Anelli
di ferro mi stringono il collo, i polsi e le caviglie. Una catena li collega e
mi impedisce di muovermi.
Sono
in fila con altra gente nel mezzo di un mercato.
Il
venditore urla: “Schiavi! Schiave! Comprate qui da noi, abbiamo merce per tutti
i gusti.”
Alla
fine è successo, mi ritrovo ad essere un oggetto in balia di un padrone.
Uomini
e alieni mi passano davanti, qualcuno si ferma a guardare, scuote il capo e se
ne va.
Un
gruppo di bambini, poco lontano, mi addita, ridacchia. Poi qualcuno raccoglie
del fango ne fa delle palline e me le tira addosso.
“Screanzati!”
urlo, provo a muovermi verso di loro per rimproverarli, ma il mercante mi si
para davanti e mi infligge una scarica elettrica.
Sono
stordita per qualche istante, poi riacquisto lucidità.
C’è
un uomo davanti a me, fa una smorfia e dice al mercante: “Davvero pensi di
vendere come schiava una balena come questa?” ridacchia “Faresti meglio a
venderla al mercato bestiame. La carne umana è ben pagata al chilo e con questa
puoi farci una fortuna.”
Continua
a sghignazzare e se ne va.
Mi
guardo la pancia: sono messa davvero così male? Beh non riesco a vederla perché
le tette la coprono.
Arriva
un trio di Twi’lek femmine,
strette in abitini succinti, a malapena inguinali. Ovviamente tutti si voltano
per guardarle.
Passano
pigramente in rassegna gli schiavi. Quando arrivano a me si fermano. Una inizia
a punzecchiarmi in più punti con l’indice come se volesse testare la mia
consistenza, un'altra mi afferra la carne con due dita, la tira come a pizzicarla,
la mostra alle amiche e dice: “Guardate che rotoli di lardo ha questa.”
“Uno
schifo!” rabbrividisce la terza.
“Compriamola.”
propone quella dalla pelle verde.
“Vuoi
un orrore del genere in casa?” chiede la Twi’lek blu “Sarebbe imbarazzante.”
“Ma
no” le spiega la verde “La teniamo giusto il tempo di insegnarle qual è il suo
posto e poi ce ne disfiamo. Guarda, potremmo arrostirla e fare una festa con
tutto il villaggio.”
“Hai
ragione” approva quella arancione “Queste merde devono capire quanto fanno schifo
e che devono servire chi è migliore. Quando ci saremo stufate, oltre a
mangiarcela, potremmo scuoiarla e farci qualche bel completino.” mi strizza i
seni “Ecco, anche con questi potrei farmi un bel paio di scarpette.”
La
blu mi tamburella sulla pancia e commenta: “Qui c’e n’è abbastanza per un
reggiseno.”
La
verde mi passa le mani sulle cosce e osserva: “I pantaloncini che ci ricaverò
da queste faranno impazzire gli uomini.”
Contrattano
sul prezzo, pagano. Il mercante mi toglie dalla fila e mi affida a loro.
La
Twi’lek verde prende la
catena che pende dall’anello che mi stringe il collo e mi ordina di mettermi a
quattro zampe, spiegando: “Le bestie non camminano.”
Questa
è pazza. Provo a dare uno strattone col collo per strapparle la catena di mano
e correre via.
Dimenticavo
che ho anche i piedi legati. Cado a terra. La faccia nella polvere, le sento
ridere. Una di loro mi cammina sopra: che male!
Sento
tirare la catena, mi metto a gattoni e le seguo.
Siamo
dentro la loro casa. Più che una casa è un palazzo, ci sono decine di stanze e
tante altre schiave di ogni razza ed età.
Come
prima cosa mi hanno portata in una specie di fucina, mi hanno spogliata e hanno
gettato i miei vestiti tra le fiamme. Mi hanno fatta rimanere in ginocchio e
appoggiare il busto su una panca, poi hanno iniziato ad arroventare un ferro.
