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Autore: Enchalott    28/07/2018    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Secondi fini
 
Shion bussò alla porta di legno, finemente decorata, con un tocco leggero. Quando accedeva alle stanze della sorella, era sempre pervaso da un senso di inquietudine, come se stesse violando l’intimità di un luogo sacro.
Una percezione assurda, dato che Dionissa era sempre felice di vederlo e gli sorrideva radiosa, prendendogli le mani tra le sue e facendosi raccontare tutto il possibile della vita di corte, che la malattia le impediva di frequentare come un tempo.
O forse no. Forse non si meritava quella stima incondizionata ed era quello il motivo per cui si sentiva così tanto un intruso. Non solo al cospetto della principessa, ma nell’intero palazzo reale.
Shion era ancora più teso del solito, a causa degli eventi occorsi quella mattina.
L’arciere del deserto non l’aveva degnato di considerazione, anzi, gli aveva rivolto uno sguardo freddo e sospettoso. Non del tutto privo del rispetto dovuto, ma urticante, come se gli stesse rinfacciando qualcosa. Il forestiero aveva osservato per un istante il diadema sulla sua fronte e un’ombra era passata nei suoi occhi privi di paura: il principe non aveva avuto dubbi. Non lo riconosceva come erede al trono, non lo riteneva degno di portare le Tre Gemme sacre e, certamente, non lo avrebbe voluto come reggente di Elestorya.
L’Aethalas, in pochi fatidici secondi, aveva colto quello che lui era: un ragazzo insicuro, che aveva imboccato un cammino che forse pareva più convincente di altri, ma che nel percorrerlo recalcitrava ad ogni passo, nella persuasione di stare sbagliando in ogni svolta. E, quando pensava di girarsi e prendere un altro bivio, vedeva con terrore che la strada alle sue spalle era sparita. O che faceva ancora più paura di prima.
Non c’erano altri termini: l’erede del Sud necessitava di essere spinto e non era fornito di un carattere determinato, anche se il bene dei Due Regni era il motivo concreto per cui non si era ancora tolto quel maledetto gioiello sacro dal capo.
L’uscio si aprì e l’ancella della principessa si inchinò con estrema deferenza.
“Alzati, Toula. Sono solo un fratello maggiore che desidera vedere la propria sorella”.
“Come desiderate voi, altezza…”
La donna fece strada e imboccò la breve scalinata che conduceva agli appartamenti privati di Dionissa.
Shion si era spesso domandato la ragione per cui la principessa avesse scelto un luogo del palazzo così isolato, come la torre sud, per stabilire la propria residenza. C’erano stanze più confortevoli, affacciate sui giardini e riccamente allestite, invece la sorella amava quell’angolo quasi staccato dalla reggia, da cui non si scorgeva altro che lo sconfinato deserto. Forse perché lassù percepiva maggiormente le visioni e il suo Kalah era più forte. A quel pensiero, qualcosa dentro di lui lo fece rabbrividire.
“Shion!”
“Ehi, bambina…” rispose sorridendo.
La ragazza si tuffò tra le sue braccia, avvolgendolo in una nuvola di veli verde chiaro e oro, l’aroma dolce e penetrante di incenso che esalava dai lunghi capelli castani, fermati sulla fronte da una leggera fascia dorata.
Anche quella notte, la principessa doveva aver vegliato a lungo e bruciato bastoncini di resina e foglie per propiziare il viaggio di Adara… o per richiamare un presagio.
Il suo viso era sempre bellissimo e ammantato da quella intensità misteriosa che emanava dal suo potere antico. E gli occhi erano ancora più luminosi sul pallore che, invece, derivava dalla sua infermità. Era dimagrita ulteriormente e i suoi polsi erano terribilmente sottili, quasi diafani, tanto che non riusciva più a indossare i bracciali d’argento e gli anelli che solitamente completavano il suo abbigliamento. Portava solo un ciondolo, agganciato a un laccio aureo, che lui non riuscì a distinguere bene.
