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Autore: Jeo 95    25/07/2018    2 recensioni
(All27-Family centic)
Disperati. Distrutti. Pronti a tutto pur di riavere ciò che hanno perduto, ciò che gli è stato tolto ingiustamente, e che non sono disposti a lasciarsi alle spalle.
A costo di perdere sè stessi, faranno tutto ciò che è in loro potere per salvare la vita di colui senza il quale non possono vivere.
Perchè un Cielo senza Elementi può vivere ugualmente.
Ma gli Elementi senza un Cielo non possono far altro che perire.
***
(Titolo provvisorio)
Genere: Angst, Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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N.d.A.- Chaossu! Sono tornata con il terzo capitolo, in ritardo rispetto a quello che avevo previsto siccome una tempesta ha fatto cadere un palo della luce che, sfortunatamente, ha messo k.o. il mio wifi... che palle T.T
Cooooomunque, riguardo al capitolo, devo dire che... meh, sono metà soddisfatta e metà non troppo! Ma mi sto divertendo troppo a scrivere di due personaggi in particolare, e sul rapporto che questi avranno con Hayato e gli altri Guardiani, non vedo l'ora!
Se avete domande sono sempre a disposizione, ringrazio di cuore tutti voi, che perdete un po' del vostro tempo per leggere questa mia storia <3
Grazie a tutti
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*



 

Avendo accettato la proposta di Luce, per Hayato era iniziata una nuova vita sotto il sigillo dei Giglio Nero.

Era stato strano all'inizio -nella sua testa e nel suo cuore lo stemma della Famiglia Vongola avrebbe sempre avuto un posto speciale, indelebile- ma adattarsi fu semplice.

Gli altri uomini erano gentili, l'avevano accettato sorridendo, accogliendolo in quella grande famiglia calorosa come se ne avesse sempre fatto parte. Era piacevole, risentire quel calore nel petto.

Si era ripromesso di portare a termine qualsiasi incarico il suo nuovo Cielo avesse deciso di affidargli -sempre all'estremo, con impeccabile efficienza, sorridendo davanti alle avversità, come avrebbero fatto per il Decimo- e di sostenere i nuovi compagni come avrebbe fatto in passato.

Forse non allo stesso livello di affetto che li legava ai Vongola, -un legame unico, speciale, che non si sarebbe mai potuto spezzare- ma dopo sei mesi passati con loro, lottando per lo stesso Cielo, riusciva quasi a considerarsi parte della grande Famiglia che erano i Giglio Nero.

Era pronto a tutto.

Quello che lo attese quel giorno però -quando Luce lo aveva chiamato con urgenza nel suo ufficio per discutere una questione delicata- lo colse totalmente alla sprovvista.

«Potete ripetere per favore, Luce-sama?» boccheggiò, mentre l'aria faticava ad arrivargli ai polmoni.

Doveva aver capito male, aveva sicuramente capito male.

«Ho detto che vorrei affidarti i Mare Ring, tutti quanti ad eccezione di quello del Cielo.»

Luce gli posò tra le mani una scatola bianca come la neve, lo stemma dei Giglio Nero serigrafato in oro sopra la custodia, appoggiandosi poi al bordo della scrivania con le braccia conserte, aspettando che il Guardiano la aprisse.

Di tutto quello che poteva aspettarsi -ogni tipo di missione, dall'omicidio allo spionaggio, era pronto a qualsiasi cosa- quello fu del tutto inaspettato.

Si era chiesto più di una volta cosa ne fosse stato del tesoro custodito dai Giglio Nero, ma era stato solo un pensiero, un'idea, accantonata nello stesso istante in cui era nata. Non si sarebbe mai aspettato di averli tra le mani, chiusi nella loro custodia, men che meno di riceverli.

Prendendo un profondo respiro, quasi spaventato da quello che si nascondeva dentro l'astuccio bianco, Hayato aprì infine la scatola.

Erano bellissimi, proprio come li ricordava, poteva percepirne l'enorme potere anche così, senza indossarli o toccarli: tra le sue mani, risplendevano entusiasti i Mare Ring della Famiglia Giglio Nero.

Prendendo l'anello della Tempesta, la volontà dell'anello fu capace di avvolgerlo in un vortice di emozioni contrastanti, che se non fosse stato pronto a ricevere lo avrebbero di sicuro sopraffatto. Che potere spaventoso.

Rigirandoselo tra le dita. Hayato ne studiò ogni minimo dettaglio -non era mai stato così vicino ad uno di quegli anelli prima di allora- dalla purezza della pietra centrale al particolare delle piume incise una ad una sulle ali che decoravano l'anello. Erano bellissimi.

Mai come i Vongola Ring però.

«Questo è indubbio, stupida mucca.» guardò Luce con confusione.«Non capisco, perché proprio ora? E perché darli tutti a me? Non dovrebbero essere divisi tra i vostri Guardiani, Luce-sama?»

Strofinando la pietra del proprio anello -che sensazione strana, sentirlo di nuovo al proprio dito dopo tanto tempo- Luce si prese qualche minuto per pensare, cercando le parole migliori per spiegare ad Hayato le ragioni che l'avevano spinta a prendere quella decisione.

«Dovevo essere pronta, dovevamo esserlo entrambi.» prese un profondo respiro.

Quello che stava per spiegare -il lungo discorso che per settimane aveva provato nella solitudine delle sue stanze in previsione di quel momento- era di estrema importanza, non doveva tralasciare nulla.

Nel momento in cui Hayato era diventato suo Guardiano aveva avuto la consapevolezza che quel momento sarebbe presto arrivato -se avesse potuto ritardarlo ancora non avrebbe esitato a farlo, tutto pur di tenerlo lontano da quella pericolosa responsabilità ancora per un po'- erano serviti mesi per ultimare i preparativi, mandare tutto all'aria ormai non era più possibile.

«Vedi, i Mare Ring sono il tesoro della mia Famiglia sin dalla Prima Generazione. La mia antenata, Sepira, ha lasciato scritto che questi anelli nascondono un potere prodigioso, legato ad altri due set di oggetti insieme ai quali mantiene in equilibrio le Fiamme del mondo.»

Hayato lo sapeva -non avrebbe mai potuto dimenticarlo- ma lasciò comunque che il Boss gliene parlasse, dimostrando di riporre in lui più fiducia di quanta non meritasse.

