Sei
il sale sulle mie ferite, eppure non riesco
a smettere
Sasuke
frenò dolcemente e la neve scricchiolò sotto le
ruote. Spense lo stereo che
aveva tenuto comunque a volume basso, poi girò le chiavi
della macchina, il cui
motore smise di girare, si accese la piccola luce
dell’abitacolo e lui si voltò
versò il sedile del passeggero dopo essersi tolto la cintura
di sicurezza.
Gaara era addormentato con la testa appoggiata al sedile, la bocca era
semiaperta e il leggero rumore del suo respiro si confondeva col
ticchettio del
motore che aveva iniziato a raffreddarsi.
Sasuke rimase
a fissarlo qualche istante: gli dispiaceva svegliarlo, ma non potevano
rimanere
lì a lungo, a breve il freddo avrebbe invaso
l’abitacolo, inoltre non lo aveva
portato in montagna per passare la notte in un SUV quando
c’era uno splendido
chalet ad attenderli.
Gli bastò
sfiorarlo di poco e l’altro si riscosse, sobbalzando sul
sedile. Si guardò
attorno spaesato per qualche istante prima di dire:
“Scusa,
mi sono addormentato senza accorgermene, non ti ho nemmeno fatto
compagnia
mentre guidavi.”
“Tranquillo,
sei molto stanco ed è bene che ti riposi il più
possibile per domani, le piste
da sci ci aspettano – lo informò – ora
però scendiamo e aiutami a scaricare la
roba.”
Si
infilarono in fretta i cappotti e andarono a recuperare le loro borse,
per poi
incamminarsi sul breve sentiero perfettamente pulito che li condusse
dalla
macchina allo chalet. Gaara in realtà aveva solo uno zaino
con poca roba, tutta
l’attrezzatura necessaria per la neve gliel’avrebbe
prestata Sasuke, gli aveva
detto che non aveva senso che spendesse soldi quando lui aveva
già tutto
l’occorrente. Gaara gliene era stato grato: non aveva denaro
da sprecare, ma la
cosa lo aveva comunque infastidito, perché gli ricordava il
divario tra di
loro, oltre al fatto di avere sempre avuto problemi
nell’accettare l’aiuto
altrui. Vedendo quel grande ed elegante chalet in cui entrarono, quel
disagio
non poté che acuirsi.
C’era un
grande ambiente subito dopo l’ingresso, sulla destra una
cucina con un grande
tavolo da pranzo, sulla sinistra un salotto con divani, poltrone, una
televisione e un caminetto ora spento; sul fondo una porta conduceva al
resto
dell’abitazione. Tutto l’arredamento era in legno,
ma l’effetto nel suo insieme
non era affatto grezzo, dava invece una sensazione di morbidezza e
calore; era
evidente quanto ogni dettaglio fosse stato curato per arrivare a quel
risultato.
I ragazzi
si tolsero i cappotti e li appesero, poi Sasuke iniziò a
trafficare con il
riscaldamento dato che faceva piuttosto freddo anche se non come
all’esterno.
“Ci mette
poco a riscaldarsi, ma posso anche accendere il caminetto se
vuoi” propose
guardando il suo ospite.
“Emh… non
serve, va bene anche così” rispose Gaara, sempre
più a disagio.
Il suo
palazzo era vecchiotto e il riscaldamento centralizzato, si andava da
giornate
in cui si moriva di caldo ad altre in cui si gelava quando si inceppava
la
caldaia, cioè abbastanza spesso. Invece in quello chalet
disabitato per la
maggior parte dell’anno ogni cosa era efficiente e
pulitissima; quando aveva
accettato l’invito non si era aspettato niente del genere.
D’altra parte non
era nemmeno mai stato sulla neve, che ne poteva sapere di come
funzionassero le
cose tra gente che non doveva mai preoccuparsi di arrivare a fine mese?
Sasuke
parve intuire il suo stato d’animo e decise di non dargli
modo di rimuginarci
sopra ancora, quindi disse:
“Muoviamoci,
ho fatto della spesa e bisogna sistemarla, dammi una mano.”
Gaara si
riscosse, prendendo una busta ai suoi piedi e andando verso la cucina.
Aprì un
paio di ante per vedere dove sistemare la roba, ma le trovò
piene di scatolette
e altre confezioni, anche il frigo non era vuoto. Lanciò
un’occhiata
interrogativa a Sasuke che sorrise:
“Non ci
sono i fantasmi qui, semplicemente ho avvertito il custode del nostro
arrivo.
Così ha provveduto a mettere qualcosa in dispensa, pulire e
portare la legna in
casa, anche se c’è un deposito giusto qui dietro.
Io però ho comprato qualcosa
di fresco, meglio delle scatolette, no?”
“Suppongo
di sì, anche se io ci vivo con quelle scatolette. Non sono
un gran cuoco e non
ho nemmeno tanto tempo per cucinare” rispose Gaara,
osservando l’altro prendere
gli ingredienti necessari per preparare la cena.
Fuori era
tutto buio, non si scorgeva nemmeno lo chalet vicino e la casa si stava
davvero
riscaldando velocemente; un bel contrasto con la distesa innevata che
ricopriva
ogni cosa.
“Io so
preparare giusto cose semplici, ma dovrei riuscire a non avvelenarci
stasera –
scherzò Sasuke guardandolo – perché non
vai a farti un bagno mentre cucino?”
Gaara
aveva ancora gli abiti con cui era andato a lavoro, la faccia era
sbattuta per
la stanchezza e il risveglio brusco, sicuramente un po’ di
relax lo avrebbe
aiutato a sciogliere la tensione.
“Un
bagno? Ma…”
“Ti farà
bene e poi io ci metterò un po’, non vorrei che le
tue scarse abilità da cuoco
mi contagiassero” lo prese in giro, vedendolo fare una
smorfia.
Gaara si
limitò a quella e lo seguì, finendo di vedere il
resto della casa. C’erano
molte camere da letto, Sasuke gli mostrò la sua,
più piccola ma vicina a quella
che lui abitualmente occupava quando era lì con la famiglia.
