi?» lo interruppe infine, alzando un poco la voce.
Lo trapassò con lo sguardo, sentendosi un po' ferita da quella sua sfiducia, a dispetto delle circostanze che avrebbero dovuto farla soprassedere su un dettaglio del genere.
Lui rimase interdetto per qualche secondo, boccheggiando in cerca d'aria e di una replica adeguata, per poi ammutolire. Si mosse in cerca di una posizione più comoda sul divano, in modo così rigido che poteva vedere i muscoli del suo collo in tensione, quasi fossero sul punto di spezzarsi assieme alla mascella serrata. Era impallidito, tanto che la cicatrice sul volto pareva risaltare più del solito; un velo di sudore era apparso sulla sua pelle cerea, nonostante la temperatura tutt'altro che calda. Finì per risistemarsi nella posizione di partenza, fremendo appena.
«Non posso rendere inutile tutto ciò che ho fatto finora,» confessò in fretta, quasi mangiandosi le parole, e dal suo tono fu evidente che non parlasse solo dello SHIELD. «Non posso vanificare tutto e... e sprecare la mia vita e buttare al vento il mio retaggio e... e adesso ho così poco tempo da... non posso,» farfugliò smarrito, guardandosi intorno come se fosse in trappola.
«Non succederà. Cerca di fidarti almeno di me, ti prego,» lo tranquillizzò lei, rendendosi conto solo ora che Tony pareva non sentirla più e continuava a gettare occhiate spaurite attorno a sé, nel buio del salotto, come in cerca di una via di fuga o di una minaccia incombente acquattata nell'ombra.
Ciò che aveva appena detto l'aveva scosso più di quanto volesse mostrare: improvvisamente parve che il divano gli andasse troppo stretto e che volesse scattare in piedi da un momento all'altro. Si aprì la zip della felpa, allargandosi il colletto come se si sentisse soffocare, e prese a respirare rapidamente e in modo discontinuo, con la palpebra serrata. Come quella volta sull'Helicarrier. Pepper si sentì mancare quasi quanto lui e gli posò con timore una mano sul braccio, sentendo il bicipite contratto in modo quasi doloroso. Il suo pugno era chiuso in una morsa che non riuscì ad allentare in nessun modo.
«Tony?» cercò di riscuoterlo, sentendo la paura che prendeva a pulsarle nello stomaco, risalendole come una scossa lungo gli arti.
«Sto bene, è solo...» riuscì a balbettare lui con voce più acuta del normale, tra un respiro sempre più affannato e l'altro.
Serrò di scatto entrambe le mani attorno al reattore, raggomitolandosi su se stesso e sfuggendo alla sua presa.
«Tony! Tony, guardami.» 
Cercò di intercettare il suo sguardo e gli sfiorò appena una guancia. A quel contatto lui si ritrasse di colpo come se si fosse scottato; tentò di alzarsi precipitosamente in piedi, ma crollò di nuovo sul divano tenendosi la gamba meccanica con un singulto sofferente. Pepper incrociò per un istante il suo occhio e vi lesse puro terrore e smarrimento, tanto che rimase paralizzata lei stessa sul posto, mentre Tony si chiudeva di nuovo a riccio, adesso rantolando.
Cosa doveva fare? Non sapeva dire per quale motivo si stesse sentendo male – era un attacco di panico? Un infarto? Il palladio? – e saperlo non l'avrebbe comunque aiutata a fare qualcosa. Per un attimo si sentì trascinare a nove mesi prima, nel laboratorio, e lo rivide davanti a sé riverso a terra, pallido come adesso e immobile...
Si costrinse a riscuotersi quasi con rabbia. Si impose di rimanere ancorata al presente: era e ora che Tony aveva bisogno di lei, e se l'aveva salvato una volta poteva farlo una seconda, si ripeté, mettendo a tacere le acute voci di panico che continuavano ad emergere come aghi nella sua testa. Si accostò di nuovo a lui, stavolta con più lentezza, nonostante si sentisse fremere per l'angoscia. Adesso le voltava le spalle, col capo stretto tra le braccia, la fronte sulle ginocchia e le mani intrecciate sulla nuca a stringersi i capelli e coprirsi le orecchie, accartocciato su se stesso nel tentativo di vincere l'iperventilazione. Non era del tutto certa che fosse cosciente di ciò che accadeva attorno a lui.
«Tony?» lo chiamò ancora, non osando toccarlo di nuovo.
«Oddio... sto cadendo,» gemette lui appena comprensibile, e il suo respiro spezzato si arrestò con un singulto, come se qualcosa lo stesse soffocando.
«Non stai cadendo, sei qui. Va tutto bene,» sussurrò nel tono più rassicurante che le riuscì, ma allarmata dalla sua apnea. «Respira.»
«Non ci riesco!» rantolò lui, senza sollevare il volto. «Sto cadendo...» ripeté flebilmente, con voce rotta e nauseata, e si contrasse ancor di più come per frenare quella caduta immaginaria, espirando quasi in un colpo di tosse per la carenza d'aria.
«... Pepper?» la chiamò strozzato, in un uggiolio impotente.
«Sono qui,» rispose subito lei.
Solo a quel punto si arrischiò a posargli una mano sulla schiena, trovandola scossa da violenti brividi e sussulti mentre tentava ancora, inutilmente, di prendere fiato. Lo sentì sobbalzare a quel contatto, ma stavolta non si ritrasse. Esitò per un breve istante, senza la minima idea di cosa fare, poi si lasciò guidare dall'istinto, sperando solo di non peggiorare le cose: si appoggiò appena alla sua schiena, percependo chiaramente i tremiti che la squassavano e il suo cuore che batteva come un tamburo fuori tempo contro le coste. Prese come un buon segno il fatto che non si fosse sottratto.
«Tony, sono qui. Respira con me,» lo rassicurò, e inspirò profondamente, cingendogli il torace e cercando di trasmettergli quel movimento.
Lui non rispose, ma lo sentì cercare di inspirare con lei; fu troncato a metà e ripiombò nell'affanno, ma si sforzò di recuperare e dopo un paio di tentativi riuscì a prendere il primo respiro completo. Stentò il secondo, faticando a seguire il suo ritmo, così lei rallentò appena permettendogli di adeguarsi e ritrovare il controllo, parlandogli di tanto in tanto all'orecchio con voce pacata per calmarlo.
«Va tutto bene. Sono qui. Respira,» continuò a sussurrargli, in una nenia che sembrava riuscire a far breccia nella cortina di cieco panico che l'aveva avvolto.
Perseverò, anche se iniziava a sentirsi la testa leggera per il troppo ossigeno, percependo che Tony respirava e si rilassava a poco a poco, pur rimanendo rannicchiato come a proteggersi da un pericolo imminente. Solo dopo molti minuti lo vide infine schiudere la debole difesa delle sue braccia e sollevare la testa, col respiro flebile ma più regolare. Rimase poggiata alla sua schiena anche quando si raddrizzò senza osare muoversi per paura di turbare quell'equilibrio appena ritrovato.
Fu lui a rompere quel contatto per primo, voltandosi verso di lei solo per cercarla di nuovo e poggiare la fronte sulla sua spalla, celando il proprio sguardo. Lo accolse tremando di sollievo e lo strinse a sé con più impeto di quanto intendesse. Lui rimase inerte, completamente abbandonato contro di lei se non per la mano meccanica che era andata di nuovo a stringere il reattore. L'altra si era posata sul suo fianco stringendo appena la stoffa del tailleur, in una ricerca di contatto quasi inconsapevole.