Luce aggirò con grazia la scrivania e si affacciò alla finestra, guardando l'immenso cielo blu che avvolgeva il mondo nel suo abbraccio. Un cielo sereno, una bella giornata di sole.

«I Mare Ring sono potenti, e per quanto io riponga massima fiducia nei miei uomini, so anche che nessuno di loro è davvero in grado di controllarne il potere.» si avvicinò ad un cassetto, estraendo un secondo astuccio bianco, identico a quello che Hayato stringeva tra le mani.«Questi saranno gli ufficiali Mare Ring che consegnerò personalmente ai miei altri Guardiani. Sono delle copie, le migliori che avremmo mai potuto creare, tutti crederanno che siano quelli veri.»

Aprendo la scatola, sette anelli copia erano stesi su un telo di velluto rosso, identici a quelli che Hayato teneva tra le mani in quello stesso momento.

«Recentemente, ci sono stati degli... attacchi. Molti utilizzatori delle Fiamme sono spariti, altrettanti anelli sono stati rubati. Immagino tu conosca la delicata situazione a cui stiamo andando incontro, specie per quanto riguarda le Famiglie che non possiedono uomini in grado di trasformare la propria volontà in energia. Non posso rischiare di perdere questi anelli, né tanto meno posso correre il rischio che i miei altri Guardiani, incapaci di sostenerne il potere, vengano divorati dalle loro stesse Fiamme.»

Il potere di quegli anelli era infinito, solo poche persone erano in grado di controllarli, e per quello che riguardava i correnti Giglio Nero, soltanto Hayato ne era in grado. In verità avrebbe voluto legarsi ad ognuna delle Fiamme che scorrevano nelle vene del giovane, ma questi si era opposto fermamente a questa decisione: legarsi ad un solo Guardiano era rischioso, specialmente perché non poteva garantire una costante presenza al fianco del Boss.

Legandosi a persone diverse invece, poteva avere la certezza di avere sempre qualcuno dei suoi Guardiani pronti a proteggerla, e non potendo contraddire il ragionamento di Hayato, alla fine era stata Luce a cedere.

Anche Gennaro quindi, uno tra i suoi uomini più fidati, era diventato un Guardiano: di tutta la Famiglia Giglio Nero, le sue erano le Fiamme del Fulmine più pure in assoluto -non quanto quelle di Lambo, ma erano comunque notevoli.

Hayato aveva provato una sensazione nostalgica nel percepirle -quando Luce si era legata a Gennaro aveva potuto avvertire il legame crearsi sotto la sua stessa pelle- come se le avesse già incontrate da qualche altra parte. Dove però, non lo ricordava.

Indossando il proprio anello richiuse la scatola con i restanti Mare Ring e se la mise nel taschino interno della giacca -proprio lì, vicino al cuore- portandosi una mano al petto ed inchinandosi davanti al suo Boss.

«Capisco le vostre ragioni e accetto l'incarico, Luce-sama. Proteggerò gli anelli a costo della vita.»

Luce sorrise.«Ti ringrazio Hayato-kun. Sappi che di questa decisione ne siamo a conoscenza soltanto io, tu e il costruttore degli anelli, quindi vi pregherei di essere cauti. Sentitevi pure liberi di usarli se lo riterrete necessario, ma cercate di farlo con discrezione.»

«Come desidera, Luce-sama, grazie per la fiducia che ripone in noi.»

Kfufufufu, sembra che avremo di nuovo degli anelli, fantastico.

«Questo non significa che puoi andare in giro a fare casino, testa ad ananas!»

Avere di nuovo anelli potenti però li avrebbe di sicuro aiutati. Dal loro mondo non avevano potuto portare i loro Vongola Gear -erano pur sempre i Vongola Ring, averne un secondo set avrebbe sconvolto irreversibilmente l'equilibrio del mondo- ciò che avevano erano le loro armi ordinarie, le loro abilità e la loro conoscenza sul futuro.

La parte più dolorosa era stata quella che li aveva visti costretti ad abbandonare le loro Vongola Box -tutte eccetto una, ma ancora non potevano usarla- un sacrificio che però si era reso necessario per non destare troppi sospetti in futuro sulla loro identità. Inoltre riuscire a viaggiare nel tempo con un animale sostanzialmente fatto di Fiamme era pericoloso, poichè l'energia rilasciata dalla Box rischiava di distorcere l'equilibrio del viaggio stesso, con la possibilità di farli perdere nel tunnel temporale senza più poterne uscire.

L'unico motivo per cui erano riusciti a portare una delle Box era stato grazie a Verde -quello del loro mondo- partendo dalle catene di Mammon, era riuscito a crearne una che sigillasse l'arma abbastanza a lungo da permettegli di compiere il viaggio senza intoppi: l'unica nota negativa era che il sigillo sembrava perdurare più a lungo del previsto.

Luce sorrise, tornando a guardare fuori dalla finestra, dove aveva perfetta visuale dell'ingresso alla villa. Il rumore di una macchina precedette il suo arrivo, ma il Boss Giglio Nero stava già sorridendo, più luminoso di qualsiasi altro avesse mai fatto prima.

«C'è anche un'altra missione che vorrei affidarti, Hayato-kun.» Hayato tese le orecchie, concentrato.«Ricordi che ho parlato delle sparizioni e dei furti?»

Meccanicamente annuì. Era un mese ormai che andavano avanti, da quando il proiettile dell'Ultimo Desiderio era ufficialmente fatto la sua prima comparsa -in anticipo rispetto a quanto non avessero previsto- due da quando il potere delle Fiamme era diventato ancora più indispensabile di quanto non fosse stato prima.

Molte Famiglia minori, invidiose di quel potere che non avrebbero mai potuto avere, avevano iniziato a rapire bambini nei quali risiedeva il potenziale delle Fiamme, rubando inoltre quanti più anelli su cui riuscivano a mettere le mani.

Come quelli che... Mukuro-sama...

«Non pensarli neanche!»

Aveva urlato, e Luce era sobbalzata per la sorpresa. Senza nemmeno averli nominati davvero, l'occhio destro aveva iniziato a bruciare -poteva sentirlo, quel potere maledetto- e solo grazie al potere concesso dal Mare Ring della Tempesta era riuscito a respingere le violenti Fiamme della Nebbia che minacciavano di inghiottirlo. Ottimo, quegli anelli erano più utili di quanto pensasse.

