I.3
Gli
anni non sono stati indulgenti con nessuno di loro: troppe
atmosfere su ossa
ancora tenere come ali d'uccello, troppa morte nel cuore che ha
vissuto appena,
troppo sangue sulle mani e su tutto quello che dovessero
toccare, troppa guerra
combattuta e vinta da bambini, perché potessero esserlo.
Ventenni,
negli occhi hanno orrori inenarrabili, incancellabili, a cui non
possono
sfuggire, da cui non si storna lo sguardo – come un film datato,
o un album di
ricordi sfogliato in una casa di riposo.
Trentenni,
hanno acciacchi da vecchi, gli organi logorati, gli animi
stanchi.
Quatre,
se lo porta un colpo al cuore – a mezzogiorno, tra la terza
tazza di caffè e la
quinta sigaretta per quella riunione –, prima dei trentacinque.
Per
quasi due decenni, Trowa vive in un'ombra semicrepuscolare, tra
profili
sfocati, solidi come sogni, che soltanto lui riesce a vedere. Il
filo sotto i
piedi, lo può a malapena a indovinare; ogni passo è falso, la
meta una soltanto:
danza coll'abisso – e ci rimette un femore, tre costole, un
ginocchio, che non ritorneranno
mai del tutto a posto. Finisce col gettarsi in pasto ad un
leone, chiedendo per
piacere.
Wufei,
verso i quarantaquattro, ha perso il senno: rincorre gatti
immaginari; confonde
Cicerone con Confucio, conta la vita in multipli di cinque;
rilegge i lirici su
un quaderno bianco, tutte poesie d'amore, ad alta voce, per
l'ombra di Meilan
che vive con lui nelle sue stanze di libri chiusi e vecchie
alabarde polverose,
eternamente invincibile e quattordicenne. Le versa il tè, le
serve la cena, le
offre fiori di carta ed origami così delicati che sembrano sul
punto di
sgretolarsi – forse, soltanto così glieli può offrire. Una volta
al giorno, Duo
– col suo passo da ladro, stando attentissimo a non farsi vedere
– s'intrufola
da lui per sparecchiare, per lasciargli abbracciare l'illusione; ma, di tanto
in tanto, Fefè crede che siano stati i gatti ch'è convinto
d'avere.
Dapprima
ogni mese, poi settimanalmente, infine ogni sera, Heero con Duo
passa buona
parte della notte a ricordare cose di guerra: sogni imitati, da
finto liceale;
fratture ignorate, che vent'anni dopo fanno male; dirsi
buongiorno a colpi di
pistola; come fosse inebriante scontrarsi nel vuoto; la gravità,
l'ebbrezza, perdere
i sensi, il precipitare; la libertà che senti quando credi di
stare per morire;
la leggerezza e la rassegnazione, il peso d'ogni giorno; il
dubbio d'essersi,
già allora, amati tanto; questa o quella missione; le colonie –
casa? – e il
loro tradimento; la convinzione folle che ci fosse speranza per
il mondo; il
matematico cinismo del Sistema Zero; le piccole stranezze, le
eccentricità, che
avevano gli altri; la sorpresa, la gioia, l'incredulità d'avere
un amico, finalmente.