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Autore: 50shadesofLOTS_Always    02/08/2018    3 recensioni
Dal terzo film della saga: “Si comincia con qualcosa di puro, di eccitante. Poi arrivano gli errori, i compromessi. Noi creiamo i nostri demoni.”
I demoni - e non solo - incombono su Tony Stark, che ha appena dichiarato al mondo di essere Iron Man...
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[probabile OOC di Tony/dosi massicce di Pepperony con una spolverata di zucchero a velo/perché amo Ironman]
Genere: Azione, Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Tony Stark
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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OF STATEMENTS AND DIVES INTO THE SEA

“Fading in, fading out. On the edge of paradise…
Every inch of your skin is a holy gray I’ve got to find,
Only you can set my heart on fire, on fire.
I’ll let you set the pace, cause I’m not thinking straight.
My head spinning around, I can’t see clear no more.
What are you waiting for?”
- Love me like you do, Ellie Goulding
 
“Something about the way that you walked into my living room,
casually and confident, lookin’ at the mess I am.
But still you, still you want me.
Stress lines and cigarettes, politics and deficits…
Late bills and overages, screamin’ and hollerin’
But still you, still you want me.”
- Next to me, Imagine Dragons 

‘Questa volta, come anni fa, ha davvero esagerato’, pensò Virginia mentre spintonava una ragazza vestita – se così si poteva dire – con un reggiseno e una gonna a vita alta.
« Una domanda che mi fanno spesso è: Tony, come fai ad andare in bagno con l’armatura? – seguì un silenzio durante il quale sperò disperatamente che non facesse… quello che stava già facendo – Ecco fatto » dichiarò il miliardario, incoraggiato dagli applausi.
Quella volta – parliamo del glorioso 2000 – l’aveva costretta ad accompagnarlo alla sua festa di compleanno che le aveva fatto organizzare presso lo Sky sulla Sunset, a ovest di Hollywood.
Non ricordava esattamente come, o meglio, lo sapeva… Ma preferiva ancora illudersi che non fossero stati lo smoking e i capelli costantemente arruffati a convincerla, bensì le sue straordinarie doti di persuasione – consistenti in un tono di voce vellutato e in un sorrisetto obliquo, sempre un po’ malizioso – che a tutt’oggi gli permettevano di farsi perdonare da lei qualsiasi casino combinasse.

Quella volta, come le altre successive, Virginia aveva pensato che il proprio boss non la pagasse abbastanza e che avrebbe presentato le dimissioni il mattino seguente. Minacce a vuoto.
Le aveva promesso che non avrebbe causato guai e pur consapevole che quelle parole valessero meno di un quarto di dollaro, gli aveva concesso il beneficio del dubbio. Soprattutto quando dopo neanche dieci minuti era stata, per così dire, rimorchiata con la galanteria vecchio stile – così l’avrebbe definita sua madre – da Michael Burns, un amico del MIT di Tony che l’aveva scaricata al bancone per inseguire le curve di una modella a bordo piscina.
Non sapeva quanto trascorse tra l’inizio della conversazione con Burns e il momento in cui aveva compreso in un nano secondo che, se non si fosse alzata, non avrebbe avuto bisogno di presentare le dimissioni perché il suo capo per allora sarebbe già morto. Interrotto il primo momento di relax e svago dalla sua assunzione, si era precipitata per impedire a un facoltoso invitato di scaraventare Tony dall’altra parte della contea a suon di cazzotti, dopo averci provato spudoratamente con la moglie.
Ci aveva poi pensato lei a trascinarlo per un orecchio, scusandosi a suo nome e, come un criminale in stato di arresto, a spingerlo sulla testa dentro la Rolls Royce, cercando contemporaneamente di non soffocarlo con le proprie mani. E lo avrebbe fatto davvero, se solo non fosse stato un reato penale e se solo lui non fosse stato così… Cuccioloso.

Non c’era all’epoca e non c’era in quel momento, un altro termine per descriverlo quando rise – totalmente ubriaco – più per circostanza per che vero divertimento.
Anche quella volta, che effettivamente non era stata diversa da tutte le altre in cui nel bel mezzo della notte, l’aveva chiamata – o chi per lui abbastanza magnanimo – per farsi raccattare in qualche bagno a vomitare, si era scolato metà bar finendo per fare cose di cui era più lei a pentirsi.
Alcune cose di quella sera continuavano a sfuggirle, ma ricordava ancora la breve conversazione avuta sui sedili posteriori della limousine.
« Pep? » aveva biascicato Tony, stravaccato sul sedile posteriore accanto a lei.
« Mi chiamo Virginia » gli aveva ricordato, forse per la milionesima volta solo quel giorno.

« Non capisco »
« Io non capisco »

« …perché si scalda tanto »
« …perché si riduce in questo stato »
« E’ la mia vita »

« Beh, la sta sprecando »
« Faccio quello che voglio »
« Mi aveva fatto una promessa »

« La pago per farmi da assistente, non da madre surrogata ».
L’aveva ignorato, sotto lo sguardo compassionevole di Happy sullo specchietto retrovisore, chiudendosi nella propria professionalità per evitare di riportarlo al bar e lasciarlo lì ad essere pestato. Si era quindi detta che quelle parole fossero figlie dell’alto tasso alcolico, poi aveva sentito qualcosa pizzicarle gli occhi e un grosso masso sul petto.
« Happy, accosta per favore » aveva detto, raccogliendo la catenella della pochette e con essa, la forza per pronunciare quella semplice frase senza tremare.
« Dove crede di andare? » aveva osato chiederle con la sua classica strafottenza, di cui per quella sera ne aveva avuto davvero abbastanza.
Si era girata a fissarlo negli occhi e per un attimo, aveva scorto un certo timore riverenziale in essi.

