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"Sharp edges have
consequences, now
Every scar is a story I
can tell
We all fall down
We live somehow
We learn what doesn't
kill us makes us stronger"
[Sharp Edges – Linkin Park]
Venti mesi dopo, Malibu
Tony
si chiese se quegli scatoloni avrebbero mai avuto una fine.
Potevano
passare giorni senza che ne vedesse uno in giro per la villa, per poi
inciamparvi nel bel mezzo di un corridoio o venirne travolto aprendo
sovrappensiero l'anta di un armadio. A volte era grato che un terzo
dei suoi averi fosse andato distrutto durante il turbolento trasloco.
Si
rassegnò a smistare il contenuto di quell'ultimo, voluminoso
ritrovamento, rimasto fino ad allora nascosto in piena vista sotto al
nuovo
pianoforte dopo aver vagato per mesi qua e là per il
salotto. Lo
trascinò fuori avvertendone il peso notevole, per poi
inginocchiarsi
e aprirlo, sperando che fosse qualcosa di facilmente collocabile e
non l'ennesima partita di soprammobili o quadri d'artista da
sottoporre alla meticolosa attenzione di Pepper.
Si
trovò davanti a un metro cubo di soli libri che avevano
tutta
l'aria di essere manuali e saggi scientifici, perciò di
sua
competenza.
Liberò un lungo sbuffo e decise di sbrigare subito
quella faccenda: il progetto per la Mark 48 lo attendeva in
laboratorio e doveva ancora venire a capo di quell'alloggio per
nanoparticelle. Afferrò
una manciata di volumi e li trasferì sul pavimento, pescando
alla
cieca con una mano mentre iniziava già a smistarli con
l'altra,
separando a colpo sicuro quelli di suo padre dai propri.
Cercò a
tentoni la risma successiva ma, invece di pagine e copertine, le sue
dita sfiorarono una fredda superficie metallica. Sobbalzò al
contatto e ritirò subito la mano quasi si fosse scottato,
affacciandosi poi oltre il bordo di cartone. Il
bianco, rosso e blu occhieggiò di rimando dal fondo, con una
punta
della stella che faceva capolino da sotto le pagine ingiallite.
Inspirò piano dal naso, stringendo appena le labbra a quella
scoperta.
Ecco dov'era finito. Aveva
cominciato a pensare – a sperare
– che fosse andato perso durante il trasloco, pur consapevole
di
averlo trasferito personalmente da New York a Malibu assieme agli
altri pochi scatoloni che non si era fidato a lasciare in custodia a
terzi.
Tamburellò
una rapida marcetta sul bordo dello scatolone, per poi decidersi a
svuotarlo dei libri rimanenti per scoprire lo scudo leggermente
impolverato. Lo sollevò con la sinistra, ma si
rivelò più pesante
di quanto ricordasse e fu costretto a poggiarne il bordo contro il
pianoforte, puntando l'altra estremità contro l'addome per
alleviarne il peso. Almeno non
era rimasta traccia dei graffi, constatò osservando l'area
in
precedenza sfregiata dagli artigli di T'Challa. Si era addirittura
fatto prendere un attacco d'ansia per portare a termine quel lavoro
di restauro inutile. Sospirò
appena, distogliendo lo sguardo dal motivo concentrico dello scudo
per fissarlo con aria assente sull'ebano lucido del pianoforte
– un
altro Blüthner a mezza coda, ovviamente.
Deviò appena in
tempo quel treno di pensieri e tornò con gli occhi fissi
sulla
stella in campo blu.
E
adesso che se ne faceva, di quel frisbee?
Avrebbe
potuto donarlo a un museo o chiuderlo in qualche bunker del governo.
L'alternativa era infiocchettarlo e spedirlo per posta espressa in
Wakanda: dopotutto il vibranio apparteneva a loro. Peccato che
così
facendo sarebbe anche tornato nelle mani di Rogers. Nonostante
il
pensiero non gli causasse più un travaso di bile, era ancora
abbastanza disturbante da frenarlo.
Non
se lo meritava più, quello scudo. O forse non se lo meritava
ancora.
Posò
un palmo sul metallo freddo e si rese conto di non avvertire alcuna
fitta allo sterno. Il suo petto era quieto, mosso solo dal proprio
respiro e dal battito regolare del suo cuore. A concentrarsi a fondo
percepiva ancora un lieve indolenzimento, come un formicolio dovuto a
una posizione scomoda tenuta troppo a lungo, ma non avvertì
l'urgenza di scaraventare a terra lo scudo, né si
sentì sopraffare
dal gelo.
Davanti
ai suoi occhi balenò il fotogramma bloccato di quell'arma
sollevata
sopra di lui, pronta ad abbattersi sulla sua testa spezzando la
fragile difesa delle sue mani. Si portò una mano al petto e
gli
sembrò di incontrare i bordi slabbrati e taglienti della sua
corazza
lacerata. Fu un istante, poi riprese a respirare e tutto ciò
che
percepirono i suoi polpastrelli fu la stoffa della maglietta e la
pelle sottostante, solcata dal tenue rilievo di una cicatrice
circolare.