«Mi dispiace,» lo sentì bisbigliare, con voce svuotata di qualunque energia.
«Non lo dire neanche per scherzo,» lo rimbrottò lei con fermezza. «Come stai adesso?» continuò subito, prima che potesse replicare.
Tony tacque per molti secondi, come se stesse riflettendo su quella domanda. Solo quando il silenzio si fece eccessivamente lungo Pepper capì che si era assopito senza neanche rendersene conto. Gli scostò i capelli dalla fronte bollente, e una parte della sua tensione si dissipò nel sentire il suo respiro di nuovo regolare che le intiepidiva la spalla.
Si chiese se adesso si fosse infine guadagnata il diritto di piangere, ma si ritrovò con gli occhi completamente asciutti.


***


11 Gennaio, Villa Stark, 01:00

Si svegliò cadendo.
Aprì con cautela l'occhio, incontrando la penombra del salone e realizzando di essere sdraiato supino sul divano e non per terra come aveva temuto. Cercò di scacciare le vertigini e i milioni di puntini che danzavano nella sua visuale come moscerini impazziti. La testa non gli aveva mai fatto così male come in quel momento, neanche dopo la peggiore delle sbronze, e desiderò solo di potersi riaddormentare, cosa che i mille chiodi conficcati nel suo cervello e la nausea avrebbero sicuramente reso molto difficile.
Realizzò dopo qualche istante di essere solo: aveva un cuscino sotto la testa e un plaid rimboccato addosso, ma di Pepper non c'era traccia. Maledisse il suo sonno insolitamente profondo per non essersene reso conto. Probabilmente era tornata a casa. O forse dormiva nella stanza degli ospiti. Volle credere a quell'ultima ipotesi, che trovò conferma quando scorse i suoi tacchi abbandonati per terra. D'altra parte, dubitava che l'avrebbe mai lasciato da solo dopo quanto era successo. Che cose fosse successo, di preciso, faticava a spiegarselo lui stesso.
Si portò una mano al petto, tracciando sovrappensiero la sagoma del reattore. Sentiva ancora un tangibile nodo d'ansia alla bocca dello stomaco, pronto a stringersi e trasformarsi in qualcosa di peggiore. Non avrebbe saputo dire cosa l'avesse fatto precipitare in quel baratro di panico irrazionale e incontrollabile. Forse il terrore di essere di nuovo messo da parte dopo tutti i suoi sforzi, forse la semplice, umana paura di morire che era infine scattata dentro di lui con potenza ancestrale, forse la debolezza causata dalle prime, vere lacrime in quasi vent'anni.
Si era sentito come se si stesse dondolando su una sedia, immerso nei propri pensieri cupi, ma tutto sommato rilassato. Poi si era spinto audacemente un po' troppo indietro, quel tanto che bastava per turbare il suo precario equilibrio, con un vuoto allo stomaco e la sensazione di caduta imminente e inevitabile. Era rimasto bloccato in quell'istante di paura, prolungato all'infinito. E non c'era una sedia da rimettere a posto per porvi fine, non c'era neanche un pavimento su cui schiantarsi. Solo il vuoto, buio e profondo, un rombo nelle orecchie e un'incudine bollente nel petto; poi una forza brutale l'aveva cacciato fuori dal suo stesso corpo, sottraendogli il comando e costringendolo a guardare dall'esterno mentre cadeva per minuti interi, senza fiato, come se un'arma l'avesse arpionato alle viscere trascinandolo senza preavviso verso il basso. Si portò una mano all'addome, quasi aspettandosi di trovarvi conficcato qualcosa, ma avvertì solo uno spiacevole formicolio che andava a fomentare la sua nausea.
Non riusciva a immaginare cosa sarebbe potuto accadere se non ci fosse stata Pepper con lui. E non aveva intenzione di provare a farlo. Era con lui e non se ne sarebbe andata, almeno per ora.
Si tirò su a sedere, mettendo a tacere le proteste del suo corpo indolenzito e recalcitrante. Si tastò cautamente i punti di sutura delle protesi, trovandoli innaturalmente caldi e dolenti come non lo erano da mesi. Aveva urgente bisogno dei suoi antidolorifici, magari anche di un bagno caldo, poi avrebbe dormito per un mese. Recuperò a tentoni il bastone caduto per terra e si issò in piedi con un mugolio, sentendosi più malfermo del solito sulle gambe, ma abbastanza in forze per raggiungere il bagno.
Ne uscì mezz'ora dopo, più rilassato, meno dolorante e con un senso di torpore indotto dall'acqua calda e dagli analgesici. Si frizionò i capelli ancora tiepidi e umidi, sentendosi rimesso al mondo. Si era liberato della felpa a collo alto che aveva ormai esaurito la sua funzione, optando per una semplice t-shirt nera che lasciava intravedere qualche vena intossicata attorno alle clavicole. Persino il fatto di poter indossare ciò che voleva senza preoccupazioni lo faceva sentire un po' meno teso.
Stava per avviarsi in camera sua, già mezzo addormentato, quando si bloccò con un sospiro: doveva prima bere la sua inutile clorofilla. Al solo pensiero sentì i primi scampoli di sonno ritrarsi di scatto, e quella che riuscì ad associare solo a una secca, inattesa puntura sulla nuca che mandò una scossa lungo la sua spina dorsale risvegliando i suoi sensi intorpiditi. Fece dietrofront, barcollando verso la cucina, e solo allora notò che la luce era accesa. Temporeggiò in corridoio, chiedendosi se fosse il caso di entrare, infine si spronò a non esitare: Pepper l'aveva sicuramente sentito avvicinarsi grazie all'inconfondibile rumore della sua protesi combinato al ticchettio del bastone sul pavimento, quindi tanto valeva non fare la figura del vigliacco. E poi non poteva permettersi di rinunciare neanche a una goccia di clorofilla.
Varcò la soglia con decisione, accompagnato dal secco clonk del piede metallico, e subito desiderò d'aver fatto più piano: Pepper era seduta al tavolino, profondamente addormentata con la testa sulle braccia incrociate; accanto a lei giaceva un tazza di tè mezza vuota e ormai fredda. Si avvicinò di un passo, in punta di piedi per quanto possibile e cercando di poggiare delicatamente la protesi per non svegliarla, diretto al piano cucina alle sue spalle dove aveva individuato una borraccia di clorofilla. Arrivato accanto a lei non poté fare a meno di guardarla, suo malgrado incuriosito.
Di rado gli era capitato di vederla dormire o anche solo riposarsi. L'immagine costante che aveva di lei era quella di una donna energica, sempre impeccabile e composta e apparentemente instancabile. Sorrise appena quando notò che come pigiama improvvisato gli aveva sottratto una vecchia maglietta dei Clash che le stava tre volte più grande e un paio di pantaloncini che le arrivavano comunque sotto il ginocchio. I capelli ramati erano sciolti e sparsi sulle spalle, con ancora una leggera piega ondulata per via della solita coda alta.
Era strano coglierla al di fuori del suo ruolo professionale e la cosa suscitava in lui un insolito sollievo. Era una sensazione che non riusciva del tutto a collocare; sapeva solo che vederla per un momento non preoccupata per lui o impegnata in qualcosa che lo riguardava lo faceva sentire meglio.
