Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Mysecretfanmoments    23/07/2018    3 recensioni
"Tu lo hai dimenticato," disse, la voce non nascondeva la sorpresa. "Ah. Ecco allora perché mi chiamavi capitano."
Reincarnation AU in cui Eren e Levi non hanno mai iniziato una relazione nella vita passata. (Altre coppie presenti: Erwin/Marie, accenno di Armin/Annie)
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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N.d.T.: molti di voi probabilmente avranno aperto questa fanfiction e iniziato a leggere senza capire nulla, questo perché si tratta del secondo capitolo ed io ho abbandonato questa traduzione per quasi un anno ormai! Chiedo venia, l’università mi ha tenuta impegnata più del previsto. Ad ogni modo, sono tornata al lavoro! Vi lascio al secondo capitolo.

Dolorosi ricordi

Il capitano portò una mano al viso per cercare di nascondere la sua espressione scioccata. “M-moccioso,” disse, mentre un certo rossore appariva sopra la sua sciarpa. Eren rimase fermo a fissarlo, senza accorgersi nemmeno della gente che si scontrava contro di lui e degli sguardi infastiditi dei passanti. L’altro uomo diede segno di averlo riconosciuto immediatamente e dei brividi attraversarono il corpo di Eren.

Era sempre stato così basso? Così facile da decifrare? Il cuore di Eren fece una capriola, ma non sapeva il perché. Non riusciva a iniziare a parlare.

“Questa volta sei silenzioso,” disse il capitano mentre la sua espressione si rilassava di nuovo. Era il movimento nervoso delle sue mani che lo tradiva, rivelandogli che non era così calmo e impassibile come lui avrebbe voluto fargli credere.

“Possiamo parlare da qualche parte?” chiese Eren.

Il capitano annuì.

Si incamminarono a passo svelto. Eren poteva a mala pena sentire le sue gambe per lo shock avuto, ma era fiducioso che lo avrebbero sorretto mentre riversava tutta la sua attenzione sull’uomo a fianco a lui. Il capitano (maledizione, qual era il suo nome?) indossava un cappotto ampio nero e una sciarpa blu, vestito come tutti gli altri uomini d’affari e alla moda tra cui Eren non si sentiva molto a suo agio. Lo avrebbe riconosciuto senza il familiare taglio di capelli? Pensò di no. Fu enormemente grato del fatto che il capitano non avesse voluto cambiare il suo aspetto. Armin aveva abbandonato da tempo il taglio a scodella dell’Altro Armin e nessuno lo avrebbe riconosciuto per strada senza di esso.

Il suo accompagnatore entrò in una caffetteria, senza controllare se Eren lo stesse seguendo. Sì, eccome se lo seguiva.

“Cosa vuoi prendere?” chiese il capitano, togliendosi i guanti di pelle. Eren osservò mentre lo faceva cercando di ricordare la domanda.

Cosa vuoi prendere. Giusto.

“Qualcosa di caldo,” disse. Abbassò la cerniera della giacca e iniziò a rovistare nella tasca interna cercando il portafoglio, ma una mano lo fermò.

“Vai a sederti.”

Quella voce ferma non permetteva discussioni ed Eren lasciò il capitano stare in fila, scegliendo un tavolino in un angolo del locale. La sua testa era un brulicare di domande, ma una spiccava sulle altre: quale diavolo era il vero nome del capitano?

Forse iniziava con la L. Gli era già capitato di pensarci, ma consultare le liste di nomi per bambini non aveva aiutato per niente. Davvero iniziava per L? L’unico nome che iniziava per L che gli venne in mente in quel momento fu Leeroy Jenkins.

Era abbastanza sicuro che non fosse quello giusto.

Dovette interrompere il suo brainstorming quando il capitano lo raggiunse con in mano due bicchieri di carta. Ne porse uno a Eren prima di sedersi di fronte a lui e di togliersi cappotto e sciarpa. Aveva un’espressione corrucciata ed Eren si chiese perché avesse accettato di parlare con lui se non voleva.

No. Non era quello. Semplicemente, il capitano non voleva esprimersi come facevano gli altri. Non ci sarebbero stati sorrisi pieni di lacrime e abbracci, non come era stato con Mikasa e Armin.

“Qual è il tuo nome?” chiese Eren, aveva deciso di gettare la prudenza al vento. Poteva sempre fingere di aver capito come si chiamava attualmente, non qual era il suo nome prima.