«H-Hayato-kun..?»

«Non è nulla Luce-sama... vecchie ferite del passato mai rimarginate.» Luce capì e non chiese più nulla.

Ci penso io Hayato, cerca di resistere.

Sentire le Fiamme della Pioggia danzargli nel corpo fu una boccata d'aria fresca, e finalmente fu di nuovo in grado di respirare regolarmente. Di nuovo, non ringraziò l'idiota del baseball per l'aiuto.

«Di che missione si tratta, Luce-sama?»

Luce avrebbe voluto chiedergli di più, sapere se stava bene, se tutti loro stavano bene, ma represse quell'istinto e continuò a parlare. Quando fossero stati pronti, sperava le avrebbero raccontato ogni loro fantasma del passato senza che dovesse chiedere nulla.«Ora che tutti sanno del mio legame con gli Arcobaleno, della purezza delle mie Fiamme, ho paura che potrebbero prendere di mira i miei cari per arrivare a me, o peggio, alla mia Aria.»

Si voltò a guardarlo negli occhi. Negli specchi blu del Boss Hayato lesse tutta la determinazione e la paura che avvolgevano il suo cuore puro. Tremava, ma non abbassò lo sguardo.

«Ha solo dieci anni, e nonostante questo possiede Fiamme del Cielo pure e molto potenti, forse più delle mie. Potrebbe essere presa di mira, e non voglio che le succeda qualcosa. Io... vorrei che fossi la sua guardia del corpo, Hayato-kun.»

Spalancando gli occhi, disorientato, Hayato fu incapace di rispondere.

«Da oggi potrà venire a vivere qui con me, dovrebbe essere appena arrivata. Io ti chiedo di essere la sua ombra, di tenerla d'occhio quando è fuori, accompagnarla a scuola e ovunque voglia andare, di essere per lei il sostegno che sei stato per me. Non potrei chiederlo a nessun altro, se non a te.»

Hayato ci pensò seriamente. Non era mai stato portato per i bambini -a malapena sopportava la scemucca ora che era un adolescente- tuttavia se Aria fosse stata simile a Yuni, in qualche modo avrebbe potuto cavarsela. Inoltre non poteva negare un aiuto a Luce, che sembrava riporre in lui una fiducia incondizionata. In qualche modo gli ricordava il Decimo, impossibile dirgli di no.

«Se mi ritenete all'altezza, Luce-sama, farò quanto in mio potere per proteggere vostra figlia e garantirle la massima sicurezza.»

Luce sorrise, una lacrima brillò nei suoi occhi celesti.«Grazie di cuore, Hayato-kun.»

 

***

 

Con solo una porta chiusa a separarla da una vita insieme ad Aria, Luce fissava con insistenza il pomello dorato, quasi aspettandosi che colpito dai suoi sguardi, questi si sarebbe aperto da solo, senza che dovesse necessariamente trovare il coraggio di farlo lei stessa.

Sembrava terrorizzata, emozionata, felice e ansiosa al tempo stesso. Un mix ben leggibile sul suo viso, incapace di mantenere una stessa espressione per un tempo sufficiente a darle un nome definito: il risultato, alla fine, era soltanto un miscugli di smorfie ridicole e senza senso.

Hayato la trovava buffa.«Tutto bene, Luce-sama?»

Le Fiamme del Sole e del Fulmine si agitavano al ritmo delle risate di Ryohei e Lambo, che commentavano lo stato d'animo del Boss ogni volta che una nuova espressione le compariva in viso.

Questa donna è estremamente divertente!

«E tu sei estremamente stupido.» aggiunse Hayato in un sospiro, mentre Luce si voltava verso di lui con le lacrime agli occhi e le guance gonfie, lo stesso viso di una bambina innocente.

«E... E sei lei dovesse odiarmi? Non la vedo da quando è nata, non credevo l'avrei più rivista! Invece... invece adesso possiamo vivere insieme, e la maledizione non c'è più... cosa devo fare, Hayato-kun? Come dovrei presentarmi a lei, dopo tutto questo tempo?»

Mentre lo scuoteva con forza per il colletto della camicia, Hayato non sapeva davvero come rispondere. Lui non aveva mai avuto una madre -non quando era finalmente stato cosciente della verità- e per quanto riguarda il rapporto con il padre... beh, preferiva non ricordarlo. Capiva quindi l'ansia di Luce, ma non sapeva come comportarsi.

Maa maa, lascia che le parli io, Hayato.

Per quanto odiasse lasciare il comando del proprio corpo a qualcun altro -finiva sempre per assumere i bizzarri comportamenti di ognuno per diversi minuti una volta tornato al comando- dovette ammettere che non c'era persona più adatta di Takeshi per gestire la situazione -forse Chrome, ma non era sicuro di poter gestire la Nebbia senza adeguata preparazione.

Annuendo, Hayato infine chiuse gli occhi e lasciò che la Pioggia si impossessasse di lui. Quando li riaprì, il verde dei suoi occhi era mutato.

«Maa maa, ora cerca di calmarti, Luce-san!»

Sobbalzano per l'improvviso cambio di tono e modi del suo subordinato, Luce alzò lo sguardo, e tutto il panico e l'ansia che provava sembrarono svanire in un istante. Il verde donava ad Hayato, ma anche il colore del cioccolato non gli stava affatto male.

«Brava, ora respira con me, lascia che le preoccupazioni scivolino via.»

Le aveva afferrato il viso tra le mani, lasciando che le loro fronti si toccassero delicatamente, chiudendo gli occhi per primo ed invitandola a fare lo stesso. Dopo un attimo di esitazione, Luce obbedì.

Fu piacevole e rinfrescante, sentire le Fiamme della Pioggia lavare via ogni sua preoccupazione e calmare il suo cuore impazzito, alla fine si sentì rinata. Avrebbe voluto rilasciare le proprie Fiamme, farle danzare con la Pioggia ed incatenare a lei anche il secondo degli spiriti che risiedevano nel giovane uomo, ma non sarebbe stato giusto e Luce non li avrebbe forzati a fare nulla che non volessero. Non poteva perdere la loro fiducia.

«Rilassati. Lascia che l'ansia lasci il posto alla felicità, non pensare a niente che non sia tua figlia. Lei è finalmente qui Luce-san, e potrete stare insieme per sempre. Cos'altro c'è di importante?»

Nulla. Con un ultimo sospiro scacciò ogni traccia in ansia ed incertezza.

