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Autore: Sunako_7    07/08/2018    2 recensioni
Sasuke e Gaara si frequentano da qualche mese, nonostante abbiano un dialogo quasi inesistente. Basterà questo per riuscire ad andare avanti o lo scontro con i problemi della vita e i fantasmi di un passato mai dimenticato li schiaccerà, costringendoli a separarsi? E se quel passato tornasse più reale che mai? E se altre persone entrassero nella vita dei due protagonisti? Un viaggio complicato e irto di ostacoli nella vita di questi due ragazzi chiusi, diffidenti, incapaci di comunicare eppure bisognosi di affetto e amore.
Questa ff è il continuo della mia one-shot "If I had a heart" anche se non è indispensabile leggerla per seguire questa long, ma alcuni dettagli potranno essere più chiari.
[GaaraxSasuke][Itachix?][accenni HidanxDeidara]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Itachi, Sabaku no Gaara, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Sei il sale sulle mie ferite, eppure non riesco a smettere

 

 

Sasuke frenò dolcemente e la neve scricchiolò sotto le ruote. Spense lo stereo che aveva tenuto comunque a volume basso, poi girò le chiavi della macchina, il cui motore smise di girare, si accese la piccola luce dell’abitacolo e lui si voltò versò il sedile del passeggero dopo essersi tolto la cintura di sicurezza. Gaara era addormentato con la testa appoggiata al sedile, la bocca era semiaperta e il leggero rumore del suo respiro si confondeva col ticchettio del motore che aveva iniziato a raffreddarsi.
Sasuke rimase a fissarlo qualche istante: gli dispiaceva svegliarlo, ma non potevano rimanere lì a lungo, a breve il freddo avrebbe invaso l’abitacolo, inoltre non lo aveva portato in montagna per passare la notte in un SUV quando c’era uno splendido chalet ad attenderli.
Gli bastò sfiorarlo di poco e l’altro si riscosse, sobbalzando sul sedile. Si guardò attorno spaesato per qualche istante prima di dire:
“Scusa, mi sono addormentato senza accorgermene, non ti ho nemmeno fatto compagnia mentre guidavi.”
“Tranquillo, sei molto stanco ed è bene che ti riposi il più possibile per domani, le piste da sci ci aspettano – lo informò – ora però scendiamo e aiutami a scaricare la roba.”
Si infilarono in fretta i cappotti e andarono a recuperare le loro borse, per poi incamminarsi sul breve sentiero perfettamente pulito che li condusse dalla macchina allo chalet. Gaara in realtà aveva solo uno zaino con poca roba, tutta l’attrezzatura necessaria per la neve gliel’avrebbe prestata Sasuke, gli aveva detto che non aveva senso che spendesse soldi quando lui aveva già tutto l’occorrente. Gaara gliene era stato grato: non aveva denaro da sprecare, ma la cosa lo aveva comunque infastidito, perché gli ricordava il divario tra di loro, oltre al fatto di avere sempre avuto problemi nell’accettare l’aiuto altrui. Vedendo quel grande ed elegante chalet in cui entrarono, quel disagio non poté che acuirsi.
C’era un grande ambiente subito dopo l’ingresso, sulla destra una cucina con un grande tavolo da pranzo, sulla sinistra un salotto con divani, poltrone, una televisione e un caminetto ora spento; sul fondo una porta conduceva al resto dell’abitazione. Tutto l’arredamento era in legno, ma l’effetto nel suo insieme non era affatto grezzo, dava invece una sensazione di morbidezza e calore; era evidente quanto ogni dettaglio fosse stato curato per arrivare a quel risultato.
I ragazzi si tolsero i cappotti e li appesero, poi Sasuke iniziò a trafficare con il riscaldamento dato che faceva piuttosto freddo anche se non come all’esterno.
“Ci mette poco a riscaldarsi, ma posso anche accendere il caminetto se vuoi” propose guardando il suo ospite.
“Emh… non serve, va bene anche così” rispose Gaara, sempre più a disagio.
Il suo palazzo era vecchiotto e il riscaldamento centralizzato, si andava da giornate in cui si moriva di caldo ad altre in cui si gelava quando si inceppava la caldaia, cioè abbastanza spesso. Invece in quello chalet disabitato per la maggior parte dell’anno ogni cosa era efficiente e pulitissima; quando aveva accettato l’invito non si era aspettato niente del genere. D’altra parte non era nemmeno mai stato sulla neve, che ne poteva sapere di come funzionassero le cose tra gente che non doveva mai preoccuparsi di arrivare a fine mese?
Sasuke parve intuire il suo stato d’animo e decise di non dargli modo di rimuginarci sopra ancora, quindi disse:
“Muoviamoci, ho fatto della spesa e bisogna sistemarla, dammi una mano.”
Gaara si riscosse, prendendo una busta ai suoi piedi e andando verso la cucina. Aprì un paio di ante per vedere dove sistemare la roba, ma le trovò piene di scatolette e altre confezioni, anche il frigo non era vuoto. Lanciò un’occhiata interrogativa a Sasuke che sorrise:
“Non ci sono i fantasmi qui, semplicemente ho avvertito il custode del nostro arrivo. Così ha provveduto a mettere qualcosa in dispensa, pulire e portare la legna in casa, anche se c’è un deposito giusto qui dietro. Io però ho comprato qualcosa di fresco, meglio delle scatolette, no?”
“Suppongo di sì, anche se io ci vivo con quelle scatolette. Non sono un gran cuoco e non ho nemmeno tanto tempo per cucinare” rispose Gaara, osservando l’altro prendere gli ingredienti necessari per preparare la cena.
Fuori era tutto buio, non si scorgeva nemmeno lo chalet vicino e la casa si stava davvero riscaldando velocemente; un bel contrasto con la distesa innevata che ricopriva ogni cosa.
“Io so preparare giusto cose semplici, ma dovrei riuscire a non avvelenarci stasera – scherzò Sasuke guardandolo – perché non vai a farti un bagno mentre cucino?”