È lo stesso,” rispose il capitano.

Dannazione!

“Il tuo?”

Ehm, è lo stesso. Eren. Eren Jaeger. Sono entrambi gli stessi.”

Il capitano alzò un sopracciglio. “Io so qual era il tuo nome. Pensavi lo avessi dimenticato?”

Eren scrutò con attenzione la sua bevanda. Sperava si fosse raffreddata abbastanza per poterne bere un sorso.

Tu lo hai dimenticato,” disse il capitano, la voce non nascondeva la sorpresa. “Ah. Ecco allora perché mi chiamavi capitano.”

Si poteva morire per l’imbarazzo? “Era così come la gente ti chiamava. Come io ti chiamavo.”

“Non mi sono offeso,” disse l’uomo, ma per quanto ne sapeva Eren, dietro quell’espressione vacua poteva nascondersi una rabbia mostruosa. “È Levi.”

“Levi,” mormorò Eren, si sentì come se tutto fosse tornato a posto. “Capitano Levi.”

“Solo Levi.”

Eren arrossì. “Giusto.”

“Volevi parlare,” disse Levi. Non sembrava proprio impaziente, invece era come se stesse ricordando a Eren qualcosa che potrebbe aver dimenticato.

Eren aveva dimenticato tante cose, ma non che volesse parlare con quest’uomo.

“Non saprei da dove iniziare,” disse per scusarsi. “Dopo così tanto, no?”

Levi si avvicinò con dell’interesse nel suo sguardo. “Hai trovato gli altri?”

“Sì, due,” disse Eren, pensando potesse essere divertente fare un esperimento. “Indovina chi.”

“Tua sorella,” rispose subito Levi. “E… quello con la testa a fungo. Il biondino. Quello intelligente.”

Eren stava per chiedergli i loro nomi, ma preferì di no. “Indovinato, Mikasa mi ha trovato quando avevamo sette anni, infatti non mi fido dei miei ricordi di prima di allora, e abbiamo trovato Armin quando avevamo sedici anni.”

“Siete coetanei?”

Eren si accigliò. “Lo siamo sempre stati. Perché?”

Levi distolse lo sguardo. “Ho trovato degli altri. Sono più vecchi di quanto lo erano, almeno rispetto a me. Erano più giovani. E tu sembri avere più anni di quelli che dovresti avere.”

Eren sorrise interdetto. “Più anni di quelli che dovrei avere? Quanti? Quanti anni hai tu?”

“Ventotto.”

“Cosa significa?”

Levi bevve un sorso dal suo bicchiere, the, dall’etichetta che sporgeva, poggiò le mani sul tavolo e, con gesto deciso, girò la testa altrove. “Ho una teoria. Siamo passati attraverso... una porta d'accesso. Siamo nati nel momento in cui siamo usciti dall’altra linea temporale.”

C’era qualcosa nella voce di Levi che fece crescere l’ansia in Eren. Una porta d'accesso? Uscire dalla linea temporale? Tra i suoi pensieri gli sorse un’idea terrificante. “Usciti dalla linea temporale. Vuoi dire morti?”

Levi annuì.

“Ma tu ora hai dieci anni più di me,” disse Eren, appena sorridendo. “Significa che sei-sei…”

Cominciò a sentire il proprio stomaco attorcigliarsi. Avanzò con la sedia, preso completamente alla sprovvista. Ricordava di aver passato delle lunghe notti a parlare, di essere picchiato, ricordava un grande rimpianto. Non ricordava… non ricordava…

Aveva sentito il suo nome, ma non riusciva a dipanare la fitta nebbia dei suoi pensieri, l’annebbiamento della sofferenza. Il dolore lo aveva lasciato annebbiato, cieco, sordo. Nell’altra vita aveva potuto sapere com’era vedere il suo eroe morire, e ne aveva cancellato il ricordo. Avrebbe voluto continuare con la sua vita senza riaverlo.

“Eren.” Questa volta delle mani accompagnarono la voce, costringendolo a raddrizzarsi. Fece un respiro profondo nonostante le lame che sentiva nei polmoni e aprì gli occhi. Denti stretti. L’uomo che gli ricambiava lo sguardo gli apparve all’improvviso molto più intrigante.

“Capitano,” disse Eren. Anzi, rantolò.

Alle sue parole apparve un mezzo sorriso. “Levi.”

