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Autore: _Agrifoglio_    25/07/2018    15 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Conoscenze vecchie e nuove e dolcetti di cioccolato al rum
 
Oscar scrutava, con occhi stanchi e lievemente velati di malinconia, i soldati della Guardia Metropolitana che aveva fatto schierare nella piazza d’armi della caserma. A fianco a lei, c’era il Colonnello d’Agout.
Quella volta, a differenza di tre mesi prima, essendo il trasferimento di lei caldeggiato dai Sovrani e dal Generale, ci erano voluti soltanto due giorni affinché le pratiche fossero espletate. Pochi minuti prima, nel suo ex ufficio, aveva firmato le carte per rimettere l’incarico e, da quel momento, aveva cessato di essere il Comandante della caserma.
– Soldati della Guardia Metropolitana, da oggi, sono il Comandante Supremo delle Guardie Reali e, di conseguenza, non sono più il vostro Comandante. Il mio ex incarico sarà ricoperto dal Colonnello d’Agout che, prestando servizio qui da molti anni, ben conosce la realtà di questa caserma e le abitudini dei soldati.
Sottolineò l’ultima parte del discorso con un’inflessione della voce particolarmente decisa.   
Dopo una brevissima pausa, continuò:
– Abbiate molta cura delle armi e degli equipaggiamenti militari che avete in dotazione, perché, come già vi anticipai a fine maggio, d’ora innanzi, la tolleranza sul punto sarà inesistente. Il Colonnello d’Agout vigilerà sul vostro comportamento.
– Soldati della Guardia Metropolitana – urlò il Colonnello d’Agout agli uomini – Sfilate nella parata di commiato per il Generale de Jarjayes!
Terminata la parata di commiato, un soldato chiese a Oscar:
– Comandante, perché ci lasciate?
Oscar non gli rispose, assunse un’espressione accigliata e se ne andò, seguita dal Colonnello d’Agout.
Rimasti soli in piazza, i soldati cominciarono a guardarsi l’un l’altro e, fra di loro, iniziò a serpeggiare un brusio sempre più forte. Si lamentavano che quel Comandante – che, fino a poche settimane prima, avrebbero voluto mandare via – li avesse lasciati e se ne chiedevano la ragione.
– Con una tale promozione, è logico che se ne sia andata – disse Luc Monet.
– Secondo me, c’è dell’altro – commentò Alain – Il discorso sulle armi e sugli equipaggiamenti militari è stato molto chiaro. Devono essere sorti dei problemi con le armi ritrovate in Rue Buffon.
– Ma come? – si inserì Charles Aubry – La scoperta di quell’arsenale è stata un grande successo della nostra compagnia!
– Sì – lo rimbeccò Alain – Ma, sicuramente, fra quelle armi, ce ne erano molte che provenivano da qua. Purtroppo, in quei giorni, io e molti altri soldati eravamo agli arresti e, quando siamo tornati in libertà, la faccenda era già chiusa.
– Lasalle – intervenne Paul Dolmas – Tu non eri agli arresti e, anzi, hai pure piantonato quei locali. Perché non hai fatto qualcosa o, perlomeno, non ne hai parlato con Alain?
– Che cosa volete da me? Io ho venduto il fucile una sola volta in vita mia, mi sono fatto scoprire quasi subito e stavo per essere fucilato! Da allora, non ho più voluto pensare ai traffici d’armi – proruppe il giovane, tenendosi la testa fra le mani e quasi scoppiando a piangere.
– Lascialo stare, Dolmas – tagliò corto Alain – E’ inutile infierire su Lasalle che non ha colpa. Ho l’impressione che siamo finiti in un meccanismo più grande di noi.
 
********
 
Tornato a casa per qualche ora, subito dopo la parata di commiato in onore del Comandante, Alain guardava felice la sorella che sembrava tornata ai bei tempi della sua spensieratezza.
Di Diane si sarebbe potuto dire ciò che è vero per quasi tutti i giovani e, cioè, che posseggono delle capacità di recupero sorprendenti, perché le loro passioni sono tanto violente quanto effimere e fanno tremare convulsamente la superficie, scavando poco in profondità.