Ringraziò Hayato -che non era proprio Hayato- e questi le regalò un ultimo grande sorriso -un sorriso così luminoso ed energico da scaldarle il cuore- prima che i suoi occhi tornassero a tingersi di verde.

«Va meglio, Luce-sama?»

Soltanto con quella frase, Luce capì che era di nuovo lui, il solito Hayato, il ragazzo gentile ma irruente come una feroce tempesta che aveva salvato mesi prima.

«Si, grazie a voi.»

Il giovane sorrise nel vederla voltarsi di nuovo verso la porta, pronta ad affrontare il primo vero incontro con sua figlia dopo dieci anni di separazione, niente più ansia né dubbi a sconvolgerle l'animo.

Inutile negarlo, Takashi era bravo a ridare sicurezza a coloro che perdevano la calma.

Tze, stupidi trucchetti da erbivori.

«Cuciti la bocca, non a tutti piace fare gli asociali come a te.»

Si scambiò un ultimo sguardo con Luce, dandole tutto il supporto di cui era capace e che lei sembrò apprezzare.

Finalmente -non senza sospirare ancora- aprì la porta e fece il primo passo.

 

***


Sembrava non si fossero mai separate.

Nonostante gli anni che le avevano costrette a prendere strade diverse per proteggersi l'un l'altra, Luce e Aria parlavano tranquillamente delle loro giornate passate, degli incontri e di qualsiasi cosa si fossero perse nel tempo in cui erano state separate.

Sedute sul letto, strette l'una all'altra in un abbraccio che sapeva d'amore, sembrava che il tempo si fosse fermato, e che nella stanza non vi fosse nessun altro se non loro.

Hayato avrebbe voluto lasciarle sole a recuperare il tempo perduto, ma proprio quando stava per imboccare l'uscita, Luce lo richiamò, chiedendogli di avvicinarsi.

Guardando con attenzione la figlia del Boss, Hayato si accorse che era la più diversa tra le donne della Famiglia che aveva avuto il piacere di conoscere. Aveva i capelli più lunghi e ribelli -intrecciati da entrambi i lati e legati dietro il capo- l'opposto del caschetto ordinato di Luce e Yuni, taglienti occhi blu dallo sguardo deciso, più fiero e meno dolce rispetto a quello di madre e figlia. Il colore e la luce che li accendevano però -si disse con un sorriso a fior di labbra- erano gli stessi.

«Aria, lui è...»

«Arashi-san!» fu ciò che rispose la bambina in un perfetto giapponese, abbracciando il ragazzo che, sentito il nome con cui era stato chiamato, si era paralizzato.«Il ragazzo che ti ha salvata, madre!»

Hayato era immobile. Lei sapeva, quella bambina aveva capito tutto anche se Luce -o almeno questo credeva- non le aveva raccontato nulla. Guardò il Boss, in cerca di una spiegazione alla confusione che si affollava nella sua testa.

Luce alzò le mani, dichiarandosi innocente e sorridendogli divertita.«Io non centro, ha visto tutto nelle sue visioni.» chiarì infine.

Ora Hayato era più confuso di prima.«Visioni? Vuol dire che... anche lei può vedere nel futuro?»

Fino a quel momento, lui e tutti gli altri -lo sapeva, era inutile che fingessero il contrario- erano sempre stati convinti che l'abilità di scrutare nel tempo dipendesse dalla maledizione degli Arcobaleno che piombava sul capo del loro Boss. Evidentemente si sbagliavano.

«Il potere di vedere il futuro non dipende dalla maledizione, è un dono dei nostri avi. Si tramanda da generazioni, di madre in figlia, si può dire che è un tratto distintivo di noi Boss Giglio Nero, un po' come l'IperIntuito dei Vongola.»

Annuendo, Hayato spostò lo sguardo sulla bambina che ancora lo stringeva tra le braccia, incerto su come reagire, optando per la soluzione che a lui parve più semplice: restò immobile.

Non ci sai proprio fare con i ragazzini, Stupidera.

E di chi era la colpa, secondo lui? Ma non espresse quel concetto ad alta voce e lasciò correre.

Luce si alzò dal letto con eleganza, avvicinandosi alla figlia e prendendola amorevolmente per le spalle, chinandosi così da poterle parlare direttamente.

«Aria, lui è Hayato-kun, il mio Guardiano della Tempesta.» le spiegò amorevolmente. Aria rimase in silenzio, aspettando che la madre continuasse.«E da oggi sarà anche la tua guardia del corpo. Quando vorrai uscire, in qualunque posto tu voglia andare, dovrai sempre prima chiedere ad Hayato-kun, intesi?»

La bambina annuì con energia, lasciando ondeggiare la mantellina bianca che poggiava sulle spalle, abbinata al vestito nero che aveva scelto con cura per l'occasione, in modo da presentarsi al meglio davanti a sua madre. Aveva deciso di non indossare l'abito cerimoniale Giglio Nero, volendo mostrarsi davanti a Luce semplicemente come una figlia, non come l'erede della Famiglia. Per quello ci sarebbe stato tempo.

Non fece domande su Arashi -non poteva, riusciva a leggere il disagio del ragazzo anche senza che questi lo dichiarasse apertamente- né si chiese per quale motivo si stesse nascondendo sotto una tinta di capelli biondi, ma sperava che un giorno -quando fosse stata più grande, più matura, quando Hayato l'avrebbe guardata con la stessa fiducia con cui guardava Luce- avrebbe condiviso anche con lei i suoi segreti.

«Sono felice di fare la vostra conoscenza, Hayato-san!» sorrise, prostrandosi in un leggero inchino, alzando gli angoli del mantello e chinando il capo.

«Vi prego Aria-san, non merito tante formalità. Potete parlarmi tranquillamente in italiano, lo conosco molto bene. Se può farvi piacere, chiamatemi semplicemente Hayato e datemi pure del tu.»

La bambina rise, annuendo.«Va bene, in questo caso sarei felice se anche tu mi dessi del tu!»

Umettandosi le labbra, Hayato voleva declinare l'offerta -tanta confidenza con la figlia della loro salvatrice? Non avrebbe mai osato- ma guardando gli occhi carichi di aspettativa con cui Aria attendeva una risposta, non ebbe il coraggio di rifiutarla.