Ho
capito che cos’avevano intenzione di fare. Ho cercato di alzarmi, ma una si è
seduta sulla mia schiena e mi ha tenuta schiacciata sulla panca.
Non
ho visto nulla, ma sapevo. Ho atteso per lunghi istanti e poi eccolo! Ecco il
dolore del ferro rovente: mi hanno marchiata a fuoco così che tutti sappiano a
chi appartengo.
Quella
verde mi ha spiegato le regole: “In quanto bestia, resterai nuda e a quattro
zampe, non potrai parlare se non sotto nostro ordine. Dovrai rivolgerti a noi
chiamandoci dee, padrone, sublimi. Tu, invece, non hai un nome. Quando ti
chiameremo, useremo il primo appellativo che ci verrà in mente, ad esempio
immondizia, botolo di lardo. Capito?”
Mi
sono messa a ridere e le ho risposto: “Scordatevelo. Potete aver pure speso dei
soldi, ma non sarò mai la vostra schiava.”
Ho
provato ad attingere al potere di Kalki per creare un
diversivo e fuggire ma non ci sono riuscita. Ancora non capisco: è la prima
volta che Sri Kalki non mi aiuta. Che cosa è
successo?
Mi
hanno gettata a terra. Una si è seduta sulla mia pancia, un’altra sulle gambe
per tenermi ferma. La verde ha schiacciato il suo piede sulla mia gola, prima
più volte facendomi gran male, poi la premuto con forza fino a farmi mancare il
respiro.
Mi
ha guardata e mi ha chiesto: “Allora, che cosa sei?”
Ho
ignorato il dolore o almeno ci ho provato e ho risposto fieramente: “Sono Devagiri, sacerdotessa di Kalki.”
Mi
ha dato un calcio sulla mandibola, ho sentito il sangue in bocca. Ha sfregato
le suole delle sue scarpe sulla mia faccia, come fossi uno zerbino e poi ha
ripetuto la domanda.
Avrei
voluto non rispondere. Ho visto che stava per sferrare un altro calcio e ho
esclamato: “Immondizia, sono immondizia.”
Mi
ha sputato in faccia, prima di far cenno alle altre due di alzarsi.
Adesso
loro sono a tavola, hanno finito di mangiare. Hanno messo gli avanzi in un
piatto e me lo hanno messo davanti. Devo mangiarlo senza usare le mani,
ovviamente. Preferirei stare a digiuno, ma ho troppa fame.
Mi
osservano e ridacchiano. In più parlottano tra di loro, le sento.
“Guarda
la cagna come mangia bene i nostri scarti.”
“Hai
visto quant’è grossa? Quella mangerebbe qualsiasi cosa, pure i nostri
escrementi.”
“Potrebbe
essere divertente.”
“No,
no. Poi noi mangeremo lei e deve essere nutrita bene.”
“Giusto.
Secondo te quante salsicce e bistecche ci vengono con questa scrofa?”
“Non
so. In ogni caso, troppe.”
Basta.
“Zitte!”
grido furiosa “Chi credete di essere? Io non ho niente da invidiarvi.”
Non
dicono nulla, ma il loro sguardo è raggelante.
La
blu e l’arancione si avventano su di me e mi tengono bloccata sdraiata con la
schiena a terra.
La
verde incombe su di me, tanto per cambiare; si limita a dire: “Passerai tutta
sera con una delle cose che devi invidiarci e userai la tua lingua insolente
per uno scopo migliore.”
Si
toglie il vestito e pure le mutande, si china offrendo il suo sedere al mio
volto.
Bello,
tondo, sodo … ora capisco perché gli uomini lo adorino così tanto.
Le
sue natiche schiacciano la mia faccia, si strusciano un poco. Respiro a fatica
sotto quel capolavoro.
“Lecca.”
sento ordinarmi “Leccalo e bacialo, fammi sentire quanto ti piace.”