I bagni erano due
ma Sasuke lo condusse in quello più grande, gli diede un
accappatoio e tutto il
necessario per poi raccomandarsi di rilassarsi.
Una volta
solo, Gaara si sedette sul bordo della vasca, poggiando i gomiti sulle
ginocchia e prendendosi la testa tra le mani.
Che
diavolo ci faceva lì?
Era
passato circa un mese dal loro primo appuntamento, il giorno del suo
compleanno. Si erano rivisti nel suo ufficio per via dei lavori di
ampliamento
e anche un paio di volte al di fuori, a bere una birra o mangiare
qualcosa
assieme. Si mandavano messaggi seppur non quotidianamente: nessuno dei
due era
un gran chiacchierone, ma avevano scoperto di avere alcuni interesse in
comune
e qualche commento dopo la puntata settimanale del loro telefilm
preferito era
d’obbligo.
Nel frattempo
Gaara aveva concluso gli esami per quella sessione pochi giorni prima,
mentre
Sasuke era abbastanza libero dopo la consegna del progetto del nuovo
grattacielo; entrambi avevano quindi pensato che sarebbe stato il
momento
ideale per il loro weekend in montagna. Era fine febbraio e
c’era ancora
un’ottima neve, apparentemente tutti i presupposti parevano
perfetti, ma Gaara
si rese conto di aver preso la situazione troppo sottogamba.
Al di là
del fatto che non aveva mai sciato e che il giorno seguente si sarebbe
probabilmente ammazzato sulle piste, non aveva davvero capito
l’impatto che gli
avrebbe causato stare due giorni interi esclusivamente con Sasuke.
Non si
sarebbe trattato solo di condividere la stessa casa o dormire in camere
vicine,
bensì sarebbe praticamente dipeso da lui per ogni cosa. Gli
aveva prestato abiti
e attrezzature per la neve, la macchina con cui erano arrivati era la
sua e,
senza di lui, non avrebbe saputo dove andare e probabilmente sarebbe
morto,
inciampando in mezzo a qualche cumulo di neve. In quei giorni Sasuke
sarebbe
stato il suo punto di riferimento per ogni cosa.
Gaara
chiuse gli occhi e si passò le mani tra le ciocche rosse,
respirò profondamente
tentando di calmarsi. Anche quando viveva ancora con Kankuro aveva
imparato a
non dipendere da lui ma a rivedersi da solo le proprie questioni,
quando poi
era scappato ed era rimasto solo, la cosa non era più stata
una scelta bensì
una questione di sopravvivenza. Non era abituato a fare affidamento su
qualcuno, specialmente se con quel qualcuno il rapporto era ancora
lontano
dall’essere chiaro.
Lui e
Sasuke non erano amici, nemmeno amanti o tantomeno fidanzati, non
sapeva cosa
aspettarsi da lui e la faccenda lo destabilizzava, in fondo non aveva
mai avuto
una relazione seria, solo partner occasionali; era la prima volta che
si
trovava in una situazione simile, sospeso tra l’attrazione
fisica e una conoscenza
più profonda.
Si mise
in piedi e decise di non pensarci, quei dubbi non lo avrebbero portato
da
nessuna parte, meglio farsi un bagno e rilassarsi, ormai era in ballo e
non
poteva certo tirarsi indietro. Insomma, aveva affrontato situazioni ben
peggiori in vita sua, cosa sarebbe mai stato un weekend in montagna?
Aprì
l’acqua calda, versò del bagnoschiuma profumato e
iniziò a spogliarsi, incitato
dal tepore della stanza. Era rimasto in boxer e camicia slacciata
quando sentì
bussare alla porta.
“Gaara,
sei già dentro la vasca?”
Il
ragazzo chiuse i rubinetti e andò ad aprire, lo fece
istintivamente senza
pensare a mettersi qualcos’altro addosso, e vide Sasuke sulla
soglia con un
bicchiere in mano.
“Ecco… ho
pensato che un po’ di vino poteva aiutarti a
rilassarti” gli spiegò
l’architetto cercando di guardarlo in faccia, ma
inesorabilmente il suo sguardo
si perdeva sulla curva del collo, o sul petto pallido a malapena celato.
“Grazie”
rispose Gaara prendendolo.
Nessuno
dei due si mosse e rimasero a guardarsi in un’atmosfera
strana, tesa, come se
fossero in procinto di fare qualcosa di importante, essenziale quasi
quanto
respirare. Sasuke però fece un passo indietro:
“Ti
aspetto, prenditi il tempo che vuoi” disse allontanandosi e
Gaara fece in tempo
a vedere le sue guance lievemente arrossate, sicuramente non dovute al
riscaldamento.
Richiuse
la porta e finì di spogliarsi, per poi entrare
nell’acqua calda profumata. In
mezzo alla schiuma e con un bicchiere di ottimo vino rosso si
sentì molto
privilegiato, scoprì che avrebbe potuto passare anche ore
immerso lì, non
avrebbe avuto bisogno d’altro.
Bevve un
sorso che lo riscaldò piacevolmente, poi poggiò
la nuca contro la vasca,
immergendosi di più. Chiuse gli occhi e tentò di
non pensare a nulla,
lasciandosi cullare dalle piacevoli sensazioni dell’acqua
calda. La sua mente
vagava libera, passava da un pensiero all’altro, rimbalzando
come una pallina
da ping-pong in una partita infinita, ma alla fine si
soffermò sui ricordi più
recenti. Sasuke alla porta, col bicchiere in mano, il suo imbarazzo, lo
sguardo
che lo carezzava come fossero state mani e Gaara comprese che quei due
giorni
sotto lo stesso tetto sarebbero stati difficili, perché la
tensione sessuale
tra di loro era innegabile.
Dopo il
bacio la sera del suo compleanno, non ce ne erano stati altri,
né avevano fatto
sesso, ma ora la situazione era diversa: non erano andati a cena per
poi
salutarsi e finire a dormire ognuno nel proprio letto, bensì
i loro letti
sarebbero stati maledettamente vicini.