« Sono le due e mezza, il che significa che il suo compleanno è finito due ore e mezza fa. La mia giornata lavorativa da sei ore e mezza. Quindi a meno che non mi voglia pagare per questi extra, di cui farei volentieri a meno, se solo io non fossi così stupida e lei un dannatissimo essere umano, me ne torno a casa. Perché anch’io ho una vita e faccio quello che voglio quando non lavoro per lei, Signor Stark ».
Dopo aver sbattuto lo sportello senza neanche augurargli la buonanotte, aveva fatto cenno ad un taxi che si era appena accostato dall’altra parte della strada ed era salita per il proprio appartamento.

Perché ogni volta che si riduceva a quel modo – dopo una prima fase in cui avrebbe voluto prenderlo a schiaffi solo perché ne aveva la faccia predisposta – Virginia sentiva dentro di sè di non aver fatto abbastanza per impedirglielo. Armata di tutta la pazienza di cui fosse capace e recuperato l’equilibrio psico-fisico influenzato dai due Gibson, si avvicinò a Tony con uno dei suoi migliori sorrisi per meglio sostenere la candida bugia che fosse tutto sotto controllo.
« Però… » esordì, sfilandogli il microfono dalle mani senza troppa fatica.
« Io scendo qui » dichiarò Tony sghignazzando, piegato in due.
Virginia ritenne che fosse più opportuno piangere, visti alcuni cellulari che riprendevano il momento che poi sarebbe stato reso indelebile sul web.
« Nessun altro sa dare feste del genere » disse infatti senza riuscire peraltro a mascherare il tono acido.
« Lo so! – e quando la gente che affollava la sala esultò, comprese che probabilmente era il più sobrio della festa – Grazie, vi amo »
« Incredibile… – più rivolta a se stessa – Grazie di cuore, Tony. La ringraziamo tutti infinitamente »
« Grazie… » bofonchiò mentre allungava una mano, armata, sulla sua schiena.
Virginia trasalì quando si accorse che il suddetto guanto mirava a zone non propriamente di comune proprietà. Con una prontezza dovuta dall’istinto di conservare il proprio lavoro di CEO e la dignità del proprietario dell’azienda, afferrò il polso di Tony quasi facendosi male, prima che raggiungesse il proprio obbiettivo.
« …per questa – tentennò un attimo, alla ricerca di un aggettivo – magnifica serata. E ora dobbiamo augurarvi la buonanotte, e grazie »
« No, no, no… » protestò lui, improvvisamente conscio delle intenzioni della sua ex assistente mentre Matt sequestrava i telefonini, spacciandosi per uno della sicurezza in borghese.
Almeno JARVIS avrebbe faticato la metà.
« …a tutti per » si fermò lei, nascondendo il microfono dietro la schiena.
« N-no, non può… Perché in ef-fetti non c’è stata la torta… »
« Lei è »
« Ci sono le candeline… » continuò Tony sottovoce.
« …fuori controllo, va bene? »
« Sono fuori controllo? » chiese mentre i suoi neuroni galleggiavano nel Dom Perignon misto a chissà quale superalcolico. Alcune sinapsi però riportarono la sua attenzione su quanto Pepper fosse carina. Il tubino bordeaux le disegnava le forme e malgrado lo trovasse inappropriato con degli estranei presenti, si chiese se lo avesse scelto proprio in occasione del suo compleanno.
« Si fidi di me stavolta »
« Non sono fuori controllo… » protestò debolmente per poi sorridere inebetito, un po’ dall’alcol e un po’ dal profumo incantevole della donna.
« Okay? »
« Tu sei fuori controllo, piccola » sussurrò, gli occhi puntati sulle sue labbra.
Erano di un rosa delicato, fini e sembravano soffici come petali. Improvvisamente voleva baciarla, sembrava davvero una grande idea. Forse la più geniale che avesse mai avuto.
Il cervello di Virginia al contrario andò completamente in tilt, ma si riprese subito quando sentì il fiato dell’uomo sulle guance impregnato di alcol, a tal punto che si sarebbe potuta ubriacare anche lei. Indietreggiò, ma essendo troppo vicina al gradino, dovette bloccarsi. La gonna stretta e i tacchi alti le resero tutto ancora più difficile – come se già la situazione non fosse precaria – e la costrinsero ad aggrapparsi all’armatura per evitare di cadere.
Sottrarsi alle sue avances era sempre stata un’impresa, anche quando era sobrio.
« Tanto lo so che mi vuoi » la provocò, proteso verso di lei con un braccio attorno alla sua vita.
E per un solo, minuscolo e folle istante, una parte di lei era pronta ad allacciargli le braccia attorno al collo e assecondarlo come in una di quelle commedie romantiche che le piacevano tanto. Per fortuna, il suo raziocinio era ancora online e intervenne in modo tempestivo.
« Ha appena fatto la pipì nell’armatura » rispose, ritraendo ulteriormente la testa.
« Sì, ma »
« Non è eccitante » aggiunse con stizza.
« …si sta defiltrando » mormorò Tony, agguantando alla cieca una bottiglia di champagne dietro di sé.
« Avanti, mandi tutti a casa »
« No! »
Mentre gli invitati defluivano, intimati da Matt, il suo viso divenne una maschera inespressiva e Virginia ebbe la conferma che ci fosse qualcosa che non andava. Non aveva mai alzato la voce contro di lei. Mai.
