Era sulla panchina.
Un braccio bianco pendeva nel vuoto, così come la vita che stava lasciando il corpo della mamma. La gonna fasciava lievemente i fianchi.
Ma l’attenzione del bambino fu catturata dal corsetto che stava bevendo il sangue della sua mamma. Il petto, il seno soffice, rifugio, porto sicuro, coperta e cuscino nella grande tempesta e nel buio della notte, su cui addormentarsi nel profumo materno, aveva il suo candore decorato di rosso. Si muoveva ancora leggermente e freneticamente.
Mamma.
Mamma non lasciarmi da solo.
Ti prego, mamma.
Non andare via.
In grembo, stretta nella mano destra, teneva l’arma. La rivoltella.
Pianse.
Papà! Papà!
Il giorno dopo Fritz Haber partì per il fronte. Non partecipò ai funerali della moglie. A causa dei gas durante la Prima Guerra Mondiale morirono più di un milione di persone.
Nel 1918 vinse il premio Nobel per la chimica. Nel 1934, a seguito delle politiche nazionalsocialiste adottate in Germania, decise di emigrare in Palestina.
-Vieni con me, Hermann.
Lui lo guardò, la fronte corrugata, la bocca storta in una smorfia.
-Venire. Con voi.
Lo sguardo di Fritz era supplichevole. Nessuno l’aveva mai visto così. Era abituato a dare ordini.
-Con voi. E vostra moglie. E i vostri figli.
Il giovane si girò.
Hermann, Hermann! -allungò la mano perché si voltasse. Lui la tirò indietro, lo guardò con disprezzo, come si guarda un insetto che striscia.
-Con voi! -urlò- Con voi?! -lo spinse via, il vecchio barcollò.
Dov’eri quando è morta la mamma? Dov’eri?
-Non sono ebreo. -chi sono?- Non verrò con voi.
Nel periodo fra le due guerre Fritz Haber si era dedicato alla sintesi di pesticidi chimici. Frutto dei suoi lavori fu lo Zyklon-B, utilizzato nel complesso dei campi di Auschwitz per lo sterminio degli ebrei.
Morì durante il viaggio verso la Palestina per un attacco cardiaco.
Hermann Haber emigrò invece negli Stati Uniti.
Lì, nel 1945, si tolse la vita.