Sasuke
gli aveva fatto intendere bene anche senza parole che da parte sua
c’era molto
interesse anche da quel punto di vista, ma si era tirato indietro e
Gaara non
poté che apprezzarlo per questo. Perché, se
l’altro lo avesse baciato, non era
certo che lo avrebbe respinto o non avrebbe finito per farci sesso. Era
da mesi
che non andava a letto con qualcuno, l’ultimo era stato
Sasuke, e ora che la
sua vita sembrava essersi stabilizzata, smettendo di vorticare
impazzita, lui
aveva un po’ più di tranquillità
mentale per rendersi conto di tutti i bisogni
ignorati negli ultimi tempi.
Sdraiato
in quella vasca spaziosa in cui due persone sarebbero entrate
comodamente, non
poté evitare di immaginare Sasuke a fianco a lui, a quello
che sarebbe potuto
succedere, alle mani che avrebbero carezzato la sua pelle scivolosa per
l’acqua, i capelli umidi e le labbra invitanti.
Avvertì
distintamente la sua erezione svegliarsi ed ergersi al di sopra del
pelo
dell’acqua. Prese il vino e ne bevve un sorso, fissandola.
“E adesso
che accidenti dovrei farci con te?” sospirò
chiudendo gli occhi. Quei due
giorni avrebbero messo a dura prova i suoi nervi.
Sasuke
sentì la porta del bagno aprirsi e poco dopo quella di
un’altra stanza
chiudersi, segno che Gaara era andato nella sua camera da letto.
A quel
punto mise a cucinare le bistecche e guardò la tavola
apparecchiata con la
bottiglia di vino già aperta, le verdure che aveva preparato
mentre aspettava e
valutò con occhio critico se tutto fosse a posto, se non
fosse eccessivo.
Poi si
mandò al diavolo.
Sasuke,
è solo una fottuta tavola
apparecchiata, in una fottuta casa. Non ci sono candele sul tavolo,
né petali
di rose sparsi in giro, che diavolo dovrebbe vedere Gaara se non una
tavola
piena di cibo pronto per essere consumato? Datti una calmata o rischi
di
mandare tutto a puttane, altrimenti a che cosa sarebbe serviti gli
sforzi di
quest’ultimo mese di andarci con calma, di conoscervi e basta?
Sasuke
diede ragione alla propria coscienza che nel suo immaginario aveva la
faccia
del suo psicologo; inquietante, ma non riusciva a togliersi
quell’immagine
dalla mente.
Girò la carne
e il suo stomaco gorgogliò dinanzi all’odore
delizioso che si stava
sprigionando; in effetti era tardi, ma il viaggio era stato lungo e poi
pensò
che erano in vacanza, non avevano alcun orario da rispettare. Anche se
il
giorno seguente dovevano andare sulle piste da sci, potevano alzarsi
quando
volevano, nessuna sveglia li avrebbe buttati fuori dalle coperte
all’alba.
Domani
mattina posso svegliarlo io, magari
portargli il caffè a letto
–
iniziò a riflettere, ma un'altra voce si intromise.
Certo,
magari lo bevete assieme, tu ti siederai
sul materasso, lui ti chiederà se hai freddo e se vuoi
metterti sotto le
coperte, tu accetterai e poi… addio piste da sci.
Sasuke
scrollò con forza la testa, dandosi del coglione per quelle
trame da filmino
porno di quarta categoria. La verità era che Gaara gli
piaceva, aveva voglia di
fare sesso con lui e vederlo mezzo nudo prima non aveva aiutato i suoi
propositi di freddezza, ma non voleva essere il primo a farsi avanti se
l’altro
non si dimostrava altrettanto bendisposto. Forse Gaara avrebbe pure
accettato
di finire a letto insieme, in fondo era già successo in
passato, ma quello che
Sasuke aveva capito con più chiarezza in quel periodo era
che voleva qualcosa
di più da lui.
Gli
piaceva parlargli, quel loro tenersi sempre sul filo dello scontro, il
modo in
cui si tenevano testa perché erano entrambi orgogliosi e
testardi, nonostante
ciò avevano iniziato a venirsi incontro, a lasciare
all’altro un piccolo
spiraglio in cui infilarsi; lo stavano imparando insieme e questo gli
piaceva
moltissimo. Inoltre Gaara era un tipo tosto, ironico, con un sacco
d’interessi
e Sasuke si era dato dello stupido per non averli scoperti quando si
frequentavano mesi prima. All’epoca era davvero un coglione
per essersi
limitato ad andarci a letto, quando c’era così
tanto da scoprire in quel
ragazzo.
Non
devi incolparti così: eri diverso, non eri
pronto, tutto qui. Ora sta a te, a questa tua nuova coscienza, non
rovinare
tutto o comunque cercare di ottenere quello che desideri sul serio,
perché ora
sai ciò che vuoi, giusto? Non hai più bisogno di
mentirti o nasconderti, non
più, Sasuke, stai conquistando la tua libertà.
La voce
del suo psicologo gli risuonò con forza in testa e lui fece
una smorfia
irritata, si sentiva davvero uno psicopatico con tutte quelle voci che
gli
parlavano, se la situazione non si fosse chiarita presto, la prossima
vacanza
l’avrebbe fatta in una stanza con le pareti imbottite.
Mise le
bistecche sui piatti e, mentre le portava a tavola, vide Gaara venire
verso di
lui con il bicchiere vuoto in mano, i capelli ancora un po’
umidi, il viso
arrossato probabilmente dal calore del bagno e un’espressione
distesa.
“Hai
avuto veramente un’ottima idea, sto meglio – lo
informò per poi guardare la
tavola – ma quanta roba hai preparato?”
Sasuke
scrollò le spalle, gli riempì di nuovo il
bicchiere e fece lo stesso col
proprio dicendo:
“Niente
di che, dovresti vedere che combina mia madre” si morse la
lingua dandosi dello
stupido, era veramente una cosa intelligente da dire a uno cresciuto in
orfanotrofio!
Gaara
però non sembrò essersela presa, anzi sorrise e
si accomodò:
“Mi
sorprende che tu e Itachi non siate due ciccioni allora –
prese il vino –
mangiamo? Ho veramente fame e tutto sembra buonissimo.”
