Adrien
osservò, confuso,
Marinette accasciarsi accanto a lui. Le sue spalle si abbassarono, i
suoi occhi
(erano sempre stati così blu?) si riempirono di lacrime,
“D-due giorni?” balbettò
debolmente, evitando il suo sguardo, “ma… come-
come faremo?”
Lui
mantenne il controllo sui
suoi nervi, estraendo il telefono dalla tasca. “Resisti, vedrò con
Natalie se si può far
qualcosa.” Digitando rapidamente un messaggio
in cui spiegava la
situazione, tornò a fissare la sua amica sconvolta,
singhiozzando sconfortato,
“Senti Mari, so che queste condizioni non sono proprio il
massimo, e
probabilmente non vorresti passare due giornate intere con me, ma se si
renderà
necessario, sono certo che potremo organizzarci in modo che io ti
disturbi il
meno possibile.”
Inorridita,
Marinette improvvisamente
sussultò, “Whoa, whoa! P-perché
questo? Perché- perché pensi di disturbarmi? Mi
piace passare del tempo
con te!” ribatté così velocemente che
Adrien impiegò qualche secondo a capire
cos’avesse detto.
Sorpreso
da quell’affermazione, la
fissò, “Davvero? Sembra che questa storia delle
manette ti sconvolga tantissimo,
ma io ho apprezzato il pomeriggio con te, quindi non è così male.”
Marinette
finalmente trovò il
coraggio di incontrare il suo sguardo, e sorrise con calore,
“No, hai ragione. Mi
dispiace. I-Io tendo a fissarmi
troppo su tutto, e potrei avere un leggero problema
d’ansia.”
Il
telefono di Adrien suonò in quel
preciso momento, e i suoi occhi si spalancarono nel leggere il nome del
contatto, “Ah… È mio padre,
devo rispondere.”
Non
appena spinse il pulsante
verde sullo schermo, Marinette poté sentire la voce dura di
Gabriel Agreste uscire
dagli altoparlanti, “Avresti dovuto essere a casa a
quest’ora, dove sei, Adrien?
E cos’è questa storia insensata
dell’essere ammanettato a una ragazza?”
Il
giovane guardò la sua amica un
po’ preoccupato, ma lei gli stava ancora sorridendo, senza
offendersi per le
parole aspre di suo padre. Mimò “Mi
spiace” con le labbra, poi si schiarì la
gola, “È come ho scritto a Natalie, padre. Abbiamo
avuto una disavventura con
una reliquia, e ora dovremo restare legati insieme finché un
fabbro
specializzato verrà a liberarci, martedì
mattina.”
Sentirono
l’Agreste maggiore
sbuffare, prima di rispondere in tono asciutto, “Davvero
fastidioso. Ovviamente
dovrai saltare scherma, ma non possiamo rimandare il servizio
fotografico di
domani. Dovremo lavorare per aggirare questo… piccolo
problema. Natalie vedrà
se può trovare qualcuno che si occupi prima del lavoro. Cosa pensavi di fare nel
frattempo?”
Adrien
guardò Marinette in attesa,
e lei sospirò, sconfitta, “Immagino che dovremo
dormire a casa l’uno dell’altro.
Puoi venire da me stasera? Dovrò spiegare questo pasticcio
ai miei, e potremmo
andare da te domani.”
“Sembra ragionevole,
miss—?”
“Marinette,”
s’intromise Adrien,
“ha vinto alcuni dei tuoi concorsi.”
“Ah,
sì. Bene, allora, Natalie
ti terrà aggiornato in caso dovesse trovare qualcuno che
possa risolvere questa…
situazione prima di quegli incompetenti del museo. Spero che tu sappia
che non
sono affatto soddisfatto, Adrien.”
L’espressione
del giovane si
rabbuiò, prima che rispondesse, “Me
l’aspettavo, padre. Mi
dispiace per l’inconveniente.”
La
chiamata fu conclusa, e
Marinette fissò il suo amico a bocca spalancata.
“Wow. Non è stato uno scherzo.”