In quel sollievo s'insinuò anche una bruciante colpevolezza nel notare i suoi occhi gonfi e le guance rigate di sale, ancora leggermente umide. Represse la tentazione di avvicinarsi a lei per timore di svegliarla, e anche di ciò che avrebbe potuto fare lui stesso, oltre che della reazione di lei. Si guardò istintivamente la mano metallica, fissando poi il suo braccio poco sopra il gomito, come aspettandosi di trovarvi ancora impressa un'orma rossa e rovente. Non riusciva ancora a capacitarsi di come avesse potuto stringerlo a sé con così tanta naturalezza. Distolse lo sguardo con un rinnovato senso di vertigine e nausea che stavolta non aveva nulla a che fare col palladio.
Raggiunse infine la sua mèta e si attaccò di malavoglia alla borraccia, accogliendo con disgusto quel sapore che detestava, ma si forzò a ingollare senza pause l'intero litro di clorofilla.
"Come se servisse a qualcosa..." pensò tetramente mentre posava la borraccia sul bancone, reprimendo un moto di stizza per non far rumore.
Pepper continuava a dormire beatamente e ne udiva il respiro rallentato e profondo: doveva essere esausta, la capiva fin troppo bene. Sarebbe dovuto uscire, spegnere la luce e lasciarla riposare, ma esitò e rimase poggiato al bancone della cucina, fissando intentamente la sua schiena snella incurvata sul tavolo. Il collo era piegato di lato in un'angolazione rigida e aveva una guancia poggiata per metà sulle mani e per metà sul piano di vetro leggermente appannato. Si era addormentato in quella posizione abbastanza spesso per sapere che si sarebbe svegliata con un torcicollo devastante e tremendi crampi alle spalle; lui almeno ci aveva ormai fatto l'abitudine. Si sfregò il pizzetto colto dall'indecisione, che durò ben poco, visto che i suoi piedi zoppicanti lo avevano già portato al fianco della donna di loro volontà.
Si chinò appena su di lei, ancora molto
restio a toccarla, a maggior ragione se lei ne era inconsapevole.
«Pepper?» la chiamò a bassa voce. «Pepper?» tentò di nuovo, più forte ma senza risultati evidenti.
Sospirò: dimenticava che, quelle poche volte che dormiva, era come se cadesse in letargo.
«Pep?» stavolta si accostò al suo orecchio e ottenne un mugolio di risposta quando si forzò infine a posarle la mano sana sulla spalla, riscuotendola gentilmente dal suo torpore.
Lei sollevò appena la testa, schiudendo a fatica le palpebre e mettendo a fuoco il suo volto con lieve sorpresa.
«Signorina Potts, sono io quello che si addormenta in posti improbabili: le sue sono solo squallide imitazioni,» la prese in giro con dolcezza, rivolgendole un tenue sorriso.
«Tony?» articolò lei, raddrizzandosi del tutto con sguardo più vigile. «Va tutto bene?» chiese poi, allarmata, sebbene ancora intontita dal sonno.
«Sto bene. Davvero,» si affrettò a rassicurarla, evitando i sottintesi di quella domanda. «Lei, piuttosto, stava rischiando di svegliarsi con la schiena e il collo a pezzi, ma l'ho salvata in tempo, da bravo super-eroe,» proseguì, mantenendo la conversazione su un tono leggero.
Si era scostato un poco, ma rimase accanto a lei, con la mano ancora posata sulla sua spalla in un contatto appena accennato che era incerto se rompere o meno. Rimase attento a captare il minimo segno di fastidio o disagio da parte sua.
«Grazie,» mormorò Pepper, inclinando con una smorfia il collo indolenzito e stropicciandosi gli occhi arrossati senza curarsi di nasconderli. «Non mi ero neanche accorta di essermi addormentata,» aggiunse, a giustificarsi.
«Sì, di solito il sonno funziona così,» la canzonò lui, strappandole a sua volta un lieve sorriso. «Mi creda, sono un esperto del settore.» 
Nel parlare si accigliò appena notando che gli occhi di Pepper si erano fatti liquidi, probabilmente in modo inconsapevole e slegato da ciò che le stava dicendo. Fece finta di niente e rilassò di nuovo il volto.
«Non dovrebbe dormire anche lei?» gli fece notare Pepper, in un richiamo bonario.
«La mia insonnia è giustificata e inevitabile,» rispose lui, scivolando senza volerlo in un tono più cupo.
Pepper esitò, e lui ebbe l'impressione che la sua aria composta potesse sfaldarsi al primo soffio di vento.
«Anche la mia,» ribatté infine, fissando le vene più scure che sbucavano dal suo colletto.
«Ha anche lei del palladio nel sangue?» gli sfuggì, in modo troppo ambiguo per far capire se fosse una battuta o un rimprovero, e non sapendo lui stesso come volesse intendere quelle parole.
Pepper cercò il suo sguardo con occhi improvvisamente addolorati e lui sospirò, staccando la mano dalla sua spalla per portarsela alla nuca in un gesto stanco.
«Questa era pessima,» ammise, contrito.
«Vorrei riuscire a scherzarci su anch'io,» alzò le spalle lei, senza risentirsi, ma distolse lo sguardo.
Tony indugiò sul posto, poi si sedette sul bordo del tavolo di fronte a lei per alleviare la pressione sul moncherino.
«Andrà tutto bene,» si trovò a mormorarle, forse rivolto più a se stesso che a lei.
Soppresse l'impulso di accarezzarle il volto e tenne le mani raccolte in grembo, strette l'una all'altra a frenarsi da gesti che non era neanche certo di volere o poter compiere. Pepper alzò lo sguardo a incontrare il suo, ovviamente non persuasa da quelle parole banali e artefatte. Tony si chiese da quando le sue iridi fossero diventate di un azzurro più profondo e se avessero sempre avuto tutte quelle sfaccettature. Forse era per via dei suoi occhi ancora lucidi.
«Non ci crede neanche lei,» replicò stancamente, cercando però di riflesso la sua mano.
Tony la avvolse d'istinto tra le sue, per poi realizzare ciò che aveva fatto e rimanere paralizzato, lottando contro l'impulso di sottrarre quella artificiale. Rimase sorpreso quando lei non si ritrasse al contatto col metallo e, anzi, gli strinse il pollice meccanico con una naturalezza che lo lasciò confuso.
«Per ora no, ma ci sto lavorando,» affermò schietto, con una debole alzata di spalle. «C'è sempre una via d'uscita. Devo solo trovarla o inventarla, no?» aggiunse poi, con più convinzione di quanta ne provasse.
A quello Pepper non rispose, ma avvertì la stretta della sua mano farsi più salda tra le sue e sperò di essere riuscito a rassicurarla almeno un po'. Rimasero in silenzio per qualche minuto senza avvertirne il peso, accogliendolo come un balsamo dopo così tante ore colme di apprensione e negatività, rinfrancati l'uno dalla presenza dell'altro.
Dopo un po', Tony si accorse che Pepper iniziava a faticare nel tenere gli occhi aperti, così si scostò dal tavolino e le strizzò appena la mano per riscuoterla.
«
Signorina Potts, va a letto da sola o devo portarcela io?» la stuzzicò con un sorrisino malizioso ripescato chissà dove.
«Credo di potermela cavare da sola,» ribatté pronta lei, accogliendo quel tono spensierato come una boccata d'ossigeno.
«Peccato,» commentò lui, mettendo su il suo impeccabile broncio unito alla collaudata espressione da cane bastonato.