La giovane aveva accantonato definitivamente il suo amore per il fidanzato fedifrago ed era proiettata totalmente verso André. Alain plaudiva a tale cambio di rotta, visto che non aveva mai sopportato quel bellimbusto ipocrita e affettato cui soltanto un’ingenua come Diane avrebbe potuto dare credito mentre avrebbe mille volte messo la mano sul fuoco per André che era onesto, istruito, leale, serio e buono d’animo. Era, magari, un po’ vecchiotto per la piccola Diane, ma la maturità e l’esperienza di vita gli avrebbero consentito di far fronte alle fragilità di lei. Diane, in fin dei conti, aveva bisogno di una figura rassicurante e paterna, avendo perso il genitore in tenera età. Adesso, poi, André aveva anche recuperato la vista e ricopriva un prestigioso incarico come amministratore delle proprietà di una delle più importanti famiglie del regno. Avrebbe semplicemente dovuto togliersi dalla testa l’idea assurda del Comandante, così che, tramontato il sole, la luna di Diane ne avrebbe rischiarato il cielo. Di sicuro, André avrebbe riscattato Diane dalla miseria in cui tutti loro versavano e, magari, l’avrebbe portata ad abitare in una delle dépendances della tenuta Jarjayes, ove lei e i figli sarebbero vissuti tranquilli, nell’abbondanza e partecipando, di luce riflessa, della signorilità dei loro padroni. Sì, i nipoti di Alain de Soisson sarebbero stati dei gentiluomini come il loro padre e non dei soldatacci come lo zio!
Alain nutriva dei forti sensi di colpa nei confronti della sorella, pensando di averla trascurata e data per scontata. Essendo un uomo coriaceo sul quale ogni cosa scivolava come l’olio e avendo sempre commesso l’errore di valutare gli altri col suo stesso metro, aveva sottovalutato il disagio di Diane, pensando che la sorella si sarebbe presto lasciata alle spalle il dolore dell’abbandono. Da sempre, l’aveva vezzeggiata e coperta di affetto, ma, nella sostanza, non si era dedicato scrupolosamente a lei né aveva preso il posto del loro padre defunto, come, da buon fratello maggiore, avrebbe dovuto fare. Aveva condotto una vita superficiale e gaudente, celando dietro a una maschera guascona e a un atteggiamento da caporione di caserma le proprie insicurezze e insoddisfazioni. Aveva sempre dato ad amici e conoscenti dei buoni consigli che trascurava sistematicamente di applicare a se stesso, camuffando da saggezza e buon senso la sua infinita paura di vivere. Adesso, aveva deciso di rimediare agli errori del passato. Era stato il destino a mettere André Grandier sulla strada della sorella ed egli si sarebbe prodigato indefessamente per sugellare quell’unione senza lasciare nulla d’intentato e senza fermarsi prima di avere raggiunto l’obiettivo.
Diane, essendosi accorta che il fratello la stava guardando, atteggiò le labbra al sorriso e lui le sorrise di rimando.
– Diane, ‘sta volta, approvo incondizionatamente la tua scelta. André Grandier è un uomo d’onore e un gran lavoratore.
La ragazza, lieta di quelle parole, assunse un’espressione raggiante ed esclamò:
– Oh, Alain, volesse il Cielo!
– E’ un vero peccato che André non abbia potuto accettare il mio invito a pranzo. Se fosse venuto, dopo avere gustato i tuoi prelibati manicaretti, si sarebbe innamorato di te come un babbeo!
– Credi che il gilet che gli ho cucito gli sia piaciuto davvero?
– Ma certo, neanche nelle migliori sartorie avrebbe potuto trovare un capo più rifinito e pregiato! …. Ho trovato! …. Visto che non vuol venire a mangiare da noi, preparagli quei deliziosi dolcetti di cioccolato al rum che soltanto tu sai fare! Glieli porterò io stesso.
– Oh, si, Alain, sei un genio! Ci pensi tu a procurarmi il rum?
– Consideralo già fatto!