Conosceva quegli occhi. Tempo addietro erano gli stessi occhi con cui il Decimo l'aveva pregato di rivolgersi a lui chiamandolo per nome, staccandosi da tutte quelle formalità che il titolo di Boss lo costringeva ad indossare, soffocandolo.

All'epoca soltanto lui non era stato in grado di esaudire quella richiesta -non poteva, nemmeno se era il Decimo stesso a chiederlo- e vedendo come lo sguardo del Cielo si era spento all'improvviso, rassegnato probabilmente, il cuore aveva smesso di battergli per un istante interminabile.

Aveva deluso il Boss una volta -una onta che non si sarebbe mai perdonato fino alla sua morte effettiva- non avrebbe commesso lo stesso errore con la giovane erede dei Giglio Nero.

Kfufufufu solo tu riesci a fare di una cosa così stupida un caso di vita o morte.

«Nessuno ha chiesto la tua opinione, bastardo.» ringhiò a denti stretti, ignorando lo sguardo confuso di Aria e la risata sommessa di Luce. Tornò a concentrarsi sulla ragazzina, accennando un piccolo sorriso.«Come desideri, Aria-san. Sarà un onore per me lavorare al tuo fianco.»

«Anche per me! Facciamo del nostro meglio per divertirci insieme!» rispose radiosa, allungando una mano verso Hayato e aspettando che gliela stringesse. Con un sorriso strinse la mano della bambina nella propria -era piccola e calda, si perdeva quasi nelle sue grosse mani callose e rovinate- posandole un leggero bacio sul dorso come aveva fatto quando si era legato a Luce.

«Ottimo! Ora vi lascio un po' da soli, così potrete conoscervi meglio.» Luce si avvicinò alla porta canticchiando, voltandosi un'ultima volta verso la figlia ed il proprio Guardiano.«Hayato, fai pure con calma, mi troverai nel mio ufficio se hai bisogno. Ho un incontro importante a cui presenziare, quindi non c'è fretta.» e con queste parole uscì dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle con delicatezza.

Hayato inclinò il capo, pensieroso. Non ricordava ci fosse un incontro in agenda, non aveva sentito nulla nemmeno da Gennaro, che difatti era il braccio destro di Luce, organizzatore di tutti i suoi appuntamenti e degli eventi a cui il Boss doveva assolutamente presenziare. Che strano.

«Ehm... Hayato.» voltò lo sguardo verso Aria, che a sua volta lo guardava intensamente.«So che è solo il primo giorno, non vorrei disturbarti troppo, ma potresti accompagnarmi a comprare una cosa, domani dopo la scuola?»

«Ma quale disturbo, dovi solo chiedere Aria-san. Sarà un piacere per me accompagnarti.»

Il sorriso della bambina divenne più luminoso.«Grazie!» corse sul letto, sedendosi ed invitando il giovane a fare lo stesso.«Parliamo un po', dai!»

Hayato sospirò. Non sapeva proprio come comportarsi con i bambini -più volte aveva pensato di lasciare a Chrome la responsabilità di approcciarsi ad Aria- ma quella ragazzina non era poi così male. Poteva anche farcela, alla fine.

Yosh! Babysitter all'estremo!

Ringhiò. Se poteva sopportare due mocciosi come Lambo e Ryohei, sempre svegli nella sua mente e pronti a fargli perdere il controllo, qualunque altra cosa era una passeggiata.

 

***

 

Luce stava compilando alcune scartoffie quando una presenza nel suo ufficio la distrasse, e tutto ciò che sentì dopo fu un piacevole calore, come se un sole vivo si fosse appena insidiato nella stanza, tingendo di giallo ogni cosa attorno a lei.

Un sorriso le increspò le labbra. Posò la penna e si stiracchiò per bene le braccia, sentendo l'impellente bisogno di fare una pausa e staccarsi da tutto quel noioso lavoro d'ufficio che non avrebbe mai creduto di dover fare una volta preso il comando della Famiglia. Sua madre non l'aveva preparata abbastanza per questo.

“Direi che è arrivato giusto in tempo.” pesò, sostenendosi il mento con una mano, giocherellando con una ciocca di capelli tra le dita.

«Cosa posso fare per te, signor “Miglior Assassino del Mondo”?»

Reborn comparve davanti a lei all'improvviso, senza che Luce potesse capire davvero da dove fosse arrivato -non lo capiva mai, era decisamente troppo bravo- vestito nel suo classico completo nero, il fedora sempre presente e calato sugli occhi.

«Riesci sempre a capire quando sono nei paraggi.»

Luce sorrise.«Già, le tue Fiamme sono un piacevole avviso ogni volta. Ciò nonostante non so mai da dove sbucherai, sei davvero troppo bravo a nasconderti.» si alzò dalla sua poltrona, invitando il bambino a prendere posto ed attendere. Si avvicinò alla macchina del caffè ed in pochi minuti una tazzina fumante era pronta tra le sue mani.

«Non sarà come il mio solito espresso, ma al momento è tutto ciò che posso offrirti.»

«Un espresso è sempre ben accetto, grazie.»

Reborn prese la tazzina tra le mani e attese, non togliendo gli occhi dalla figura di Luce che tornava a sedersi dietro la scrivania. Ora erano uno di fronte all'altro -una delle tante volte in cui si erano ritrovati assieme in quell'ufficio, a discutere di ogni cosa come buoni amici- immersi in un silenzio che nascondeva parole pericolose, di cui nessuno dei due era pronto ad affrontare il significato.

Fu Luce a spezzare la quiete.«Vedo che sei cresciuto, sei più alto.»

«Già, anche se speravo che la crescita fosse immediata. Sono già passati sei mesi da quel giorno ormai.»

Sei mesi da quando la maledizione era stata spezzata. Sei mesi da quando Hayato era diventato parte della sua quotidianità. Distese le labbra e annuì, persa in pensieri che non poteva condividere con nessuno, nemmeno con Reborn -specialmente con Reborn.

«A proposito di allora, hai più saputo nulla di quel tipo? Com'è che si chiamava? Arashi mi pare?»

Luce lo guardò accigliata, gonfiando le guance come una bambina a cui è stata negata una caramella. «Non trattarmi come una stupida, Reborn. Da me non saprai nulla su di lui, pensi che non sia a conoscenza delle tue continue e disperate ricerche per trovare Arashi?»