Adrien
alzò le spalle, sorridendo
rassegnato. “Non farci caso. Può essere freddo a
volte.”
La
ragazza annuì, cercando di
reprimere il senso di sbagliato che
le aveva attorcigliato lo stomaco. Adrien doveva affrontare qualcosa
del genere
ogni giorno? C’era qualcuno che gli dimostrasse mai affetto?
I
suoi pensieri spiacevoli furono
interrotti da Nadja, venuta a riprendersi la figlia e a scusarsi con la
coppia
bloccata a nome della figlia. Dopo averla rassicurata più
volte che non era
successo niente di grave, e che nessuno dei due se l’era
presa, Adrien e
Marinette decisero di iniziare l’imbarazzante viaggio alla
volta del forno
Dupain-Cheng.
Purtroppo
per i nervi di
Marinette che erano già in difficoltà, si
accorsero presto che il modo meno
problematico di camminare a fianco era tenersi per mano. Mentre
camminavano, lei
tentò di costringersi a concentrarsi sulle parole di lui, e
non sulla piacevole
sensazione della sua mano calda fermamente stretta alla sua.
Quante
volte aveva sognato quell’esatto
momento?
Certo,
nei suoi sogni le
stringeva la mano di sua volontà e non perché
rendeva la loro situazione più
semplice, ma ci si avvicinava abbastanza.
Adrien
chiacchierava allegramente
di tutto e niente e lei ascoltava gentilmente, annuendo e mormorando le
sue
risposte, finché non sentì una specifica frase.
Emozionato,
il biondo le aveva
sorriso, “Allora, questa è la prima volta che
passo la notte da un amico. C’è
qualcosa che dovrei sapere prima?”
Marinette
si bloccò, strattonando
le loro mani unite, “Cosa intendi? Non hai mai partecipato a
un pigiama party?”
Lui
scosse la testa imbarazzato.
“Io… non ho mai avuto molti amici, così
tutto ciò che so sui pigiama party è
quello che si vede nei film. E insomma, non ho niente contro il farti
le trecce
e metterti lo smalto, ma potrebbe non venire tanto bene.”
La
stessa sensazione spiacevole
che aveva avuto sentendo il tono freddo e impersonale che il padre di
Adrien aveva
usato per rivolgersi al suo stesso figlio riemerse, e lei lo
fissò incredula. “Questo…
questo è inaccettabile. Dobbiamo rimediare
immediatamente!”
Adrien
rise alla sua espressione
sconvolta, e si incamminò verso casa sua, “Bene
allora, insegnami, senpai.”
In
quel momento, la strana coppia
raggiunse la porta del forno, e Marinette si fermò sulla
soglia, prendendo un
bel respiro. “Allora, il punto è, ragazze e
ragazzi non dormono insieme
normalmente, si considera sconveniente. Mio padre potrebbe non esserne
proprio
entusiasta, ma non preoccuparti troppo, è praticamente un
grande orsacchiotto.”
Lui
annuì, guardandola un po’
preoccupato. Marinette si preparò mentalmente e
spalancò la porta, trascinandolo
con sé. Non appena furono oltre la porta, sua madre
esclamò contenta,
“Marinette! Adrien!
Che bella
sorpresa! Resti per cena, caro? Un adolescente come te
deve mangiare
molto per via della crescita, sarei felicissima se assaggiassi
cos’abbiamo
stasera. Sei venuto per giocare ai videog— Quelle sono
manette?”
Marinette
congelò, alzando
entrambe le loro mani con un sorriso imbarazzato,
“Um… Manon ha tipo giocato
con dei preziosi manufatti al museo? E non possono tagliarle per
liberarci?”
Sorprendendo
entrambi, Sabine scoppiò
a ridere. “Oh dio, Marinette, questo genere di cose succede
solo a te,” riuscì
a dire tra le risa, “Tom, vieni a vedere in che pasticcio si
è messa stavolta
la nostra amata figlia.”
L’imponente
uomo entrò in cucina,
un largo ghigno si fece spazio sul suo volto notando il loro piccolo
problema.