Madame de Soisson guardava perplessa i suoi figli e sospirava. Diane stava commettendo il medesimo errore del passato, invaghendosi di un uomo di cui sapeva ben poco, idealizzandolo e affastellandosi la testa con una miriade di sogni, uno più inconsistente dell’altro. Stava facendo nuovamente i conti senza l’oste, con l’aggravante che, questa volta, Alain la incoraggiava.
 
********
 
Quello stesso pomeriggio, Oscar era andata a Versailles dove aveva firmato i documenti necessari per assumere il suo nuovo incarico.
Si era recata, subito dopo, a rendere omaggio al Re e alla Regina. La contentezza di Maria Antonietta era stata palese e Oscar si era sentita in colpa per il fatto di ricambiare in modo tiepido un’amicizia incondizionata.
Negli appartamenti della Sovrana, aveva incontrato Madame Élisabeth e la Principessa di Lamballe che si erano mostrate felicissime di rivederla. Le aveva sempre giudicate deboli ed emotive mentre erano soltanto poco preoccupate di apparire forti e, di sicuro, meglio disposte verso di lei di quanto lei lo fosse mai stata con loro.
Si era imbattuta nella Contessa di Polignac che si era complimentata per il nuovo incarico, con un sorriso tirato e uno sguardo freddo che avevano tradito tutto il fastidio di riaverla intorno, in un momento in cui l’amicizia della Regina sembrava essersi raffreddata e il prestigio dei Polignac, a corte, era appannato. Non gliene era importato molto. In passato, la sola vista della Contessa sarebbe stata sufficiente a indisporla mentre, ora, trovarsela davanti e percepirne l’ostilità la lasciava del tutto indifferente.
Aveva incrociato, nei corridoi, il Conte di Fersen e si era sorpresa nel constatare quanto poco le fosse mancato in quei quattro mesi in cui non l’aveva visto. Aveva avuto, così, conferma di alcune riflessioni già svolte in passato sulla natura effimera di quell’amore e sulla scarsa comunione di valori e di intenti esistente fra loro due.
Si era recata negli appartamenti di sua madre e si era sorpresa nel constatare quanto molto le fosse mancata in quei quattro mesi in cui non l’aveva vista. Aveva, quindi, pensato che il ritorno alla reggia avrebbe avuto la piacevole conseguenza di fargliela incontrare tutti i giorni, così da rinvigorire un rapporto che, negli anni, si era affievolito, sopraffatto dalla distanza emotiva e spirituale. Per tutta la vita, aveva eletto a modello un solo genitore, trascurando l’altro, la cui immagine era sbiadita nel malinconico sentiero di un progressivo allontanamento.
Oscar ripensava a tutti questi incontri e si stupiva dell’effetto prodotto sul modo di percepire gli altri dalla consapevolezza di avere di nuovo una vita davanti.
 
********
 
Stavano passeggiando, madre e figlia, sulla ghiaia scricchiolante del Parterre d’eau, quando si avvicinò loro una donna di un paio di anni più giovane di Oscar, dai folti capelli castani, luminosi e non incipriati e dai begli occhi marrone chiaro con striature verde oro. Il volto di lei era bello e signorile, ingentilito da lineamenti delicati, ma non fragili e da uno sguardo dolce e fermo.
– Mademoiselle de Chambord, posso presentarVi mia figlia, il Brigadier Generale Oscar François de Jarjayes, nuovo Comandante Supremo delle Guardie Reali? Oscar, ti presento Mademoiselle Henriette Lutgarde de Chambord, divenuta dama di compagnia di Sua Maestà la Regina dopo che tu lasciasti le Guardie Reali.
– E’ un vero piacere per me fare la Vostra conoscenza, Generale. Vostra madre mi ha molto parlato di Voi – disse la giovane donna, con voce gentile e sicura.
– Il piacere è mio, Mademoiselle de Chambord – rispose Oscar, in tono cordiale.