« Non fa altro che dirmi quello che devo fare… E che quello che faccio non va bene: se le do l’azienda, non le va bene… Se cerco di baciarla, non le va bene… Sono stufo di lei e dei suoi ‘No, Signor Stark’! » disse, facendo un passo indietro.
Fu peggio che ricevere un pugno allo stomaco. Mentre lo fissava impietrita si disse che non era reale, che fosse solo ubriaco – molto, probabilmente troppo ubriaco – magari anche lei, e che quelle parole erano altrettanto ebbre. Ma non fu abbastanza perché la gola non le si annodasse e gli occhi prendessero a pizzicarle. Avrebbe voluto contrastarlo, urlargli qualcosa o tirarlo fuori da quella scatola di latta che sembrava averlo consumato. Ma non riuscì a fare niente di tutto ciò.
« Non ho bisogno di lei » concluse, infliggendole una stilettata diretta al cuore.
Le lacrime si fecero incontenibili, ma Virginia le ricacciò indietro prontamente e lasciò cadere il microfono quando ormai nella stanza c’erano solo loro due e Matt.
« Lo sospettavo – bisbigliò mentre lo strumento fischiava fastidiosamente – Addio, Signor Stark»
« Adieu, Virginia Potts! » esultò Tony, attaccandosi nuovamente alla bottiglia.
Matt la avvicinò, cercando di trattenerla ma lei fuggì verso la gradinata. Perché ragionare quando si aveva a che fare con un miliardario insensibile ed egoista?!
« Signorina Potts, s- »
« Ne ho veramente abbastanza!  Di lei, Natalia… o Natalie o come cavolo si chiama, e dei suoi Signorina Potts! Sparisca dalla mia vista almeno fino a domani, prima che la licenzi » tuonò senza voltarsi, agitando una mano per cacciarla via. Di sentire altre scuse non sentite, non era proprio il momento giusto visto che da quando era arrivata, la pazzia del boss era aumentata in modo esponenziale.
Natasha serrò la mascella, trattenendo la voglia di prendere a calci Stark e poi Coulson mentre la Potts saliva le scale come una furia per poi fermarsi a metà rampa quando udì i passi di qualcuno in cima ad essa.
Happy si presentò sulla soglia con un sorriso, che però svanì quando vide a colpo d’occhio la frustrazione e il rammarico nello sguardo di solito allegro e vitale della donna.
Virginia lo guardò appena, non disse nulla e riprese la scalinata per fuggire in camera.
« Aspetti un secondo… – mormorò, prendendola per un braccio all’altezza del gomito – Va tutto bene? » le chiese con così tanta premura che una lacrima la tradì.
« Ho solo bisogno di andare a dormire » disse, asciugandosi le guance e dopo essersi schiarita la voce, si liberò dalla stretta.
Filò nella stanza, sbattendosi la porta alle spalle perché voleva assolutamente togliersi quei tacchi che le stavano distruggendo i piedi. Li lasciò appena sotto il giaciglio, poi prese la borsa che usava durante il giorno e dopo aver spalancato le ante dell’armadio, cominciò a stiparvi i pochi abiti che teneva appesi alle grucce. Non sarebbe rimasta alla Villa neanche se gliel’avesse regalata. Appallottolò l’ultima blusa e la schiacciò dentro il grumo di abiti per poi cercare di chiudere la zip, che ovviamente si incastrò. Presa da un moto di rabbia – per sé stessa – repressa troppo a lungo, forzò la chiusura inutilmente fino quasi a romperla. Si arrese, sfinita quando si rese conto di ciò che stava facendo, soprattutto perché le sue valigie per New York erano già pronte. Si interrogò su a cosa sarebbe servita una expo se il suo ideatore era in preda a deliri di onnipotenza alternati a crisi depressive.
Col fiato corto, si lasciò cadere sulla moquette con la schiena contro il letto. Lo stesso su cui avevano dormito insieme, donandosi a vicenda un Natale migliore. Reclinò il capo pulsante, sintomo che le sarebbe scoppiato con un mal di testa da record. Sentì bussare ed effuse il proprio senso di inadeguatezza.
« Che diavolo vuole adesso?! » sbottò quasi urlando.
« Sono Happy »
« Oddio… Scusami » contrita, lanciò un’occhiata alla porta.
Per un attimo aveva creduto che si fosse trattato di Natalie. Allontanò immediatamente l’immagine di quel suo volto da bambolina prima di radere al suolo la Villa.
« Vuole che la riporti al suo appartamento? ».
Ci rifletté per un secondo e alla fine, guardò il letto che non le era mai parso così invitante.
Lasciò ricadere impotente le braccia dietro di sé, distendendo le gambe e soffocando un’imprecazione tra i denti all’indirizzo di quel disgraziato al piano di sotto. Unico responsabile di tutto quel casino.
« No, grazie… »
« Mi chiami, se cambia idea » aggiunse con delicatezza, prima di andarsene.
Si alzò, decisa a farsi una doccia sotto cui si rifugiò per ben tre quarti d’ora. Si lasciò coccolare dall’acqua e dalla fragranza del sapone per un altro quarto abbondante e quando uscì, nella densa nuvola di vapore, socchiuse gli occhi per godersi quel momentaneo paradiso afonico. Si strinse nell’accappatoio in spugna e per qualche malsana ragione, desiderò che fossero un paio di braccia corazzate a cingerla.
 