“Sai, figliolo, se nostra figlia ti piace così
tanto, potevi semplicemente
chiedere. Non c’era bisogno di metterla sotto
chiave.”
“PAPÀ!”
strillò Marinette, rossa
come un camion dei pompieri.
Adrien
si sentì bruciare, quindi
si potrebbe pensare che i loro coloriti combaciassero. Raggiunse la sua
mano e
la strinse per conforto, un gesto che non sfuggì
all’occhio dei suoi genitori.
Fortunatamente per loro, avevano finito di stuzzicarli, e Sabine li
mandò di
sopra a controllare la preparazione della cena.
Una volta che furono ben
nascosti dietro la porta
dell’appartamento, Marinette poggiò la fronte sul
muro, con le spalle che
tremavano violentemente. Preoccupato, Adrien provò a
chiedere, “Hey, tutto bene?”
Quello
fu più di quel che la
ragazza potesse sopportare. Scoppiò, ridendo così
tanto che dovette sorreggersi
con la mano libera. “Questo… questo…
è… ridicolo…”
riuscì a dire tra una risata
e l’altra.
Adrien
la fissò meravigliato per
un secondo, prima di unirsi. Aveva ragione: l’intera
situazione era
semplicemente ridicola, ben lontana dal dramma che ne aveva fatto suo
padre, lontana
dalla causa di stress che inizialmente avevano pensato sarebbe stata.
La
reazione leggera dei genitori di Mari era stata una ventata
d’aria fresca e
aveva messo in luce un altro punto di vista.
Dopotutto,
pensò tra sé, se
poteva affrontare le akuma ogni giorno, poteva riuscire a passare due
giorni
con una compagna di classe cari— da dove era venuto quello?
Marinette
lo distrasse dai suoi
pensieri, mostrandogli come capire se il riso era ben cotto, e
spiegandogli
come funzionasse la cottura lenta, “Mia madre la
ama,” disse, “perché le
permette di preparare la cena e continuare ad aiutare papà
al piano di sotto.”
Tom
e Sabine li raggiunsero poco
dopo, e si sedettero tutto con gioia a tavola. Durante la cena
conversarono
piacevolmente, Adrien e Tom si scambiarono allegramente freddure mentre
un’irritata Marinette giocava con il suo cibo. Dopo un
po’, il biondo notò che
aveva a stento toccato il suo piatto e chiese, preoccupato,
“Va tutto bene,
Mari?”
Stupita,
gli occhi di lei si
spalancarono, “Oh! Um, sì,
perché?”
“Non
hai quasi toccata cibo,” le
fece notare Adrien, alzando un sopracciglio curioso.
Marinette
farfugliò, arrossendo,
“Io—um, non posso usare le bacchette.”
Trattenendo
una risata, Tom disse,
“Cosa intendi, tesoro? Mangi con le bacchette da quando
indossavi il pannolino.
Qual è il problema?”
Il
rossore di Marinette si
intensificò e, per un secondo, Adrien si dispiacque per
l’amica. Lei alzò la
mano destra, portandosi dietro la sua, “Sì, con la
mia mano buona. Non sono proprio
ambidestra, e
queste stupide bacchette rifiutano di collaborare.”
Il
suo broncio era adorabile,
sinceramente, e Adrien le sorrise, “Vuoi che ti aiuti? Sono
stato fortunato, ho
ancora la mia mano dominante libera.”
Marinette
assunse una sfumatura
di rosso di cui lui ignorava l’esistenza. Emise un verso
acuto, nascondendosi
la faccia con il braccio libero. In quel momento suo padre decise
d’essere
compassionevole, e le passò una forchetta, continuando a
tentare (fallendo) di
reprimere le risate.
Nessun
altro incidente
imbarazzante avvenne durante il pasto, nonostante
l’inarrestabile tremito delle
spalle di Tom indicasse che era ancora divertito dalla situazione dei
due
adolescenti.
Quando
Marinette ebbe finalmente
mangiato come si deve e Adrien fu sazio, la ragazza lo
guardò sorniona, “Novellino
dei party, modello ridicolmente a dieta. Immagino tu non abbia mai preparato
popcorn?”