Gaara aveva ancora gli abiti con cui era andato a lavoro, la faccia era sbattuta per la stanchezza e il risveglio brusco, sicuramente un po’ di relax lo avrebbe aiutato a sciogliere la tensione.
“Un bagno? Ma…”
“Ti farà bene e poi io ci metterò un po’, non vorrei che le tue scarse abilità da cuoco mi contagiassero” lo prese in giro, vedendolo fare una smorfia.
Gaara si limitò a quella e lo seguì, finendo di vedere il resto della casa. C’erano molte camere da letto, Sasuke gli mostrò la sua, più piccola ma vicina a quella che lui abitualmente occupava quando era lì con la famiglia. I bagni erano due ma Sasuke lo condusse in quello più grande, gli diede un accappatoio e tutto il necessario per poi raccomandarsi di rilassarsi.
Una volta solo, Gaara si sedette sul bordo della vasca, poggiando i gomiti sulle ginocchia e prendendosi la testa tra le mani.
Che diavolo ci faceva lì?
Era passato circa un mese dal loro primo appuntamento, il giorno del suo compleanno. Si erano rivisti nel suo ufficio per via dei lavori di ampliamento e anche un paio di volte al di fuori, a bere una birra o mangiare qualcosa assieme. Si mandavano messaggi seppur non quotidianamente: nessuno dei due era un gran chiacchierone, ma avevano scoperto di avere alcuni interesse in comune e qualche commento dopo la puntata settimanale del loro telefilm preferito era d’obbligo.
Nel frattempo Gaara aveva concluso gli esami per quella sessione pochi giorni prima, mentre Sasuke era abbastanza libero dopo la consegna del progetto del nuovo grattacielo; entrambi avevano quindi pensato che sarebbe stato il momento ideale per il loro weekend in montagna. Era fine febbraio e c’era ancora un’ottima neve, apparentemente tutti i presupposti parevano perfetti, ma Gaara si rese conto di aver preso la situazione troppo sottogamba.
Al di là del fatto che non aveva mai sciato e che il giorno seguente si sarebbe probabilmente ammazzato sulle piste, non aveva davvero capito l’impatto che gli avrebbe causato stare due giorni interi esclusivamente con Sasuke.
Non si sarebbe trattato solo di condividere la stessa casa o dormire in camere vicine, bensì sarebbe praticamente dipeso da lui per ogni cosa. Gli aveva prestato abiti e attrezzature per la neve, la macchina con cui erano arrivati era la sua e, senza di lui, non avrebbe saputo dove andare e probabilmente sarebbe morto, inciampando in mezzo a qualche cumulo di neve. In quei giorni Sasuke sarebbe stato il suo punto di riferimento per ogni cosa.
Gaara chiuse gli occhi e si passò le mani tra le ciocche rosse, respirò profondamente tentando di calmarsi. Anche quando viveva ancora con Kankuro aveva imparato a non dipendere da lui ma a rivedersi da solo le proprie questioni, quando poi era scappato ed era rimasto solo, la cosa non era più stata una scelta bensì una questione di sopravvivenza. Non era abituato a fare affidamento su qualcuno, specialmente se con quel qualcuno il rapporto era ancora lontano dall’essere chiaro.
Lui e Sasuke non erano amici, nemmeno amanti o tantomeno fidanzati, non sapeva cosa aspettarsi da lui e la faccenda lo destabilizzava, in fondo non aveva mai avuto una relazione seria, solo partner occasionali; era la prima volta che si trovava in una situazione simile, sospeso tra l’attrazione fisica e una conoscenza più profonda.
Si mise in piedi e decise di non pensarci, quei dubbi non lo avrebbero portato da nessuna parte, meglio farsi un bagno e rilassarsi, ormai era in ballo e non poteva certo tirarsi indietro. Insomma, aveva affrontato situazioni ben peggiori in vita sua, cosa sarebbe mai stato un weekend in montagna?
Aprì l’acqua calda, versò del bagnoschiuma profumato e iniziò a spogliarsi, incitato dal tepore della stanza. Era rimasto in boxer e camicia slacciata quando sentì bussare alla porta.
“Gaara, sei già dentro la vasca?”
Il ragazzo chiuse i rubinetti e andò ad aprire, lo fece istintivamente senza pensare a mettersi qualcos’altro addosso, e vide Sasuke sulla soglia con un bicchiere in mano.
“Ecco… ho pensato che un po’ di vino poteva aiutarti a rilassarti” gli spiegò l’architetto cercando di guardarlo in faccia, ma inesorabilmente il suo sguardo si perdeva sulla curva del collo, o sul petto pallido a malapena celato.
“Grazie” rispose Gaara prendendolo.
Nessuno dei due si mosse e rimasero a guardarsi in un’atmosfera strana, tesa, come se fossero in procinto di fare qualcosa di importante, essenziale quasi quanto respirare. Sasuke però fece un passo indietro:
“Ti aspetto, prenditi il tempo che vuoi” disse allontanandosi e Gaara fece in tempo a vedere le sue guance lievemente arrossate, sicuramente non dovute al riscaldamento.
Richiuse la porta e finì di spogliarsi, per poi entrare nell’acqua calda profumata. In mezzo alla schiuma e con un bicchiere di ottimo vino rosso si sentì molto privilegiato, scoprì che avrebbe potuto passare anche ore immerso lì, non avrebbe avuto bisogno d’altro.
Bevve un sorso che lo riscaldò piacevolmente, poi poggiò la nuca contro la vasca, immergendosi di più. Chiuse gli occhi e tentò di non pensare a nulla, lasciandosi cullare dalle piacevoli sensazioni dell’acqua calda. La sua mente vagava libera, passava da un pensiero all’altro, rimbalzando come una pallina da ping-pong in una partita infinita, ma alla fine si soffermò sui ricordi più recenti. Sasuke alla porta, col bicchiere in mano, il suo imbarazzo, lo sguardo che lo carezzava come fossero state mani e Gaara comprese che quei due giorni sotto lo stesso tetto sarebbero stati difficili, perché la tensione sessuale tra di loro era innegabile.