Vederla così, vederla morire ogni giorno e non poter fare nulla se non… Gli occhi nocciola di Shion si riempirono di lacrime.
Dionissa fu attraversata da una fitta al petto e dovette abbandonare il contatto con il fratello, mettendosi a sedere sul morbido divano dell’anticamera, che fungeva da salottino e da studio.
Lo osservò e notò subito il suo sguardo angosciato, nel quale si riflettevano mille pensieri e altrettante insicurezze. Qualcosa di buio le sfiorò una spalla, facendola intirizzire. Le era già successo. Non poteva essere altro che la sua malattia maledetta. Quella che le indeboliva il Kalah e che preoccupava tutti. Non voleva che Shion si angustiasse ulteriormente per causa sua. Si fece forza e ignorò il segnale.
“Vuoi dirmi che cos’è successo questa mattina?” domandò sorridendo “Ho visto arrivare uno straniero, ma non ho capito granché…”
“L’Aethalas…” precisò il giovane “Si tratta di Narsas, il figlio di Varsya. Ha voluto a tutti i costi unirsi alla spedizione, ma non prima di averci accusati sottilmente di tradimento!”
“Tradimento?! Perché mai?” esclamò Dionissa, sgranando gli occhi.
Shion sospirò, scuotendo la testa. Nel suo sguardo transitò un’ombra di paura.
“Non lo so. Ha detto a Adara che l’avrebbe seguita per controllare la situazione, poiché la Profezia parla di un “tradimento proveniente dal sangue del re”…”
La punta fredda tra le spalle di Dionissa aumentò la pressione e tutto intorno a lei si distorse, facendole girare la testa. Succedeva così, quando il Kalah cercava di parlarle, quando le sue doti di veggente prendevano in sopravvento sulla sua fragile persona e uno stato simile al trance calava su di lei senza che potesse sottrarvisi.
Portò le mani alle tempie, ma fu solo un attimo. Tutto tornò alla normalità.
“Dionissa!”
Il tono concitato del fratello la riportò alla realtà, mentre la stanchezza aggiuntiva, derivante da quello sforzo, si ripercuoteva sul suo fisico debilitato.
“Non… non è nulla…”
“Hai avuto una…”
“No. E’ stato solo un mancamento. Continua, ti prego”.
La preoccupazione dipinta sul volto del principe non fece che aumentare, ma riprese comunque il discorso che aveva interrotto.
“Gli Aethalas, per qualche recondito motivo, sono convinti che uno di noi stia giocando sporco e stia remando contro la Profezia. Ci controllano. Per questo hanno catturato nostro padre e inviato un arciere guerriero. Adara ha acconsentito a portarselo dietro, ma io sono persuaso che non sia stata una scelta accorta”.
“Oh, per le stelle!” proruppe lei, angosciata.
Shion annuì, mentre serrava le dita intorno alle sue, a cercare conforto.
“Dionissa, tu…” mormorò afflitto “Tu… non ha visto nulla di questo?”
La principessa prese fiato e le sue labbra tremarono, mentre cercava la risposta.
“Sì…” replicò incerta.
“Perché non ci hai detto niente?” la rimproverò lui.
“Perché non ci credo. Io non penso che uno di noi, nelle cui vene scorre il sangue del reggente, possa essere uno spergiuro. Abbiamo votato le nostre vite a proteggere il nostro mondo, a qualsiasi costo, mettendo la salvezza dei Due Regni davanti alle nostre esigenze personali. Tutti noi abbiamo sacrificato qualcosa di prezioso, io lo sento. La mamma, tu, Adara, nostro padre… e anch’io. Non posso pensare che chi ama così tanto la nostra terra possa sconsideratamente volere il suo male. Non volontariamente, almeno. Non consapevolmente”.
Shion trattenne il respiro, raggelandosi nonostante la temperatura mite.
“Che… che cosa vuoi dire?”
