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Autore: _Lightning_    25/07/2018    6 recensioni
La Mark 46 pendeva dai suoi sostegni come la pelle di un animale ucciso, disarticolata, inerte e con l'elmo sfigurato ciondoloni sul petto in una tacita ammissione di sconfitta. Al centro della placca frontale, attraverso il reattore, spiccava la netta e slabbrata frattura orizzontale che non riusciva a fissare per più di qualche secondo senza che il dolore allo sterno si acuisse improvvisamente. Si portò davanti all'armatura, con lo sguardo proprio a livello del reattore in frantumi, costringendosi a fissare quella ferita sul suo secondo corpo di ferro.
Prese atto ancora una volta con un senso di smarrimento di quanto fosse profonda.

[post-Civil War // Introspettivo // Angst // PoV Tony // Missing Moments]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Schegge'
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9


"Sharp edges have consequences, now
Every scar is a story I can tell
We all fall down
We live somehow
We learn what doesn't kill us makes us stronger"

[Sharp Edges – Linkin Park]


Venti mesi dopo, Malibu

Tony si chiese se quegli scatoloni avrebbero mai avuto una fine. 
Potevano passare giorni senza che ne vedesse uno in giro per la villa, per poi inciamparvi nel bel mezzo di un corridoio o venirne travolto aprendo sovrappensiero l'anta di un armadio. A volte era grato che un terzo dei suoi averi fosse andato distrutto durante il turbolento trasloco.
Si rassegnò a smistare il contenuto di quell'ultimo, voluminoso ritrovamento, rimasto fino ad allora nascosto in piena vista sotto al nuovo pianoforte dopo aver vagato per mesi qua e là per il salotto. Lo trascinò fuori avvertendone il peso notevole, per poi inginocchiarsi e aprirlo, sperando che fosse qualcosa di facilmente collocabile e non l'ennesima partita di soprammobili o quadri d'artista da sottoporre alla meticolosa attenzione di Pepper.
Si trovò davanti a un metro cubo di soli libri che avevano tutta l'aria di essere manuali e saggi scientifici, perciò di sua competenza. 
Liberò un lungo sbuffo e decise di sbrigare subito quella faccenda: il progetto per la Mark 48 lo attendeva in laboratorio e doveva ancora venire a capo di quell'alloggio per nanoparticelle. Afferrò una manciata di volumi e li trasferì sul pavimento, pescando alla cieca con una mano mentre iniziava già a smistarli con l'altra, separando a colpo sicuro quelli di suo padre dai propri. Cercò a tentoni la risma successiva ma, invece di pagine e copertine, le sue dita sfiorarono una fredda superficie metallica. Sobbalzò al contatto e ritirò subito la mano quasi si fosse scottato, affacciandosi poi oltre il bordo di cartone. Il bianco, rosso e blu occhieggiò di rimando dal fondo, con una punta della stella che faceva capolino da sotto le pagine ingiallite. Inspirò piano dal naso, stringendo appena le labbra a quella scoperta. 
Ecco dov'era finito. Aveva cominciato a pensare – a sperare – che fosse andato perso durante il trasloco, pur consapevole di averlo trasferito personalmente da New York a Malibu assieme agli altri pochi scatoloni che non si era fidato a lasciare in custodia a terzi.
Tamburellò una rapida marcetta sul bordo dello scatolone, per poi decidersi a svuotarlo dei libri rimanenti per scoprire lo scudo leggermente impolverato. Lo sollevò con la sinistra, ma si rivelò più pesante di quanto ricordasse e fu costretto a poggiarne il bordo contro il pianoforte, puntando l'altra estremità contro l'addome per alleviarne il peso. Almeno non era rimasta traccia dei graffi, constatò osservando l'area in precedenza sfregiata dagli artigli di T'Challa. Si era addirittura fatto prendere un attacco d'ansia per portare a termine quel lavoro di restauro inutile. Sospirò appena, distogliendo lo sguardo dal motivo concentrico dello scudo per fissarlo con aria assente sull'ebano lucido del pianoforte – un altro Blüthner a mezza coda, ovviamente. Deviò appena in tempo quel treno di pensieri e tornò con gli occhi fissi sulla stella in campo blu.
E adesso che se ne faceva, di quel frisbee?
Avrebbe potuto donarlo a un museo o chiuderlo in qualche bunker del governo. L'alternativa era infiocchettarlo e spedirlo per posta espressa in Wakanda: dopotutto il vibranio apparteneva a loro. Peccato che così facendo sarebbe anche tornato nelle mani di Rogers. Nonostante il pensiero non gli causasse più un travaso di bile, era ancora abbastanza disturbante da frenarlo.
Non se lo meritava più, quello scudo. O forse non se lo meritava ancora.
Posò un palmo sul metallo freddo e si rese conto di non avvertire alcuna fitta allo sterno. Il suo petto era quieto, mosso solo dal proprio respiro e dal battito regolare del suo cuore. A concentrarsi a fondo percepiva ancora un lieve indolenzimento, come un formicolio dovuto a una posizione scomoda tenuta troppo a lungo, ma non avvertì l'urgenza di scaraventare a terra lo scudo, né si sentì sopraffare dal gelo.
Davanti ai suoi occhi balenò il fotogramma bloccato di quell'arma sollevata sopra di lui, pronta ad abbattersi sulla sua testa spezzando la fragile difesa delle sue mani. Si portò una mano al petto e gli sembrò di incontrare i bordi slabbrati e taglienti della sua corazza lacerata. Fu un istante, poi riprese a respirare e tutto ciò che percepirono i suoi polpastrelli fu la stoffa della maglietta e la pelle sottostante, solcata dal tenue rilievo di una cicatrice circolare.
Voltò il disco metallico a voltare anche pagina da quei pensieri, studiando la superficie di vibranio splendente che rimandava appena il suo riflesso soffuso e distorto. Trovò infine ciò che cercava: lungo il bordo, in caratteri microscopici e appena visibili, era impresso il vecchio marchio delle Stark Industries. Passò un pollice su quelle lettere minute, seguendone i contorni in una carezza esitante: poteva essere appartenuto a Rogers, ma era pur sempre lo scudo di suo padre.
Lo soppesò ancora per qualche istante, poi lo prese sottobraccio e scese a passo rapido in laboratorio.