Le tre donne cominciarono a conversare piacevolmente. Mademoiselle de Chambord era molto simpatica, aveva un’intonazione tranquilla e un volto disteso e, in breve, rese nota a Oscar la propria condizione di cui non faceva mistero con alcuno, non vergognandosene affatto. Il padre, un Conte di un casato prestigioso e antico, ma impoverito, era morto dieci anni prima, lasciando lei e la madre senza eredità. La ragazza, a venti anni, si era trovata ad accudire la madre inferma e a questa missione aveva sacrificato la sua gioventù. Le due donne erano sopravvissute in maniera dignitosa, grazie alla dote dell’anziana Contessa. A gennaio di quell’anno, però, la madre era spirata e anche quell’ultima fonte di sostentamento era venuta meno, perché il contratto matrimoniale prevedeva la restituzione della dote alla famiglia della sposa, qualora la stessa fosse morta senza prole maschile. La famiglia della madre aveva ripreso la dote senza porsi alcun problema per la sorte della congiunta che, dal canto suo, aveva restituito tutto senza battere ciglio e senza chiedere alcunché, per dignità e orgoglio. Priva di famiglia e di mezzi e ormai trentenne, non le era rimasta altra possibilità che entrare nel convento delle Carmelitane. Dieci giorni prima dell’ingresso in convento, la Regina era giunta in visita a Chambord ed era stata accolta da una delegazione di notabili del luogo cui aveva preso parte anche Mademoiselle Henriette Lutgarde. Maria Antonietta aveva concepito una simpatia immediata e istintiva per la giovane nobildonna e le aveva offerto di divenire una delle sue dame di compagnia, contrapponendo, alle obiezioni di lei di non poter sostenere le spese della vita a corte, la promessa che sarebbe stata la Casa Reale a farsene carico. Mademoiselle de Chambord aveva accettato con entusiasmo e gratitudine, preferendo contrarre un debito morale con una Regina gentile e caritatevole a una vita da reclusa senza vocazione.
Le tre donne erano intente a conversare, quando si accostò loro Victor Clément de Girodel, giunto alle spalle di Mademoiselle de Chambord la quale, udendone inaspettatamente la voce, ebbe un moto di lieto stupore che ricompose immediatamente nella sua consueta espressione di aristocratica imperturbabilità.
– Porgo i miei rispetti a Voi, Signore e anche a Voi, Generale. Sono venuto a informarVi, Generale, che la parata delle Guardie Reali in Vostro onore è stata fissata per domani a mezzogiorno.
Oscar ringraziò Girodel dell’informazione e si complimentò con lui per la recente promozione a Colonnello. Il Re, infatti, aveva voluto farlo progredire nella gerarchia militare in concomitanza con l’offerta del nuovo incarico a Oscar.
La loro quiete fu, però, ben presto, interrotta dal Conte Maxence Florimond de Compiègne che, uscendo dalla reggia, aveva notato il gruppo.
Il gentiluomo, nonostante la spensieratezza e la mondanità che ostentava, doveva fare i conti con le fortune sempre più traballanti della sua famiglia che uno stile di vita tutt’altro che parsimonioso non aveva contribuito a risanare. Approfittando dei funerali di Charles Henri, il maggiore dei fratelli Girodel, era giunto a Versailles con l’intenzione di trovare una ricca moglie, munito soltanto del suo indiscutibile fascino e di un elenco di donne ricche e nubili. In cima a questo elenco, figurava Oscar che non disponeva soltanto di una dote, ma di una vera e propria eredità, unita a un futuro titolo comitale. Il Conte di Compiègne prediligeva Oscar anche perché riteneva che la particolare vita da lei condotta fino a quel momento la rendesse fragile e facilmente controllabile. Priva com’era di amicizie, di ogni minimo rudimento di astuzia mondana e di fascino e di gaiezza muliebri, sarebbe stato molto facile relegarla in un angolo della casa, dopo averla sposata e sradicata dall’unico mondo che conosceva e nel quale sapeva muoversi. Approfittando dell’inevitabile confusione che sarebbe seguita a un così grande mutamento di vita, egli si sarebbe impadronito di tutti gli averi di lei. Il Conte di Compiègne si era, perciò, deciso a esperire qualsiasi tentativo per entrare in confidenza con Oscar e, quando, alcuni giorni prima, l’aveva vista in compagnia del cugino, si era avvicinato a lui, estorcendogli un’inevitabile presentazione. Essendosi accorto che lei aveva appoggiato il suo fazzoletto sulla balaustra di pietra, si era abilmente mosso, col risultato di indurre l’intero gruppo a ruotare e di nascondere il capo di seta dietro la propria figura. Impossessatosi, così, del fazzoletto, si era trovato in tasca, oltre a quello, un’ottima scusa per fare visita a Oscar. Giunto a Palazzo Jarjayes, aveva iniziato a inquadrare la situazione, stabilendo che i primi atti da compiere, subito dopo il matrimonio, sarebbero stati quelli di ridurre all’irrilevanza il Generale e di buttare fuori di casa André. Ora, uscendo dalla reggia, aveva rivisto Oscar e aveva deciso di accostarsi alla comitiva, al fine di proseguire il corteggiamento.