Dopo il bacio la sera del suo compleanno, non ce ne erano stati altri, né avevano fatto sesso, ma ora la situazione era diversa: non erano andati a cena per poi salutarsi e finire a dormire ognuno nel proprio letto, bensì i loro letti sarebbero stati maledettamente vicini.
Sasuke gli aveva fatto intendere bene anche senza parole che da parte sua c’era molto interesse anche da quel punto di vista, ma si era tirato indietro e Gaara non poté che apprezzarlo per questo. Perché, se l’altro lo avesse baciato, non era certo che lo avrebbe respinto o non avrebbe finito per farci sesso. Era da mesi che non andava a letto con qualcuno, l’ultimo era stato Sasuke, e ora che la sua vita sembrava essersi stabilizzata, smettendo di vorticare impazzita, lui aveva un po’ più di tranquillità mentale per rendersi conto di tutti i bisogni ignorati negli ultimi tempi.
Sdraiato in quella vasca spaziosa in cui due persone sarebbero entrate comodamente, non poté evitare di immaginare Sasuke a fianco a lui, a quello che sarebbe potuto succedere, alle mani che avrebbero carezzato la sua pelle scivolosa per l’acqua, i capelli umidi e le labbra invitanti.
Avvertì distintamente la sua erezione svegliarsi ed ergersi al di sopra del pelo dell’acqua. Prese il vino e ne bevve un sorso, fissandola.
“E adesso che accidenti dovrei farci con te?” sospirò chiudendo gli occhi. Quei due giorni avrebbero messo a dura prova i suoi nervi.

 
Sasuke sentì la porta del bagno aprirsi e poco dopo quella di un’altra stanza chiudersi, segno che Gaara era andato nella sua camera da letto.
A quel punto mise a cucinare le bistecche e guardò la tavola apparecchiata con la bottiglia di vino già aperta, le verdure che aveva preparato mentre aspettava e valutò con occhio critico se tutto fosse a posto, se non fosse eccessivo.
Poi si mandò al diavolo.

Sasuke, è solo una fottuta tavola apparecchiata, in una fottuta casa. Non ci sono candele sul tavolo, né petali di rose sparsi in giro, che diavolo dovrebbe vedere Gaara se non una tavola piena di cibo pronto per essere consumato? Datti una calmata o rischi di mandare tutto a puttane, altrimenti a che cosa sarebbe serviti gli sforzi di quest’ultimo mese di andarci con calma, di conoscervi e basta?
Sasuke diede ragione alla propria coscienza che nel suo immaginario aveva la faccia del suo psicologo; inquietante, ma non riusciva a togliersi quell’immagine dalla mente.
Girò la carne e il suo stomaco gorgogliò dinanzi all’odore delizioso che si stava sprigionando; in effetti era tardi, ma il viaggio era stato lungo e poi pensò che erano in vacanza, non avevano alcun orario da rispettare. Anche se il giorno seguente dovevano andare sulle piste da sci, potevano alzarsi quando volevano, nessuna sveglia li avrebbe buttati fuori dalle coperte all’alba.

Domani mattina posso svegliarlo io, magari portargli il caffè a letto – iniziò a riflettere, ma un'altra voce si intromise.
Certo, magari lo bevete assieme, tu ti siederai sul materasso, lui ti chiederà se hai freddo e se vuoi metterti sotto le coperte, tu accetterai e poi… addio piste da sci.
Sasuke scrollò con forza la testa, dandosi del coglione per quelle trame da filmino porno di quarta categoria. La verità era che Gaara gli piaceva, aveva voglia di fare sesso con lui e vederlo mezzo nudo prima non aveva aiutato i suoi propositi di freddezza, ma non voleva essere il primo a farsi avanti se l’altro non si dimostrava altrettanto bendisposto. Forse Gaara avrebbe pure accettato di finire a letto insieme, in fondo era già successo in passato, ma quello che Sasuke aveva capito con più chiarezza in quel periodo era che voleva qualcosa di più da lui.
Gli piaceva parlargli, quel loro tenersi sempre sul filo dello scontro, il modo in cui si tenevano testa perché erano entrambi orgogliosi e testardi, nonostante ciò avevano iniziato a venirsi incontro, a lasciare all’altro un piccolo spiraglio in cui infilarsi; lo stavano imparando insieme e questo gli piaceva moltissimo. Inoltre Gaara era un tipo tosto, ironico, con un sacco d’interessi e Sasuke si era dato dello stupido per non averli scoperti quando si frequentavano mesi prima. All’epoca era davvero un coglione per essersi limitato ad andarci a letto, quando c’era così tanto da scoprire in quel ragazzo.

Non devi incolparti così: eri diverso, non eri pronto, tutto qui. Ora sta a te, a questa tua nuova coscienza, non rovinare tutto o comunque cercare di ottenere quello che desideri sul serio, perché ora sai ciò che vuoi, giusto? Non hai più bisogno di mentirti o nasconderti, non più, Sasuke, stai conquistando la tua libertà.
La voce del suo psicologo gli risuonò con forza in testa e lui fece una smorfia irritata, si sentiva davvero uno psicopatico con tutte quelle voci che gli parlavano, se la situazione non si fosse chiarita presto, la prossima vacanza l’avrebbe fatta in una stanza con le pareti imbottite.
Mise le bistecche sui piatti e, mentre le portava a tavola, vide Gaara venire verso di lui con il bicchiere vuoto in mano, i capelli ancora un po’ umidi, il viso arrossato probabilmente dal calore del bagno e un’espressione distesa.
“Hai avuto veramente un’ottima idea, sto meglio – lo informò per poi guardare la tavola – ma quanta roba hai preparato?”