Tony si guardò intorno spaesato e per errore, calciò il microfono. Il fischio che emise per poco non gli spaccò il cranio a metà. Si massaggiò un orecchio, emettendo un mugolio infastidito.
« J-Jay, dove sono finiti tutti? »
« Se ne sono andati, Signore » rispose l’AI e per qualche strano effetto del delirium tremens, gli sembrò di aver di nuovo a che fare col Signor Jarvis e la sua consorte.
« Perché? »
« Per la loro incolumità. E per la sua, credo sia opportuno che si tolga l’armatura »
« Come vuoi – bofonchiò, poggiando per miracolo la bottiglia sul bancone dove prima si trovava il dj – Ma che è successo? ».
« Ha festeggiato il suo compleanno, Signore. Come aveva chiesto alla Signorina Rushman »
« Avrei dovuto annullare… » constatò, barcollando verso una parete dopo che i bracci robotici l’ebbero alleggerito dell’armatura.
Si appoggiò con le spalle alla muro e vi abbandonò la testa per qualche attimo, ammirando il cataclisma che sembrava essersi abbattuto sul locale. I coriandoli ricoprivano le sedute dei divanetti, dei bicchieri pieni giacevano sul ciglio di tavoli e mobili, delle bottiglie vuote erano sparse qua e là. C’era perfino una giarrettiera appesa ad una lampada.
Espirò con fatica e si trascinò su una sedia per capire da dove partire per sistemare quel macello. Con i gomiti sulle ginocchia, si passò le mani fra i capelli che sentiva incollati come i vestiti sulla pelle anche se non era effettivamente sudato. Si strofinò la faccia per poi lasciar ricadere le braccia in avanti. Il suo sguardo annebbiato mise a fuoco l’orologio che Pepper gli aveva regalato.
Se lo sfilò, facendo attenzione a non farlo cadere. Il che fu un’impresa titanica considerando le sue capacità motorie alterate. Carezzò il quadrante con un pollice e lo rigirò sull’altro palmo.
Si accorse di un’incisione sulla base, in lettere eleganti come scritte da una piuma d’oca.

Se non ci mette troppo, l’aspetterò tutta la vita.

« JARVIS, nota del giorno: sono un emerito idiota » borbottò aspro, portandosi il monile sulla fronte prima di rimetterselo al polso.
Si era chiesto più volte perché la donna fosse stata tanto nervosa quando lo aveva raggiunto in camera e credeva che fosse solamente spossata dopo un’interminabile giornata di lavoro. Gli sovvenne il dialogo di poco prima, provando la prepotente voglia di prendersi da solo a pugni.
Fece leva sulle gambe e si alzò per recuperare scopa e paletta – era il minimo che potesse fare e il primo passo per riavvicinarsi a lei – mentre chiedeva al maggiordomo di preparargli l’intruglio contro la sbornia.

*

Si avvicinò alla piastra elettronica e sollevò appena il cartellino. Compiuto lo scan, la lampadina verde si accese e Thomas potè entrare. Il suono ritmico dei suoi passi rimbalzò sulle pareti del breve corridoio che lo condusse nella sala dove Justin lo stava aspettando. Si affacciò dalla ringhiera e osservò il cadavere metallico pronto per l’autopsia.
« Il Colonnello mi ha assicurato che è Lei » esordì l’industriale mentre scendeva le scale.
« No, che non lo è  – rispose, rivolgendogli appena uno sguardo mentre girava intorno all’armatura – Innanzitutto non è rosso e oro. E con una laurea al MIT, speravo sapessi almeno leggere ».
Justin si sporse per vedere meglio la scritta impressa su un fianco dell’armatura.
« Che vuol dire? » domandò, sollevando gli occhi sul proprio interlocutore.
« E’ un prototipo. Probabilmente è la prima che ha costruito dopo… »
« Dopo? » lo esortò e Thomas tacque prima di riprendere ad ispezionare il congegno.
« Comunque è sua » dichiarò.
« Come fai a dirlo? »
« Nessuno riuscirebbe a riprodurla, senza commettere almeno un errore – guardò Justin con espressione sardonica – Dovresti saperlo »
« Non credevo fossi un fan di Stark » ringhiò lui, sbiancandosi le nocche al pensiero dell’ultimo scontro col nemico al Senato. Quei filmati avevano causato loro più problemi del previsto.
« Non lo sono. Ma non posso neanche dire che sia un incompetente – mormorò Thomas, accigliandosi quando il suo sguardo si calamitò sul foro nel petto – Dov’è l’alimentatore? »
« Alimentatore? »
« Vedi pannelli solari o piccole pale eoliche?! – sibilò – Dovresti sapere che ogni oggetto capace di autonomia necessita di energia per funzionare »
« Deve averlo il Colonnello » rispose Justin, avviandosi lungo la gradinata.
« Recuperalo entro questa settimana » lo ammonì Thomas, aprendo la propria cassetta degli attrezzi per mettersi a lavoro.
 