Alzando le mani, arrendendosi davanti all'acume di Luce, il giovane assassino si scusò per l'impertinenza.«Non puoi biasimarmi, Luce. È la persona che ci ha salvati, è normale che voglia saperne di più, e non solo io.»

Si, era a conoscenza del desiderio di tutti quanti gli Arcobaleno di poter parlare con il misterioso giovane che aveva spezzato la maledizione, tuttavia aveva respinto ognuno di loro con fermezza, senza lasciarsi sfuggire la minima informazione. Nemmeno a Reborn avrebbe detto nulla.

«Così hanno pensato di mandare te ad addolcirmi, sperando in qualche risultato positivo?»

Reborn scosse le spalle, bevendo un altro sorso e assaporando l'aroma di caffè caldo scivolargli giù per la gola. Non male.«Che posso farci? La fama del mio charme mi precede.»

«Già, le tue basette ti rendono veramente affascinante, irresistibile quasi.» commentò, la mente indietro di anni prima, quando ancora non conoscevano che i rispettivi nomi.«Ma questa volta non funzioneranno nemmeno quelle, ho promesso Reborn.»

Il killer sospirò, finendo il caffè e appoggiando la tazzina sulla scrivania. Capiva le ragioni di Luce e le accettava, tuttavia non poteva fermare il fastidio che gli cresceva alla bocca dello stomaco al pensiero che gli stesse nascondendo qualcosa. Non l'aveva mai fatto, e questo silenzio -su un argomento che lo toccava da molto vicino oltretutto- lo disturbava.

«Piuttosto...» Luce riprese la parola, divergendo su un altro argomento che le sembrava ugualmente importante.«Sei qui solo per chiedermi di Arashi o ci sono altri motivi dietro la tua visita?»

Reborn tacque, fissando il vuoto oltre la finestra alle spalle di Luce, il fedora nera calato sopra gli occhi.«Nessun altro motivo in particolare, solo per vederti e parlare un po' con una... vecchia amica

Luce non sembrò felice dell'appellativo con cui le si era rivolto.«Ah, ora sono solo una vecchia amica?» chiese retorica, cercando di mascherare il dispiacere e l'irritazione.

«Luce... lo sai che non intendevo...»

«Lo so.» tagliò corto, lasciandosi scappare un sospiro tra le labbra sottili.«Penso solo che sarebbe felice di conoscerti... lei merita di sapere, Reborn.»

L'assassino sospirò, portando i grandi occhi neri a scontrarsi con quelli blu di Luce. Anche se erano ancora quelli di un bambino, Luce vedeva oltre l'apparenza, scontrandosi con quelli dell'uomo che aveva imparato a conoscere quasi venticinque anni prima, durante il primo incontro che aveva visto radunarsi i nuovi Arcobaleno la prima volta. Erano gli occhi seri di un adulto che sapeva sempre cosa fare, quelli che l'avevano sostenuta nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia, nella vita così come nella morte che si era inevitabilmente preparata ad incontrare.

Gli occhi dell'uomo che amava.

«E correre il rischio di metterla ancora più a rischio? Solo il fatto di essere tua figlia la espone già a troppi pericoli.» avevano già fatto quel discorso -tante volte, così spesso che Reborn non riusciva più a contarle- ed ogni volta che Luce provava a persuaderlo, la paura di quel che sarebbe potuto succedere lo convincevano a desistere, a mostrare anche al Boss Giglio Nero che il gioco non valeva la candela.«Cosa pensi che succederebbe se scoprissero che ha legami anche con me? Con il Miglior Assassino del Mondo? Non avrebbe un solo attimo di pace, Luce.»

E lo sapeva. Sapeva che Reborn aveva -dannatamente- ragione, ma non riusciva ad accettare l'idea che la bambina crescesse nell'oscurità, senza mai conoscere il volto di quello che era a tutti gli effetti suo...

«So che ti sembra ingiusto.» Reborn interruppe il flusso dei suoi pensieri, posandole una delle piccole mani sulle proprie, un gesto di conforto e forza di cui Luce aveva estremamente bisogno.«Ma è la cosa giusta da fare.»

Sospirando, il Boss dei Giglio Nero sorrise all'assassino, annuendo e lasciandosi andare sul sedile della poltrona, stanca, spossata.«Hai ragione, come sempre.»

Doveva darsi pace: nel loro mondo non c'era spazio per la perfetta famiglia felice che avrebbe voluto, non quando lei era a capo di una grande Famiglia e l'uomo con cui voleva costruirsi una vita apparteneva ad un clan altrettanto grande e potente. Il Nono Vongola probabilmente non avrebbe accettato di perdere il suo uomo più fidato tanto facilmente, il che rappresentava un ostacolo alla prossima questione che Luce voleva portare all'attenzione del killer.

«Reborn... c'è un'altra questione di cui volevo parlarti, ora che sei qui. È un po' improvviso, richiederà sicuramente del tempo e qualche trattativa, ma non ho intenzione di cedere, non su questo.»

E solo guardando la determinazione negli occhi di Luce, brillanti di quelle rare Fiamme che abbracciavano gli Elementi come fossero parte delle stesse, Reborn capì che qualunque cosa avesse in mente, Luce l'avrebbe portata a termine fino in fondo.

Nessuno l'avrebbe fermata, non questa volta.

 

***

 

Hayato storse la bocca in una smorfia indefinita, mentre con passo calmo seguiva Aria pochi metri indietro, varcando i cancelli dell'istituto Sparvieri e cercando di ignorare le risate dei bambini tutt'attorno. Odiava i mocciosi, era più forte di lui.

Coraggio Hayato-san, è solo il primo giorno. Se diventa troppo dura puoi sempre scambiarti con uno di noi.

«Come se potessi fidarmi a lasciare Aria-san nelle mani di Mukuro, Kyoya o dei due idioti. Tre, considerando il maniaco del baseball. E scordati che permetta ad una ragazza di girare nel mio corpo!»

E che diavolo, era vero che quel corpo apparteneva a tutti e sette ormai, ma fino a quando avesse avuto le sue sembianze -biondo o meno- avrebbe mantenuto lui il controllo. Chissà cosa avrebbero potuto combinare se li avesse lasciati liberi di agire.

«Tutto bene, Hayato?»