Stavolta
fu il turno di Adrien d’arrossire,
ammettendo con qualche riserva, “Tranne qualcosa comprato al
cinema, no, non ho
mai preso dei popcorn.”
Lui
non poteva saperlo, ma
Marinette era impegnata a farsi un serio discorso
motivazionale. Se doveva spendere i successivi due giorni
così vicina alla sua
cotta storica, ne avrebbe tratto il massimo, o non era Ladybug!
“Su,
Marinette,” si rimproverò internamente,
“sei una supereroina. Puoi
farcela. Immagina di star parlando con Chat Noir! Riesci a parlare con lui senza
problemi!”
Prendendo
dei semi di granturco
dalla dispensa insieme all’olio, Marinette riuscì
in qualche modo a controllare
la sua ansia e affermò sembrando più sicura di
quel che era, “Okay, il primo
passo è scaldare l’olio in un wok.”
Lui
impallidì, fissandola con
stupore, “Sul serio li facciamo dall’inizio
quindi?”
Marinette
sorrise, dandogli una debole
gomitata, “Be’, sì? Che ti
aspettavi?”
“No,
va bene. Mi piace l’idea,” rispose
lui, ponendo con attenzione la padella sul fornello. “Adesso?”
Lei
gettò del mais nella padella,
sorridendo, “Ora aspettiamo che scoppino.”
Precipitarono
in un silenzio
confortevole, controllando entrambi la cottura, Adrien cercando
distrattamente
la sua mano legata. La strinse inconsciamente, senza che nessuno di
loro
sentisse il bisogno di sottolinearlo, nonostante
l’inaspettata stranezza del
gesto, c’era qualcosa di confortante in tutto ciò.
Pochi
secondi dopo, il mais
iniziò a scoppiare, spingendo un giovane fin troppo
impaziente a esclamare in
modo poco elegante, “Scoppiano! Mari!
Scoppiano! Adesso?”
Lei
sorrise, aggiungendo altro
mais nella padella e rimuovendola dal fuoco. “Adesso,
aspettiamo circa trenta
secondi così che il calore si distribuisca equamente. Poi la
rimettiamo sul
fornello, e ci godiamo i fuochi d’artificio.”
Aspettare
quei trenta secondi
sarebbe potuta essere la cosa più difficile da fare nella
vita di Adrien. Perché,
in quei lunghi trenta secondi, non aveva niente di meglio da fare che
fissare la
sua amica.
Sinceramente,
aveva sempre avuto
degli occhi blu così stupendi? Le sue labbra erano sempre
state così rosate e
soffici? Era sempre
stata così
bella e imperturbabile? Così desiderabile?
Una
serie di rumorosi “pop!”, seguita
dalla sua esclamazione più carina di sempre lo spinse via da
quei pensieri poco
casti. Marinette versò i popcorn in un’ampia
ciotola, sorridendogli timidamente,
“Eccoci qui! I tuoi primi popcorn fatti in casa!”
Lui
le sorrise distrattamente, lo
stesso sorriso che riservava ai fotografi, uno che era un riflesso, non
uno
spontaneo. Stava ancora cercando di metabolizzare il suo sorriso, il
modo in
cui riusciva inaspettatamente a trasformare in gelatina le sue
interiora mentre
versava molto più burro e sale nel loro snack di quanto il
suo dietologo
avrebbe trovato ragionevole.
Il
viaggio fino alla sua stanza
fu sorprendentemente facile, vista la situazione. Riuscirono a salire
le scale e
attraversare la porta senza distruggere niente né far cadere
preziosi popcorn.
Sedettero
fianco a fianco e
Adrien pose con attenzione la ciotola di popcorn miracolosamente illesa
sul
pavimento. “Okay, e ora? Siamo alla parte in cui ti faccio le
trecce?” chiese
Adrien, ridendo.
Marinette
sospirò, guardandolo
sconsolata, “Normalmente ci metteremmo in pigiama, e
sì, quando lo faccio con
Alya lei spesso gioca con i miei capelli mentre guardiamo un film
ma—”
“Bene!