– I miei omaggi a questo leggiadro quartetto, degno di ispirare i dipinti dei migliori ritrattisti di corte – esclamò, brioso e suadente, il nuovo arrivato.
– Con il Vostro arrivo, Cugino, siamo diventati un quintetto, col risultato di stare stretti nella tela – rispose Girodel, con l’intenzione di accomiatarsi.
– Restate, Cugino, Ve ne prego. Nei quadri, vi è posto per tutti i soggetti: dalle allegorie della sapienza e della solare bellezza – disse ciò, guardando intensamente Oscar – a quelle della grazia, delle virtù muliebri e della giovanile prestanza – proseguì, riferendosi, rispettivamente, a Mademoiselle de Chambord, a Madame de Jarjayes e, con una sfumatura di palese autocompiacimento, a se stesso – per arrivare, infine, ai memento mori – sibilò, a conclusione del discorso, il Conte, accompagnando a un malizioso sorriso le ultime parole da lui pronunciate che, con tutta evidenza, alludevano all’aspetto sempre taciturno e malinconico di Victor Clément.
Il Conte di Compiègne aggiunse diverse note di brio alla comitiva, elevando le sue parole a vertici di perfetta, allegra e raffinata inconsistenza. Monopolizzò la conversazione per quasi cinque minuti, durante i quali rivolse tutte le sue lusinghe a Oscar e alla madre di lei, dedicando a Mademoiselle de Chambord quel tanto di attenzione sufficiente a escludere la villania e riservando al cugino stoccate e facezie volte a farlo apparire goffo, sciocco o entrambe le cose. Girodel, dal canto suo, mascherava a stento il fastidio che provava per lui, trattenendosi, con fatica, dal rivolgergli delle frasi di autentico disprezzo. L’affascinante gentiluomo ispirava alle tre donne una sensazione di giovialità, ma non di genuina simpatia, tanto che l’arrivo di lui ebbe l’effetto di sciogliere la comitiva. Mademoiselle de Chambord, sentendosi di troppo e non tollerando le frecciate rivolte a Girodel, si allontanò, con la scusa di dovere sbrigare una commissione per la Regina. Girodel fece ritorno, disgustato, ai suoi alloggi e Madame de Jarjayes, accusando una stanchezza cagionatale dal caldo che, prima dell’arrivo del Conte, non aveva avvertito, chiese a Oscar di riaccompagnarla nelle sue stanze. Il Conte di Compiègne rimase solo, in mezzo ai due grandi bacini d’acqua, convinto di essere il miglior oratore di Francia.
 
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Riaccompagnata la madre nelle stanze a lei riservate, Oscar si diresse nei suoi nuovi alloggi e, nel fare ciò, si trovò faccia a faccia col Duca d’Orléans.
Il nobiluomo – che era cupo e contrariato, perché i piani per rovinare il Re stavano subendo delle frequenti battute d’arresto e il Duca di Germain continuava ad assillarlo con le sue insistenti richieste di assegnazione della Contea di Lille – rivolse, per primo, la parola a Oscar.