Sasuke si
sedette a sua volta, sollevato, e avvicinò il bicchiere al
suo, facendo
tintinnare il vetro.
“Alla tua
prima volta sulla neve” disse per poi bere così
come l’altro.
“Già,
devo veramente ringraziarti per avermi invitato.”
L’architetto
fece una smorfia mentre tagliava la bistecca:
“Non
serve che mi ringrazi, te l’ho detto che questo era il tuo
regalo di
compleanno. In realtà ne sto approfittando, avevo bisogno di
una pausa, e non
venivo qui da Natale.”
Gaara
mandò giù un boccone trovando tutto squisito,
pensando che Sasuke aveva molte
altre qualità nascoste che gli stava finalmente permettendo
di scoprire. Era un
peccato che pochi avessero questa opportunità dato il suo
carattere chiuso, ma
si ritrovò a riflettere che avrebbero potuto dire lo stesso
di lui.
“Già, a Natale
tu eri qui” disse guardandosi intorno e cercando di
immaginare come doveva
essere stata la casa in quei giorni, piena di parenti,
nonché lo stato d’animo che
lo aveva spinto a telefonargli per parlargli. Una cosa banale, ma per
Sasuke la
comunicazione non era un concetto così scontato come per
tante altre persone.
Questi
intanto aveva lo sguardo puntato sul piatto, attentissimo a tagliare la
bistecca come se avesse bisogno di un grande impegno per affondare in
quella
carne tenera.
“Già, ero
in camera mia quando ti ho telefonato – rivelò,
rispondendo alla sua domanda
inespressa – poi è entrato mio fratello che aveva
origliato e gli ho raccontato
tutto. Incredibile, eh? Itachi uno spione, non il fulgido esempio di
perfezione
che appare.”
Fu
difficile raccontargli quelle cose pur ammantate da un velo di pungente
ironia;
la parte faticosa non era quella del fratello spione ovviamente, ma
Sasuke
sentiva che era inutile fare finta di niente e continuare a girare
intorno alle
questioni.
“Oh, ma
Itachi è lontano dall’essere perfetto, te lo
assicuro” rispose Gaara, con
tranquillità. Diversamente da altre volte non si sentiva
nervoso al pensiero di
toccare dei tasti delicati, forse era il vino, forse era soltanto il
momento
giusto. “Comunque mi ha raccontato della vostra discussione
– lo informò,
affrettandosi ad aggiungere – non nei dettagli ovviamente.
Solo che gli hai
rivelato del… insomma del tuo interesse verso gli uomini e
che avevamo avuto
una relazione.”
Aveva
avuto difficoltà nel pronunciare quella
parola, come se solo tre lettere fossero state in grado di marchiare a
fuoco la
pelle di una persona. Ci pensò però Sasuke a
colmare quel vuoto.
“Sì, gli
ho detto di essere gay.”
Lo aveva
detto ad alta voce al fratello, allo psicologo, a Naruto, ma mai a
Gaara che
meritava di saperlo, perché Sasuke non avrebbe
più rinnegato la sua natura, non
si sarebbe più nascosto e questo poteva aprire un ventaglio
di scenari ampio,
se lui avesse voluto.
Gaara in
effetti vide le sue spalle dritte, l’aria fiera con cui aveva
parlato, molto
diversa da quella del ragazzo schivo che si guardava intorno furtivo
ogni volta
che uscivano dal bar o semplicemente camminavano fianco a fianco per
strada,
con la frangia calata a nascondere il viso.
“Mi fa
piacere che tu sia riuscito a chiarirti con te stesso. Direi che questo
merita
un brindisi” sorrise facendo tintinnare di nuovo i loro
bicchieri.
Bevvero e
mangiarono in silenzio qualche momento, ma poi la curiosità
di Sasuke ebbe la
meglio:
“So che
non sono affari miei, ma… tu come hai capito di essere gay?
Insomma cosa ti ha
fatto definitivamente mettere una croce sopra alle donne e al fatto che
non ti
piaceranno mai?”
Non
voleva solo conoscere meglio Gaara, ma voleva anche sapere come altre
persone
avessero affrontato il suo stesso percorso. Avrebbe potuto chiedere al
fratello
come aveva scoperto della sua bisessualità, ma con lui si
sentiva inibito di
fronte a discorsi così intimi. Se poi era stato davvero
Shisui ad aiutarlo in
quel periodo, non era sicuro di voler venire a conoscenza delle gesta
del
cugino.
Gaara
posò la forchetta e prese altro vino, non era una domanda
semplice, perché
riportava alla mente ricordi scomodi e verità che dovevano
rimanere nascoste.
Tuttavia non voleva tirarsi indietro ora che Sasuke sembrava essere
più aperto
e disposto al dialogo, quindi cercò di trovare un
compromesso.
“Ecco,
all’inizio non è che ci pensassi, il sesso non era
il mio chiodo fisso a
differenza degli altri adolescenti. Semplicemente è capitato
con un altro
ragazzo e poi… dopo quell’esperienza, ho provato
anche a baciare delle ragazze,
ma non provavo niente. E non erano loro a catturare la mia attenzione,
sempre e
solo uomini, quindi direi che è stato abbastanza chiaro. Poi
io, a differenza
tua, non avevo una famiglia che mi potesse giudicare o a cui rendere
conto, è
un bel peso in meno da affrontare.”
Per tutto
il tempo non lo aveva guardato, perché pensare a Kankuro, a
quello che un tempo
credeva fosse tutto il suo mondo, l’unica persona in grado di
comprenderlo, era
difficile. L’amato fratello si era rivelato essere tutto il
contrario,
cancellando l’uomo epico di cui serbava il ricordo e quella
era la prima volta
in cui raccontava ad alta voce ciò che più si
avvicinava alla verità. Chissà
come avrebbe reagito Sasuke se gli avesse detto di aver fatto sesso col
proprio
fratello? Sicuramente ne sarebbe stato disgustato, incredulo e
costernato,
soprattutto se avesse pensato al rapporto normale e pulito che aveva
con
Itachi. Quella verità sarebbe dovuta morire con lui, anche
se a causa del
ritorno di Kankuro nella sua vita, negli ultimi mesi si era ritrovato a
pensarci più spesso del solito e a desiderare di alleggerire
quel peso che
sentiva gravare sulle spalle.