Dionissa strinse le palpebre, come se stesse tentando di varcare la soglia delle apparenze, come se sapesse qualcosa che lei stessa rifiutava di metabolizzare.
“La Profezia parla di un traditore, su questo i Guardiani del Mare hanno ragione. All’origine della maledizione, forse destinato a tornare per impedirne il compimento o per girarlo a suo vantaggio. Ma non lo identifica. “Sangue del re” potrebbe voler dire molte cose. Ricordati che anche a Iomhar c’è un reggente”.
“Ma Anthos non appartiene alla stirpe reale! Non è figlio del suo predecessore! Lui è escluso dal sospetto degli Aethalas!”
“Già…” mormorò lei “Ma non sappiamo nulla sulle sue origini. Anche se io sono convinta che non sia di lui che i testi parlano”.
“E quindi?” proruppe Shion, sempre più frastornato.
“Io penso che Irkalla e Amathira siano stati ingannati. E che il creato sia caduto per una sporca bugia. Un essere spregevole è intervenuto sul destino. Chi ha fatto questo, ha atteso il tempo prescritto e si servirà di qualsiasi mezzo per portare a compimento il suo progetto in quest’epoca. In ciò è il vero tradimento, quello perpetrato ai danni degli dei. Ma… forse sbaglio. Forse avrei dovuto far prevalere meno le mie personali convinzioni…”.
Il giovane non riuscì a staccare gli occhi dalla sorella.
“Shion…” continuò lei, mentre una ruga compariva tra le sue sopracciglia sottili, componendole i lineamenti nel dolore “Siamo noi mortali a rischiare di essere raggirati e illusi. Di divenire pedine inconsapevoli tra gli artigli malvagi di chi ha già causato la rovina. Convinti per plagio di agire per il bene comune, mentre al contrario stiamo avvallando il male assoluto. Dobbiamo rimanere all’erta e non allontanarci dal sentiero tracciato dalla Profezia. E’ l’unico modo per non cadere…”
“Dionissa… che cosa dobbiamo fare, allora?”
Lei scosse la testa, in un frusciare di veli preziosi, asciugandosi una lacrima.
“Il mio potere non giunge a tanto. Non più. Se solo non fossi così debilitata, potrei richiamare il Kalah e avere le risposte che cerchiamo. Ma non è così. Dobbiamo attendere il ritorno di Adara e sperare che Anthos voglia aiutarci. Lui è più forte di me, ne sono convinta”.
“E se il reggente del Nord rifiutasse l’alleanza? Come ce la caveremo?”
“Non succederà, vedrai. Ho fiducia in nostra sorella…”
“Ma nostro padre potrebbe correre un pericolo sempre più vasto, nel frattempo. Il messaggio che ci ha inviato Varsya ha molto preoccupato nostra madre. Ho cercato di non coinvolgerla, ma ha un sesto senso cui è difficile sottrarsi!”
La principessa sorrise debolmente, stringendo il ciondolo tra le dita, gli occhi luccicanti di speranza. Il laccio dorato aveva ancora il suo profumo. Quello di Aska Rei, che le aveva giurato amore eterno. Quello che non può morire.
“Gli Aethalas, per quanto rudi possano essere, stanno facendo il loro dovere” rispose “Vigilano. Anche se a noi il loro modo di agire non piace. Non voglio privarli a priori della mia fiducia e neanche la mamma. Altrimenti, avrebbe ordinato la cattura di Narsas e si sarebbe precipitata di persona tra le dune con l’esercito schierato”.
Shion aggrottò la fronte, pensieroso.
“Dimmi ciò che stai tacendo…” aggiunse lei.
Un libro aperto. Il principe sospirò. Era ricascato nel suo difetto e, inoltre, sottrarsi all’attitudine intuitiva di Dionissa era pressoché impossibile.
