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Autore: DirceMichelaRivetti    28/07/2018    1 recensioni
Ambientata a partire da poche settimane prima di episodio VII, si concentrerà su Jacen Syndulla (figlio di Kanan ed Hera) e di Devagiri, una giovane di Chalacta sensibile alla Forza. Le vicende sono narrate dal punto di vista di lei che fugge dal proprio pianeta, affidandosi a dei contrabbandieri.
Nel corso della storia scopriremo che rapporti ha avuto Jacen con Skywalker e Ben Solo; vedremo anche che cosa stanno facendo il Fantasma e il suo equipaggio contro il Primo Ordine.
Questa storia è nata da alcune domande che mi sono posta, per esempio: Jacen è mai stato addestrato nell'uso della Forza? Luke sa della sua esistenza? Se la risposta a queste domande è "sì", allora Jacen ha conosciuto anche Ben/Kylo? Saranno stati amici? Come potrebbe aver reagito Jacen al passaggio al lato oscuro dell'amico?
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Hera Syndulla, Hondo Ohnaka, Kylo Ren, Lando Calrissian, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anelli di ferro mi stringono il collo, i polsi e le caviglie. Una catena li collega e mi impedisce di muovermi.

Sono in fila con altra gente nel mezzo di un mercato.

Il venditore urla: “Schiavi! Schiave! Comprate qui da noi, abbiamo merce per tutti i gusti.”

Alla fine è successo, mi ritrovo ad essere un oggetto in balia di un padrone.

Uomini e alieni mi passano davanti, qualcuno si ferma a guardare, scuote il capo e se ne va.

Un gruppo di bambini, poco lontano, mi addita, ridacchia. Poi qualcuno raccoglie del fango ne fa delle palline e me le tira addosso.

“Screanzati!” urlo, provo a muovermi verso di loro per rimproverarli, ma il mercante mi si para davanti e mi infligge una scarica elettrica.

Sono stordita per qualche istante, poi riacquisto lucidità.

C’è un uomo davanti a me, fa una smorfia e dice al mercante: “Davvero pensi di vendere come schiava una balena come questa?” ridacchia “Faresti meglio a venderla al mercato bestiame. La carne umana è ben pagata al chilo e con questa puoi farci una fortuna.”

Continua a sghignazzare e se ne va.

Mi guardo la pancia: sono messa davvero così male? Beh non riesco a vederla perché le tette la coprono.

Arriva un trio di Twilek femmine, strette in abitini succinti, a malapena inguinali. Ovviamente tutti si voltano per guardarle.

Passano pigramente in rassegna gli schiavi. Quando arrivano a me si fermano. Una inizia a punzecchiarmi in più punti con l’indice come se volesse testare la mia consistenza, un'altra mi afferra la carne con due dita, la tira come a pizzicarla, la mostra alle amiche e dice: “Guardate che rotoli di lardo ha questa.”

“Uno schifo!” rabbrividisce la terza.

“Compriamola.” propone quella dalla pelle verde.

“Vuoi un orrore del genere in casa?” chiede la Twilek blu “Sarebbe imbarazzante.”

“Ma no” le spiega la verde “La teniamo giusto il tempo di insegnarle qual è il suo posto e poi ce ne disfiamo. Guarda, potremmo arrostirla e fare una festa con tutto il villaggio.”

“Hai ragione” approva quella arancione “Queste merde devono capire quanto fanno schifo e che devono servire chi è migliore. Quando ci saremo stufate, oltre a mangiarcela, potremmo scuoiarla e farci qualche bel completino.” mi strizza i seni “Ecco, anche con questi potrei farmi un bel paio di scarpette.”

La blu mi tamburella sulla pancia e commenta: “Qui c’e n’è abbastanza per un reggiseno.”

La verde mi passa le mani sulle cosce e osserva: “I pantaloncini che ci ricaverò da queste faranno impazzire gli uomini.”

Contrattano sul prezzo, pagano. Il mercante mi toglie dalla fila e mi affida a loro.