Facciamolo!”
Il
suo entusiasmo era dolce,
Marinette doveva ammetterlo, ma c’era ancora un piccolo
problema.
“Okay. Come?”
disse, indicando le loro
mani bloccate.
“Oh. Um. Giusto.”
Marinette
si sfregò le tempie con
la mano libera, singhiozzando assorta, “No, aspetta,
dev’esserci una soluzione.
Posso scucire la manica del tuo braccio bloccato, e cucirti qualcosa di
pulito
domani mattina. Ho qualche lavoro in corso che ti starebbe bene, e
rifare la cucitura
sulla tua maglietta sarebbe questione di minuti. Sì, potrebbe funzionare.”
Adrien
osservò, meravigliato, i pezzi
trovare il loro posto nella testa della sua amica in un modo
stranamente
familiare, e ascoltò, divertito, il continuo del suo
ragionamento, “In realtà, anche
meglio, potrei cucirci dei bottoni, così potresti indossarli
e toglierli senza
problemi, e—”
“E
per te?” chiese lui,
sinceramente curioso.
Lei
tornò a concentrarsi su di
lui, e arrossì, “Ho dei top che andranno bene, ma
scucire la manica sulla mia
stessa maglietta con la mano sbagliata richiederà
più tempo. Lo farò mentre
guardiamo il film, non è un problema.”
“Mostrami
come fare, ci penso io.”
Dopo
un consenso soffocato e un
discorso mentale di preparazione, Marinette si trovò in
ginocchio davanti ad
Adrien, ripetendo come un mantra nella sua testa, “Va
bene. Immagina
che sia Chat Noir. Non hai problemi a toccare Chat Noir, giusto? Questo
non è
diverso.”
Con
l’aiuto paziente di Adrien, la
manica della sua familiare giacchetta bianca venne via in pochi minuti,
e la
sua maglietta nera fece rapidamente la stessa fine. L’unica
cosa che impedì a
Marinette di esplodere alla vista del modello biondo con indosso solo jeans e
calzini nella
sua stanza fu concentrarsi sul dargli istruzioni mentre lui a sua volta
le
scuciva la giacca, in modo eccellente per essere la sua prima volta
nonostante
fosse più lento di lei.
Quando passò alla sua maglietta con un sorriso di scusa, lei incrociò le braccia davanti a sé, reggendo la stoffa che le copriva il petto. Entrambi erano rossi come pomodori a quel punto, l’imbarazzo della loro situazione ben lontano dal passare. Alla fine, l’ultima cucitura si arrese all’attacco deciso di Adrien, e lui si ritrasse quel tanto che gli era permesso dalle manette.
“Okay,
hai qualcosa per coprirmi
gli occhi? Mentre ti
cambi? Io…
non sbircerei, ma vorrei sopravvivere in caso uno dei tuoi genitori
salisse
adesso.”
“...giusto.” Immagina
sia
Chat. È solo il tuo sciocco micino,
nient’altro! “Um,
c’è una sciarpa
sulla mia scrivania, potresti prenderla visto
che…” si interruppe, incerta su
cosa fosse più ridicolo: essere agitata alla vista di pelle
che aveva già visto decine
di volte nelle riviste, o stringersi alla sua maglietta come se fosse
una sorta
di scudo tra lei e il suo meraviglioso, bellissimo, gentile
ami—
Okay,
sfida per la nottata: tenere
a bada i suoi pensieri.
Adrien
la distrasse dalla svolta
pericolosa che aveva preso tossendo a disagio, “Okay, occhi
chiusi e coperti, puoi
cambiarti tranquillamente, Mari.”
Con
la faccia ancora a fuoco per
l’imbarazzo, Marinette lo fece più rapidamente che
poté considerando la mano
estranea che seguiva ognuna delle sue azioni. Stando ben attenta a
tenere
quella mano lontana da parti inappropriate del suo corpo,
riuscì a indossare
dei pantaloncini da yoga e un top rosa acceso… il che le
pose un nuovo problema.