Se
non obbedisco, non so che altro si inventeranno per umiliarmi. Apro la bocca e
inizio a passare la lingua su quella pelle liscia.
Siamo
in fila, tutte noi schiave, al cospetto delle nostre padrone. Ci hanno
convocate, non so perché.
Siamo
tutte in ginocchio, in silenzio, mentre loro stanno sedute su un divano e ci
osservano, bisbigliando tra loro, non riesco a sentire cosa dicono.
Siamo
qui già da diversi minuti e ancora non succede nulla. Perché non si decidono a
parlare?
Ci
dicano quel che vogliono e basta!
Ecco,
la Twi’lek arancione si è
alzata in piedi, fa qualche passetto per raggiungere il centro della stanza.
Raggiante, annuncia: “Domani è un giorno di festa per noi e abbiamo deciso di
celebrarlo con un buon pranzo. Una di voi sarà la portata principale.”
Ci
siamo, è la mia fine.
Avanza
ancora ma non viene verso di me. Si sposta verso una Togruta,
le afferra il mente, sogghigna e dice: “Tu, tu sarai il nostro pasto.”
“No!”
grido, scattando in piedi.
Tutti
mi fissano stupiti, tranne le Twi’lek,
il loro è uno sguardo di sdegno e ira. Non pronunciano una parola, però.
Mi
affretto: “Vi prego, non mangiate né lei, né alcun altro. Questo cannibalismo è
atroce, ponetevi fine, vi supplico.”
“Voi
siete animali, non c’è cannibalismo.” dice la verde, impassibile.
Che
fare? Non posso permettere che lo facciano.
Mi
avvicino al divano, mi getto in ginocchio, mi prostro con i palmi e pure la
fronte che toccano il pavimento.
“Vi
prego, dee, siate clementi e non cibatevi di noi. Sì, siamo in vostro potere e
potete disporre di noi come più vi aggrada, mostrate dunque un poco di
misericordia. Se può servire a preservare in vita le mie compagne, vi giuro che
non oserò mai più disobbedire o protestare. Farò qualunque cosa mi ordiniate,
sarò il vostro poggiapiedi, tappeto, perfino latrina, se necessario per evitare
che una di loro sia cucinata. E se proprio volete carne di schiava per la
vostra festa, prendete me.”
“Hai
detto tante cose interessanti.” dice la capa delle
tre “Voglio sentirne ancora. Dicci un po’ perché meriti di essere la nostra
schiava.”
Sento
il peso dei suoi piedi appoggiarsi sulla mia testa e schiacciarla
ulteriormente.
Mi
faccio forza e rispondo: “Voi … voi siete stupende e io sono mediocre,
confrontata a voi. Sono sempre stata ingiusta verso le Twi’lek, le invidiavo per la bellezza e l’eleganza e le ho
incolpate per le scelte fatte da altri. La mia invidia mi ha portata a
disprezzarle, non sopportavo che avessero più successo di me. Sono cresciuta
credendo che rispetto e ammirazione mi fossero dovuti per diritto di nascita
per la mia appartenenza a una famiglia di sacer maxime; anche se mi sono impegnata negli studi, ho sempre
snobbato gli altri e non ho fatto nulla per guadagnarmi davvero la loro stima o
il loro affetto. Pretendevo che mi fossero dovuti, senza fare nulla per
meritarmeli e con loro sono stata saccente e un po’ sdegnosa. Vedevo gli uomini
affascinati dalle Twi’lek e
davo la colpa alla stupidità degli uni e alla bellezza delle altre, senza mai
mettere in discussione me. Incolpavo il mio corpo anziché il carattere. Avevo
torto, io non sono migliore di altri; fuori da Chalacta,
la mia famiglia non ha importanza … e anche sul mio pianeta devo smettere di
farmi vanto di ciò e capire che, se voglio essere speciale, devo guadagnarmelo con
impegno, fatica e maggiore disponibilità verso il prossimo. L’ho capito troppo
tardi purtroppo, non posso più tornare indietro. Essere vostra schiava è quel
che mi merito per la mia cecità verso i miei errori e limiti e per aver odiato
ingiustamente la vostra razza.”