La Twilek verde prende la catena che pende dall’anello che mi stringe il collo e mi ordina di mettermi a quattro zampe, spiegando: “Le bestie non camminano.”

Questa è pazza. Provo a dare uno strattone col collo per strapparle la catena di mano e correre via.

Dimenticavo che ho anche i piedi legati. Cado a terra. La faccia nella polvere, le sento ridere. Una di loro mi cammina sopra: che male!

Sento tirare la catena, mi metto a gattoni e le seguo.

 

Siamo dentro la loro casa. Più che una casa è un palazzo, ci sono decine di stanze e tante altre schiave di ogni razza ed età.

Come prima cosa mi hanno portata in una specie di fucina, mi hanno spogliata e hanno gettato i miei vestiti tra le fiamme. Mi hanno fatta rimanere in ginocchio e appoggiare il busto su una panca, poi hanno iniziato ad arroventare un ferro.

Ho capito che cos’avevano intenzione di fare. Ho cercato di alzarmi, ma una si è seduta sulla mia schiena e mi ha tenuta schiacciata sulla panca.

Non ho visto nulla, ma sapevo. Ho atteso per lunghi istanti e poi eccolo! Ecco il dolore del ferro rovente: mi hanno marchiata a fuoco così che tutti sappiano a chi appartengo.

Quella verde mi ha spiegato le regole: “In quanto bestia, resterai nuda e a quattro zampe, non potrai parlare se non sotto nostro ordine. Dovrai rivolgerti a noi chiamandoci dee, padrone, sublimi. Tu, invece, non hai un nome. Quando ti chiameremo, useremo il primo appellativo che ci verrà in mente, ad esempio immondizia, botolo di lardo. Capito?”

Mi sono messa a ridere e le ho risposto: “Scordatevelo. Potete aver pure speso dei soldi, ma non sarò mai la vostra schiava.”

Ho provato ad attingere al potere di Kalki per creare un diversivo e fuggire ma non ci sono riuscita. Ancora non capisco: è la prima volta che Sri Kalki non mi aiuta. Che cosa è successo?

Mi hanno gettata a terra. Una si è seduta sulla mia pancia, un’altra sulle gambe per tenermi ferma. La verde ha schiacciato il suo piede sulla mia gola, prima più volte facendomi gran male, poi la premuto con forza fino a farmi mancare il respiro.

Mi ha guardata e mi ha chiesto: “Allora, che cosa sei?”

Ho ignorato il dolore o almeno ci ho provato e ho risposto fieramente: “Sono Devagiri, sacerdotessa di Kalki.”

Mi ha dato un calcio sulla mandibola, ho sentito il sangue in bocca. Ha sfregato le suole delle sue scarpe sulla mia faccia, come fossi uno zerbino e poi ha ripetuto la domanda.

Avrei voluto non rispondere. Ho visto che stava per sferrare un altro calcio e ho esclamato: “Immondizia, sono immondizia.”

Mi ha sputato in faccia, prima di far cenno alle altre due di alzarsi.

Adesso loro sono a tavola, hanno finito di mangiare. Hanno messo gli avanzi in un piatto e me lo hanno messo davanti. Devo mangiarlo senza usare le mani, ovviamente. Preferirei stare a digiuno, ma ho troppa fame.

Mi osservano e ridacchiano. In più parlottano tra di loro, le sento.

“Guarda la cagna come mangia bene i nostri scarti.”

“Hai visto quant’è grossa? Quella mangerebbe qualsiasi cosa, pure i nostri escrementi.”

“Potrebbe essere divertente.”

“No, no. Poi noi mangeremo lei e deve essere nutrita bene.”

“Giusto. Secondo te quante salsicce e bistecche ci vengono con questa scrofa?”

“Non so. In ogni caso, troppe.”

Basta.

“Zitte!” grido furiosa “Chi credete di essere? Io non ho niente da invidiarvi.”

Non dicono nulla, ma il loro sguardo è raggelante.