Si issò la sacca da baseball sulla spalla destra, chiedendosi per quale motivo dovesse portarsi appresso la Shigure Kintoki ed i tonfa, quando la sua dinamite sarebbe bastata a fare la differenza. Takeshi e Kyoya non avevano voluto sentire storie, e ringraziò di non doversi portare appresso anche l'inquietante tridente di Mukuro e Chrome, che potevano materializzare la propria arma tramite le illusioni. A Ryohei bastavano i pungi ed il supporto di Garyuu, mentre per Lambo Gyuudon era sufficiente. Non lasciava mai le loro Box in ogni caso, quelle di nessuno.

«Divinamente, Aria-san. Non preoccuparti per me.»

L'Istituto Sparvieri era un grande complesso scolastico che accettava tra le sue mura studenti frequentanti ogni anno, dall'asilo fino alle superiori, e addirittura organizzava alcuni corsi universitari specializzati per aiutare i ragazzi a trovare il loro posto nel mondo della mafia.

Era una scuola speciale, frequentata soltanto da giovani che avevano connessioni con la mala, finanziata da ogni singola Famiglia dell'Alleanza e protetta come pochi altri luoghi al mondo. Un po' come Mafialand.

Lì, tra le aule dell'istituto venivano formati i futuri Boss delle varie Famiglie, Guardiani e utilizzatori di Fiamme, scienziati e, primo fra tutti, killer professionisti. Hayato aveva frequentato poco l'Istituto nella sua infanzia -era scappato pochi giorni dopo il primo giorno, quando aveva scoperto la verità su sua madre- ricordando poco o nulla di ciò che lo aspettava oltre la porta d'ingresso.

Io non credo di essere mai stato qui, il Boss ha preferito mandarmi in Giappone per imparare direttamente sul campo.

«Chissà come mai.» francamente era più probabile che il Boss Bovino volesse liberarsi di Lambo quanto più alla svelta possibile, mettendo tra lui e la Famiglia quanti più chilometri possibili.

Come lo capiva.

Accompagnò Aria dentro la struttura studiando ogni percorso che gli si presentava davanti, analizzando scale e corridoi, individuando ogni possibile via di fuga in caso di attacco, ma anche ogni possibile nascondiglio che avrebbe permesso l'infiltrazione ad eventuali nemici.

L'atrio era grande e pomposo, costruito sulla base di strutture antiche che esaltavano la potenza e l'importanza di chi aveva commissionato il lavoro. Dal soffitto, appesi con dello spago trasparente, penzolavano i sigilli delle Famiglie dell'Alleanza, e con un ghigno notò che quello dei Vongola -centrale, come il punto d'inizio di ogni cosa- era leggermente più grande rispetto a tutti gli altri.

I Vongola sono estremamente i migliori!

Per una volta era completamente d'accordo con Ryohei.

Salirono due rampe di scale, e mentre memorizzava la strada ed i dettagli dell'ambiente, Hayato notava le pareti adornate con i ritratti dei Boss del passato, altri raffiguravano gli eventi storici più importanti della mafia, mentre altri ancora mostravano i volti dei killer professionisti più famosi di tutti i tempi.

La classe di Aria si trovava al terzo piano, settore delle medie, terza porta sulla sinistra. Le sue ricerche avevano garantito che nessuno degli studenti della 1-C erano, apparentemente, una minaccia per la giovane erede, ma non poteva esserne pienamente sicuro.

Davanti alla porta dell'aula, Aria si girò a guardarlo sorridendo, ondeggiando la gonna della divisa scolastica. C'era un che di nostalgico nel vedere tutti gli studenti vestiti con abiti predisposti dalla scuola, cosa che di solito non accadeva in Italia, dove gli studenti potevano vestirsi come preferivano.

Gli ricordava i tempi di Namimori, dell'epoca in cui si erano conosciuti, quando ancora potevano ridere e divertirsi affianco al proprio Cielo senza preoccuparsi del futuro, vivendo il presente con spensierata ingenuità. Avrebbero dato tutto per riavere indietro quei momenti, uno dei motivi per cui erano lì, un corpo unico per sette anime, pronti a lottare per salvare l'unico che meritava davvero la felicità.

«Allora io vado, Hayato!»

«Si, ci vediamo durante la ricreazione. Se avete... se hai bisogno di me usa pure il cerca persone.»

«Lo farò, a dopo!» e sparì oltre la porta della classe, in cui solo gli studenti avevano accesso, mentre le guardie del corpo dovevano attendere fuori, così da non essere di disturbo e distrazione per nessuno.

Per le prossime tre ore era libero, tanto valeva farsi un giro per la struttura ed installare qualche microcamera, giusto per essere tranquilli.

Forse non era proprio nelle norme scolastiche, ma non era necessario che i dipendenti scolastici lo sapessero, no?

 

***

 

Sbuffando scese le scale del secondo piano, diretto in qualunque posto non fosse la noiosa classe che era stato costretto a frequentare contro la sua stessa volontà.

Tze, come se un mucchio di cazzoni buoni a nulla potesse insegnargli come essere il migliore, quando era evidente agli occhi di tutti che già lo fosse. Nessuno, in quella merdosa scuola di signorini con la puzza sotto il naso, valeva quanto un'unghia del suo dito, né gli studenti né tanto meno i professori.

Si divertivano a deriderlo, guardandolo dall'alto al basso per via delle sue origini -sicuramente umili rispetto alla maggioranza delle persone lì dentro- eppure poteva mettere tutti a tacere senza neanche impegnarsi. Nessuno lì era degno della sua lealtà o del suo rispetto, potevano andarsene tutti a fanculo.

Lui era un prodigio, un Maestro di spada nonostante l'età, con Fiamme così pure da bruciare gli occhi di chiunque si fermasse a guardarle per troppo tempo, un élite rispetto alla schifosa feccia che gli camminava affianco, capace soltanto di insultarlo e deriderlo, scappando ogni qual volta si girasse a guardarli, gli occhi socchiusi in una silenziosa minaccia.

Codardi, dal primo all'ultimo.

Incrociò un professore al piano terra, uno di quei fastidiosi topi da biblioteca con gli occhiali ed il farfallino -quelli che odiava di più, dopo gli stupidi- che lo squadrò con disgusto e rassegnazione. Non provò a fermarlo -ovviamente, restava un noioso codardo- incamminandosi verso la classe a cui anche lui avrebbe dovuto attendere, ma che aveva già deciso di saltare.

Gli veniva il vomito a stare lì, in quel fetido posto pieno di feccia e letame, di cui sentiva non fare parte.