“Insieme con la missiva gli Aethalas hanno inviato un regalo per te. Scrivono che si tratta di una medicina di loro invenzione e sperano che possa guarirti… Io non so se sia il caso di farci affidamento…”
Aprì la mano e sul palmo brillò una fialetta sigillata di vetro blu scuro, contenente un liquido dall’aspetto vischioso.
“Se tu fossi convinto al cento per cento di un loro imbroglio, sono sicura che l’avresti distrutta senza portarmela” affermò lei.
“Io… io non sono convinto di niente in realtà…” sussurrò lui debolmente.
“Shion…”
“No… non mi guardare così, ti prego. Dionissa, come vorrei che fossi tu a portare le tre Pietre sacre! Sei tu la vera erede di Elestorya, io sono solo nato un anno prima di te! Questo… questo diadema, su di me, ha un peso eccessivo, io non posso… non posso davvero…”
“Fratello…”
Lui nascose gli occhi dietro la mano, per impedire all’angoscia di trovare un varco. Per non farsi vedere irresoluto ed esitante. Per non essere l’anello debole di una catena che non si doveva assolutamente spezzare.
“Io per te ci sarò sempre, Shion…” mormorò lei “Se tu dovessi avere bisogno del mio aiuto e me lo chiedessi, io darei anche la breve vita che mi resta per te…Ma l’erede sei tu. Non puoi cambiare le cose a tuo piacimento”.
“Dionissa…”
La guardò in volto e quegli occhi chiari, privi di qualunque egoismo, gli penetrarono nell’anima, facendolo sentire indegno e imbarazzato dalla propria debolezza. Fece per parlare, ma poi cambiò idea.
La sorella prese la fiala dalle sue dita spalancate e chiamò la sua ancella, consegnandole la boccetta e pregandola di servire il suo infuso preferito.
“Non offenderò gli Aethalas con il mio dubbio” ribadì con convinzione.
Lo sguardo di Shion era un tormentoso arcobaleno di contrasti, attraverso il quale non si leggeva altro che uno sconforto immenso.
 
Toula rientrò nella camera, reggendo il vassoio con le preziose tazze, dalle quali proveniva un profumo intenso di fiori. Stappò il piccolo contenitore di vetro blu, per versarne il contenuto nella tisana della principessa e alcune gocce oleose le scivolarono sulle dita. Distrattamente, per non fare ancora attendere le due altezze reali, si leccò l’indice e il pollice e poi rovesciò il resto del medicinale nel liquido dolcemente rosato.
Il gelido buio sfiorò nuovamente le spalle della veggente e tutto perse il colore, ma durò solo un secondo.
Un gorgoglio strozzato li fece voltare contemporaneamente.
“Toula!!”
Il grido terrorizzato proruppe dalla labbra di Dionissa, mentre Shion si alzò in piedi di scatto, paralizzato dall’orrore.
La dama di compagnia della principessa vacillava, con lo sguardo vitreo, emettendo rantolii spaventosi, mentre una schiuma rossastra le si riversava dalla bocca lungo il collo, che la poveretta si teneva con forza, nel disperato tentativo di respirare.
Crollò a terra, agonizzando e boccheggiando, l’espressione stravolta dalla mancanza d’aria, penosamente scossa dalle convulsioni.
“Shion!” gridò la principessa, mentre il fratello si riscuoteva dal torpore che l’aveva paralizzato e si precipitava verso la donna riversa al suolo.
La sollevò dal pavimento, cercando un segno di vita, mentre Dionissa piangeva disperatamente a un passo da lui.
Tutto era durato pochi, tragici secondi.
Girò la testa verso la sorella, lo sguardo velato dallo shock.
“E’… morta…” mormorò.
 
 

 
 
Anthos posò un ginocchio a terra e le rivolse uno sguardo cupo: le sue iridi color ambra vibravano di una luce spietata e inumana al lucore della torcia, che il guardiano del carcere teneva sollevata con riguardo, la mano che tremava leggermente, la fiamma aranciata e fumosa che ondeggiava al ritmo della sua paura.