La blu e l’arancione si avventano su di me e mi tengono bloccata sdraiata con la schiena a terra.

La verde incombe su di me, tanto per cambiare; si limita a dire: “Passerai tutta sera con una delle cose che devi invidiarci e userai la tua lingua insolente per uno scopo migliore.”

Si toglie il vestito e pure le mutande, si china offrendo il suo sedere al mio volto.

Bello, tondo, sodo … ora capisco perché gli uomini lo adorino così tanto.

Le sue natiche schiacciano la mia faccia, si strusciano un poco. Respiro a fatica sotto quel capolavoro.

“Lecca.” sento ordinarmi “Leccalo e bacialo, fammi sentire quanto ti piace.”

Se non obbedisco, non so che altro si inventeranno per umiliarmi. Apro la bocca e inizio a passare la lingua su quella pelle liscia.

 

Siamo in fila, tutte noi schiave, al cospetto delle nostre padrone. Ci hanno convocate, non so perché.

Siamo tutte in ginocchio, in silenzio, mentre loro stanno sedute su un divano e ci osservano, bisbigliando tra loro, non riesco a sentire cosa dicono.

Siamo qui già da diversi minuti e ancora non succede nulla. Perché non si decidono a parlare?

Ci dicano quel che vogliono e basta!

Ecco, la Twilek arancione si è alzata in piedi, fa qualche passetto per raggiungere il centro della stanza. Raggiante, annuncia: “Domani è un giorno di festa per noi e abbiamo deciso di celebrarlo con un buon pranzo. Una di voi sarà la portata principale.”

Ci siamo, è la mia fine.

Avanza ancora ma non viene verso di me. Si sposta verso una Togruta, le afferra il mente, sogghigna e dice: “Tu, tu sarai il nostro pasto.”

“No!” grido, scattando in piedi.

Tutti mi fissano stupiti, tranne le Twilek, il loro è uno sguardo di sdegno e ira. Non pronunciano una parola, però.

Mi affretto: “Vi prego, non mangiate né lei, né alcun altro. Questo cannibalismo è atroce, ponetevi fine, vi supplico.”

“Voi siete animali, non c’è cannibalismo.” dice la verde, impassibile.

Che fare? Non posso permettere che lo facciano.

Mi avvicino al divano, mi getto in ginocchio, mi prostro con i palmi e pure la fronte che toccano il pavimento.

“Vi prego, dee, siate clementi e non cibatevi di noi. Sì, siamo in vostro potere e potete disporre di noi come più vi aggrada, mostrate dunque un poco di misericordia. Se può servire a preservare in vita le mie compagne, vi giuro che non oserò mai più disobbedire o protestare. Farò qualunque cosa mi ordiniate, sarò il vostro poggiapiedi, tappeto, perfino latrina, se necessario per evitare che una di loro sia cucinata. E se proprio volete carne di schiava per la vostra festa, prendete me.”

“Hai detto tante cose interessanti.” dice la capa delle tre “Voglio sentirne ancora. Dicci un po’ perché meriti di essere la nostra schiava.”

Sento il peso dei suoi piedi appoggiarsi sulla mia testa e schiacciarla ulteriormente.

Mi faccio forza e rispondo: “Voi … voi siete stupende e io sono mediocre, confrontata a voi. Sono sempre stata ingiusta verso le Twilek, le invidiavo per la bellezza e l’eleganza e le ho incolpate per le scelte fatte da altri. La mia invidia mi ha portata a disprezzarle, non sopportavo che avessero più successo di me. Sono cresciuta credendo che rispetto e ammirazione mi fossero dovuti per diritto di nascita per la mia appartenenza a una famiglia di sacer maxime; anche se mi sono impegnata negli studi, ho sempre snobbato gli altri e non ho fatto nulla per guadagnarmi davvero la loro stima o il loro affetto. Pretendevo che mi fossero dovuti, senza fare nulla per meritarmeli e con loro sono stata saccente e un po’ sdegnosa. Vedevo gli uomini affascinati dalle Twilek e davo la colpa alla stupidità degli uni e alla bellezza delle altre, senza mai mettere in discussione me. Incolpavo il mio corpo anziché il carattere. Avevo torto, io non sono migliore di altri; fuori da Chalacta, la mia famiglia non ha importanza … e anche sul mio pianeta devo smettere di farmi vanto di ciò e capire che, se voglio essere speciale, devo guadagnarmelo con impegno, fatica e maggiore disponibilità verso il prossimo. L’ho capito troppo tardi purtroppo, non posso più tornare indietro. Essere vostra schiava è quel che mi merito per la mia cecità verso i miei errori e limiti e per aver odiato ingiustamente la vostra razza.”