Taccio.
Non so che altro aggiungere: ho appena detto tutto ciò che non volevo ammettere
con me stessa.
Non
sento più la pressione dei piedi sulla mia nuca. Nessuno parla, anche i rumori
in sottofondo sono spariti.
Provo
ad azzardare a tirare appena su la testa e aprire gli occhi per vedere
l’effetto sortito dalle mie parole.
Buio.
Solo
tenebra tutt’attorno. Le Twi’lek,
le schiave, la stanza: sparite.
Non
c’è … IL TEMPIO!
Ma
certo, il tempio! Sono entrata in un tempio Jedi e …
e … e …?
Che
cos’è accaduto dopo? Non ricordo. Ho iniziato a scendere le scale e poi il
nulla. Allora come ho fatto a finire …?
Ora
capisco! Un’illusione. Un’illusione, certo, ecco quello che dev’essere
stato.
La
Forza deve avermi messa alla prova.
Accidenti,
però, che prova! Sembrava tutto vero, ero assolutamente convinta che tutto ciò
fosse reale e stesse accadendo.
Non è difficile
superare una prova, quando si sa di stare affrontandone una.
La
stessa voce che mi ha condotta fino all’ingresso.
Attorno
a me inizia ad esserci una luce fioca e calda, vedo un pavimento in pietra e
qualche colonna, sorretta dalla statua di un grosso felino con lunghe zanne tra
le fauci spalancate e alte corna.
Essere
consapevoli di trovarsi in un’illusione e di dover superare un ostacolo, rende
tutto più semplice, non trovi?
“In
effetti sì.”
Cerco
attorno, con lo sguardo, chi sta parlando.
La Forza ti ha
fatto vivere un’esperienza tremenda, ma solo così hai potuto abbattere il tuo
grande nemico.
Il
mio grande nemico?
“L’orgoglio?”
Esatto. Orgoglio
e invidia. Non è certo bastato questo a liberarti da questi difetti, ma almeno
li hai riconosciuti, hai ammesso le tue debolezze e hai dimostrato di poter
essere umile e di anteporre il bene di un altro alla tua superbia.
“Perché?
Perché questa prova?”
Gli Jedi sono messi alla prova continuamente, in ogni istante
devono scegliere tra il proprio ego e la Forza. L’abnegazione di alcuni di loro
rende la scelta naturale e invisibile, altri invece devono fare uno sforzo e
ricordare che i desideri personali vengono dopo il bene comune.
Un tempo
crescevamo i bambini fin dai primi mesi di vita per insegnare loro questa
morale e ad essere liberi da ogni attaccamento.
Tu sei già
grande, molti cavalieri Jedi avevano già terminato
l’apprendistato alla tua età. Benché tu non la chiami Forza, sai già usarla, in
minima parte, ma ciò che c’è davvero da imparare non è usare un potere, bensì
dominare sé stessi.
Tu dovrai
spogliarti di orgoglio, superbia e invidia per diventare una Jedi. La prova che hai affrontato era per verificare se nel
tuo animo ci fosse la possibilità di intraprendere questo percorso di
liberazione.
Certi mali si
radicano bene negli animi e da adulti è più difficile correggere i propri
difetti, per questo la prova è stata così dura ed umiliante. Ha esagerato per
estirpare fin nel profondo le tue debolezze.
Ora che le
conosci, fa del tuo meglio per eliminarle e diventare più forte.
“Vuol
dire che potrei diventare una Jedi? Ma io non l’ho
chiesto.”
Nessuno ti
obbliga a diventarlo. Oggi, qui, ti si è offerta un’opportunità e ti si è
mostrata una strada. La decisione è tua.