Voltò
il disco metallico a voltare anche pagina da quei pensieri, studiando
la superficie di vibranio splendente che rimandava appena il suo
riflesso soffuso e distorto. Trovò infine ciò che
cercava: lungo il
bordo, in caratteri microscopici e appena visibili, era impresso il
vecchio marchio delle Stark Industries. Passò un pollice su
quelle
lettere minute, seguendone i contorni in una carezza esitante: poteva
essere appartenuto a Rogers, ma era pur sempre lo scudo di suo padre.
Lo
soppesò ancora per qualche istante, poi lo prese
sottobraccio e
scese a passo rapido in laboratorio.
***
Dopotutto
il suo posto era quello, si ripeté irrequieto, valutando lo
scudo
ora appeso sopra a uno dei banchi di lavoro, come lo era stato
decenni prima nel laboratorio di suo padre a Long Island.
Fece
qualche passo nervoso là davanti, squadrandolo con
espressione un
po' torva, poi si impose di lasciarlo dov'era e si sedette al bancone
per riprendere il lavoro sul reattore, solo per bloccarsi di nuovo.
Era come se percepisse fisicamente la presenza di quell'oggetto
estraneo che incombeva sopra di lui ai margini del suo campo visivo,
pronto a schiacciarlo come in Siberia.
Si
rialzò di scatto e i suoi piedi lo portarono di fronte alla
scrivania, con le mani cacciate nelle tasche dei pantaloni.
Aprì
infine il cassetto che teneva chiuso da quasi un anno e
cercò a
tentoni il vecchio cellulare a conchiglia, soppesandolo poi con aria
guardinga come se dovesse esplodergli in mano. Lo aprì e
premette il
testo d'accensione: un'obsoleta suoneria anni '90 risuonò
nel
laboratorio. In rubrica c'era ovviamente un solo contatto e si
scoprì
ad aggrottare la fronte solo a leggerne il nome. Scoccò uno
sguardo
sbieco allo scudo, e di rimando quello gli scoccò una gelida
puntura
di spillo nel petto.
La
ignorò, strinse le labbra e avviò la chiamata,
solo per chiudere di
scatto il cellulare prima che completasse il collegamento. L'aria che
aveva trattenuto gli fischiò tra i denti e strinse il
congegno con
più forza del dovuto, come a volersi assicurare che
rimanesse serrato. Esitò a lungo, a capo chino, poi lo
ripose in tasca e si
spostò all'altro banco di lavoro, stavolta davanti alle
armature.
Lanciò una fugace occhiata allo scudo dietro di lui,
immobile al suo
nuovo, ritrovato posto.
Stava bene lì, concluse con una punta di
sollievo.
Tutto
il resto poteva ancora aspettare.
Massalve!
Giungiamo infine al penultimo capitolo... e con puntualità, incredibilmente :)
Qui ho cercato di motivare la reazione di Tony che ci hanno mostrato in Infinity War, quando viene tiraro in ballo Steve subito prima dell'attacco di Thanos. Ok, Tony non è entusiasta e sembra palesemente seccato anche solo nel nominarlo, ma riconosce che potrebbe aiutarli ed è addirittura sul punto di chiamarlo, oltre ad avere in primis il suo cellulare con sé. Tutto ciò mi fa dedurre che sia venuto almeno in parte a patti con quello che è successo tra lui e Steve, ma si riconosce una chiara nota di stizza e risentimento nei suoi confronti (lascio volutamente Bucky fuori dall'equazione perché credo che, fuori dalla foga del momento, Tony sia abbastanza intelligente da capire che la vera responsabile è l'HYDRA. Certo non mi aspetto baci e abbracci in un loro possibile incontro, ma neanche rabbia e odio puri, al massimo una comprensibile freddezza).
Insomma, quello che mi premeva trasmettere è l'incapacità di Tony di "lasciar andare" del tutto ciò che è accaduto in Siberia. Può dire di aver infine accettato la morte dei suoi genitori, di qui lo scindere lo scudo tra suo proprietario e suo ideatore, ma non riesce ancora ad avvicinarsi spontaneamente al perdono per Steve, e il suo tentativo di farlo risulta prematuro.
Ovviamente queste sono interpretazioni personali e avremo davvero conferma di ciò che pensa Tony in merito solo nel prossimo film, ma spero possa risultare credibile e soprattutto IC.
Ringrazio come sempre _Atlas_, shilyss, T612 e leila91 che hanno recensito gli scorsi capitoli! Grazie di cuore, ragazze <3
Il gran finale arriverà mercoledì prossimo :)
Adios,
-Light-
P.S. Sono abbastanza sicura che in qualche versione dei fumetti Howard abbia davvero "targato" lo scudo, ma potrei sbagliarmi. In tal caso, prendetela come una licenza poetica :P
Edit: Ho spostato la storia nella sezione The Avengers; considerando il contesto di alcuni capitoli, ho deciso che aveva più senso così.