Pepper scosse la testa in un finto gesto di esasperazione e si alzò dal tavolo, coi movimenti rallentati e cauti che tradivano la sua stanchezza, ma gli rivolse un piccolo sorriso mentre s'impegnava meno del solito a ignorare le sue moine. Tony la sorresse d'istinto nel vederla un po' instabile e quasi gli venne da ridere per la situazione surreale in cui lui, quello con evidenti problemi motori, aiutava lei. Pepper uscì dalla cucina, coi piedi nudi che si posavano silenziosi sul marmo e i lembi di quei vestiti troppo larghi per lei che ondeggiavano appena attorno alla sua figura esile e aggraziata. La fissò quasi ipnotizzato. Avrebbe potuto avere addosso uno straccio di ultima mano e saperlo calzare con la stessa eleganza di un vestito di Chanel. Si trovò a seguire i suoi passi senza rendersene conto, spinto da un impulso che non era sicuro di dover assecondare. Lei non obiettò, se non quando furono ai piedi delle scale.
«Mi sta facendo da scorta?» osservò, in una domanda scherzosa che però ne tradiva una più seria, unita a un tenue rimprovero.
«
Devo tenerla d'occhio, in caso decida di sgattaiolare in ufficio per lavorare,» alzò le spalle lui, salendo al suo fianco i gradini e tentando di sfoggiare disinvoltura mentre si impegnava a non terminare la serata ruzzolando giù e perdendo la poca dignità superstite.
Pepper gli scoccò un'occhiata divertita da sopra una spalla, rallentando appena per permettergli di arrivarle accanto.
«Da che pulpito...»
«
... il migliore,» terminò lui, con un mezzo ghigno.
Arrivò infine in cima alla rampa affaticato e con una fitta intercostale, ma integro. La accompagnò fino alla porta della sua camera, iniziando a farsi un po' più cupo ad ogni passo, e si fermò a una distanza superiore al necessario, esitando.
«Allora io andrei a...»
Pepper s'interruppe, notando lo sguardo grave che le stava rivolgendo e il modo nervoso in cui spostava il peso da un piede all'altro, ticchettando a terra col bastone. Si limitò a fissarlo interrogativa, con un lieve imbarazzo che si palesò nel rossore affiorato al suo volto.
«Senti, lasciamo per un attimo da parte le formalità, anche se in effetti sono molto comode...» iniziò incerto lui.
Deglutì a vuoto, trovandosi sotto il tiro dei suoi occhi chiari, fattisi di nuovo penetranti e inquisitori.
«Forse è il caso di parlare di nuovo delle nostre "esistenze complicate".» 
Scrutò la sua reazione, che fu un misto di sorpresa e riluttanza: tamburellò brevemente sullo stipite con le dita sottili, meditando sul da farsi.
«Pensavo volessi dormire.»
«Non sai quanto, ma stasera ho già dato il meglio di me. Ho pensato di chiudere in bellezza,» sospirò lui con debole ironia, rivolgendole un sorriso altrettanto fiacco. «Seriamente, è una faccenda che mi peserebbe molto lasciare... in sospeso,» aggiunse a mo' di spiegazione, per poi abbassare di colpo lo sguardo, schiacciato dal reale significato di ciò che aveva detto.
Si costrinse a prendere un respiro profondo, sperando di non cadere di nuovo nell'affanno, ma avvertì solo la costante costrizione al petto farsi un po' più marcata, come se anche la sua ansia fosse troppo stanca per provare davvero ad assalirlo.
«Forse è meglio se ci sediamo,» lo invitò lei, con un'occhiata alle sue gambe sempre più instabili, e in un solo movimento schiuse la porta varcando la soglia per prima.
Tony esitò una frazione di secondo per poi entrare a sua volta, avvertendo le palpitazioni del tutto illogiche del suo cuore mentre cercava di ignorare il fatto di essere in camera di Pepper, con Pepper e che stavano per sedersi insieme sullo stesso letto mentre parlavano di... loro? Maledisse i propri pensieri incontrollati. Non avevano altro su cui orientarsi? Per esempio il palladio che lo stava uccidendo? A quel punto si lasciò sfuggire un involontario sospiro esausto, concludendo che le agitate elucubrazioni riguardo al loro rapporto ambiguo erano comunque più piacevoli di quello.
Pepper accese l'abat-jour mentre lui si lasciava cadere con ben poca leggerezza sulla sponda del letto, soffocando un lamento: fare le scale non era stata un'idea così saggia, nelle sue condizioni già provate. Non appena la donna si sedette accanto a lui captò un deciso tuffo al cuore e seppe che non aveva speranza di intavolare alcuna discussione logica, con lei così vicino.
«Ti dispiace se mi sdraio?» chiese quindi, scostandosi un poco. «Non sono proprio in forma, stasera,» si giustificò a disagio, dandosi una pacca sulla gamba meccanica e sperando che la vera causa della sua tensione non fosse così evidente.
Lei alzò le spalle a significare che non era un problema e Tony si distese con sollievo, affondando la testa nel cuscino. Realizzò di aver commesso un errore quando riconobbe il profumo di Pepper rimasto impresso sulla federa. Non poté fare a meno di inspirarlo a fondo, dandosi mentalmente dell'idiota mentre indulgeva in quel gesto del tutto inappropriato. Lei si sistemò seduta sull'altro posto, poggiata contro la testiera e abbastanza vicina da poterla sfiorare allungando una mano, se mai avesse voluto. La osservò di sottecchi mentre si raccoglieva i capelli in uno chignon morbido, e si costrinse a distogliere lo sguardo da quei riflessi ramati, prima che diventasse troppo vacuo.
«Quindi...» esordì Pepper, schiarendosi un poco la voce e spostando dietro l'orecchio una ciocca ribelle sfuggita all'elastico.
«Sì...» ribatté Tony, altrettanto a corto di inventiva su come affrontare l'ennesimo discorso complicato e per di più distratto da quel gesto e dall'orma del suo profumo.
Si passò una mano sul volto e dissimulò un colpetto di tosse, esitando.
«Forse conviene partire dalle basi,» ragionò infine Pepper, traendolo d'impaccio.
«Qualunque cosa significhi, per me va bene,» concordò lui con vigore, accogliendo sollevato il fatto che fosse lei a parlare per prima.
«Ci conosciamo da quasi dieci anni,» esordì lei a mezza voce, come se avesse timore di ciò che stava dicendo.
«Mi sopporti da dieci anni.»
«Soprattutto.»
«Fa parte del mestiere, no?»
«Di solito ti sopporto volentieri.» Si bloccò, diventando poi paonazza. «Di solito.»
«Ormai l'ha detto, signorina Potts. Verrà messo agli atti e usato contro di lei,» sogghignò Tony, sentendosi lusingato da quell'ammissione, sebbene un po' colpevole per quello che le aveva fatto "sopportare" ultimamente.
Lei gli rivolse un'occhiata storta, ma sembrava apprezzare il fatto che stesse cercando di stemperare un po' l'imbarazzo con le sue solite battutine sfacciate.
«In dieci anni hai mai pensato di fare questo... tipo di discorso?»
«Che intendi?»
Ma aveva già capito benissimo dove volesse andare a parare e, se da un lato la cosa lo feriva, dall'altro capiva come quello fosse un dubbio ragionevole dal suo punto di vista.
«Se non fossi in... in questa situazione, ne parleresti?» confermò i suoi sospetti lei, ancora a sguardo basso e torturando l'orlo del lenzuolo.
Tony sbuffò appena, pentendosi con tutto se stesso di essersi andato a cacciare in quella situazione senza uscita. E, per di più, con l'auto-imposta promessa di essere sincero.