Fanculo la sua età, e fanculo il Nono dei Vongola che l'aveva costretto -lui e tutti i bambini della Famiglia- a frequentare la scuola. Non ne aveva bisogno.

«S-Squalo! A-Aspettami!»

Mentre percorreva il corridoio che lo separava dall'uscita -un occhio fisso sul quadro di Tyr, l'Imperatore della Spada, l'uomo a cui ambiva di più al mondo- la noiosa voce di Cavallone lo raggiunse, ferendogli le orecchie. Diavolo se lo odiava, quel piagnone buono a nulla.

«Voooi! Cosa diavolo vuoi da me, schifezza?!»

Tutti i suoi compagni di classe vedevano di tenersi a debita distanza da lui -nessuno osava avvicinarsi a Superbi Squalo, il feroce ragazzino del borgo, il pidocchioso, l'umile, lo scapestrato- preferendo fingere che non esistesse piuttosto che azzardarsi anche solo a rivolgergli la parola. Andava bene così in fondo, non voleva legare con nessuno, non era certo lì per farsi degli amici.

L'unico che sin dal primo anno sembrava non temerlo, che lo seguiva come un'ombra ad ogni passo che faceva -quasi come un cagnolino troppo attaccato al proprio padrone- era l'erede unico della Famiglia Cavallone: Dino de Cavallone.

Dino era il più piccolo nella loro classe, magrolino e imbranato, inciampava sempre nel nulla e piangeva per ogni cosa, anche la più stupida. Solo guardandolo, Squalo sentiva l'impellente necessità di prenderlo a botte, ancora meno paziente di quanto non fosse normalmente.

Non lo sopportava, eppure Dino sembrava essere attratto da lui come un magnete. Impossibile scollarselo di dosso, anche quando sembrava esserselo levato dai piedi il piccolo verme tornava sempre, con più lacrime di quando se ne era andato, ma con la stessa determinazione intaccata nello sguardo.

Ancora senza Fiamme, incapace di reggersi sulle sue stesse gambe, Dino era lo zimbello dell'intero dipartimento elementari dell'Istituto, la barzelletta di chiunque fosse anche solo minimamente capace di fare qualcosa meglio di lui. Tutti ovviamente.

Aveva un viso carino però -non sapeva se fosse vero o meno, aveva sentito alcuni commenti qua e là per i corridoi- e sembrava essere popolare tra le ragazze. L'unico pregio di cui avrebbe potuto vantarsi.

«T-Ti ho visto andare via dalla classe e ti ho seguito! Dove vai?»

Squalo ringhiò, voltandosi a fronteggiarlo con il petto gonfio, gli occhi socchiusi e l'espressione più terrificante di cui era capace.«Voooi! Non sono affari tuoi! Torna in classe, piagnone!»

Dino cadde all'indietro con un tonfo, le lacrime pronte ad uscire e ad irritare Squalo più di quanto non fosse già. Ma stavolta non pianse.

«Po-Posso venire con te? Non mi piace stare in c-classe se non ci sei...» e mentre lo diceva, il tono si era fatto sempre più basso e triste, quasi disperato. Lo stava pregando di non mandarlo via.

Squalo sospirò, grattandosi i corti capelli argentati e squadrandolo seccato.«Fai come ti pare, ma non seccarmi! Hai capito, Vooooi?!»

Per quanto potesse odiarlo ed infastidirlo con la sua sola presenza, tra tutta la feccia che popolava quella scuola di merda, Dino era probabilmente il male minore a cui doveva sottostare. Era l'unico che nonostante la posizione benestante in cui era nato non lo derideva, né lo trattava come un appestato. Poteva anche sopportarlo, qualche volta.

Squalo non era l'unico ad essere trattato come una merda in quella scuola, ma evidentemente il padre di Dino era troppo impegnato a fare il Boss per accorgersene.

«Ma se piangi giuro che ti ammazzo!» si premurò di aggiungere, infilandosi le mani in tasca e continuando verso l'uscita, diretto al cortile esterno. Sorridendo, Dino lo seguì, scacciando ogni traccia di lacrime che minacciavano di rigargli il viso.

Mentre uscivano dalla porta principale, Squalo notò qualcosa, qualcuno che non aveva mai visto prima. Un tizio strano, piuttosto alto e con i corti capelli biondi, che fumava una sigaretta appoggiato al muro, non troppo lontano dalla porta. A terra, accanto alla gamba destra del tipo, era adagiata una sacca blu, contenente qualcosa che Squalo non riuscì ad identificare.

Non era un professore -niente scartoffie varie, nessuna borsa ventiquattrore sempre a portata di mano- e sicuramente non era uno studente -troppo vecchio, quasi un nonno ormai!

Doveva essere sicuramente la guardia del corpo di qualche viziato figlio di papà, il che bastava a far si che Squalo lo trovasse irritante e fastidioso. Non lo conosceva, ma già lo odiava.

Quando gli passarono davanti, accadde qualcosa di strano. Squalo vide l'uomo pietrificarsi quando riuscì a scorgere i loro visi, squadrandoli con incredulità e sorpresa, forse con un po' di orrore anche, ma non era sicuro. Uno sguardo che comunque lo irritò.

«Cos... Com... Che diavolo...?!» lo sentì balbettare, mentre cercava di capire se quel che stava vedendo era reale o meno.

Disgustoso. Non c'era altro modo per descrivere quell'inquietante verme schifoso.

Cosa diavolo aveva da guardare quel brutto stalker pervertito?! Non aveva mai visto dei ragazzini passare per il cortile di una scuola?! Strinse gli occhi, minacciandolo con lo sguardo.

«Voooi! Che hai da guardare, vecchio pervertito?!»

Con forza, quanta bastava per farlo piegare sulle ginocchia, Squalo tirò con forza un calcio sulla tibia dell'uomo, costringendolo a chinarsi per il dolore. Ghignò vittorioso.

Dino, al contrario, stava entrando nel panico.«C-Che hai fatto, S-Squalo?!»

«Tu...! Brutto piccolo...!»

Afferrando con forza il polso di Dino tra le mani, Squalo fece una linguaccia allo stalker e corse via, mettendo quanta più distanza possibile tra loro e quel fottuto pervertito.

Non gli piaceva, un motivo più che sufficiente per allontanarsi e non avere più niente a che fare con lui.


 


 

   
 
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