Sasuke
notò la sua difficoltà, il modo in cui rifuggiva
il suo sguardo, ma non
immaginava di certo che Gaara stesse nascondendo certi pesi, credeva
solo che
fosse in imbarazzo e a disagio per qualche ricordo non propriamente
felice.
Lo aveva
colpito il riferimento alla famiglia, segno che il segretario avesse
capito
anche cose che Sasuke non gli aveva detto, inoltre gli
ricordò la sua vita in
orfanotrofio. La curiosità era stata stimolata da quei
dettagli di un passato
sconosciuto quindi, invece di cambiare discorso, domandò
ancora:
“Adolescente?
Scusa ma quanti anni avevi quando hai avuto la tua prima
esperienza?”
Gaara
posò il bicchiere e stavolta lo guardò in faccia,
i suoi occhi erano glaciali,
duri, e la sua risposta fu altrettanto secca:
“Quindici
anni. Ho scopato per la prima volta a quindici anni, soddisfatto
ora?”
Sasuke
rimase interdetto sia dalla risposta, sia dal modo in cui
l’altro si era
rivolto, in netto contrasto con la tranquillità e la
serenità che avevano
contraddistinto quella serata, e capì di aver esagerato.
“Scusa –
era raro che lo dicesse, ma quella volta era necessario – non
intendevo
infastidirti.”
Gaara lo
guardò ancora e il ghiaccio che lo avvolgeva
sembrò sciogliersi un po’. Si posò
le mani sulle cosce e ingobbì appena le spalle, capendo di
essersi comportato
da stronzo.
“No,
scusami tu. Sei solo curioso di sentire le esperienze di qualcun altro
che ci è
passato prima di te, lo capisco. D’altronde finora avevamo
sempre evitato argomenti
tanto personali, è solo… –
cercò le parole adatte – per me è
difficile parlare
di quel periodo e di lui, tutto qui. Però puoi farmi tutte
le domande che
desideri, non mordo più, lo giuro.”
Sasuke
osservò il suo mezzo sorriso di breve durata e
giocherellò con il manico della
forchetta, indeciso. La sua natura diffidente lo spingeva a metterlo
alla
prova, per vedere se davvero Gaara avrebbe mantenuto la sua parola,
perché per
lui mettere continuamente alla prova l’affetto e la
lealtà di chi lo circondava
era naturale, quasi come un riflesso spontaneo. In quel caso
però forse avrebbe
dovuto evitare di farlo, per non spingere Gaara con le spalle al muro
e, in
quel modo, dimostrargli fiducia. Si ritrovò tuttavia a
parlare, ma non per
testarlo, bensì per pura e semplice curiosità,
qualcosa a cui si abbandonava
raramente, spesso fingendo che non gli interessasse nulla anche delle
persone a
cui voleva bene.
“Quindi è
successo con un altro ragazzo dell’orfanotrofio? Lo stesso
che ti ha chiamato
il giorno del tuo compleanno?” Ricevette in risposta un
semplice cenno
d’assenso con la testa così continuò
“Per quanto tempo ci hai vissuto?”
Gaara si
umettò le labbra con la lingua, era davvero difficile
rispondere a domande in
realtà tanto semplici e interessate, non solo curiose.
Perché Sasuke era
interessato a lui, al suo passato, a conoscerlo meglio in toto e, forse
proprio
per quel motivo, aveva paura di deluderlo, di dire qualcosa che lo
avrebbe
compromesso ai suoi occhi e avrebbe ucciso l’interesse che
provava nei suoi
confronti.
“Da che
ne ho memoria. Mi hanno detto che mia madre è morta nel
farmi nascere e che
dopo un po’ mio padre sparì, abbandonando me e i
miei fratelli, ma sinceramente
non so se sia vero o solo un’invenzione di quegli aguzzini
che mandavano avanti
l’orfanotrofio. Verso i quattro anni mia sorella venne
mandata in un altro
istituto e io e mio fratello finimmo in una specie di
orfanotrofio-collegio
maschile. Non uscivamo mai da lì, studiavamo e vivevamo
sempre tra le stesse
mura, raramente ci portavano in gita: eravamo tanti e non era semplice
organizzare escursioni. A volte uscivamo di nascosto la sera, ma le
punizioni
erano severe quando ci beccavano e io ero uno dei loro bersagli
preferiti, in
fondo non piangevo mai come piaceva a loro, né chiedevo
scusa – fece un sorriso
amaro – solo quando fummo adottati iniziammo a vivere davvero
in mezzo alla
gente. Avevo sedici anni, ma dopo qualche mese sono scappato, ho
vissuto per
strada e fatto lavori senza alcun contratto fino a che non sono
diventato
maggiorenne. Poi ho sempre lavorato e intanto studiavo per prendere il
diploma,
così sono finito dove sono ora. Insomma questa è
la mia storia, niente di
allegro o così incredibile, ma in fondo posso dire di essere
stato fortunato e
di essermela cavata.”
Non aveva
avuto intenzione di raccontare così tanto di sé,
ma una volta iniziato era
stato difficile rimettere il coperchio su una pentola ribollente e
strabordante. Così aveva lasciato che le parole
fuoriuscissero, realizzando
all’improvviso che quel weekend sarebbe stato fondamentale
per il loro futuro,
che senso aveva non mettere tutte le carte in tavola? Adesso o mai
più.
Sasuke
rimase basito da quelle rivelazioni, aveva intuito che il passato di
Gaara
fosse stato difficile, ma non avrebbe mai immaginato fino a quel punto.
Si
sentì all’improvviso così ragazzino coi
suoi problemi futili, quando di fronte
a sé aveva qualcuno che aveva letteralmente lottato per
sopravvivere e non
morire; in realtà non aveva mai smesso. Si vide coi suoi
occhi, mesi addietro,
un codardo viziato che pretendeva senza dare nulla in cambio, che lo
usava per
soddisfare il proprio personale ego e nient’altro. In fondo
il giorno della
laurea, quando Gaara era andato là solo per lui e poi se ne
era andato ferito,
Sasuke, sotto alla rabbia e alla paura di essere scoperto, non aveva
forse
provato un sottile senso di soddisfazione per il potere che riusciva a
esercitare su un’altra persona?