Sasuke scrollò le spalle, gli riempì di nuovo il bicchiere e fece lo stesso col proprio dicendo:
“Niente di che, dovresti vedere che combina mia madre” si morse la lingua dandosi dello stupido, era veramente una cosa intelligente da dire a uno cresciuto in orfanotrofio!
Gaara però non sembrò essersela presa, anzi sorrise e si accomodò:
“Mi sorprende che tu e Itachi non siate due ciccioni allora – prese il vino – mangiamo? Ho veramente fame e tutto sembra buonissimo.”
Sasuke si sedette a sua volta, sollevato, e avvicinò il bicchiere al suo, facendo tintinnare il vetro.
“Alla tua prima volta sulla neve” disse per poi bere così come l’altro.
“Già, devo veramente ringraziarti per avermi invitato.”
L’architetto fece una smorfia mentre tagliava la bistecca:
“Non serve che mi ringrazi, te l’ho detto che questo era il tuo regalo di compleanno. In realtà ne sto approfittando, avevo bisogno di una pausa, e non venivo qui da Natale.”
Gaara mandò giù un boccone trovando tutto squisito, pensando che Sasuke aveva molte altre qualità nascoste che gli stava finalmente permettendo di scoprire. Era un peccato che pochi avessero questa opportunità dato il suo carattere chiuso, ma si ritrovò a riflettere che avrebbero potuto dire lo stesso di lui.
“Già, a Natale tu eri qui” disse guardandosi intorno e cercando di immaginare come doveva essere stata la casa in quei giorni, piena di parenti, nonché lo stato d’animo che lo aveva spinto a telefonargli per parlargli. Una cosa banale, ma per Sasuke la comunicazione non era un concetto così scontato come per tante altre persone.
Questi intanto aveva lo sguardo puntato sul piatto, attentissimo a tagliare la bistecca come se avesse bisogno di un grande impegno per affondare in quella carne tenera.
“Già, ero in camera mia quando ti ho telefonato – rivelò, rispondendo alla sua domanda inespressa – poi è entrato mio fratello che aveva origliato e gli ho raccontato tutto. Incredibile, eh? Itachi uno spione, non il fulgido esempio di perfezione che appare.”
Fu difficile raccontargli quelle cose pur ammantate da un velo di pungente ironia; la parte faticosa non era quella del fratello spione ovviamente, ma Sasuke sentiva che era inutile fare finta di niente e continuare a girare intorno alle questioni.
“Oh, ma Itachi è lontano dall’essere perfetto, te lo assicuro” rispose Gaara, con tranquillità. Diversamente da altre volte non si sentiva nervoso al pensiero di toccare dei tasti delicati, forse era il vino, forse era soltanto il momento giusto. “Comunque mi ha raccontato della vostra discussione – lo informò, affrettandosi ad aggiungere – non nei dettagli ovviamente. Solo che gli hai rivelato del… insomma del tuo interesse verso gli uomini e che avevamo avuto una relazione.”
Aveva avuto difficoltà nel pronunciare quella parola, come se solo tre lettere fossero state in grado di marchiare a fuoco la pelle di una persona. Ci pensò però Sasuke a colmare quel vuoto.
“Sì, gli ho detto di essere gay.”
Lo aveva detto ad alta voce al fratello, allo psicologo, a Naruto, ma mai a Gaara che meritava di saperlo, perché Sasuke non avrebbe più rinnegato la sua natura, non si sarebbe più nascosto e questo poteva aprire un ventaglio di scenari ampio, se lui avesse voluto.
Gaara in effetti vide le sue spalle dritte, l’aria fiera con cui aveva parlato, molto diversa da quella del ragazzo schivo che si guardava intorno furtivo ogni volta che uscivano dal bar o semplicemente camminavano fianco a fianco per strada, con la frangia calata a nascondere il viso.
“Mi fa piacere che tu sia riuscito a chiarirti con te stesso. Direi che questo merita un brindisi” sorrise facendo tintinnare di nuovo i loro bicchieri.
Bevvero e mangiarono in silenzio qualche momento, ma poi la curiosità di Sasuke ebbe la meglio:
“So che non sono affari miei, ma… tu come hai capito di essere gay? Insomma cosa ti ha fatto definitivamente mettere una croce sopra alle donne e al fatto che non ti piaceranno mai?”
Non voleva solo conoscere meglio Gaara, ma voleva anche sapere come altre persone avessero affrontato il suo stesso percorso. Avrebbe potuto chiedere al fratello come aveva scoperto della sua bisessualità, ma con lui si sentiva inibito di fronte a discorsi così intimi. Se poi era stato davvero Shisui ad aiutarlo in quel periodo, non era sicuro di voler venire a conoscenza delle gesta del cugino.
Gaara posò la forchetta e prese altro vino, non era una domanda semplice, perché riportava alla mente ricordi scomodi e verità che dovevano rimanere nascoste. Tuttavia non voleva tirarsi indietro ora che Sasuke sembrava essere più aperto e disposto al dialogo, quindi cercò di trovare un compromesso.
“Ecco, all’inizio non è che ci pensassi, il sesso non era il mio chiodo fisso a differenza degli altri adolescenti. Semplicemente è capitato con un altro ragazzo e poi… dopo quell’esperienza, ho provato anche a baciare delle ragazze, ma non provavo niente. E non erano loro a catturare la mia attenzione, sempre e solo uomini, quindi direi che è stato abbastanza chiaro. Poi io, a differenza tua, non avevo una famiglia che mi potesse giudicare o a cui rendere conto, è un bel peso in meno da affrontare.”