Quando nulla del
mondo esterno potrà influenzare il tuo giudizio di giusto e sbagliato, bene e
male, allora sarai una Jedi.
“Ma
non posso farcela da sola.”
Non hai incontrato
Jacen per caso: la Forza vi ha fatti incontrare.
Non è un
Maestro, ma saprà consigliarti e guidarti, se gli chiederai aiuto.
Anch’io sarò
pronto a darti suggerimenti e rivelarti qualcosa, se sarai in grado di
contattarmi con la Forza.
“Non
lo stiamo già facendo, adesso?”
No. È il tempio
che ti ha permesso di comunicare con me. Accrescendo il tuo equilibrio nella
Forza, potrai trovare il modo di parlarmi ovunque tu sia.
Adesso va.
“Un’ultima
cosa, soltanto. Chi sei? Qual è il tuo nome?”
Un tempo ero chiamato
Mace Windu.
Più
nulla. Solo altro silenzio.
D’improvviso
la stanza si fa più luminosa: è la luce che scende attraverso il vano della
scalinata.
È
ora di uscire. Risalgo le scale e trovo il giovane seduto a gambe incrociate e
occhi chiusi. Starà meditando?
Solleva
le palpebre, mi scruta, le sue labbra rimangono dure e serie.
“Sei
riuscita, allora. Buon per te. Seguimi.”
“Non
vuoi sapere che cosa mi è successo?”
“No.
Sono questioni personali e riguardano solo te.”
“Ah.
Perché vuoi che ti segua? Dove andiamo?”
“La
meta la scoprirai quando arriveremo. Mi devi seguire perché voglio tenerti
d’occhio ed evitare che ti prenda il lato Oscuro.”
“Lato
Oscuro?”
Era
praticato dai Sith.
“Esatto.
Di rado, noto anche come disequilibrio.”
“Ma
luce e oscurità non dovrebbero coesistere per avere un equilibrio tra di loro?”
Sono
un po’ confusa, ho letto molto al riguardo: decine e decine di teorie
discordanti.
“No.
La luce è equilibrio, l’Oscurità è follia, disordine, incapacità di
controllarsi, essere vittima delle proprie passioni, schiavitù. L’Oscurità è la
condizione della maggior parte degli esseri senzienti, chi più chi meno. Chi è
sensibile alla Forza ha accesso a un grande potere e deve esserne responsabile,
altrimenti finirà con il danneggiare sé stesso e gli altri in modi
catastrofici. Non ho intenzione di lasciare al Lato Oscuro altri sensibili alla
Forza, anche a costo di ucciderli. Pensa bene a quello che fai, dunque.”
“Mi
stai dicendo che sono obbligata a seguirti affinché tu possa controllarmi ed
eventualmente ammazzarmi?”
È
pazzo oppure serio? Certo la sua franchezza è disarmante.
“Vuoi
fare il riassunto di ogni cosa che dico? Comunque, farò del mio meglio per
tenerti nella luce.”
“Grazie.”
gli sorrido “Anche la voce nel tempio mi ha consigliato di rivolgermi a te.”
“Voce
… È già la seconda volta che ne parli. Hai capito di chi o cosa sia?”
“Ha
detto di essere stato Mace Windu.
Per quanto ne so, era il capo del Consiglio degli Jedi
quando la Repubblica è caduta e l’Imperatore l’ha incolpato di aver orchestrato
il complotto contro la democrazia, facendo pure pubblicare dei falsi diari per
avvalorare le accuse.”
Jacen non dà valore a
questo mio sfoggio di conoscenza di storia. Si volta e si incammina verso la
sua navetta.
“Il
Maestro Windu … Tu sei di Chalacta,
vero?”
“Sì.”
“…
e hai incontrato me. La Forza fa proprio le cose per bene, quando s’impegna.”
“Che
vuol dire?”
“Lo
capirai. Su, muoviti, voglio partire.”
Mi
affretto verso la navetta e salgo a bordo.