Si girò e le coperte le si avvolsero attorno ai fianchi e alle gambe. S’impose di dormire, ma il suo animo si ribellò. Aprì gli occhi e sul comodino, il medaglione sembrò sgridarla come sua zia Amelia aveva fatto fino al suo decimo anno di vita. Lo afferrò per relegarlo in una tasca della propria vestaglia e, vedendo l’una e quindici lampeggiante sulla sveglia, con evidente nervosismo scalciò le lenzuola. A piedi nudi uscì dalla camera e attraversò il soggiorno, poi il corridoio, maledicendosi ad ogni gradino che scese verso la sala della festa per poi fermarsi a metà rampa. La palla da discoteca continuava a roteare pigramente appesa al centro del soffitto. Vicino ad un tavolino di vetro, Tony era intento a spazzare gli ultimi coriandoli inumiditi da quello che, una volta, era stato costoso champagne fino a farne un piccolo cumulo. Più in là erano stati raccolti anche i resti del cocomero, usato come bersaglio per il tiro al piattello.
« Credevo se ne fosse andata… » mormorò e Virginia percepì della speranza nella sua voce un po’ arrochita.
Dal modo in cui si muoveva, comprese che lentamente stava smaltendo la sbornia.
« L’intenzione è ancora quella » rispose, cercando di ricordarsi il motivo dell’arrabbiatura mentre scendeva gli ultimi gradini.
« Mi odia non è vero? » sussurrò Tony, guardandola con timore mentre stirava il pigiama per coprirsi.
Sospettò che la sua mente geniale dovesse avergli fatto comprendere comunque l’antifona ma quando incontrò i suoi occhi di cacao, grandi e acquosi, ebbe il naturale impulso di stringere il medaglione in mano infilata nella tasca.
‘Magari potessi farlo’, pensò e tanti cari saluti alla ramanzina.
Quello sguardo avrebbe potuto sciogliere anche la persona più incorruttibile del pianeta. 
Virginia, decisa comunque a mantenere un atteggiamento composto e fargliela pagare, prese un rotolo e staccò un sacchetto nero, facendogli cenno di tenerne i lembi aperti. Lui obbedì, osservandola mentre raccoglieva con una spatola ciò che aveva spazzato per poi gettarlo.
Chiuse il sacco per tenere le mani occupate e quando tornò a guardarlo, non potè fare a meno di pensare a quanto somigliasse più a un bambino di cinque anni che a un uomo che, solo poche ore prima, ne aveva festeggiati trentanove: aveva il capo chino, il labbro inferiore leggermente sporto e le dita intrecciate. Spinta più dalla propria innata bontà d’animo, sparì dietro al bancone per tornargli vicino con una busta sigillata, riempita con dei cubetti di ghiaccio. Gliela appoggiò sulla fronte accaldata, compiendo inevitabilmente l’unico passo che li separava.
« Grazie » esordì Tony, sollevando una mano e posandola su quella della donna per reggere la busta sulla propria testa dove i capelli scuri cominciarono ad inumidirsi per lo sciogliersi del ghiaccio.
« Io non la odio, Signor Stark » rispose lei semplicemente, mettendo a tacere il sospiro esasperato che ormai le veniva spontaneo.
« Però ho esagerato » aggiunse e un brivido lo percosse in segreto quando percepì la pelle morbida della mano di Virginia che, colta alla sprovvista da quelle che sembravano scuse sincere, abbozzò un sorriso.
« Se non la conoscessi, direi che questo non è niente in confronto ai disastri precedenti – commentò ironica ma quando lui ricambiò, riprese le distanze – Ora è meglio se si riposa » annunciò, riscuotendolo bruscamente e lasciandogli un vuoto spandersi nel petto quando ritrasse la mano.
Tony la fissò salire i primi due scalini per poi compiere la prima scelta buona nell’arco di quei mesi.
« Se se ne va, venderò l’azienda » dichiarò fermo, senza pensarci perché non gli occorreva farlo.
A quelle parole, Virginia s’irrigidì. Si volse completamente verso di lui, sul quinto gradino, mentre ritirava il sacchetto di ghiaccio rigirandoselo tra le mani.
« Tony, lei »
« Cosa? »
« …non è »
« Non sono… cosa, lucido? – lo fissò tanto intensamente che le fece male vederlo così fiacco e, fallire ogni volta nell’aiutarlo – Non posso permettere che i miei progetti finiscano nelle mani di qualcuno come Stane o Hammer ».
Sentì la bocca dello stomaco serrarsi fino quasi a impedirle di respirare – < Non ho nessuno se non lei > – e ancora una volta, prese in mano il medaglione come se facendolo, potesse ricevere un consiglio.
« Se vuole che resti, dovranno cambiare alcune cose » mormorò, mantenendo gli occhi in quelli dell’uomo.
Era abituata alle sue scelte bizzarre, ma in quel caso non si era aspettata un simile ultimatum.
« Tutto quello che vuole – sollevò un braccio per poi lasciarlo ricadere mollemente lungo il fianco – Qualsiasi cosa »
« Voglio solo la verità, Signor Stark ».
Tony rimase muto e lei si arrese al fatto che il suo fosse solo l’ennesimo tentativo per blandirla e farla cadere di nuovo nella trappola. Ma stavolta aveva raggiunto il punto limite, quello di non ritorno.
« Il reattore ha un malfunzionamento – disse quando la vide ripartire – C’è un problema ai neutroni nella parete interna… ».
Virginia si girò di scatto e come un fulmine, la presa di coscienza la folgorò. Gli eventi dei nove mesi precedenti si distesero, collegandosi per un sottile filo rosso e divennero chiari come una cartina geografica su un tavolo: le febbri, gli incubi e Monaco. Tony sbatté le palpebre.
« Il nucleo di palladio mi sta intossicando » continuò mentre lei ridiscendeva le scale.
« E questo significa…? »
« Per citare Jay, ciò che mi tiene in vita mi sta anche uccidendo » concluse, mettendo via il sacchetto pieno d’acqua su un tavolino.
« Da quanto? » chiese sconvolta, cercando di mantenersi in piedi nonostante la ginocchia malferme.
« Dall’incidente alle Industries ».
Lo fissò, scuotendo il capo quando fu ad un passo da lui. Avrebbe dovuto allontanarsi subito, ma da quella prospettiva le sembrava di essere davanti a un altro Tony. Lo stesso di quella sera al gala di beneficenza, un’altra delle ambigue e imbarazzanti situazioni in cui era abituata a ritrovarsi, impreparata, da quando era stata assunta.
« Ma non è questo il punto… »
« E quale sarebbe?! » gemette e guardandola, Tony sentì il bisogno di scappare.
Con lei. Ovunque, il più lontano possibile. Intontito dalla sua visione, accostò il volto al suo.
Virginia trattenne il fiato, pensando a come sarebbe stato se avesse avuto abbastanza coraggio di andargli incontro. Sentì il respiro dell’uomo sulle guance, la mano grande sul proprio fianco e l’altra che stringeva dolcemente la propria sul cuore luminoso.
Il ricordo di quella sera la colse alla sprovvista quando riemerse e ad ogni battito, sentì che stava per abbandonarsi ad esso e alle labbra del miliardario, troppo vicine e attraenti per essere evitate. Deglutì sonoramente, cercando di allontanarsi ma lui strinse la sua mano più forte, premendola contro il proprio petto con gentilezza. Era tutto maledettamente giusto – anche se non erano totalmente sobri – come alla prima mezzanotte dell’anno, ed entrambi sentivano che poteva essere di più. Ma qualcosa di indefinito, le suggerì di ritrarsi finché ne avesse avuto la possibilità.
Tony la osservò indeciso, ma lei lo interruppe prima ancora che potesse farlo, posandogli un dito sulla bocca per farlo tacere. Inspirò debolmente, facendogli capire quanto fosse stanca. Troppo per elaborare tutto adesso. Quell’esiguo contatto riuscì a farla fremere come se qualcuno avesse legato i suoi arti a dei cavalli, ordinando loro di strapparla in pezzi. Aprì gli occhi, incontrando subito quelli del miliardario che abbozzò un sorriso, con aria meno rigida.
« Buonanotte, Tony »
« ‘Notte, Potts » bisbigliò, avanzando di un passo per seguirla.
Si fermò sul posto e la guardò fin a quando non sparì al piano superiore.
« Signore, devo duplicare il promemoria? » domandò JARVIS con una discrezione inumana.