Taccio. Non so che altro aggiungere: ho appena detto tutto ciò che non volevo ammettere con me stessa.

Non sento più la pressione dei piedi sulla mia nuca. Nessuno parla, anche i rumori in sottofondo sono spariti.

Provo ad azzardare a tirare appena su la testa e aprire gli occhi per vedere l’effetto sortito dalle mie parole.

Buio.

Solo tenebra tutt’attorno. Le Twilek, le schiave, la stanza: sparite.

Non c’è … IL TEMPIO!

Ma certo, il tempio! Sono entrata in un tempio Jedi e … e … e …?

Che cos’è accaduto dopo? Non ricordo. Ho iniziato a scendere le scale e poi il nulla. Allora come ho fatto a finire …?

Ora capisco! Un’illusione. Un’illusione, certo, ecco quello che dev’essere stato.

La Forza deve avermi messa alla prova.

Accidenti, però, che prova! Sembrava tutto vero, ero assolutamente convinta che tutto ciò fosse reale e stesse accadendo.

Non è difficile superare una prova, quando si sa di stare affrontandone una.

La stessa voce che mi ha condotta fino all’ingresso.

Attorno a me inizia ad esserci una luce fioca e calda, vedo un pavimento in pietra e qualche colonna, sorretta dalla statua di un grosso felino con lunghe zanne tra le fauci spalancate e alte corna.

Essere consapevoli di trovarsi in un’illusione e di dover superare un ostacolo, rende tutto più semplice, non trovi?

“In effetti sì.”

Cerco attorno, con lo sguardo, chi sta parlando.

La Forza ti ha fatto vivere un’esperienza tremenda, ma solo così hai potuto abbattere il tuo grande nemico.

Il mio grande nemico?

“L’orgoglio?”

Esatto. Orgoglio e invidia. Non è certo bastato questo a liberarti da questi difetti, ma almeno li hai riconosciuti, hai ammesso le tue debolezze e hai dimostrato di poter essere umile e di anteporre il bene di un altro alla tua superbia.

“Perché? Perché questa prova?”

Gli Jedi sono messi alla prova continuamente, in ogni istante devono scegliere tra il proprio ego e la Forza. L’abnegazione di alcuni di loro rende la scelta naturale e invisibile, altri invece devono fare uno sforzo e ricordare che i desideri personali vengono dopo il bene comune.

Un tempo crescevamo i bambini fin dai primi mesi di vita per insegnare loro questa morale e ad essere liberi da ogni attaccamento.

Tu sei già grande, molti cavalieri Jedi avevano già terminato l’apprendistato alla tua età. Benché tu non la chiami Forza, sai già usarla, in minima parte, ma ciò che c’è davvero da imparare non è usare un potere, bensì dominare sé stessi.

Tu dovrai spogliarti di orgoglio, superbia e invidia per diventare una Jedi. La prova che hai affrontato era per verificare se nel tuo animo ci fosse la possibilità di intraprendere questo percorso di liberazione.

Certi mali si radicano bene negli animi e da adulti è più difficile correggere i propri difetti, per questo la prova è stata così dura ed umiliante. Ha esagerato per estirpare fin nel profondo le tue debolezze.

Ora che le conosci, fa del tuo meglio per eliminarle e diventare più forte.

“Vuol dire che potrei diventare una Jedi? Ma io non l’ho chiesto.”