«Diciamo che fino a qualche tempo fa non ne avrei mai parlato in questi termini. Ma non è un capriccio dell'ultimo minuto,» chiarì con fermezza. «Ci sei... ci sei sempre stata. Già in Afghanistan ho avuto modo di riflettere su quali fossero le mie priorità, e ho capito... hai capito,»
tergiversò, deglutendo con la gola secca.
«L'ho capito anch'io mentre non c'eri,» lo sorprese Pepper, in un tono dolce che raramente le aveva sentito usare e che accelerò i suoi battiti. «Il punto è...»
«Il punto è che sto morendo,» completò lui con durezza, provando l'improvviso e inspiegabile bisogno di dirottare il discorso su un piano più crudo e realistico. «E questa è una variabile che di solito non si considera in nessuna... in nessun rapporto di qualsiasi tipo,» si corresse in fretta esitando a classificare il loro in termini netti, anche quello lavorativo era andato a farsi benedire da tempo.
Pepper giunse i palmi davanti al volto e poggiò i gomiti sulle gambe incrociate, come nel tentativo di assorbire quello che le aveva detto.
«Che casino,» riuscì a dire soltanto, in tono così stanco da non sembrare quasi più lei.
«Non mi sono mai piaciute le cose semplici,» la rimbeccò lui, e Pepper sobbalzò a quelle parole.
Tony sprimacciò con un brusco gesto il cuscino, rifugiandosi poi nel suo odore rassicurante: iniziava a sentirsi frustrato e in gabbia, mentre avrebbe solo voluto abbracciarla e stringerla a sé, fregandosene di tutto il resto e di ciò che sarebbe arrivato dopo. Ma sarebbe stato solo l'ennesimo gesto egoista e impulsivo che avrebbe poi rimpianto. Non poteva imporle tutto ciò. Non si meritava qualcuno di così rotto, che aveva rischiato di rompere anche lei e che poi l'avrebbe lasciata sola.
«Senti, vorrei solo capire cosa vuoi fare tu,» sbottò infine, rendendosi conto con rassegnazione di come la sua voce fosse di nuovo instabile. «Ho bisogno di avere almeno una certezza nella mia vita, oltre a...» la frase sfumò a metà, nel rendersi conto di quanto sarebbe suonata crudele. «Quello,» concluse con un nodo in gola, pentendosi per essersi lasciato andare.
«Possiamo non decidere queste cose a tavolino?» proruppe lei, innervosendosi a sua volta ed evidentemente turbata dalle sue parole.
«Stiamo solo analizzando i fatti.»
«Appunto. Qui non stiamo parlando dei tuoi progetti o di un teorema.»
«In realtà ci sarebbe l'equazione di Dirac che...»
«Ti prego, non cominciare. Stiamo cercando di fare il punto della situazione.»
«Beh, siamo al punto in cui mi rubi i vestiti e...»
«È un'emergenza, sai benissimo che...»
«... credo rappresenti un traguardo importante, no? Insomma...»
«Tony, non provare a sviare il discorso.»
«Beccato.» 
Lui alzò appena le mani, chiedendosi come facesse a parlare in modo così leggero con quel peso sul petto che avrebbe dovuto schiacciarlo, e trovando risposta nel sorriso appena intuibile che si era disegnato sul volto di Pepper. Scosse la testa, in un rimprovero a se stesso per quelle reazioni che sfuggivano totalmente al suo controllo. Tornò serio e si sforzò davvero di non divagare ancora:
«Senti, se anche vorrai andartene...»
«Ti ho già detto che la mia risposta è no
Lui tacque, di nuovo incredulo di fronte alla sua volontà di rimanere.
«Trovare altri lavori dev'essere veramente difficile al giorno d'oggi, signorina Potts,» commentò infine, evitando il contatto visivo con lei.
«E lei, signor Stark, è veramente inopportuno.»
«Concordo, ma potrei comportarmi molto peggio, vista la situazione,» concluse, guardandola con un accenno della sua solita espressione da discolo impertinente che inclinò verso l'alto le labbra della donna.
La vide accigliarsi subito dopo, scuotendo appena il capo.
«Tony, so cosa vorrei fare... ma non è così semplice.»
«Prova a spiegarmelo. Anche non a parole, tanto abbiamo ancora tutta la notte,» insinuò, tirando di nuovo un sorrisetto e sperando di suscitarne un altro sul suo volto per allontanare di nuovo quella cappa opprimente che incombeva sui suoi pensieri.
Lei invece gli scoccò un'occhiata di blando rimprovero, per poi farsi seria. Così seria che il sorriso sul volto di Tony si oscurò all'istante, riconoscendo la durezza inequivocabile nei suoi occhi limpidi.
«Mi hai mentito,» dichiarò infine lei. «E questo è qualcosa che non posso ignorare, al contrario di tutto il resto. Posso perdonare le cucine distrutte, le sbronze, le risse, le scappatelle disastrose, la tua arroganza e le tue risposte ingrate, perché capisco che almeno avevi dei motivi per comportarti così, per quanto discutibili,» disse tutto d'un fiato, lasciandolo per un momento frastornato di fronte all'enormità e al numero di errori che aveva commesso.
Tenne lo sguardo fisso sul braccio che le aveva ferito, chiedendosi se non avesse menzionato quell'episodio per una semplice dimenticanza o consapevolmente e non riuscì a darsi risposta. Colse però l'occhiata fugace che rivolse al reattore. Forse avrebbe voluto aggiungere anche quello alla lista di errori perdonabili. O forse era lui a voler essere troppo ottimista.
«Mentirmi non ha giustificazioni,» concluse lei, con durezza.
«So di aver sbagliato,» replicò quasi automaticamente lui: era così stanco di ripeterlo.
«Non volevi dirmi di Iron Man, non mi hai detto di quanto stessi davvero soffrendo dopo l'incidente, non mi hai detto dell'intossicazione fino ad ora...» 
Pepper si coprì la bocca con una mano, fissandolo corrucciata e con lo sguardo più addolorato che le avesse mai visto, e non ebbe bisogno di sentire il resto per rispondere, più bruscamente di quanto intendesse:
«Non ho più nulla da nasconderti.»
«Come faccio ad esserne sicura?»
«Cosa potrebbe esserci di più grave di questo?»
Si ritrovò ad alzare la voce e si allentò il colletto in un gesto quasi irato, scoprendo le vene intossicate, uniche vere colpevoli di tutta quella situazione. Vide Pepper sobbalzare e ritrarsi a quella vista. Si pentì della sua reazione avventata e lasciò che la maglietta tornasse a coprire quel reticolo venefico, mantenendo però la mano posata sul reattore.
«Sono al capolinea, non avrebbe senso mentire ancora, soprattutto a te,» riprese, di nuovo pacato e in quel tono meccanico che non gli apparteneva.
«E io voglio crederti. Ma non posso ignorare il fatto che tu abbia mentito a tutti per un anno intero, su più questioni, costantemente.»
«Non sempre,» replicò lui sottovoce, ma gli mancò il coraggio di continuare.
«Non sto dicendo di non aver commesso errori io stessa,» continuò lei, senza sentirlo. «Ho sbagliato anch'io. Avrei dovuto ascoltarti davvero, capire che non potevi stare bene e dirti che mi sentivo... che mi sento in colpa per quello che ti è successo, ma...»
«Ci pensi ancora?» la interruppe lui, incupendosi.