*

Inspirò e si portò una mano alla testa, temendo che gli si potesse staccare dal corpo e rotolare via tanto era pesante. Muggì quando tentò di sedersi, ma alla fine rimase là dove si trovava per qualche minuto e nell’inframezzo capì che non avrebbe dormito mai più sulla poltrona del laboratorio.
Come ci era arrivato? Non era una priorità conoscere la risposta.
Si grattò le palpebre incollate dal sonno e tentò più volte di aprirle. Quando ci riuscì, percepì il chiarore ancora lontano dell’alba e davanti a lui, si stagliò il Pacifico oscurato dal cielo violaceo della notte che stava ormai sparendo.
Raccolse le forze e si mise in piedi per poi dirigersi verso l’elevatore. Salire le scale in quelle condizioni sarebbe stata una pessima idea, anche per qualcuno che non fosse un genio dell’ingegneria. L’intruglio di uova crude, salsa Worchestershire, pepe nero e succo di pomodoro – a cui aveva dato il personale contributo aggiungendoci della menta – gli aveva restituito i neuroni attivi e l’alito pulito.
Si appoggiò alla superficie metallica finché le porte non si affacciarono sul salotto. Almeno i piani superiori a quelli della festa erano rimasti intatti, altrimenti avrebbe fatto più alla svelta comprando una nuova Villa. Si stirò pigramente, piegando le spalle in avanti quando una zaffata fresca gli solleticò il volto ancora accartocciato dalla sbornia. Si girò e vide, appena socchiuso, il finestrone del terrazzo che portava alla spiaggia. Si lasciò guidare dalla brezza che giungeva debolmente, portando con sé la salsedine e, arrivò sul lido privato appena riparato dalla parete scoscesa, su cui in cima quasi sull’orlo si trovava la Villa.
Scalciò le scarpe affondate nella sabbia e proseguì a piedi nudi verso la figuretta che gli dava la schiena. Indossava una specie di golf privo di bottoni, in lana bianca e leggera – perfetta per quelle mattine di inizio primavera californiana – e il completo da notte che le aveva visto poche ore prima. La sua chioma rossa si agitava a ritmo con la risacca che le sfiorava gli alluci. La superò diretto verso le acque appena smosse, scrutando il medaglione con cui si stava gingillando e si chinò, immergendo le mani.
Non ebbe bisogno di sciacquarsi la faccia perché qualcuno lo invitò a farsi un bagno. Ingollò qualche sorso di sale e puntellando le braccia nella sabbia, riuscì a non affogare in quei pochi centimetri. Si volse e realizzò che non se l’era immaginato. No, Virginia lo aveva spinto intenzionalmente e adesso lo fissava con un’espressione indecifrabile e le braccia rigide lungo i fianchi.
Avrebbe voluto dirle qualcosa, ma lei cominciò a schizzarlo.
« Potts! »
Calciò l’acqua con rabbia, inzuppandolo come se non lo fosse già e non ne fu pienamente sicuro, ma gli sembrò che lo avesse pure mandato a quel paese.
« Sei un idiota! »
« Lo so. Ho detto a JARVIS »
« …e uno stronzo »
« ….di segnarlo. Ehy! » sbottò e abbassò le braccia che aveva alzato per ripararsi, osservandola senza controbattere in alcun modo. In fondo aveva ragione, ma credeva che avesse avuto modo di sbollire.
« Quando pensavi di dirmelo? »
« Stavo cercando il momento adatto »
« Tipo?! »
« Non lo so! Avevo pensato di prepararti una cena e dirtelo »
« Abbiamo cenato almeno una volta a settimana nell’arco di questi mesi e, tu non hai trovato un momento per dirmi che stai morendo?! » urlò, paonazza.
« Avresti preferito un bigliettino? »
« Non fare lo spiritoso con me! » lo sgridò e se la prese per l’ultima volta col Pacifico, perché qualcosa la afferrò poco sopra le ginocchia, rendendola vittima della gravità.
Pose le mani avanti per frenare la caduta, ma finì direttamente tra le braccia di Tony che, col sedere sulla sabbia, si mostrò incurante delle onde che gli colpivano le spalle poiché troppo concentrato sul viso della donna che gli sedeva in grembo.
Ci fu un attimo in cui tutto tacque, tutto si congelò. Il mare, il sole, il vento e i loro cuori.
Poi così come tutto si era fermato, ripartì alla velocità della luce.
Lei si sporse e incorniciando il volto del miliardario, premendo le labbra sulle sua. Era sbagliato? Certo che lo era – chissà cos’avrebbero detto le donne di famiglia – ma non aveva intenzione di farsi indietro.
Tony rispose, forzandola a schiudere la bocca mentre affondava le dita di una mano nei suoi capelli. Sospirò – le labbra della donna erano morbide e irresistibili come gli erano parse la prima volta che avevano pronunciato un competente ‘Signor Stark’ – quando Virginia gli allacciò un braccio dietro il collo e approfondì quel bacio tanto atteso. Emise inconsciamente un verso licenzioso quando la lingua di lui trovò la propria e ad un tratto, il resto svanì. Non le importava più niente neanche di respirare. Poteva sopravvivere semplicemente avvinghiata all’uomo che amava e che sapeva di mare, alcol e mentolo. Un mix afrodisiaco in grado di mandarle in pappa il cervello. Lo allontanò bruscamente, spingendo le palme sul suo petto quando si accorse che non avevano ancora litigato a dovere.
« Perché non me lo hai detto? » chiese e le sue sopracciglia si aggrottarono in modo pericoloso.
« Disse quella delle telefonate intercontinentali con uomini in divisa » la rimbeccò lui.
« Si trattava di Rhodey » rispose allargando le braccia.
« Il mio migliore amico! » replicò Tony oltraggiato.
« …che hai preso a pugni »
« Gli ho dato un solo pugno – disse, sollevando l’indice per contare – E mi ha provocato! »
« Disse quello che ha dato del prostituto al Senatore Stern »
« Lo sa anche la Signora Stern » si giustificò, facendo schioccare la lingua sul palato.
« Era proprio necessario presentarsi al mondo come Ironman »
« Cosa c’entra adesso? »
« …o guidare un go-kart?! »
« E’ successo mesi fa! E per l’ultima volta: è una macchina da corsa » scandì, gesticolando come un forsennato mentre Virginia desiderava solo picchiarlo, strozzarlo e baciarlo – non necessariamente in quest’ordine – pur di chiudergli quella boccaccia.
« E come lo spieghi il tuo flirt con la Bambolina?! Anche lei ti ha provocato? » domandò, piccata.
« Chi?! » strillò Tony, preoccupato che fossero arrivate lettere di lamentele da parte di ballerine ingiustamente licenziate.