Spingendo
la stoffa contro il suo
petto, la ragazza sospirò affranta al terzo tentativo
fallito di annodarlo
dietro al suo collo. Avvertendo il cambiamento nell’umore
dell’amica, Adrien si
fece sentire, “Va tutto bene?”
Lei
gemette, lasciando gli
estremi del suo top liberi sulla schiena, “Sì,
solo che non riesco ad
allacciarlo con la tua mano che fa da peso morto, non riesco a vedere
cosa sto
facendo.”
Adrien
ridacchiò, incapace di
trattenersi. Eccola qui, la schietta e sfacciata Marinette che aveva
visto
spesso da lontano senza mai incontrarla di persona. Ultimamente,
l’aveva vista
aprirsi un po’ intorno a lui, la sua timidezza arretrava
sempre più man mano
che uscivano con Alya e Nino. Più lei si sentiva a suo agio
con lui, più lui
scopriva la Marinette che tutti conoscevano e amavano… e
più inspiegabilmente
lei iniziava a colpirlo in un modo stranamente familiare.
Allontanando
questi pensieri, si
offerse, “Posso guardare? Magari io e il peso morto potremmo
aiutarti?”
“Tramortisciti,”
brontolò lei, e
stavolta Adrien rise. La stessa risata genuina che l’aveva
colta di sorpresa
due anni prima, e allo stesso tempo una risata che le ricordava
qualcosa che
non riusciva ad afferrare. Ignorò il piacevole solletico che
avvertì alla base
della nuca mentre lui effettivamente le annodava il top, tornando
completamente
rossa.
Poi
fu il suo turno d’essere
bendata, dopo aver passato all’amico un paio di pantaloncini
da ginnastica rosa
acceso troppo grandi per lei, insieme a una maglietta che prima
modificò
rapidamente. Guadagnò così qualche minuto per
ricomporsi. Sta andando
bene. Continua a immaginare che sia solo Chat Noir. Non Adrien, da due
anni la
tua cotta senza speranze, solo il tuo compagno esperto di freddure.
“Okay,
scegli il tuo veleno,”
sorrise maliziosa Marinette quando entrambi furono vestiti
decentemente, passandogli
tre DVD. “Abbiamo La Bella
Addormentata, Mulan, o Rapunzel.”
Cogliendola
alla sprovvista,
Adrien afferrò subito l’ultimo, ghignando. “Hey! Amo questo! Le canzoni
sono grandiose e la storia è ottima!”
“Molto
bene, una bionda canterina
per Mr. Biondo,” rispose lei, prima di bloccarsi e arrossire.
Per un secondo,
aveva dimenticato quale dei biondi dagli occhi verdi della sua vita aveva accanto in
quel
momento.
Ignaro
della sua mortificazione
interiore, Adrien scoppiò a ridere di cuore, guardandola far
partire il film
con le lacrime agli occhi, “Carina questa, Mari, non me
l’aspettavo.” I titoli
d’apertura invasero lo schermo, e loro tornarono ai loro
posti. Marinette recuperò
la ciotola di popcorn e la pose in mezzo a loro, fissando con decisione
lo
schermo con un leggero sorriso sulle labbra.
In
quel momento lui notò qualcosa
di strano nella sua amica.
Adrien
non sapeva nulla sull’essere
una ragazza. Era stato, per tutti i suoi diciassette anni
d’esistenza, un
ragazzo in tutti i sensi della parola. Ma la sua educazione lo portava
a sapere
una cosa o due sulla moda, così disse timidamente,
“Um. Mari? Normalmente
dormi con i codini? Non
è scomodo?”
Lei
lo guardò come colta in
flagrante. “Io… normalmente no, ma con la mia mano
dominante bloccata e tutto
il resto, insomma, vorrei che anche tu sopravvivessi alla
serata.”
Lui
sorrise, sporgendo la sua
mano, “Permetti?”
Lei
lo fissò a bocca aperta, metabolizzando
le sue parole, “Aspetta, cosa?”
“Be’,
prima hai detto che dovrei
giocare con i tuoi capelli,” disse gentilmente, “e
non vorrei che tu sia a
disagio tutta la notte a causa mia.”