Lei si limitò a fissarlo senza parlare: il suo sguardo di nuovo afflitto rispose per lei e Tony avvertì una dolorosa stretta allo stomaco. Rimase a sua volta in silenzio, non sapendo come dissipare dai suoi occhi quell'angoscia e quel rimorso ingiustificati, e finì per sfiorarle quasi inconsciamente il ginocchio, rompendo le barriere che si era imposto in un tenue gesto di conforto a cui lei non si sottrasse.
«Quando abbiamo litigato, in laboratorio...» esordì di colpo, inciampando però nelle sue stesse parole.
Pepper smise di torturare l'orlo del lenzuolo e lo guardò di sottecchi. Tony si arrischiò a continuare, esitante, rompendo il contatto con la sua pelle:
«È stato mesi e mesi fa, magari neanche ti...»
«Mi ricordo,» lo contraddisse lei, stringendo di nuovo la stoffa tra le dita.
«Ok, lasciamo da parte il "pre-doccia di caffè" e passiamo al dopo,» disse in fretta, sentendo di nuovo divampare la vergogna per il modo in ci l'aveva trattata in quell'occasione. «Dopo sono stato sincero.»
«E poi hai ripreso a comportarti esattamente come prima.»
«Non intendevo quello. Insomma, hai ragione, ma non mi riferivo solo a ciò che ho detto,» si interruppe, premendo le labbra e concludendo che quella era davvero una pessima idea, ma si costrinse a continuare: «Ero sincero anche quando... anche in quello che stavo per...» incespicò ancora, portandosi una mano al volto in un moto di frustrazione.
Rinunciò a quella pantomima e sprofondò di nuovo nel silenzio, mandando al diavolo i chiarimenti. Che pensasse ciò che voleva: ormai non aveva comunque importanza, con un piede già nella fossa.
«Cosa avresti voluto fare?» insistette lei con sua sorpresa, dando perfettamente a intendere come conoscesse già la risposta a quella domanda, ma volesse sentirla con le sue orecchie.
«Secondo te cosa avrei voluto fare?» la rimbeccò puntando lo sguardo altrove, all'altro capo della stanza.
"Secondo te cosa vorrei fare adesso?" pensò invece, affondando la testa nel cuscino e chiudendo l'occhio per impedirsi di vederla, annegando però in quel profumo che gli stava dando alla testa suggerendogli azioni sconsiderate.
Sapeva che se in quel momento avesse incrociato i suoi occhi o guardato le sue labbra o sfiorato la sua pelle avrebbe ceduto. Per l'ennesima volta, si rammentò di dover essere migliore di così.
Lei non era una Everhart qualunque, non era una delle sue modelle o belle donne in cui si era concesso di perdersi per anni senza rimpianti, non era un desiderio passeggero che gli scaldava il basso ventre lasciandogli freddi il cervello e gli occhi schermati da lenti scure, non era una singola notte passata a cercare qualcosa in cui forse non aveva mai creduto e che neanche si era mai aspettato di trovare. Qualcosa che aveva trovato lontano dalle sue feste sfrenate e dal suo mondo dorato di piaceri ed eccessi: era emerso in una grotta buia quando la sua vita era attaccata a una batteria, riecheggiava nel richiamo lontano che lo aveva spinto ad aggrapparsi alla vita anche quando questa avrebbe voluto sbarazzarsi di lui, o lui di essa.
Non poteva cedere di nuovo solo perché si sentiva debole e spaventato.
«Probabilmente quello che vorresti fare anche ora,» constatò infine lei con un'acutezza che lo fece quasi boccheggiare.
Tony si voltò infine a incrociare i suoi occhi, più penetranti che mai, e stavolta non riuscì a sottrarvisi. Poteva mentire. Poteva ancora dirle che stavano ingigantendo una questione banale, che non era del tutto lucido e stava farneticando, che era umano e naturale che si sentisse attratto da lei, o che era semplicemente terrorizzato dalla paura di morire da solo. C'era un fondo di verità in ognuna di quelle risposte.
Quella che gli sfuggì era l'unica che non avesse bisogno di alcun filtro, e lasciò le sue labbra intonsa nella sua semplicità:
«Non è un segreto che io ti voglia nella mia vita.» Deglutì a vuoto, senza osare muovere un muscolo. «Ma non con del palladio che mi avvelena, un corpo da buttare, attacchi di panico e sei mesi davanti. Non ho spazio per pensare a... ad altro, anche se vorrei. Anche se vorrei,» ripeté a fatica, chiudendo infine la palpebra per nasconderle quanto gli stesse pesando fare quell'ultima confessione.
Udì un suo respiro più profondo. Non un sospiro, né uno sbuffo: un semplice moto istintivo, quasi a scacciare la pesantezza di quelle parole.
«Su questo siamo d'accordo,» commentò infine, sibillina e forse sovrappensiero.
Tony avvertì un'improvvisa morsa di gelo nelle viscere e riaprì di scatto l'occhio.
«Non fraintendermi...» 
Pepper continuò a parlare senza alzare la testa, concentrata sugli arabeschi del lenzuolo.
«Ho capito benissimo. È comprensibile che tu non voglia qualcuno di così problematico o rotto nella tua vita, soprattutto dopo quello che ti ho fatto passare,» lo disse in modo deciso ma senza rancore, col medesimo senso di distaccata accettazione che aveva provato quando aveva realizzato di star morendo.
«Sei un idiota.»
A quelle parole Tony rialzò lo sguardo, allarmato dal tremito che le aveva scosse. Pepper lo fissava con occhi lucidi, forse più ferita di quanto l'avesse mai vista.
«Pensi che sarei ancora qui, se pensassi una cosa del genere? O che sarei rimasta accanto a te per tutto questo tempo, se ti considerassi solo un qualcosa di "rotto"?» gli chiese tagliente, alzando a poco a poco la voce. «Non è più quello il problema più importante,» continuò alterata, indicando infine il reattore al centro del suo petto, che lui coprì d'istinto con fare protettivo.
«Non è ciò che hai detto qualche ora fa,» ribatté disorientato, in cerca di un appiglio e senza sapere come sottrarsi a quella furia inspiegabile.
«Fino a qualche ora fa non sapevo che stessi morendo!» proruppe lei, a voce più alta.
«Non so dirti che cosa vorrei fare adesso, perché non so neanche che cosa stia succedendo e non voglio capirlo,» concluse, concedendosi infine un sospiro tremolante.
A quel punto le sue lacrime traboccarono, ma in silenzio, con una compostezza così innaturale che gli ci volle più di qualche secondo per registrarle.
«E questo perché mi hai mentito, come sempre,» ripeté, con voce rotta.
Tony a quel punto si sollevò con sforzo sui gomiti, lacerato tra l'istinto di abbracciarla e quello di scappare di lì prima di infliggerle altre ferite. Ma prima che potesse prendere una decisione, Pepper tirò appena su col naso, si asciugò con forza le lacrime e tornò a guardarlo, con una sorta di fierezza negli occhi ancora umidi che lo persuase a rimanere al suo posto.
«Neanch'io ho spazio per pensare ad altro. Anche se vorrei.»
Tony riuscì solo ad annuire appena in risposta, ancora paralizzato, con lo sguardo vacuo e la lingua intorpidita. Ricadde sdraiato, sentendosi privo di forze e spezzato da quell'ultima, schietta affermazione.
Si portò una mano al volto, iniziando a capire cosa intendesse Pepper nel dire che non sapeva cosa stesse succedendo.
Quando le aveva chiesto di parlare non aveva avuto una chiara idea di come sarebbe finita la discussione, né di cosa volesse ottenere lui stesso. In realtà, una parte di lui aveva sempre saputo che la conclusione sarebbe stata quella, e non trovava la forza di ribellarvisi. Non ancora, almeno, non quando si sentiva così debole e a un passo dal baratro.