Màrsali fece leva con i polsi e indietreggiò, ma le catene le impedirono di andare oltre, così fu costretta a rimanere immobile, atterrita dal principe, che stava a poche spanne da lei con un sorriso sprezzante e crudele sul volto.
Le afferrò il mento tra il pollice e l’indice e la costrinse a girare il viso in piena luce, nella sua direzione. Gli occhi della ragazza si velarono di lacrime e le immagini dell’esplosione cui aveva assistito tornarono prepotentemente a farle pulsare il cuore di profonda disperazione.
Poi successe.
La contingenza si distorse e le stelle splendenti del cielo del Nord, distanti e irraggiungibili oltre le mura di pietra scura, presero a brillare nella sua anima, parlandole nella lingua che solo le veggenti erano in grado di interpretare.
Le chiedevano di ascoltare, le dicevano di tenere a bada il panico, poiché da lei sarebbe dipeso uno sfilacciato brandello di futuro, le urlavano di non trattenere il suo potere, la imploravano di abbandonarsi, di usarlo a costo della vita e di non temere. Perché non era quello il suo momento, non era quella l’ora destinata alla sua morte, non avrebbe dovuto dimenticarlo, quando lui le avrebbe fatto la sua richiesta. Era il suo dovere, il suo compito...
“E’ lei” affermò il principe, rivolto al carceriere “Lasciaci!”
L’uomo si inchinò senza proferire parola e agganciò la fiaccola ad un pesante anello di bronzo, conficcato nella parete ghiacciata. Sparì in silenzio, più in fretta che poté.
La voce profonda del reggente interruppe la visione.
Màrsali ricambiò il suo sguardo, il petto che si sollevava e si abbassava velocemente per la tensione.
Anthos osservò i segni blu tracciati sulle sue mani, i bracciali lavorati con i motivi geometrici di Odhran e la fascia decorata che tratteneva i lunghi capelli biondi.
“Ci tieni alla pelle, veggente?” le domandò retorico.
Lei annuì leggermente, senza che la voce potesse uscirle dalla bocca, asciutta e tremante.
Il principe la lasciò e sedette a gambe incrociate sul pavimento, difronte a lei, continuando a squadrarla, indecifrabile.
Il medaglione con le Tre Pietre, penzolante sul suo petto, mandò un bagliore accecante e Màrsali lo fissò, come ipnotizzata. Non l’aveva mai visto così da vicino. L’amuleto aveva la stessa età del creato ed era un elemento essenziale della Profezia. I suoi poteri andavano oltre ogni immaginazione e ciascuna delle Gemme azzurrate rappresentava una forza necessaria al mondo, un’essenza leggendaria, che si poneva in equilibrio perfetto con la sua controparte, rappresentata dal diadema rosseggiante del Sud.
Quel magnifico gioiello era anche una difesa. I miti antichi raccontavano che nessun essere umano avrebbe potuto indossarlo, se esso stesso non lo avesse riconosciuto come legittimo latore. Allora perché quell’uomo spietato riusciva a portarlo addosso senza subirne le giuste conseguenze? Avrebbe dovuto bruciare come un tizzone d’inferno, invece era vivo e vegeto in tutta la sua ferocia!
Forse, era un mago così potente da riuscire a dominare anche il medaglione o, forse, quando era stato dichiarato reggente di Iomhar, Anthos non era ancora così malvagio. Forse, invece, tutte quelle parole erano solo stupide credenze e l’amuleto serviva unicamente a rendere, se possibile, più spaventoso il principe del Nord.
 
“Il medaglione ti impedirà di leggerlo, piccola Màrsali. Non potrai usare il tuo dono su di lui, nemmeno se tu fossi la veggente più potente mai esistita…”
 
La voce gentile di Siavon risuonò nella sua memoria, causandole una fitta dolorosa. Il ricordo della spaventosa morte della sua cara maestra le insinuò una scossa di rabbia e il suo sguardo si accese.