Forse
iniziava a convenire con gli altri quando gli dicevano scherzando che
quello psicologo
valeva ogni centesimo che prendeva.
“Mi
spiace, non volevo andare a svegliare fantasmi sepolti. Hai avuto
davvero una
vita difficile e poi ti sono capitato io in mezzo. Sicuro di non essere
stato
Hitler in una vita precedente?”
Non fece
menzione dei fratelli, perché l’altro gli aveva
sempre lasciato intendere di
non avere nessun famigliare, magari erano morti o forse si erano
allontanati;
qualunque fosse il motivo sicuramente non era niente di facile o
allegro e
Sasuke sentiva di aver già spinto abbastanza
sull’acceleratore per quella sera.
Non voleva tirare in ballo altri argomenti dolorosi solo per saziare la
sua
curiosità, magari ne avrebbero parlato un’altra
volta, perché sperava di poter
parlare con lui ancora a lungo in futuro.
Gaara
invece rimase attonito qualche secondo, per poi semplicemente scoppiare
a
ridere. Sasuke che faceva autoironia e ammetteva di essere una
merdaccia non
era certo qualcosa che accadesse tutti i giorni, peccato non averlo
registrato.
“Ma no,
ma no – disse con ancora il riso sulle labbra – in
fondo sono fortunato: mi fai
domande perché sei interessato, no?”
Sasuke
ebbe il prepotente istinto di alzarsi e andarlo a baciare, mentre
sorrideva
ancora, per sentire se avesse un sapore diverso, non lo aveva mai visto
tanto
divertito e gli piacque persino la sua risata sincera. Tuttavia si
trattenne e
mormorò soltanto:
“Già.”
Guardò la
tavola, col cuore che sbatteva contro le coste, tanto pulsava
velocemente; in
pratica si era appena confessato e si sentiva così stupido e
in imbarazzo che
cercò qualcosa per cambiare il discorso, dal momento che
l’altro non diceva più
niente.
“Visto
che abbiamo finito di mangiare lavo i piatti e poi sarà il
caso di andare a
letto, domani sarà una giornata impegnativa.”
Gaara annuì,
ora serio, e si alzò dicendo:
“Ci penso
io qui, è il minimo dopo che hai cucinato. Tu va’
pure a fare una doccia o a
dormire.”
“Ok,
grazie, farò una doccia” replicò Sasuke
per poi sparire nel corridoio.
Gaara lo
seguì con lo sguardo finché poté, per
poi mettersi al lavoro. Sapeva che avrebbe
dovuto dire qualcosa, ma si era bloccato; non aveva più
dubbi sulle reali
intenzioni dell’architetto, ma il problema era un altro:
aveva paura. Paura di
lasciarsi andare e rimanere di nuovo ferito, in fondo se lo aveva fatto
suo
fratello, un estraneo come avrebbe mai potuto avere cura di lui?
Sistemò
in fretta la cucina e si rifugiò in camera per non
incontrare di nuovo Sasuke
quella sera. Al caldo, sotto le coperte, su quel letto comodo, lo
sentì
muoversi nella stanza a fianco e desiderò…
desiderò che fosse lì, desiderò
trovare quel coraggio che gli permettesse di fare l’ultimo
passo verso di lui.
***
L’atmosfera
nel locale era distesa, esattamente quella che invitava a rilassarsi,
chiacchierare e bere perdendo di vista l’orologio. Era
piuttosto affollato
essendo venerdì sera, ma Itachi e Shisui erano comodamente
seduti ad un
tavolino con un divanetto e sorseggiavano i loro drink.
Shisui
era finalmente riuscito a portare il cugino in quel – per
loro – famoso gay bar
dove lavorava Deidara, il barman fenomenale, e dove il maggiore dei due
Uchiha aveva
scorto più volte Gaara in passato e, infine, dove
quest’ultimo e Sasuke si
erano conosciuti. Un bel po’ di coincidenze per quelle
quattro mura.
Itachi
comprese come mai il fratello avesse scelto proprio quel locale: era
discreto,
non eccessivamente rumoroso e, anche se le vetrate non erano
trasparenti per
garantire una certa privacy alla clientela, all’interno si
poteva cogliere al
massimo qualche bacio qua e là. Niente orge, frustini e
appariscenti
drag-queen, stereotipi che popolavano l’immaginario e le
paure dell’eterosessuale
medio.
I due
cugini stavano conversando senza fretta, era da parecchio che non si
vedevano, soprattutto
perché Itachi era stato oberato di lavoro, però
era felice di essersi liberato
quella sera e di aver accettato l’invito di Shisui. Era
evidente che l’altro
aveva qualcosa che non andava.
Pur
sentendosi per telefono, l’avvocato non riusciva a cogliere
le molteplici e sottili
sfumature del carattere del cugino da dietro uno schermo.
L’uomo era troppo
sfaccettato e complicato per poterci riuscire, nonostante lo conoscesse
da una
vita; a volte si chiedeva addirittura se fosse davvero così,
se lo conoscesse
davvero, a volte rimaneva ancora spiazzato da lui.
“Dovremo
tornare a casa in taxi?” gli domandò dato che
aveva perso il conto dei suoi
drink bevuti.
Shisui
assottigliò gli occhi grandi per guardarlo infine, fingendo
un’aria dotta,
esclamò:
“Risposta
esatta! Qualche problema?”
Erano
venuti con la sua macchina, ma lui non era in condizione di guidare e
anche
Itachi aveva bevuto abbastanza. Quest’ultimo
scrollò la testa, muovendo anche
la folta coda dicendo:
“Figurati,
avrei preferito saperlo, però.”
“È questo
il bello dell’imprevisto, altrimenti non usciresti con
me” sorrise l’altro, con
le sue guance rosse e l’aria rilassata che sembrava dipinta
addosso.