«Ok,» riuscì a dire con voce stentata «Allora siamo davvero d'accordo, anche se per motivi diversi,» mormorò frastornato.
«Tony, non sto parlando in modo definitivo. Ti sto solo chiedendo di darmi... di darci tempo,
» capitolò infine Pepper, fissandolo intensamente a rafforzare la sua richiesta.
Quell'affermazione inaspettata portò con sé una ventata di sollievo e un velo di serenità che sciolse il nodo di tensione in cui si erano avviluppate le sue membra.
Sfruttò quella calma momentanea per parlare, finché ne era in grado. Non poteva permettersi di rimandare nulla, e i dubbi e le esitazioni erano un lusso che non poteva più concedersi:
«Ho un paio di milioni di cose a cui pensare, il doppio da risolvere e la metà del tempo che mi servirebbe per farlo,» esordì in tono stanco, ma determinato. «A questo punto sarebbe stupido correre.» Alzò un sopracciglio con aria ovvia. «Ho fatto un errore dietro l'altro, ma almeno ho imparato che le cose riescono meglio quando si fanno un passo alla volta.»
Tornò a guardarla, incatenando i loro occhi per essere sicuro che nessuna sfumatura di ciò che voleva dirle passasse inosservata.
«E appunto per questo neanch'io credo che sia il momento giusto per...» esitò brevemente, per poi rinunciare a trovare una metafora calzante e fissarla interrogativo, sentendosi allo stesso tempo pervadere da un calore improvviso. «Per qualunque cosa volessimo provare a far... funzionare.»
Pepper annuì in risposta, indecifrabile, e sperò che avesse capito ciò che intendeva: sarebbe stato fin troppo facile tuffarsi a capofitto in qualcosa di piacevole fingendo che tutto il resto non esistesse. Avrebbe potuto baciarla lì, in quel momento, avrebbero potuto passare tutta la notte a cercarsi e trovarsi, finalmente, dimenticandosi del resto – del palladio, delle bugie, del futuro incerto – e continuare a dimenticarsene per i giorni e le notti successivi.
E dopo? Cosa sarebbe successo quando avrebbe iniziato a stare davvero male, quando avrebbe inevitabilmente cominciato a mentirle di nuovo e ad allontanarla da sé per schermarla dalla propria sofferenza? Si sarebbero solo ritrovati con qualcosa di affrettato e incompleto, fragile e troppo doloroso da sostenere. Sarebbero stati legati con un nodo malfatto, impossibile da sciogliere se non recidendolo di netto, condannandola così a convivere col groviglio doloroso che si sarebbe lasciato dietro. Non era abbastanza coraggioso per affrontare una situazione simile, né abbastanza vigliacco per trascinarvi lei.
Soprattutto, in fondo, sentiva di non meritarsi quel tipo di felicità dopo aver sbagliato così clamorosamente, più e più volte, ferendola a più riprese.
Prima ancora di guarire nel fisico doveva combattere tutto ciò che lo teneva sveglio la notte e venire a patti con l'ombra dei suoi errori che continuava a perseguitarlo. Poi avrebbe dovuto aprirsi davvero, con tutti i suoi difetti e debolezze, e aspettare che anche lei fosse pronta a fare lo stesso. Si rendeva conto di non essere l'unico ad avere qualcosa da riparare, e mentre lei poteva intuire con discreta chiarezza dove fossero le sue fratture, lui riusciva a malapena a intravedere quelle che segnavano lei. Si era aspettato di chiudere
una di quelle porte che continuavano a occhieggiare dietro di lui, ma alla fine l'aveva socchiusa per entrambi. Forse un giorno avrebbero potuto decidere di varcarla senza esitazioni, se avessero ancora avuto tempo per farlo.
«È strano sentirti parlare di calma, ragionevolezza e prudenza.» 
Pepper inclinò appena le labbra in un qualcosa che poteva essere un sorriso, così come una smorfia amara, e si sfregò le guance ancora bagnate.
«Chissà, magari in dieci anni sei riuscita a contagiarmi con un po' del tuo buonsenso,» commentò, con un mezzo sbuffo soffocato dal cuscino.
«Anch'io ho solo te,» proruppe lei a sproposito, e Tony ebbe l'impressione che avesse voluto dirlo già da molto tempo.
Ebbe anche l'intuizione di non replicare, prima di scoraggiarla dal dire altro.
«E voglio solo starti accanto,» affermò infatti subito dopo, con il tono di chi si è tolto un enorme peso dal cuore tornando finalmente a respirare.
«Allora ti chiedo di starmi accanto nel modo che ritieni più giusto. Non ho bisogno d'altro. So che anche questo è strano, detto da me,» aggiunse, con un sorriso furbetto che suscitò una lieve esasperazione sul volto ora un po' più disteso di Pepper.
Tony a quel punto s'incupì un poco, cercando la forza di pronunciare le parole che lo avevano oppresso sin da quando riusciva a ricordare:
«E non merito di più.» 
Finì per dirlo molto più piano di quanto avesse voluto. Era stato poco più di un respiro, ma era certo che Pepper avesse sentito benissimo. Fissò le proprie mani asimmetriche e imperfette, una segnata da scalfitture nel metallo, l'altra da ustioni e cicatrici. Percepiva lo sguardo della donna che lo osservava in modo insistente, senza parlare. Dopo qualche secondo di quieto silenzio, sentì le sue dita che si insinuavano tra le ciocche disordinate dei suoi capelli, scostandoli dalla sua fronte in una breve carezza che gli strappò un sospiro involontario.
«Questo non sei tu a deciderlo,» gli disse. «E neanche io,» concluse con un filo di voce, ritraendo la mano.
Con un istante d'esitazione finì per posarla sulla sua guancia sana, in un tocco così leggero che avrebbe potuto essere impalpabile, se lui non fosse stato intento a percepire e accogliere ogni suo gesto. Osservandola, invece dei mille pensieri intelligenti che avrebbe potuto avere, provò solo l'improvvisa urgenza di riportarle dietro l'orecchio quella ciocca fulva e ribelle che continuava a scivolarle davanti al volto.
«Dovremmo cercare insieme la soluzione,» affermò lei con improvvisa fermezza, mentre lo derubava inconsapevolmente del gesto che avrebbe voluto compiere lui e si sistemava sovrappensiero i capelli.
Tony ci mise qualche istante a realizzare cosa avesse detto e rimase un poco spiazzato, mentre risaliva al giorno in cui lui stesso le aveva rivolto quella richiesta. Nel parlare rivolse di nuovo in basso lo sguardo.
«Alle nostre esistenze complicate?»
«A tutto quanto.»
Tony si decise a girare la testa per guardarla, seduta a gambe incrociate con lo chignon sfatto, gli occhi ancora arrossati, le guance rigate e quella maglietta troppo grande per lei che la faceva sembrare ancor più esile di quanto non fosse. Nelle sue spalle appena incurvate, nelle dita della mano libera attorcigliate strettamente attorno al lenzuolo, nei piccoli segni di tensione sul suo volto fine, riusciva a leggere la sua paura. Paura di perderlo, di poter sbagliare, di affrontare una realtà dalla quale lui avrebbe voluto e dovuto proteggerla. E allo stesso tempo percepiva distintamente la sua risolutezza: emergeva dalla piega decisa delle labbra, dalla mano posata sul suo viso, come a voler ancorare se stessa e lui nello stesso punto, dai suoi occhi rossi, sì, ma limpidi e determinati, che sostenevano il suo senza vacillare.