Non si sarebbe data per vinta. Non avrebbe avuto paura. Non quel giorno.
“Bene…” commentò il giovane con un sogghigno, scorgendo il cambiamento negli occhi celesti della ragazza “Apprezzo sinceramente chi non si arrende. Ma apprezzo ancora di più chi esegue i miei ordini con fedeltà incondizionata”.
“Sono totalmente devota a Iomhar” rispose lei.
Anthos rise, divertito dalla replica.
“Attenta, mocciosa, le parole ambigue potrebbero costarti care”.
Màrsali attese che lui continuasse, senza più mostrare emozione alcuna. Nessun timore. Nessuna rabbia. Nessuna vendetta. Nessun desiderio. Come Siavon le aveva insegnato. Come la neve candida della sua terra.
“Che cosa desiderate da me, altezza?” domandò, cercando di mantenere una tonalità piatta.
“Sei una veggente, se i dehalbh tracciati sulla tua pelle non mentono. Giovane, è vero, ma l’età non conta nel potere, non credi?”
“Lo sono” rispose lei “Ma non sono forte come voi pensate. Il mio cammino è appena all’inizio. L’unica a possedere il dono in tutta la sua probabilità è stata da voi uccisa”.
“Risparmiami la paternale!” ringhiò lui spazientito.
Màrsali ricacciò indietro le lacrime, sollevando nuovamente il viso alla luce incerta della fiamma.
 
Bianca. Sii bianca come il cielo del Nord.
 
“Quello che ti chiederò dovrà restare tra me e te” proseguì lui “Per il tuo bene e per quello di Jarlath. Credo di essermi spiegato, ragazzina…”.
“Sono tenuta al segreto”.
“Buon per te. Quanto sei brava a interpretare i sogni?”
Màrsali sgranò gli occhi, incredula. Possibile che il principe fosse sceso nelle segrete e avesse voluto incontrarla solo per conoscere il significato di un sogno? Perché non tentava lui stesso di attribuirgli un significato, se era così potente nella magia?
La sua attenzione fu nuovamente catturata dal medaglione. Forse era per quello: il gioiello impediva anche al principe di leggere se stesso, per qualche recondita ragione. Oppure non funzionava come avrebbe dovuto.
A quell’idea, la ragazza fu attraversata da un brivido: se l’amuleto non stava realmente svolgendo il suo compito, sarebbero stati tutti perduti, tutti! Impossibile…
“Non so rispondervi, non l’ho mai fatto”.
Anthos aggrottò la fronte e si fece dubbioso per un istante. Poi riassunse l’espressione corrucciata e fredda che gli apparteneva.
“Comincerai ora” ordinò “E cerca di non sbagliare”.
La guardò intensamente e a Màrsali parve, stranamente, che sul suo volto attraente passasse un’ombra di sofferenza, come se in mezzo al suo essere privo di pietà albergassero anche altri sentimenti ormai sopiti.
 
Il principe esitò, ma fu solo un attimo.
Iniziò a raccontare, rendendo le immagini provenienti dal mondo onirico sorprendentemente reali, rivivendo in quelle parole l’attimo della sua morte, il bruciore della spada, la dolcezza della voce misteriosa, il sollievo del trapasso.
Cercò di controllare il respiro, che percepiva farsi più affannoso via via che il sogno si sgranava dalla sua memoria, si mantenne distaccato per non far comprendere alla veggente il turbamento che esso gli provocava, per evitare che la preoccupazione galleggiasse nel suo sguardo algido, per dare l’impressione che il significato profondo di quelle scene fosse solo una mera curiosità e nient’altro.