« Natalie! » chiarì lei, facendo fischiare quel nome tra i denti stretti.
« La Signorina Rushman? Miss Freddura Mista?! »
« Non fare l’ingenuo…! » sbraitò Virginia, dandogli un pizzicotto sul bicipite.
« Vuoi sapere una cosa, Signorina Wilde? Tu sei gelosa » la accusò e lei sgranò gli occhi.
« COSA?! »
« Mi hai sentito bene invece! E non lo vuoi ammettere » ribatté Tony sempre più convinto.
« Ti ricordo che sei stato tu »
« …come non volevi ammettere di avermi rubato il pigiama » le rinfacciò e per un attimo, Virginia pensò che stesse per farle linguaccia.
« …a diventare un neanderthal »
« E poi mi hai rubato i boxer »
« …quando hai visto Thomas »
« Ti prego, non ricordarmi il nome di quel deficiente » sbuffò lui tediato, roteando le orbite.
« Quel deficiente però non sta per morire…! – rispose adirata – Di nuovo… » aggiunse con un cipiglio di triste rimprovero.
Poggiarono la fronte l’un l’altra mentre la marea tornava ad accarezzarli, mettendo fine a quell’interminabile ma catartica discussione senza capo né coda.
« Ti ho dato così tante preoccupazioni – ammise Tony sottovoce, infilando le mani sotto al maglioncino per far scorrere le dita sulla schiena della donna – Non… Non volevo che anche il palladio diventasse un tuo problema »
« I tuoi problemi sono anche miei da dieci anni » mormorò, scuotendo lievemente in capo e spingendo contro il suo.
« Vuoi ancora dare le dimissioni? » domandò col preciso intento di provocarla.
« Per averti sulla coscienza?! » fece Virginia, guardandolo in tralice da sotto le ciglia.
« Quindi che si fa? » chiese lui, sfiorandole una guancia per portare la conversazione in zone decisamente più importanti. E urgenti.
« Andiamo a prepararci. Devi ancora »
« Prima dovremmo »
« …fare le valigie »
« …pareggiare i conti » precisò Tony, piegando la testa di lato.
« Pensavo che avessi pareggiato con la festa a cui non mi hai neanche invitata » rispose lei, scimmiottandolo.
« Ti lamenti sempre delle feste che organizzo »
« Io non mi lamento »
« Non ti stai lamentando adesso? » domandò con fare retorico.
« Mi lamento mai quando tieni il volume della musica come ad un rave party? »
« Lo sai, mi serve per concentrarmi »
« E mi lamento mai quando ti ubriachi proprio il giorno prima di una riunione »
« L’alcol mi aiuta a rilassarmi »
« …cosicché tu possa arrivare in ritardo? » disse, fissandolo in cagnesco quando la adagiò sulla battigia per alzarsi in piedi.
« Questo non cambia che mi hai buttato in acqua » le fece notare, cominciando a sbottonarsi la camicia.
« Volevo aiutarti » rispose Virginia con un sorrisetto, mantenendo lo sguardo sul volto del miliardario anziché sulla stoffa aderente ai suoi addominali.
« …e ora io ti restituirò il favore »
« Io non credo proprio »
« Non sei nelle condizioni per poterti opporre, Potts » mormorò Tony, afferrandole un braccio per tirarla su.
Lei strillò quando chinandosi, la sollevò di peso e con crescente terrore, si accorse che le sua direzione era quella del mare aperto.
« Tony »
« Sì? »
« Non avrai intenzione di fare quello che penso? » chiese Virginia, portando le cosce più vicine al petto.
« Mmhssì… » confermò lui, reggendola con un braccio attorno al busto e l’altro sotto le gambe.
« Tony, la California è famosa per gli squali »
« L’acqua non è così profonda »
« Va bene, va bene, va bene! – gridò lei, stringendosi con vigore al suo collo – Ti chiedo scusa, ero arrabbiata e… Ti scongiuro, Tony » piagnucolò quando riconobbe il luccichio malefico nei suoi occhi.
« Sei adorabile » ridacchiò lui, dandosi lo slancio per catapultarla in acqua.
Si tuffò subito dopo per raggiungerla mentre Virginia riemergeva, sputacchiando. In apnea si reimmerse per spostare i capelli all’indietro e Tony la osservò un po’ stranito, vedendo la frangetta scomposta. Ma non ebbe il tempo per fare altro perché la donna si lanciò su di lui, schiacciandogli la testa sott’acqua. Un tentativo di affogarlo che si rese vano quando tornando in superficie, riuscì a gettarla nuovamente un po’ più là. Virginia nuotò a pelo verso riva e quando le fu possibile, gattonando e aiutandosi con le braccia, cercò di tornare sulle gambe, ma Tony agguantò il golf che indossava – ormai da buttare – e la strattonò indietro, facendola cadere fra le onde.
« Tony, smettila! » sbraitò, scuotendo le spalle per togliersi il maglioncino quando finalmente riuscì a piantare i piedi nella sabbia scivolosa.
« Hai iniziato tu » la rimbeccò dispettoso per poi ammutolirsi.
I suoi occhi, ricercando quelli della donna, nel ripercorrere la sua figura avevano avuto modo di scannerizzare il suo corpo chiaramente nudo – eccezion fatta per gli slip – sotto la camicia da notte.
Virginia seguì la direzione del suo sguardo e immediatamente si riappropriò del maglioncino per coprirsi.
« Sei da rinchiudere! » lo aggredì quasi spolmonandosi.
« Hai fatto la stessa cosa » le rammentò Tony.
« Non è vero » rispose, alzando la voce di un’ottava.
« Sì, che è vero »
« No! »
« Solo che io ho avuto la decenza di spogliarmi » disse, ridendo quando lei gli lanciò l’indumento in faccia.
Rise e un ginocchio alla volta, la seguì verso la spiaggia dove si era fermata a fissarlo furente con le braccia incrociate sul petto a nascondere le nudità.
Lui lasciò il golf su una sdraio e spostandosi, aprì un piccolo scomparto dietro lo schienale dove c’era sempre un telo di scorta. Lo scosse e alzando le braccia, lo fece passare dietro le spalle di Virginia che teneva lo sguardo torvo su di lui. Avvicinò i lembi per avvolgerla e quando strinse la stoffa, si ritrovò a pochi millimetri dalla sua faccia. Con un dito sulla sua guancia, Tony la costrinse a guardarlo e lei arrossì, ma non cercò di sfuggirgli.
Happy, giunto di buon’ora per assicurarsi che nulla fosse esploso, si bloccò in quel preciso momento sul primo gradino. Da quell’altezza poteva vederli baciarsi – ‘Come avrebbero dovuto fare anni fa’, osservò – seppur con una certa imbranataggine emotiva con gli albori all’orizzonte, che li proiettava in un film romantico. Si lasciò sfuggire un risolino mentre rientrava alla Villa per chiamare l’impresa di pulizie.