Itachi
rise piano e, suo malgrado, si trovò a convenire, in fondo
il cugino era la
vera e unica variabile impazzita del suo mondo accuratamente ordinato e
gli
piaceva che fosse così.
Anche
Shisui rise, ma la sua risata ebbe vita breve perché
notò perfettamente un tipo
che aveva puntato Itachi. Non era il primo della serata, ma quasi tutti
desistevano vedendoli insieme, però ce ne era stato qualcuno
di più coraggioso
che sfidava l’aria impassibile di Itachi e quella corrucciata
di Shisui per
cercare di rimorchiare l’altro in modi più o meno
espliciti. C’era stato chi
gli aveva offerto da bere, chi gli aveva lasciato un bigliettino col
numero e
chi gli aveva addirittura proposto un tour dei bagni, ma Itachi aveva
sempre
declinato senza scomporsi e il sorriso era tornato sulle labbra
imbronciate del
cugino.
Aveva immaginato
che una faccia nuova e affascinante avrebbe attirato
l’attenzione in un posto
simile, ma aveva voglia di uscire con lui ed essere libero, senza stare
attento
se si sfioravano per sbaglio o si guardavano negli occhi troppo a lungo.
“Allora,
Sasuke e Gaara sono partiti?” gli domandò
prendendo un altro sorso del proprio
drink.
Itachi
annuì:
“Sì, oggi
pomeriggio. Sasuke è passato a prenderlo e immagino saranno
ormai arrivati da
un po’.”
“Come va
tra di loro?”
Itachi si
prese qualche istante per riflettere, poi disse:
“Non ne
sono sicuro. Sasuke non mi viene a raccontare certi dettagli,
né io glieli
chiedo, e non mi sembra un argomento di discussione da tirare fuori in
ufficio
con Gaara. Credo tutto sommato bene visto che stanno partendo, Gaara mi
sembrava abbastanza contento, anche se un po’ preoccupato.
Forse non avrei
dovuto fargli vedere le foto dei lividi che mi sono fatto con lo
snowboard.”
Shisui lo
guardò, spostandogli una ciocca di capelli dietro
l’orecchio, un gesto semplice
ma che non avrebbe potuto fare in un locale qualsiasi.
“Quindi…
tu sei fuori dai giochi?”
“Non ci
sono mai entrato in realtà – sospirò
piano, lasciandolo fare – se Gaara non
avesse mai conosciuto Sasuke, sarebbe stato diverso, ma non
è così. E,
nonostante tutto, entrambi sono più presi di quanto pensano,
altrimenti anche a
distanza di mesi e di tutto quello che è accaduto, Sasuke
non sarebbe andato a
cercarlo, ma soprattutto Gaara non avrebbe accettato di frequentarlo di
nuovo,
non credi anche tu?”
Shisui
sorrise, un sorriso malinconico, strano:
“Già, la
gente è stupida. Non capisce i propri sentimenti, figurarsi
quelli di chi ci
sta intorno. E come sta il tuo cuore infranto?”
Itachi
rimase un po’ sorpreso dalla sua affermazione, ma la
archiviò come una specie
di delirio da ubriaco, senza darle l’importanza che avrebbe
meritato.
“Nessun
cuore infranto – rispose – era solo un interesse
morto quasi prima di nascere,
niente di più.”
Shisui
aggrottò appena la fronte, ma non replicò, invece
dopo qualche istante domandò:
“Ti piace
quel tizio? È da parecchio che vi scambiate degli sguardi, o
anche lui è un
altro interesse e basta?”
Itachi
smise di guardare l’uomo seduto al bancone: Shisui aveva
ragione, era almeno
mezz’ora che si lanciavano occhiate. Guardò invece
il cugino, il suo viso serio
e scosse appena la testa, chiedendo:
“In
effetti lo trovo affascinante, mi incuriosisce, ma non andrò
mai da lui, lo
sai, no?”
“Lo so?”
Itachi
rimase interdetto dinanzi a quell’interrogativo e si
limitò a guardarlo, ma non
funzionava: i suoi occhi attenti, sempre capaci di leggere negli altri,
in quel
momento erano inutili: gli restituivano solo l’espressione
contratta di quel
bel viso che era abituato a vedere sorridere. Si sentì
stringere lo stomaco nel
vederlo a quel modo, tanto che si decise a domandare senza troppi giri
di
parole:
“Mi
spieghi che diavolo succede? Che ti prende stasera?”
Non era
proprio da lui chiedere così direttamente, era un segno
della sua esasperazione
e Shisui lo sapeva bene. Incrociò le braccia davanti al
petto e lo guardò con
aria fintamente divertita:
“Il
grande principe del foro non ci arriva? Oppure la verità va
bene solo per gli
altri e tu continuerai a nasconderti dietro i tuoi segreti?”
Itachi
tacque. Quelle parole erano taglienti, facevano male, il cugino
sembrava
deriderlo ed era qualcosa che in quegli anni non aveva mai fatto. Si
irritò
perché qualcosa sfuggiva alla sua comprensione, il suo
mirabile cervello proprio
non voleva saperne di trovare il tassello mancante del puzzle e Shisui
pareva
intenzionato a non fornirglielo, limitandosi a prendersi gioco di lui.
“Vedi di
finirla o ti mollo qui” sbottò, piccato.
“Molleresti
da solo un povero ubriaco col cuore spezzato? Sei crudele,
Itachi.”
Il
ragazzo cambiò subito atteggiamento, riscoprendosi
preoccupato.
“Cosa?
Credevo non stessi uscendo con nessuno in questo periodo –
disse stringendogli
un braccio – cos’è successo?
Perché non mi hai raccontato niente?”
Shisui lo
guardò con gli occhi grandi spalancati, il che era
abbastanza comico sulla sua
faccia da ubriaco, ma nessuno dei due rise anche se le labbra del
maggiore si
piegarono in un sorriso amaro.
“Cazzo,
Itachi! – esclamò – Ma allora davvero
non hai mai capito un cazzo!”
Scosse la
testa incredulo, ma non aggiunse altro.