Per tutto il tempo non lo aveva guardato, perché pensare a Kankuro, a quello che un tempo credeva fosse tutto il suo mondo, l’unica persona in grado di comprenderlo, era difficile. L’amato fratello si era rivelato essere tutto il contrario, cancellando l’uomo epico di cui serbava il ricordo e quella era la prima volta in cui raccontava ad alta voce ciò che più si avvicinava alla verità. Chissà come avrebbe reagito Sasuke se gli avesse detto di aver fatto sesso col proprio fratello? Sicuramente ne sarebbe stato disgustato, incredulo e costernato, soprattutto se avesse pensato al rapporto normale e pulito che aveva con Itachi. Quella verità sarebbe dovuta morire con lui, anche se a causa del ritorno di Kankuro nella sua vita, negli ultimi mesi si era ritrovato a pensarci più spesso del solito e a desiderare di alleggerire quel peso che sentiva gravare sulle spalle.
Sasuke notò la sua difficoltà, il modo in cui rifuggiva il suo sguardo, ma non immaginava di certo che Gaara stesse nascondendo certi pesi, credeva solo che fosse in imbarazzo e a disagio per qualche ricordo non propriamente felice.
Lo aveva colpito il riferimento alla famiglia, segno che il segretario avesse capito anche cose che Sasuke non gli aveva detto, inoltre gli ricordò la sua vita in orfanotrofio. La curiosità era stata stimolata da quei dettagli di un passato sconosciuto quindi, invece di cambiare discorso, domandò ancora:
“Adolescente? Scusa ma quanti anni avevi quando hai avuto la tua prima esperienza?”
Gaara posò il bicchiere e stavolta lo guardò in faccia, i suoi occhi erano glaciali, duri, e la sua risposta fu altrettanto secca:
“Quindici anni. Ho scopato per la prima volta a quindici anni, soddisfatto ora?”
Sasuke rimase interdetto sia dalla risposta, sia dal modo in cui l’altro si era rivolto, in netto contrasto con la tranquillità e la serenità che avevano contraddistinto quella serata, e capì di aver esagerato.
“Scusa – era raro che lo dicesse, ma quella volta era necessario – non intendevo infastidirti.”
Gaara lo guardò ancora e il ghiaccio che lo avvolgeva sembrò sciogliersi un po’. Si posò le mani sulle cosce e ingobbì appena le spalle, capendo di essersi comportato da stronzo.
“No, scusami tu. Sei solo curioso di sentire le esperienze di qualcun altro che ci è passato prima di te, lo capisco. D’altronde finora avevamo sempre evitato argomenti tanto personali, è solo… – cercò le parole adatte – per me è difficile parlare di quel periodo e di lui, tutto qui. Però puoi farmi tutte le domande che desideri, non mordo più, lo giuro.”
Sasuke osservò il suo mezzo sorriso di breve durata e giocherellò con il manico della forchetta, indeciso. La sua natura diffidente lo spingeva a metterlo alla prova, per vedere se davvero Gaara avrebbe mantenuto la sua parola, perché per lui mettere continuamente alla prova l’affetto e la lealtà di chi lo circondava era naturale, quasi come un riflesso spontaneo. In quel caso però forse avrebbe dovuto evitare di farlo, per non spingere Gaara con le spalle al muro e, in quel modo, dimostrargli fiducia. Si ritrovò tuttavia a parlare, ma non per testarlo, bensì per pura e semplice curiosità, qualcosa a cui si abbandonava raramente, spesso fingendo che non gli interessasse nulla anche delle persone a cui voleva bene.
“Quindi è successo con un altro ragazzo dell’orfanotrofio? Lo stesso che ti ha chiamato il giorno del tuo compleanno?” Ricevette in risposta un semplice cenno d’assenso con la testa così continuò “Per quanto tempo ci hai vissuto?”
Gaara si umettò le labbra con la lingua, era davvero difficile rispondere a domande in realtà tanto semplici e interessate, non solo curiose. Perché Sasuke era interessato a lui, al suo passato, a conoscerlo meglio in toto e, forse proprio per quel motivo, aveva paura di deluderlo, di dire qualcosa che lo avrebbe compromesso ai suoi occhi e avrebbe ucciso l’interesse che provava nei suoi confronti.
“Da che ne ho memoria. Mi hanno detto che mia madre è morta nel farmi nascere e che dopo un po’ mio padre sparì, abbandonando me e i miei fratelli, ma sinceramente non so se sia vero o solo un’invenzione di quegli aguzzini che mandavano avanti l’orfanotrofio. Verso i quattro anni mia sorella venne mandata in un altro istituto e io e mio fratello finimmo in una specie di orfanotrofio-collegio maschile. Non uscivamo mai da lì, studiavamo e vivevamo sempre tra le stesse mura, raramente ci portavano in gita: eravamo tanti e non era semplice organizzare escursioni. A volte uscivamo di nascosto la sera, ma le punizioni erano severe quando ci beccavano e io ero uno dei loro bersagli preferiti, in fondo non piangevo mai come piaceva a loro, né chiedevo scusa – fece un sorriso amaro – solo quando fummo adottati iniziammo a vivere davvero in mezzo alla gente. Avevo sedici anni, ma dopo qualche mese sono scappato, ho vissuto per strada e fatto lavori senza alcun contratto fino a che non sono diventato maggiorenne. Poi ho sempre lavorato e intanto studiavo per prendere il diploma, così sono finito dove sono ora. Insomma questa è la mia storia, niente di allegro o così incredibile, ma in fondo posso dire di essere stato fortunato e di essermela cavata.”
Non aveva avuto intenzione di raccontare così tanto di sé, ma una volta iniziato era stato difficile rimettere il coperchio su una pentola ribollente e strabordante. Così aveva lasciato che le parole fuoriuscissero, realizzando all’improvviso che quel weekend sarebbe stato fondamentale per il loro futuro, che senso aveva non mettere tutte le carte in tavola? Adesso o mai più.