Nessuno ti obbliga a diventarlo. Oggi, qui, ti si è offerta un’opportunità e ti si è mostrata una strada. La decisione è tua.

Quando nulla del mondo esterno potrà influenzare il tuo giudizio di giusto e sbagliato, bene e male, allora sarai una Jedi.

“Ma non posso farcela da sola.”

Non hai incontrato Jacen per caso: la Forza vi ha fatti incontrare.

Non è un Maestro, ma saprà consigliarti e guidarti, se gli chiederai aiuto.

Anch’io sarò pronto a darti suggerimenti e rivelarti qualcosa, se sarai in grado di contattarmi con la Forza.

“Non lo stiamo già facendo, adesso?”

No. È il tempio che ti ha permesso di comunicare con me. Accrescendo il tuo equilibrio nella Forza, potrai trovare il modo di parlarmi ovunque tu sia.

Adesso va.

“Un’ultima cosa, soltanto. Chi sei? Qual è il tuo nome?”

Un tempo ero chiamato Mace Windu.

Più nulla. Solo altro silenzio.

D’improvviso la stanza si fa più luminosa: è la luce che scende attraverso il vano della scalinata.

È ora di uscire. Risalgo le scale e trovo il giovane seduto a gambe incrociate e occhi chiusi. Starà meditando?

Solleva le palpebre, mi scruta, le sue labbra rimangono dure e serie.

“Sei riuscita, allora. Buon per te. Seguimi.”

“Non vuoi sapere che cosa mi è successo?”

“No. Sono questioni personali e riguardano solo te.”

“Ah. Perché vuoi che ti segua? Dove andiamo?”

“La meta la scoprirai quando arriveremo. Mi devi seguire perché voglio tenerti d’occhio ed evitare che ti prenda il lato Oscuro.”

“Lato Oscuro?”

Era praticato dai Sith.

“Esatto. Di rado, noto anche come disequilibrio.”

“Ma luce e oscurità non dovrebbero coesistere per avere un equilibrio tra di loro?”

Sono un po’ confusa, ho letto molto al riguardo: decine e decine di teorie discordanti.

“No. La luce è equilibrio, l’Oscurità è follia, disordine, incapacità di controllarsi, essere vittima delle proprie passioni, schiavitù. L’Oscurità è la condizione della maggior parte degli esseri senzienti, chi più chi meno. Chi è sensibile alla Forza ha accesso a un grande potere e deve esserne responsabile, altrimenti finirà con il danneggiare sé stesso e gli altri in modi catastrofici. Non ho intenzione di lasciare al Lato Oscuro altri sensibili alla Forza, anche a costo di ucciderli. Pensa bene a quello che fai, dunque.”

“Mi stai dicendo che sono obbligata a seguirti affinché tu possa controllarmi ed eventualmente ammazzarmi?”

È pazzo oppure serio? Certo la sua franchezza è disarmante.

“Vuoi fare il riassunto di ogni cosa che dico? Comunque, farò del mio meglio per tenerti nella luce.”

“Grazie.” gli sorrido “Anche la voce nel tempio mi ha consigliato di rivolgermi a te.”

“Voce … È già la seconda volta che ne parli. Hai capito di chi o cosa sia?”

“Ha detto di essere stato Mace Windu. Per quanto ne so, era il capo del Consiglio degli Jedi quando la Repubblica è caduta e l’Imperatore l’ha incolpato di aver orchestrato il complotto contro la democrazia, facendo pure pubblicare dei falsi diari per avvalorare le accuse.”

Jacen non dà valore a questo mio sfoggio di conoscenza di storia. Si volta e si incammina verso la sua navetta.

“Il Maestro Windu … Tu sei di Chalacta, vero?”

“Sì.”

“… e hai incontrato me. La Forza fa proprio le cose per bene, quando s’impegna.”

“Che vuol dire?”

“Lo capirai. Su, muoviti, voglio partire.”

Mi affretto verso la navetta e salgo a bordo.

   
 
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