Vide luccicare le lacrime negli occhi azzurri della fanciulla incatenata e comprese di essere stato chiaro e realistico e che, nonostante tutto, a fronte della sua vita che sfumava per sempre, neppure lei riusciva più a odiarlo. Capì, in quel momento, che sarebbe morto davvero. In un tempo non troppo lontano. Realizzò di dover assolutamente conoscere tutto, per prepararsi ad affrontare la fine, prenderla di sorpresa e sconfiggerla. Di bramare necessariamente di conoscere come sarebbe successo e il motivo… poiché solo ciò che non si comprende fa realmente paura.
 
Màrsali ascoltò la descrizione accurata con ansia crescente, come se quegli eventi irreali scorressero anche sulla sua pelle, attraverso i contorti disegni blu che si snodavano sul suo corpo sottile.
Il sogno era morte. Era vita e morte insieme. Era il principe del Nord che li perdeva tutti ed era l’amore che li salvava tutti. Era volontà e rinuncia. Era resa e rivalsa. Il sogno era la Profezia che indicava la strada. Ma la strada non era tracciata. Semplicemente non esisteva. Un ponte interrotto su un baratro nero.
Si coprì il viso con le mani intirizzite, sussultando nello sforzo di non vedere, sapendo che invece avrebbe dovuto farlo, fino al punto in cui le era concesso. Calde lacrime scesero sulle sue guance sporche di terra, lasciando tracce salate nella polvere, senza che potesse trattenerle. L’empatia la travolse e le diede il medesimo dolore che aveva scorto, le fece provare il sollievo e la rassegnazione, il tetro finale.
Il racconto terminò e Màrsali si inchinò, con la fronte al suolo, sul freddo pavimento della cella, davanti ad Anthos di Iomhar, che la fissò sconcertato.
“Mio signore…” sussurrò con la voce rotta dal pianto “Mio signore, dovete salvarci… Solo voi potete farlo, vi prego…”
“Che… che cosa stai dicendo!?” disse lui, spalancando gli occhi “Che cosa significa?”
La ragazza si sollevò, mantenendo la mano sul cuore, in segno di sincerità.
“La vostra visione non è chiara, non del tutto… ma posso dirvi che siete davanti a un bivio e le vostre decisioni porteranno il creato alla rovina. Oppure alla salvezza. La spada, la vostra, quella che portate al fianco anche ora, siete voi. Voi, mio signore, dovrete scegliere di morire… oppure tutto sarà perduto…”
“Stai mentendo!”
“No, non lo farei mai! Vi prego, principe, ascoltatemi! E’ la Profezia che vi sta parlando! Voi la conoscete, ma vi siete rifiutato di seguirla e la strada che è stata tracciata millenni or sono si è cancellata. Perduta per sempre! Siete voi il responsabile… dunque l’arbitrio finale cade sulle vostre spalle. Se vi opporrete alla fine, tutto sarà perduto! Se, al contrario, rinuncerete…”
“La Profezia è una immane sciocchezza! Non esiste nulla di definito! Mi stai facendo perdere la pazienza, stolta ragazzina!!” tuonò lui al colmo della collera.
“Altezza… altezza, vi prego… cercate nel vostro cuore, se non confidate nelle preziose righe del testo sacro… Il medaglione! Oh, lo giuro sulla Luna crescente! Il medaglione non sta funzionando correttamente e voi confidate troppo nel suo potere! Lo sapete anche voi, ne sono certa!”
“Stai farneticando! Le Tre Pietre risalgono alla notte dei tempi e solo io sono in grado di usarle! L’amuleto risponde al mio potere esattamente come deve!”
Màrsali scosse la testa, asciugandosi le lacrime, restando prostrata umilmente davanti ad Anthos, un gesto che mai e poi mai avrebbe pensato di compiere, soprattutto per colui che le aveva strappato quanto possedeva di più caro. Ma doveva riuscire a smuoverlo, a convincerlo…
“Il medaglione impedisce a coloro che vedono il futuro di leggere dentro di voi, mio signore. Ma non può impedire a un essere umano di sognare e il vostro incubo è un messaggio disperato del destino, l’unico in grado di essere compreso, di superare i vostri poteri e quelli del gioiello che vi difende. Io ringrazio gli dei, perché siete venuto da me e non avete sottovalutato l’angoscia che quel sogno vi ha provocato…”
“Angoscia?” il giovane sogghignò spietato “La mia era una mera curiosità, ma vedo che sei solo una sciocca ragazzina superstiziosa, che osa minacciarmi con una patetica menzogna!”