– E’ un vero piacere incontrarVi, Generale de Jarjayes. Siete venuta a prendere una boccata d’aria che Vi rinfranchi dai miasmi che si respirano in quella caserma parigina? Certe esalazioni possono essere molto pericolose.
Nel dire ciò, sottolineò malignamente l’ultima parte della frase.
– Siete in errore, Duca – rispose Oscar cui non era sfuggita l’allusione – giacché non sempre l’aria di Versailles può recare beneficio ai polmoni. Dipende, invero, dagli incontri che si fanno, alcuni dei quali possono risultare molto più miasmatici degli effluvi emanati da qualche rozzo soldato.
– La Vostra arguzia è sempre stata una delle perle di questa corte, Generale. Sarà un vero dispiacere restarne privi – disse il Duca, imbevendo quest’ultima frase di una malignità peggiore della precedente.
– Siete nuovamente in errore, Duca, giacché avremo il reciproco piacere di incontrarci nella reggia con frequenza pressoché quotidiana: sono il nuovo Comandante Supremo delle Guardie Reali.
Il Duca d’Orléans trasecolò. Non si aspettava che quello stupido del Re avrebbe offerto l’incarico a Oscar né che quella sciocca lo avrebbe accettato. Questo nuovo assetto delle cose mandava all’aria tutti i piani da lui elaborati per rovinare Oscar, dato che non sarebbe stato facile accusare di gravi e reiterati crimini un ufficiale che aveva comandato una caserma per meno di tre mesi e che, ora, per giunta, era passato sotto la diretta protezione della Casa Reale.
– Le mie congratulazioni, Generale – disse il Duca, accomiatandosi con un cenno del capo.
– Vi ringrazio, Duca – rispose Oscar, con un lieve inchino.
 
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Alain era appena entrato nella taverna “Le Pirate des Sept Mers”, un luogo frequentato da agitatori e sovversivi, dove, però, servivano, a un prezzo ragionevole, il miglior rum che avesse mai bevuto. La piccola Diane avrebbe utilizzato quel liquore ambrato per preparare i suoi famosi pasticcini e, se André, nell’assaggiarli, non si fosse innamorato all’istante, sarebbe stato un babbeo senza speranza.
– Ehi, Gaston, come te la passi? – chiese il soldato all’oste.
– Alain, vecchia carcassa, io sono ancora vivo e, da quello che vedo, tiri avanti bene anche tu!
– Non c’è male, grazie. Mi venderesti una bottiglia di quel tuo ottimo rum? Anzi, no, facciamo due!
– Come no! Ecco a te – disse l’oste, allungandogli due bottiglie.
– Grazie, amico!
Alain, dopo aver pagato, stava per andarsene coi suoi due tesori in mano, quando l’attenzione di lui fu catturata da una voce femminile alta e impostata.
– L’austriaca ha passato il segno! Vi dico che l’ho vista, in compagnia di alcuni soldati capitanati da quel Comandante femmina!
Alain si voltò e vide una bella donna, abbigliata con un vestito rosso da cavallerizza e un cappello piumato in testa. Ai fianchi, aveva due pistole e una sciabola. Era circondata da un gruppo di persone piuttosto nutrito, composto quasi esclusivamente da uomini che la guardavano interessati ed eccitati. 
– Ehi, Gaston, chi è quella donna?
– E’ soprannominata Théroigne de Méricourt – rispose l’oste mentre asciugava alcuni bicchieri – Ma non chiedermi qual è il vero nome, perché non lo so. Non è francese, ma viene da Liegi. E’ nota, in zona, per essere una grande agitatrice, una feroce nemica della monarchia oltre che una donna dai costumi disinvolti, tu mi capisci…. – disse quello, facendo un occhiolino d’intesa ad Alain.
– E come se ti capisco! Senti, mi è venuta voglia di bermi un bicchiere di questa delizia. Me lo porteresti a quel tavolo?
– Come no, amico!
Alain aveva scelto un tavolo non troppo vicino alla folla, ma dal quale avrebbe potuto, ugualmente, osservare e sentire bene.