***


Dopotutto il suo posto era quello, si ripeté irrequieto, valutando lo scudo ora appeso sopra a uno dei banchi di lavoro, come lo era stato decenni prima nel laboratorio di suo padre a Long Island.
Fece qualche passo nervoso là davanti, squadrandolo con espressione un po' torva, poi si impose di lasciarlo dov'era e si sedette al bancone per riprendere il lavoro sul reattore, solo per bloccarsi di nuovo. Era come se percepisse fisicamente la presenza di quell'oggetto estraneo che incombeva sopra di lui ai margini del suo campo visivo, pronto a schiacciarlo come in Siberia.
Si rialzò di scatto e i suoi piedi lo portarono di fronte alla scrivania, con le mani cacciate nelle tasche dei pantaloni. Aprì infine il cassetto che teneva chiuso da quasi un anno e cercò a tentoni il vecchio cellulare a conchiglia, soppesandolo poi con aria guardinga come se dovesse esplodergli in mano. Lo aprì e premette il testo d'accensione: un'obsoleta suoneria anni '90 risuonò nel laboratorio. In rubrica c'era ovviamente un solo contatto e si scoprì ad aggrottare la fronte solo a leggerne il nome. Scoccò uno sguardo sbieco allo scudo, e di rimando quello gli scoccò una gelida puntura di spillo nel petto.
La ignorò, strinse le labbra e avviò la chiamata, solo per chiudere di scatto il cellulare prima che completasse il collegamento. L'aria che aveva trattenuto gli fischiò tra i denti e strinse il congegno con più forza del dovuto, come a volersi assicurare che rimanesse serrato. Esitò a lungo, a capo chino, poi lo ripose in tasca e si spostò all'altro banco di lavoro, stavolta davanti alle armature. Lanciò una fugace occhiata allo scudo dietro di lui, immobile al suo nuovo, ritrovato posto. 
Stava bene lì, concluse con una punta di sollievo.
Tutto il resto poteva ancora aspettare.




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Note Dell'Autrice:

Massalve!
Giungiamo infine al penultimo capitolo... e con puntualità, incredibilmente :)

Qui ho cercato di motivare la reazione di Tony che ci hanno mostrato in Infinity War, quando viene tiraro in ballo Steve subito prima dell'attacco di Thanos. Ok, Tony non è entusiasta e sembra palesemente seccato anche solo nel nominarlo, ma riconosce che potrebbe aiutarli ed è addirittura sul punto di chiamarlo, oltre ad avere in primis il suo cellulare con sé. Tutto ciò mi fa dedurre che sia venuto almeno in parte a patti con quello che è successo tra lui e Steve, ma si riconosce una chiara nota di stizza e risentimento nei suoi confronti (lascio volutamente Bucky fuori dall'equazione perché credo che, fuori dalla foga del momento, Tony sia abbastanza intelligente da capire che la vera responsabile è l'HYDRA. Certo non mi aspetto baci e abbracci in un loro possibile incontro, ma neanche rabbia e odio puri, al massimo una comprensibile freddezza).

Insomma, quello che mi premeva trasmettere è l'incapacità di Tony di "lasciar andare" del tutto ciò che è accaduto in Siberia. Può dire di aver infine accettato la morte dei suoi genitori, di qui lo scindere lo scudo tra suo proprietario e suo ideatore, ma non riesce ancora ad avvicinarsi spontaneamente al perdono per Steve, e il suo tentativo di farlo risulta prematuro.
Ovviamente queste sono interpretazioni personali e avremo davvero conferma di ciò che pensa Tony in merito solo nel prossimo film, ma spero possa risultare credibile e soprattutto IC.

Ringrazio come sempre _Atlas_, shilyss, T612 e leila91 che hanno recensito gli scorsi capitoli! Grazie di cuore, ragazze <3
Il gran finale arriverà mercoledì prossimo :)
Adios,

-Light-

P.S. Sono abbastanza sicura che in qualche versione dei fumetti Howard abbia davvero "targato" lo scudo, ma potrei sbagliarmi. In tal caso, prendetela come una licenza poetica :P


Edit: Ho spostato la storia nella sezione The Avengers; considerando il contesto di alcuni capitoli, ho deciso che aveva più senso così.
 
   
 
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