“No, mio principe. Vi direi di consultare altre veggenti, ma io sono l’unica rimasta nel Regno. Le mie parole sono veritiere. Perciò v’imploro, credetemi, fidatevi di me… uccidetemi piuttosto se vi sentite offeso, ma non dubitate di quello che vi dico. Io amo Iomhar, farei qualsiasi cosa per la sua salvezza…”
“Come inventare una valanga di panzane, secondo le quali io, l’odiato reggente, sarei il responsabile della deviazione di una Profezia che non esiste, se non nei cervelli bacati dei vecchi che se la bevono, e dovrei togliermi la vita per salvare il mio Regno? Mi credi un idiota? Inoltre, proferendo tali stupidaggini, pretendi che io abbia fiducia in te? Non farmi ridere! Con chi credi di parlare, ragazzina!?”
Màrsali congiunse le mani, incapace di trovare altri termini che potessero persuaderlo della sua onestà. Se solo ci fosse stata Siavon con lei… se solo non fosse stata l’unica donna con il dono, se…
“La principessa Dionissa…” mormorò.
Anthos corrugò la fronte, terribilmente adirato, rimettendosi in piedi. La guardò torvo.
“Come?”
“La principessa di Elestorya, la maggiore…” riprese lei con un filo di speranza nella voce “Possiede la vista. Loro lo chiamano Kalah. Chiedete a lei, se non credete a me! Vi scongiuro, non persistete in questo cammino di morte!”
Il principe la fissò a lungo, ma sul suo volto non trapelò nessuna emozione. Le sue remote riflessioni rimasero inesplicabili.
Màrsali sperò con tutta se stessa che stesse valutando la possibilità di rivolgersi alla veggente di Erinna.
Ma non fu così.
“Io non ti credo. Se ti sei illusa di potermi spaventare per indurmi a sacrificare me stesso, hai sbagliato strategia”.
La fece alzare con uno strattone e la guardò dritta negli occhi, severo e terrificante.
Le posò l’indice e il medio congiunti sulle labbra, facendola rabbrividire.
“E poiché non posso correre il rischio che tu vada a raccontare in giro questa storia, tu non parlerai più. Quando cercherai di affrontare questo argomento, la tua voce mancherà e soffrirai terribilmente, finché non desisterai per sempre”.
“Mio signore… non fatelo…”
Un guizzo di magia gli avvolse le dita e la trapassò implacabile. La ragazza chiuse gli occhi, senza più forze e piombò pesantemente a terra, lo sconforto che le serrava il cuore come un artiglio di ferro acuminato.
La magia si dissolse.
Anthos le girò le spalle e si diresse verso l’uscita, battendo un colpo sulla pesante grata che serrava la cella.
“Si dice che le veggenti possano leggere le stelle, a patto di non farsi mai possedere da un uomo” affermò gelido “Chissà se ciò corrisponde al vero”.
Màrsali spalancò gli occhi e il suo cuore prese a battere furiosamente.
Il bieco guardiano della prigione comparve sulla soglia, spalancando l’inferriata con un rugginoso cigolio e inchinandosi al reggente.
“Carceriere” continuò questi “La notte fa freddo quaggiù nelle segrete, non è vero? La ragazza è tua. Fanne ciò che vuoi per scaldarti il riposo”.
“No!! Altezza, vi prego!! Non vi ho mentito!”
Le grida di supplica della giovane si persero nel buio, inascoltate, alle sue spalle, mentre il sorvegliante chiudeva la porta dietro di sé con un tonfo secco.
   
 
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