“Non…”

Levi annuì appoggiandosi sulla sedia. “Va bene. Nemmeno io ricordo molto. O almeno, per molto tempo non ho ricordato nulla.”

“Vorrei chiederti una cosa su questo, se non ti dispiace.”

“Spara.”

Eren intrecciò le dita, mentre un’ansia diversa lo riempiva. Perlomeno questa scoperta la faceva sembrare una cosa di poco conto. “Ho un certo ricordo,” esordì. “In un tribunale, o qualcosa di simile.”

Levi trasalì. “Credo di sapere quale ricordo intenda.”

Se lo sapeva, Eren non lo avrebbe descritto a voce. Aspettò che fosse Levi a parlare, avvertendo la tensione attorno alla sua bocca.

“Credo che in quel momento sia stato necessario,” disse Levi. “Non sono sicuro… no, invece sì. Era per fare scena, anche se non ricordo il perché. Aveva qualcosa a che fare con il tuo mutare forma. Ricordo anche che stavi in una cella. Ciò che facevo riguardava quello, ma è tutto ciò che riesco a ricordare.”

Era già qualcosa, anche se Eren avrebbe sperato in una spiegazione migliore.

“Sia Mikasa sia Armin ricordano che io mutavo forma,” disse Eren. “Ma io no. Non ricordo nulla di tutto ciò. Ricordo solo che potevo guarirmi le ferite.”

Levi annuì e calò tra di loro un silenzio imbarazzante. Riportarono la loro attenzione ai loro bicchieri ed Eren bevve un sorso. Era dolce, un tipo di mocha. Forse caramello. Chiuse gli occhi mentre beveva un sorso più lungo, gustandosi l’aroma del caffè e il sapore dolce sulla sua lingua. Sì. Era sicuramente caramello.

Quando rialzò lo sguardo, Levi lo stava guardando e un’ondata di calore pervase il corpo di Eren, e non dipendeva dal caffè. Ripensò alle altre domande che voleva fargli, che tipo di rapporto c’era esattamente fra di loro, se sapeva che a Eren in qualche modo piacesse, ma anche se tutte queste cose erano successe in un’altra vita si sentiva comunque troppo in imbarazzo per chiederle.

“Chi hai trovato?” chiese Eren sperando di non svelare il suo imbarazzo.

“La mia squadra,” disse Levi con voce quieta. “Quelli che sono morti mentre tentavano di fermare il gigante femmina. Loro sono quelli più vecchi. Vivono la loro bella vita, sono impiegati in una specie di casa produttrice di videogiochi che sta cercando di ricreare il sistema di movimento tridimensionale. Ci stanno lavorando da anni. Poi mi hanno trovato Erwin e Hange, vivono poco lontano da qui. Tecnicamente, non si chiama più Hange, ma si fa ancora chiamare così. Erwin è sempre Erwin, è nato in Olanda.”

“Il comandante e la scienziata pazza?”

Levi ridacchiò. “Sì. Entrambi sono più giovani di me, questa volta, quindi deduco che prima mi siano sopravvissuti. Bastardi.”

Eren avrebbe voluto ridere alla battuta ma il dolore di prima lo stava attanagliando allo stomaco, non poté fare altro che stringere i denti e far sembrare un sorriso la smorfia che stava facendo. Si sarebbe ricordato come era morto Levi se ci avesse pensato abbastanza a lungo? Aveva la sensazione di essere stato lì presente, ma non sapeva come era stato ai suoi occhi o cosa era successo. Gli venne in mente un’ipotesi orribile.

“Moccioso? Oi, moccioso.”

Eren lo guardò e si sentì torcere dentro. “Non ti ho ucciso io, vero? Nell’altra mia forma? So che…“

“Non essere stupido. Non avresti potuto uccidermi neanche provandoci, forse per sbaglio. Non ricordo esattamente come sono morto, ma non è stata colpa tua.”

“Ma io ero lì?”

Levi tamburellò le dita sul tavolo, come se stesse per mentire od omettere qualcosa di importante, ma tutto ciò che disse fu: “Tu eri lì.”

Allora Eren come avrebbe potuto dimenticarlo? Aveva vissuto dieci anni senza di Levi, se la sua teoria fosse stata esatta. Ne sarebbe impazzito, no? O era davvero quello il problema? Ricordava luoghi, odori, sensazioni, ma i suoi pensieri dell’altra vita erano annebbiati.