La donna era piuttosto giovane, di un’età non troppo superiore ai venticinque anni ed era dotata di una bellezza indiscreta e insolente. Gli occhi erano belli e intelligenti, ma troppo luccicanti e inquieti. C’era qualcosa nel sembiante e nelle movenze di lei che trasmetteva un’impressione di  esaltazione e, a tratti, di vera e propria insania. Sapeva, però, arringare e tenere l’attenzione degli altri concentrata su di sé e, consapevole di questo dono, sin dalla più tenera età, aveva studiato tutte le pose, le intonazioni, la mimica e la gestualità per ottenere il risultato voluto. Le parole della giovane infervoravano gli animi e il modo di pronunciarle era particolarmente assertivo. La gente pendeva letteralmente dalle labbra di lei, sottolineando i tratti salienti del discorso con urla di approvazione, applausi e mani sbattute sui tavoli e quella si eccitava ancora di più, in un crescendo di reciproca esaltazione.   
– Théroigne, a me sta tutto bene – le disse una delle poche donne del gruppo – Ma mi risulta molto difficile credere che la Regina in persona si sia recata nei bassifondi parigini e senza che la notizia sia, poi, trapelata.
– Vi dico che era lei! Era vestita di nero e il volto era coperto da un pesante velo nero, ma a un certo punto l’ha sollevato e io vi dico che, così come adesso vedo voi, questi tavoli e queste sedie, quel giorno vidi il volto dell’austriaca e, quant’è vero che Dio non esiste, l’ho riconosciuta!
Nella taverna, si diffuse un boato di stupore.
– Era circondata da una decina di uomini vestiti in borghese, ma si vedeva lontano un miglio che erano soldati anche perché erano guidati da quella donna ufficiale bionda che tutta la Francia conosce benissimo!
Alain trasalì, ricordando la strana passeggiata mattutina alla quale aveva preso parte il mese prima. Adesso, gli erano chiare le reticenze del Comandante, la deferenza da lei usata con la dama velata e misteriosa e il portamento regale di quella, in stridente contrasto con l’estrema semplicità dell’abito.
– La maledetta austriaca, non contenta di sperperare i soldi della Francia in feste, vestiti, gioielli e regali per i suoi amanti, maschi e femmine, passeggia travestita nei quartieri più poveri, a sghignazzare delle sofferenze del popolo francese!
– Buuhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
– Come una nuova Messalina, Circe, Fredegonda, come la meretrice di Babilonia, si eccita alla vista del dolore dei figli del popolo e della miseria dei nati di Francia!
– Buuhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
– Raggiunto il culmine della foia, della libidine, della frenesia, si abbandona a orge lascive con uomini, donne, bambini e bestie!
– Vergogna! Abbasso l’austriaca! Abbasso i nobili! Abbasso la monarchia!
– Dobbiamo punirla – continuò la donna, in preda a un’eccitazione febbrile – E so già come fare! Riceverete a breve istruzioni! Posso soltanto anticiparvi che andremo a Versailles e li massacreremo tutti! Li affogheremo nel loro sangue! Li strangoleremo con le loro budella!
– Sìììììììììììììììììììììì!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! – urlò la gente, ormai al culmine dell’isteria collettiva.
Alain emise un fischio soffocato e si portò la mano destra davanti alla bocca, stringendosi lievemente le guance.
Proprio ora che il Comandante è tornata nelle Guardie Reali! Che tempismo perfetto! – pensò il soldato – Devo subito allertare la nostra rete di spie, metterla alle costole di questa bella pazzoide e scoprire, in fretta e furia, cosa vuole fare e come, dove e quando intende muoversi!
Si alzò da tavola repentinamente, portandosi dietro le due bottiglie di rum e uscendo dalla porta della taverna come se avesse avuto il diavolo alle calcagna, senza nemmeno salutare l’oste che lo guardò stupito.







Théroigne de Méricourt guidò la marcia delle donne a Versailles del 6 ottobre 1789. L’episodio che descriverò nel prossimo capitolo, invece, è esclusivamente di mia invenzione.
   
 
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