Itachi
avvertì un senso di disastro ineluttabile, come quando si
vede chiaramente
l’altra automobile venire addosso ma non si può
fare nulla per evitarla. Allo
stesso modo lui non sterzò, non cambiò
traiettoria, bensì andò dritto verso
quello scontro; non avrebbe potuto fare diversamente. Lo doveva a
Shisui, per
tutto quello che avevano condiviso, per il loro passato, il presente e
il
futuro, doveva gettarsi nel burrone assieme a lui e sperare che la
caduta non
fosse troppo rovinosa.
“Cos’è
che non capisco?”
Fu un
grandissimo sforzo per lui dover inghiottire l’orgoglio e
ammettere la propria
incapacità a comprendere i suoi limiti nei confronti di quel
cugino che era il
suo punto fermo.
Shisui
rimase in silenzio, la sua bocca sembrava sigillata, ma in
realtà era solo
piena di parole pericolose, affilate e taglienti come cocci di vetro
che gli
stavano squarciando la carne delicata, sentiva che presto il sangue
sarebbe
colato fuori e loro assieme a esso, non sarebbe più riuscito
a rimanere zitto.
Per quello decise di agire, di sporcare anche Itachi con il sangue e di
ferirlo
con quei cocci: lo baciò. Gli aprì la bocca con
la lingua e divise con lui quel
peso, afferrandogli la nuca con una mano, impedendo che si allontanasse
per
fargli bere la sua risposta amara fino in fondo.
“Questo è
quello che non capisci – gli sussurrò Shisui a
fior di labbra – o forse non hai
mai voluto capire niente; più comodo, non trovi?”
Itachi si
morse un labbro che già gli pulsava, perché quel
bacio non era stato morbido,
né delicato, era stato esigente, irruento e doloroso nella
sua verità; finalmente
nella sua mente la nebbia si stava diradando, ma non era sicuro di
voler vedere
cosa ci fosse al di sotto. Non avrebbe mai creduto che la situazione
potesse
essere così seria, forse già fin troppo
compromessa, ma la colpa era sua, solo
sua che non aveva capito… o forse era di Shisui che era fin
troppo bene a
mascherare i suoi sentimenti, anche più di Itachi?
“Perché,
Shisui? Perché ora, perché non mi hai mai detto
nulla?” gli domandò, nonostante
tutto.
Non
poteva fare finta di nulla, anche se sarebbe stato più
semplice, non avrebbe
mai potuto farlo con lui.
Il cugino
gli sorrise, ma era un sorriso brutto, triste, non il solito che gli
vedeva
sempre aleggiare sulle labbra e che adorava.
“Perché
finora non hai mai mostrato molto interesse verso gli altri uomini.
Oltre me
hai avuto solo altre due storie di poco conto, hai sempre preferito le
donne.
Credevo fossi davvero innamorato di Konan, le hai dato le chiavi del
tuo
appartamento, pensavo che l’avresti sposata e avrei visto
tanti mini Itachi
scorrazzare in giro – era difficile mantenere la
lucidità ubriaco com’era, ma
tenne duro –con Gaara però qualcosa è
cambiato, ora guardi gli uomini con occhi
diversi. Dovrei quindi lasciarti andare da quel tizio al bancone o da
uno di
quelli che ti hanno dato il numero senza alzare un dito? Per chi cazzo
mi hai
preso, Itachi? Pensi che continuerei ad andare a letto con mio cugino
per anni,
rispettandolo ogni volta che è fidanzato, solo per
divertimento? Che cazzo ti
sei raccontato in questi per tutto questo tempo?” Si
bloccò e gli mise un dito
sulle labbra per impedirgli di parlare mentre lo scrutava con gli occhi
lucidi
e grandi per l’alcool “No, la domanda giusta
è: ti sei mai chiesto qualcosa?
No, vedendo la tua faccia sorpresa deduco di no – scosse la
testa – cazzo,
possibile che non hai mai riflettuto sul fatto che solo a me permetti
di scoparti,
che vieni sempre a cercarmi quando una tua relazione finisce o se hai
problemi?
Cosa sono per te? Un balsamo da mettere sulle tue ferite e poi da
riporre
nell’armadietto quando non serve più?”
Sapeva di
essere ingiusto, perché Itachi teneva a lui, ma quella sera
non era lucido, il
grumo di sentimenti che per anni aveva compresso dentro di
sé stava esplodendo
e rilasciava tutt’attorno la sua scarica venefica.
Itachi
intanto era sconvolto, aveva ascoltato il suo sfogo incredulo, aveva
visto i
suoi lineamenti mutare, distorcersi, portandolo a chiedersi se era
veramente il
cugino quello che gli sedeva accanto.
Forse,
per la prima vera volta nella sua vita, era sotto shock, incapace di
processare
le informazioni ricevute e di confezionare una risposta adeguata e gli
occhi di
Shisui lo guardavano, erano grandi, scuri e dalle ciglia lunghe, gli
erano
sempre piaciuti. Ma ora lo fissavano e attendevano una risposta che lui
non
riusciva a dare, perché davvero non si era mai posto domande
sul loro rapporto.
Aveva sempre dato per scontato che Shisui ci sarebbe sempre stato, non
aveva badato
al fatto che a volte era stato fidanzato quando lo era andato a cercare
e il
cugino, che era sempre fedele e non era mai sleale con i suoi partner,
aveva
tradito; per lui, solo per lui. Ma Itachi non ci aveva mai dato peso,
aveva
preteso e basta, nella cieca illusione che non servissero spiegazioni,
che
Shisui non avesse bisogno di niente di più di quello che gli
dava.
Ora si
rendeva conto che non era così, ed era accaduto nel modo
più drammatico
possibile e lui ancora non riusciva a pensare a una risposta.
“Shisui,
io…” mormorò, ma non aggiunse altro.
Il cugino
scosse la testa e disse solo:
“Non
preoccuparti, il vero coglione qui sono io.”
Prese il
cappotto e si alzò, andandosene, senza voltarsi a guardarlo.
Itachi lo vide
barcollare lievemente, urtare anche qualcuno, ma l’altro
andava dritto verso
l’uscita e lui non lo fermava. Lo vide sparire attraverso la
porta e non si
sentì mai così solo, come in quel momento in
mezzo a tutta quella folla.