Riluttante,
Marinette afferrò la sua
spazzola e gliela passò prima di mostrargli le spalle quel
tanto che poteva.
Mentre
Rapunzel cantava della sua
vita impegnata in sottofondo, Adrien rimosse con premura il nastro dai
suoi
capelli, facendo attenzione alla sua mano legata, e spazzolò
gentilmente le
ciocche di capelli neri che ricaddero sulla sua schiena. Guardarono
entrambi l’azione
sullo schermo con mente assente, distratti da quel che stava accadendo
tra loro.
Dopo
un po’, Adrien posò la
spazzola, chiedendo dolcemente, “Perché non li
lasci mai sciolti? Sono belli.”
Arrossendo
di botto, Solo
Chat, Mari, immagina sia solo Chat. NON ADRIEN, di
nuovo, Marinette avvertì
il suo sguardo e mormorò, “Perché
altrimenti sono sempre in mezzo. Così è più
pratico.”
Parlando,
si sporse per
recuperare dei popcorn (sperando anche di alleviare un po’ la
tensione).
Comunque,
Adrien ebbe la stessa
idea precisamente nello stesso secondo.
Le loro teste si urtarono con forza e il contraccolpo li spedì entrambi a terra in un groviglio di arti intrecciati. Marinette si ritrovò stesa sulla schiena, Adrien sopra di lei, la sua mano destra a reggerle la testa, assorbendo l’impatto della caduta. Le loro mani unite giacevano vicine alla sua testa.
A
pensarci, lui avrebbe dovuto
setacciarsi il cervello nel tentativo di scusarsi, cercando di tirarsi
fuori da
quella posizione compromettente il prima possibile. Ma Adrien si
trovò invece a
fissare i suoi occhi blu, meravigliandosi della silenziosa bellezza
della sua
timida compagna di classe.
Senza
pensare, Adrien si leccò le
labbra, ancora perso senza speranze nello sguardo di Marinette,
elencandosi
mentalmente tutte le qualità dell’amica. Lei era
così gentile, fiera, creativa,
divertente, altruista, carina…
Si
sporse in avanti, i loro occhi
si chiusero.
Proprio
in quel momento Rapunzel
e I suoi teppisti decisero di iniziare a cantare a pieni polmoni
“I’ve Got a
Dream”, spaventandoli e interrompendo lo strano
incantesimo che li aveva
avvolti.
Adrien,
imbarazzato, si rimise in
piedi, facendo attenzione a non pesarle nel farlo, e
l’aiutò ad alzarsi. Cercando
disperatamente di scacciare il disagio precipitato su di loro,
approfittò della
canzone per prendere le mani della ragazza tra le sue e dimenarsi
ridicolmente
a ritmo.
“Dai,
Mari, balla con me!”
Marinette
si riscosse dai suoi
pensieri, osservando il sorriso giocoso ma al contempo incerto e timido
del
ragazzo. Rise,
unendosi a lui.
Alla
fine della canzone, i due
amici si lasciarono cadere sulla sedia, senza fiato ma ridendo. Si
trovarono d’accordo
sul fatto che, sfortunatamente, la posizione più comoda per
guardare il film
includeva abbracciarsi.
(No,
non era perché Marinette voleva
giacere tra le sue braccia. Né perché ad Adrian
piaceva la sensazione calda che
gli abitava piacevolmente il petto mentre lei lo faceva.)
Quando “I
See the
Light” partì, Adrien
abbassò lo sguardo sull’amica e sorrise nel
notare i suoi occhi mezzi chiusi e il suo lento, profondo respiro. Il
suo
battito l’aveva lentamente cullata nel sonno, e lui si
scoprì a pensare che in
quella posizione era adorabile.
Alla
fine del film, Marinette dormiva
profondamente contro il suo petto, con il braccio libero intorno alla
schiena
del ragazzo. La mano destra di Adrien riposava intorno alla sua vita,
la testa
contro la sua e le loro mani strette sul suo grembo.
A
loro insaputa, due kwami dormivano
sulla mensola di Marinette, rannicchiati a loro volta.