Angolo Autrice: Ora potete anche lanciarmi pomodori o qualsiasi ortaggio abbiate a disposizione xD
Il capitolo era già pronto, ma per cause di forza maggiore - tra cui rete pessima e invasione di parenti... ^^ - non sono riuscita a pubblicarlo prima d'oggi.
Personalmente non sono molto soddisfatta - e te pareva ehehe - ma per quanto concerne la resa di queste scene, lascio a voi l'ultima parola.
Ringrazio tutti coloro giunti fin qua e un baciotto speciale a:
leila91a cui risolvo un dubbio: Matt è Matthew Boseman, il fotografo del settimanale People che ha compiuto la sua prima apparizione nel capitolo 3 - Pandering. Mentre Thomas Kyle, l'avvocato di Hammer, è il tipo con cui Pepper è uscita nel capitolo 2 - Stuck in reverse :*

_Lightning_ che come al solito, mi emoziona ogni volta che recensisce (devo ancora trovare le parole giuste per rispondere alla tua recensione su Only Two Days *-*) a cui dico semplicemente che questo è solo l'inizio ;) PS: no, non sono romana *sob*. Sono nata in Germania e vivo vicino a Firenze, ma adoro tantissimo i romani e la Capitale, a cui renderò omaggio fra qualche capitolo :D

Non dico di più che poi spoilero - se non ancora GRAZIE GRAZIE GRAZIE ad entrambe <3 <3 - al prossimo capitolo,
50shadesOfLOTS_Always

   
 
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