Sasuke rimase basito da quelle rivelazioni, aveva intuito che il passato di Gaara fosse stato difficile, ma non avrebbe mai immaginato fino a quel punto. Si sentì all’improvviso così ragazzino coi suoi problemi futili, quando di fronte a sé aveva qualcuno che aveva letteralmente lottato per sopravvivere e non morire; in realtà non aveva mai smesso. Si vide coi suoi occhi, mesi addietro, un codardo viziato che pretendeva senza dare nulla in cambio, che lo usava per soddisfare il proprio personale ego e nient’altro. In fondo il giorno della laurea, quando Gaara era andato là solo per lui e poi se ne era andato ferito, Sasuke, sotto alla rabbia e alla paura di essere scoperto, non aveva forse provato un sottile senso di soddisfazione per il potere che riusciva a esercitare su un’altra persona?
Forse iniziava a convenire con gli altri quando gli dicevano scherzando che quello psicologo valeva ogni centesimo che prendeva.
“Mi spiace, non volevo andare a svegliare fantasmi sepolti. Hai avuto davvero una vita difficile e poi ti sono capitato io in mezzo. Sicuro di non essere stato Hitler in una vita precedente?”
Non fece menzione dei fratelli, perché l’altro gli aveva sempre lasciato intendere di non avere nessun famigliare, magari erano morti o forse si erano allontanati; qualunque fosse il motivo sicuramente non era niente di facile o allegro e Sasuke sentiva di aver già spinto abbastanza sull’acceleratore per quella sera. Non voleva tirare in ballo altri argomenti dolorosi solo per saziare la sua curiosità, magari ne avrebbero parlato un’altra volta, perché sperava di poter parlare con lui ancora a lungo in futuro.
Gaara invece rimase attonito qualche secondo, per poi semplicemente scoppiare a ridere. Sasuke che faceva autoironia e ammetteva di essere una merdaccia non era certo qualcosa che accadesse tutti i giorni, peccato non averlo registrato.
“Ma no, ma no – disse con ancora il riso sulle labbra – in fondo sono fortunato: mi fai domande perché sei interessato, no?”
Sasuke ebbe il prepotente istinto di alzarsi e andarlo a baciare, mentre sorrideva ancora, per sentire se avesse un sapore diverso, non lo aveva mai visto tanto divertito e gli piacque persino la sua risata sincera. Tuttavia si trattenne e mormorò soltanto:
“Già.”
Guardò la tavola, col cuore che sbatteva contro le coste, tanto pulsava velocemente; in pratica si era appena confessato e si sentiva così stupido e in imbarazzo che cercò qualcosa per cambiare il discorso, dal momento che l’altro non diceva più niente.
“Visto che abbiamo finito di mangiare lavo i piatti e poi sarà il caso di andare a letto, domani sarà una giornata impegnativa.”
Gaara annuì, ora serio, e si alzò dicendo:
“Ci penso io qui, è il minimo dopo che hai cucinato. Tu va’ pure a fare una doccia o a dormire.”
“Ok, grazie, farò una doccia” replicò Sasuke per poi sparire nel corridoio.
Gaara lo seguì con lo sguardo finché poté, per poi mettersi al lavoro. Sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa, ma si era bloccato; non aveva più dubbi sulle reali intenzioni dell’architetto, ma il problema era un altro: aveva paura. Paura di lasciarsi andare e rimanere di nuovo ferito, in fondo se lo aveva fatto suo fratello, un estraneo come avrebbe mai potuto avere cura di lui?
Sistemò in fretta la cucina e si rifugiò in camera per non incontrare di nuovo Sasuke quella sera. Al caldo, sotto le coperte, su quel letto comodo, lo sentì muoversi nella stanza a fianco e desiderò… desiderò che fosse lì, desiderò trovare quel coraggio che gli permettesse di fare l’ultimo passo verso di lui.

 

***

 

L’atmosfera nel locale era distesa, esattamente quella che invitava a rilassarsi, chiacchierare e bere perdendo di vista l’orologio. Era piuttosto affollato essendo venerdì sera, ma Itachi e Shisui erano comodamente seduti ad un tavolino con un divanetto e sorseggiavano i loro drink.
Shisui era finalmente riuscito a portare il cugino in quel – per loro – famoso gay bar dove lavorava Deidara, il barman fenomenale, e dove il maggiore dei due Uchiha aveva scorto più volte Gaara in passato e, infine, dove quest’ultimo e Sasuke si erano conosciuti. Un bel po’ di coincidenze per quelle quattro mura.
Itachi comprese come mai il fratello avesse scelto proprio quel locale: era discreto, non eccessivamente rumoroso e, anche se le vetrate non erano trasparenti per garantire una certa privacy alla clientela, all’interno si poteva cogliere al massimo qualche bacio qua e là. Niente orge, frustini e appariscenti drag-queen, stereotipi che popolavano l’immaginario e le paure dell’eterosessuale medio.
I due cugini stavano conversando senza fretta, era da parecchio che non si vedevano, soprattutto perché Itachi era stato oberato di lavoro, però era felice di essersi liberato quella sera e di aver accettato l’invito di Shisui. Era evidente che l’altro aveva qualcosa che non andava.
Pur sentendosi per telefono, l’avvocato non riusciva a cogliere le molteplici e sottili sfumature del carattere del cugino da dietro uno schermo. L’uomo era troppo sfaccettato e complicato per poterci riuscire, nonostante lo conoscesse da una vita; a volte si chiedeva addirittura se fosse davvero così, se lo conoscesse davvero, a volte rimaneva ancora spiazzato da lui.
“Dovremo tornare a casa in taxi?” gli domandò dato che aveva perso il conto dei suoi drink bevuti.
Shisui assottigliò gli occhi grandi per guardarlo infine, fingendo un’aria dotta, esclamò:
“Risposta esatta! Qualche problema?”
Erano venuti con la sua macchina, ma lui non era in condizione di guidare e anche Itachi aveva bevuto abbastanza. Quest’ultimo scrollò la testa, muovendo anche la folta coda dicendo:
“Figurati, avrei preferito saperlo, però.”