Sentì le proprie labbra incurvarsi spontaneamente verso l'alto, in un sorriso che scaturì da quel punto imprecisato tra il reattore e il cuore che aveva ormai imparato a riconoscere. In quell'istante capì che gli bastava quello: vederla accanto a sé e sentirla così vicina da potersi dimenticare per un attimo di se stesso.
Era sempre Pepper, e quello non sarebbe mai cambiato.
«È un'ottima idea. Non per niente in principio era mia,» puntualizzò, sollevandosi in modo un po' goffo per portarsi seduto accanto a lei e fissarla con tenue impertinenza.
«Sei sempre il solito,» lo riprese prontamente lei nonostante la voce un po' rotta, scostandogli appena il volto con una spinta giocosa.
«Questa sì che è una buona notizia,» la canzonò lui.
Pepper continuò a fissarlo, ruotando leggermente il capo, e lui si rese conto solo in quel momento di quanto i loro volti fossero vicini e di come la mano di Pepper fosse ancora posata sulla sua guancia. Sentì un nodo d'apprensione tornare a strozzargli lo stomaco e rimase immobile, non osando quasi respirare, mentre la loro discussione gli scorreva insistentemente in testa intimandogli di...
"... non fare stronzate," si ripeté, in modo incredibilmente poco convincente.
Guardò Pepper negli occhi, ancora troppo vicini.
Prima di poter realizzare cosa stesse facendo, si sporse appena verso di lei e le sfiorò la guancia in un bacio leggero, senza trovare il coraggio di indugiare troppo a lungo sulla sua pelle tiepida, sulla quale percepì il sentore del sale. Rimase a un soffio da lei, accarezzando con lo sguardo le sue guance punteggiate di efelidi e chiedendosi se iniziare a contarle una ad una potesse essere un modo efficace per distogliersi dalle sue labbra ora appena schiuse in un moto di sorpresa.
«Forse dovremmo...»
«... dormire,» concluse con decisione lei, sostenendo il suo sguardo con fare eloquente senza però spostarsi di un centimetro, guardando di rimando la sua bocca.
Tony si riscosse nell'udire quelle parole già sentite e si ritrasse, rimanendo vicino a lei ma a una distanza più ragionevole, con sollievo e rammarico allo stesso tempo. La mano di Pepper era scivolata sul suo braccio, come se niente fosse accaduto.
«Ho ancora qualche ora di autonomia,» ribatté lui, tentando di riportare la situazione in campo neutrale.
Il suo tono più basso di mezza ottava tradì quanto gli eventi di quella giornata interminabile l'avessero provato, così come lo sbadiglio trattenuto a stento che seguì, e che strappò un'espressione da "te-l'avevo-detto" a Pepper. Si sentiva avvolgere sempre più da una piacevole, rilassata cappa di stanchezza che non aveva nulla a che vedere col senso di crescente esaurimento delle ultime settimane. Forse, almeno per quella notte, sarebbe riuscito a dormire sonni tranquilli.
Scivolò oltre il bordo del letto, recuperò il bastone e si alzò con cautela, controvoglia e sentendo la gamba meccanica che protestava vivacemente per lo sforzo.
«In realtà mi piacerebbe rimanere qui, ma credo che sarebbe inopportuno,» confessò, senza pensarci e pentendosene all'istante.
Si scambiarono un'occhiata e fu chiaro a entrambi che in realtà nessuno dei due lo avrebbe ritenuto così inopportuno.
«Sarebbe strano,» commentò solamente Pepper, con lo sguardo puntato sul materasso.
Tony si limitò ad annuire, ammettendo che non era il caso di confondere ulteriormente le cose, soprattutto dopo ciò che si erano detti e ciò che aveva appena deciso contro ogni presunto buonsenso, così si avviò zoppicando verso la porta.
«Cominciamo da domani? A cercare soluzioni, intendo,» le propose poi con spossato entusiasmo, bloccandosi sulla soglia e appoggiandosi allo stipite.
«È la prima volta che la vedo ansioso di lavorare. Potrei davvero iniziare a preoccuparmi, signor Stark,» lo prese in giro lei, a sua volta assonnata.
«L'ho detto che sta iniziando ad avere una cattiva influenza su di me, signorina Potts,» rispose a tono lui, rivolgendole uno sguardo di finto rimprovero.
Prima di uscire, temporeggiò ancora qualche istante per contemplare il suo volto affaticato, ora ravvivato da un sorriso pieno e deciso che le faceva brillare gli occhi.
Sorrise anche lui: era sempre la sua Pepper.
Forse non si meritava di più, ma non aveva davvero bisogno d'altro.




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Note Dell'Autrice:

Salve, prodi lettori giunti fin qua, e bentornati alla sagra dell'angst! <3
Scherzi a parte, mi rendo conto che questo capitolo è più pesante del solito, per usare un eufemismo. So che vi aspettavate altri sviluppi, ma nonostante la situazione tra quelle due zucchine sia finalmente "chiarita" dovrete aspettare ancora. Ammetto che in questo capitolo è stato particolarmente delicato e mi sono trovata ad affrontare temi per me molto sensibili. Perciò non mi sono sentita di "affrettare" le cose (per quanto sia paradossale un'espressione simile dopo 40+ capitoli...) Non mi dilungo ancora su questo punto: credo che i ragionamenti di Tony sulla "questione dell'attesa" esprimano già tutto, condivisibili o meno che siano :)

Per il resto: tirate un sospiro di sollievo, perché la carrellata d'angst più intenso è finita è appena cominciata! No, dai, non scappate...
Seriamente, i prossimi capitoli si manterranno su un sano miscuglio di fluff-angst con la battuta pronta di Tony a stemperare la situazione, quindi dovrebbero risultare molto più leggeri di questo. E avrete un sacco di PoV Pepper in cui riuscirò a mandare OOC pure lei :D (sto realmente meditando se inserire l'avvertimento OOC proprio in seguito a questo capitolo, fatemi sapere se la ritenete un'idea sensata).

Ringrazio _Atlas_ Emyclarinet per aver recensito lo scorso capitolo e tutti coloro che leggono, seguono e aggiungono alle ricordate/preferite/seguite <3 Un grazie speciale a T612 che si è recuperata tutta la storia in tempo record, commentandone i capitoli salienti <3
Il prossimo capitolo in teoria è pronto. In pratica non mi soddisfa per niente, quindi preannuncio un aggiornamento attorno al 15-20 del mese prossimo per aver modo di lasciarlo "a riposo" per poi sistemarlo.
Bye bye, motherfuckers [Fury, esci dal mio PC]

-Light-

P.S. Nota tecnica: il metodo che usa Pepper per tranquillizzare Tony è funzionale alla storia, ma a onor del vero non è affatto consigliato durante un attacco di panico come primo approccio. La reazione al contatto fisico in questi casi è estremamente soggettiva e, mentre con alcune persone funziona (per la scena mi sono blandamente rifatta a delle esperienze con u* mi* amic* che reagiva bene agli abbracci), con altre scatena la reazione opposta e rischia anche di peggiorare l'attacco. Tutto ciò per evitare fraintendimenti o di urtare la sensibilità di chi, magari, soffre di questo disturbo e non si riconosce nella scena descritta.
P.P.S. Si è creato di sua sponte un altro capitolo, quindi il countdown si resetta a -8 ;)

 


 

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