“Come stanno Erwin e Hange?” chiese, cercando di distrarsi dal dolore nel suo stomaco. Ricordò a sé stesso che non sapeva se Levi sarebbe stato ancora così collaborativo, o se avrebbe perfino voluto mantenere i contatti ora che avevano parlato. Proprio non ce la faceva a stare lì seduto e autocommiserarsi.

“Hange è la stessa. Esattamente la stessa. Sarebbe potuta nascere in qualsiasi mondo e sarebbe la stessa rompiscatole che è sempre stata. Sta studiando per il dottorato in una qualche strana specie di psicologia. Erwin è un padre di famiglia, anzi, lo diventerà presto. Cazzo, quanto è felice. È tutto ciò per cui ha sempre lottato, è il suo paradiso personale.”

Eren deglutì. “E tu?”

Levi rise. “Guardami. Sembro diverso? Sono sempre stato stronzo e cinico. L’essere nato in questo mondo non ha cambiato niente, a parte il fatto che adesso io non abbia proprio motivo di esistere.”

“Cosa vuoi dire?” chiese Eren con la voce che non nascondeva il panico. Le sue mani si chiusero in pugni sul tavolo.

Levi lo guardò e il suo sguardo tagliente si addolcì. “Non intendevo proprio quello.”

“Ah sì?” Eren non riuscì a trattenere la rabbia nella sua voce. “Cosa intendevi, allora?”

“Calmati un po’, moccioso. Non ho nessuna intenzione di suicidarmi nei prossimi giorni. Intendo questo mondo. Non sto dicendo che mi manchi uccidere i giganti, ma almeno quello era semplice.”

“Quindi che cosa fai ora?”

“Lavoro,” disse. Guardò l’orologio. “Supponendo che non venga licenziato per questo.”

Eren spalancò gli occhi. “Potrebbero licenziarti?”

“Forse. Magari no.”

Sembrava che per lui fosse la cosa meno importante del mondo.

“Dovrei lasciarti andare a lavoro, allora,” disse Eren, senza riuscire a nascondere il suo disappunto.

Levi alzò un sopracciglio. “Spero tu abbia pensato di darmi prima il tuo numero.”

“Cosa? Io… sì, certo. Non intendevo… certo che lo avrei fatto.” Afferrò un tovagliolo e lo piegò, quando si ricordò di non avere una penna. Le sue orecchie diventarono fucsia. “Ehm, penna?”

Levi gliela diede, insieme al biglietto da visita.

“Non è importante,” disse lui. “Il lavoro, voglio dire. Posso restare.”

Eren avrebbe voluto, ma era troppo nervoso per darlo a vedere. “Le lezioni iniziano tra poco.” Terminò di scrivere il suo numero e aggiunse il suo indirizzo. “Posso dire a Mikasa e Armin di te? Abbiamo cercato Hange per mesi ormai e se Armin sapesse che l’abbiamo trovata la smetterebbe di farmi leggere tutti gli articoli che lui pensa essere suoi.”

“Perché non avresti dovuto dire loro?” fu la sola risposta di Levi, ed Eren si sentì in imbarazzo un’altra volta. Giusto. Perché a Levi sarebbe andato bene conoscere lui, ma non Mikasa e Armin? Era una cosa stupida. Eren finì il contenuto del suo bicchiere sperando di dissimulare le sue mani tremanti. Quando lo poggiò, il bicchiere si accartocciò da quanto lo stava stringendo forte.

“Grazie,” disse, fissando il tavolo. “Non avrei mai pensato che ti avrei rincontrato così. Pensavo avrei dovuto darti la caccia.”

Levi annuì. “Vai a lezione, moccioso.”

Eren assentì. “A presto,” disse impacciato. Si alzò in piedi e in quel momento volle toccare l’altro, ma non si erano mai abbracciati o toccati molto, non che Eren sapesse, e non sapeva come cominciare.

“Sì,” disse Levi. “Presto.”

Eren rindossò la sciarpa e la giacca e si diresse verso la porta, dando un ultimo sguardo dietro le spalle verso Levi. Fu solo un istante, un solo passo dell’andatura veloce di Eren, ma vide Levi abbandonarsi e poggiare il mento sulle mani. Vedere quel momento di debolezza del capitano gli provocò una fitta al cuore.

Cosa aveva detto Eren per farlo rimanere così?

   
 
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