“È questo il bello dell’imprevisto, altrimenti non usciresti con me” sorrise l’altro, con le sue guance rosse e l’aria rilassata che sembrava dipinta addosso.
Itachi rise piano e, suo malgrado, si trovò a convenire, in fondo il cugino era la vera e unica variabile impazzita del suo mondo accuratamente ordinato e gli piaceva che fosse così.
Anche Shisui rise, ma la sua risata ebbe vita breve perché notò perfettamente un tipo che aveva puntato Itachi. Non era il primo della serata, ma quasi tutti desistevano vedendoli insieme, però ce ne era stato qualcuno di più coraggioso che sfidava l’aria impassibile di Itachi e quella corrucciata di Shisui per cercare di rimorchiare l’altro in modi più o meno espliciti. C’era stato chi gli aveva offerto da bere, chi gli aveva lasciato un bigliettino col numero e chi gli aveva addirittura proposto un tour dei bagni, ma Itachi aveva sempre declinato senza scomporsi e il sorriso era tornato sulle labbra imbronciate del cugino.
Aveva immaginato che una faccia nuova e affascinante avrebbe attirato l’attenzione in un posto simile, ma aveva voglia di uscire con lui ed essere libero, senza stare attento se si sfioravano per sbaglio o si guardavano negli occhi troppo a lungo.
“Allora, Sasuke e Gaara sono partiti?” gli domandò prendendo un altro sorso del proprio drink.
Itachi annuì:
“Sì, oggi pomeriggio. Sasuke è passato a prenderlo e immagino saranno ormai arrivati da un po’.”
“Come va tra di loro?”
Itachi si prese qualche istante per riflettere, poi disse:
“Non ne sono sicuro. Sasuke non mi viene a raccontare certi dettagli, né io glieli chiedo, e non mi sembra un argomento di discussione da tirare fuori in ufficio con Gaara. Credo tutto sommato bene visto che stanno partendo, Gaara mi sembrava abbastanza contento, anche se un po’ preoccupato. Forse non avrei dovuto fargli vedere le foto dei lividi che mi sono fatto con lo snowboard.”
Shisui lo guardò, spostandogli una ciocca di capelli dietro l’orecchio, un gesto semplice ma che non avrebbe potuto fare in un locale qualsiasi.
“Quindi… tu sei fuori dai giochi?”
“Non ci sono mai entrato in realtà – sospirò piano, lasciandolo fare – se Gaara non avesse mai conosciuto Sasuke, sarebbe stato diverso, ma non è così. E, nonostante tutto, entrambi sono più presi di quanto pensano, altrimenti anche a distanza di mesi e di tutto quello che è accaduto, Sasuke non sarebbe andato a cercarlo, ma soprattutto Gaara non avrebbe accettato di frequentarlo di nuovo, non credi anche tu?”
Shisui sorrise, un sorriso malinconico, strano:
“Già, la gente è stupida. Non capisce i propri sentimenti, figurarsi quelli di chi ci sta intorno. E come sta il tuo cuore infranto?”
Itachi rimase un po’ sorpreso dalla sua affermazione, ma la archiviò come una specie di delirio da ubriaco, senza darle l’importanza che avrebbe meritato.
“Nessun cuore infranto – rispose – era solo un interesse morto quasi prima di nascere, niente di più.”
Shisui aggrottò appena la fronte, ma non replicò, invece dopo qualche istante domandò:
“Ti piace quel tizio? È da parecchio che vi scambiate degli sguardi, o anche lui è un altro interesse e basta?”
Itachi smise di guardare l’uomo seduto al bancone: Shisui aveva ragione, era almeno mezz’ora che si lanciavano occhiate. Guardò invece il cugino, il suo viso serio e scosse appena la testa, chiedendo:
“In effetti lo trovo affascinante, mi incuriosisce, ma non andrò mai da lui, lo sai, no?”
“Lo so?”
Itachi rimase interdetto dinanzi a quell’interrogativo e si limitò a guardarlo, ma non funzionava: i suoi occhi attenti, sempre capaci di leggere negli altri, in quel momento erano inutili: gli restituivano solo l’espressione contratta di quel bel viso che era abituato a vedere sorridere. Si sentì stringere lo stomaco nel vederlo a quel modo, tanto che si decise a domandare senza troppi giri di parole:
“Mi spieghi che diavolo succede? Che ti prende stasera?”
Non era proprio da lui chiedere così direttamente, era un segno della sua esasperazione e Shisui lo sapeva bene. Incrociò le braccia davanti al petto e lo guardò con aria fintamente divertita:
“Il grande principe del foro non ci arriva? Oppure la verità va bene solo per gli altri e tu continuerai a nasconderti dietro i tuoi segreti?”
Itachi tacque. Quelle parole erano taglienti, facevano male, il cugino sembrava deriderlo ed era qualcosa che in quegli anni non aveva mai fatto. Si irritò perché qualcosa sfuggiva alla sua comprensione, il suo mirabile cervello proprio non voleva saperne di trovare il tassello mancante del puzzle e Shisui pareva intenzionato a non fornirglielo, limitandosi a prendersi gioco di lui.
“Vedi di finirla o ti mollo qui” sbottò, piccato.
“Molleresti da solo un povero ubriaco col cuore spezzato? Sei crudele, Itachi.”
Il ragazzo cambiò subito atteggiamento, riscoprendosi preoccupato.
“Cosa? Credevo non stessi uscendo con nessuno in questo periodo – disse stringendogli un braccio – cos’è successo? Perché non mi hai raccontato niente?”
Shisui lo guardò con gli occhi grandi spalancati, il che era abbastanza comico sulla sua faccia da ubriaco, ma nessuno dei due rise anche se le labbra del maggiore si piegarono in un sorriso amaro.
“Cazzo, Itachi! – esclamò – Ma allora davvero non hai mai capito un cazzo!”
Scosse la testa incredulo, ma non aggiunse altro.
Itachi avvertì un senso di disastro ineluttabile, come quando si vede chiaramente l’altra automobile venire addosso ma non si può fare nulla per evitarla. Allo stesso modo lui non sterzò, non cambiò traiettoria, bensì andò dritto verso quello scontro; non avrebbe potuto fare diversamente. Lo doveva a Shisui, per tutto quello che avevano condiviso, per il loro passato, il presente e il futuro, doveva gettarsi nel burrone assieme a lui e sperare che la caduta non fosse troppo rovinosa.
“Cos’è che non capisco?”
Fu un grandissimo sforzo per lui dover inghiottire l’orgoglio e ammettere la propria incapacità a comprendere i suoi limiti nei confronti di quel cugino che era il suo punto fermo.
Shisui rimase in silenzio, la sua bocca sembrava sigillata, ma in realtà era solo piena di parole pericolose, affilate e taglienti come cocci di vetro che gli stavano squarciando la carne delicata, sentiva che presto il sangue sarebbe colato fuori e loro assieme a esso, non sarebbe più riuscito a rimanere zitto. Per quello decise di agire, di sporcare anche Itachi con il sangue e di ferirlo con quei cocci: lo baciò. Gli aprì la bocca con la lingua e divise con lui quel peso, afferrandogli la nuca con una mano, impedendo che si allontanasse per fargli bere la sua risposta amara fino in fondo.
“Questo è quello che non capisci – gli sussurrò Shisui a fior di labbra – o forse non hai mai voluto capire niente; più comodo, non trovi?”
Itachi si morse un labbro che già gli pulsava, perché quel bacio non era stato morbido, né delicato, era stato esigente, irruento e doloroso nella sua verità; finalmente nella sua mente la nebbia si stava diradando, ma non era sicuro di voler vedere cosa ci fosse al di sotto. Non avrebbe mai creduto che la situazione potesse essere così seria, forse già fin troppo compromessa, ma la colpa era sua, solo sua che non aveva capito… o forse era di Shisui che era fin troppo bene a mascherare i suoi sentimenti, anche più di Itachi?
“Perché, Shisui? Perché ora, perché non mi hai mai detto nulla?” gli domandò, nonostante tutto.
Non poteva fare finta di nulla, anche se sarebbe stato più semplice, non avrebbe mai potuto farlo con lui.
Il cugino gli sorrise, ma era un sorriso brutto, triste, non il solito che gli vedeva sempre aleggiare sulle labbra e che adorava.
“Perché finora non hai mai mostrato molto interesse verso gli altri uomini. Oltre me hai avuto solo altre due storie di poco conto, hai sempre preferito le donne. Credevo fossi davvero innamorato di Konan, le hai dato le chiavi del tuo appartamento, pensavo che l’avresti sposata e avrei visto tanti mini Itachi scorrazzare in giro – era difficile mantenere la lucidità ubriaco com’era, ma tenne duro –con Gaara però qualcosa è cambiato, ora guardi gli uomini con occhi diversi. Dovrei quindi lasciarti andare da quel tizio al bancone o da uno di quelli che ti hanno dato il numero senza alzare un dito? Per chi cazzo mi hai preso, Itachi? Pensi che continuerei ad andare a letto con mio cugino per anni, rispettandolo ogni volta che è fidanzato, solo per divertimento? Che cazzo ti sei raccontato in questi per tutto questo tempo?” Si bloccò e gli mise un dito sulle labbra per impedirgli di parlare mentre lo scrutava con gli occhi lucidi e grandi per l’alcool “No, la domanda giusta è: ti sei mai chiesto qualcosa? No, vedendo la tua faccia sorpresa deduco di no – scosse la testa – cazzo, possibile che non hai mai riflettuto sul fatto che solo a me permetti di scoparti, che vieni sempre a cercarmi quando una tua relazione finisce o se hai problemi? Cosa sono per te? Un balsamo da mettere sulle tue ferite e poi da riporre nell’armadietto quando non serve più?”
Sapeva di essere ingiusto, perché Itachi teneva a lui, ma quella sera non era lucido, il grumo di sentimenti che per anni aveva compresso dentro di sé stava esplodendo e rilasciava tutt’attorno la sua scarica venefica.
Itachi intanto era sconvolto, aveva ascoltato il suo sfogo incredulo, aveva visto i suoi lineamenti mutare, distorcersi, portandolo a chiedersi se era veramente il cugino quello che gli sedeva accanto.
Forse, per la prima vera volta nella sua vita, era sotto shock, incapace di processare le informazioni ricevute e di confezionare una risposta adeguata e gli occhi di Shisui lo guardavano, erano grandi, scuri e dalle ciglia lunghe, gli erano sempre piaciuti. Ma ora lo fissavano e attendevano una risposta che lui non riusciva a dare, perché davvero non si era mai posto domande sul loro rapporto. Aveva sempre dato per scontato che Shisui ci sarebbe sempre stato, non aveva badato al fatto che a volte era stato fidanzato quando lo era andato a cercare e il cugino, che era sempre fedele e non era mai sleale con i suoi partner, aveva tradito; per lui, solo per lui. Ma Itachi non ci aveva mai dato peso, aveva preteso e basta, nella cieca illusione che non servissero spiegazioni, che Shisui non avesse bisogno di niente di più di quello che gli dava.
Ora si rendeva conto che non era così, ed era accaduto nel modo più drammatico possibile e lui ancora non riusciva a pensare a una risposta.
“Shisui, io…” mormorò, ma non aggiunse altro.
Il cugino scosse la testa e disse solo:
“Non preoccuparti, il vero coglione qui sono io.”
Prese il cappotto e si alzò, andandosene, senza voltarsi a guardarlo. Itachi lo vide barcollare lievemente, urtare anche qualcuno, ma l’altro andava dritto verso l’uscita e lui non lo fermava. Lo vide sparire attraverso la porta e non si sentì mai così solo, come in quel momento in mezzo a tutta quella folla.

 

   
 
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