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Autore: Ode To Joy    08/08/2018    2 recensioni
[!!!SPOILER S7!!!]
In seguito al salvataggio di Shiro dal piano astrale, Matt si ritrova a raccontare a Keith una vecchia storia che non gli appartiene ma di cui, suo malgrado, ha fatto parte.
E di cui, a sua insaputa, il giovane Galra ha scritto la fine.
"Adam non era la persona adatta per Shiro... Ma questo non gli impedì di averlo."
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Holt Matt, Kogane Keith, Takashi Shirogane
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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V
Keith




Erano giorni felici.

Sì, forse sono troppo giovane per dirlo, per quanto mi sembri di aver già vissuto una vita intera. Eppure, posso affermare con sicurezza che gli anni che ho vissuto alla Garrison sono stati i migliori della mia vita fino ad ora.

Non so se abbia a che fare con l’adolescenza o col fatto che i nostri sogni erano ancora tutti integri, ben custoditi in un cassetto. So che quella felicità rimase intatta fino ai nostri vent’anni.

Non eravamo più cadetti, ma giovani uomini pronti a conquistare l’universo. E Shiro ci riusciva.

Missioni di piccola o media importanza, più o meno brevi. Non aveva importanza. Shiro apparteneva alle stelle e fin tanto che poteva volare, non c’era ragione di preoccuparsi per lui. Adam alle volte lo accompagnava, altre restava ad occuparsi di progetti d’ingegneria alla Garrison.

Crebbero insieme… E insieme restarono.

…Anche quando quei giorni felici finirono.




Tutto cominciò con un bicchiere rotto.

Un incidente domestico, una cosa da poco.

La Garrison aveva assegnato a Shiro e Adam un appartamento in uno degli edifici degli ufficiali. Era poco più grande della vecchia stanza nel dormitorio, ma era la loro prima casa ed era perfetta così com’era. Erano cresciuti e con loro le responsabilità sulle loro spalle. I doveri domestici erano di facile gestione, nonostante il loro lavoro li tenesse impegnati dalla mattina alla sera. La nonna di Shiro aveva fatto un buon lavoro nel renderlo una brava mogliettina, come diceva Matt. Adam non era stato restio a imparare.

Trovare un equilibrio era stato semplice… Piacevole, come lo era coricarsi accanto alla persona amata ogni notte – se Shiro non era reclamato dalle stelle –, alla fine di una lunga giornata di lavoro.

Spezzare quell'idillio fu facile come far scivolare a terra un bicchiere.



Shiro non ebbe alcuna reazione, i vetri erano schizzati in ogni direzione e solo il fondo era rimasto integro. Parte dell’acqua gli aveva bagnato i pantaloni verde militare ma il pilota non ci aveva fatto caso. La sua mente era annebbiata, il suo corpo congelato.

Non si accorse di Adam che, attratto da quel breve frastuono, uscì dalla camera da letto per controllare che cosa era successo. “Ti sei fatto male?” Domandò.

Shiro tornò in sè. “Come?”

“Ti è scivolato?” Adam prese uno strofinaccio dal piano lavoro della cucina. Prima che potesse chinarsi, Shiro glielo prese di mano con gentilezza. “Faccio io,” disse.

Adam lo lasciò fare e aprì il frigo per assicurarsi che ci fosse qualcosa da mangiare: hamburger e patatine. Meglio di niente.

“Scusami per la cena, stavo controllando dei documenti e ho perso la cognizione del tempo,” si giustificò il co-pilota, avvicinandosi alla credenza per recuperare due piatti e due bicchieri. “Fatti una doccia. Preparo io.”

Shiro non lo ascoltava. Silenzioso, raccogliendo i frammenti di vetro. Lo straccio era a terra, assorbiva l’acqua versata.

“Takashi?”

“Uhm?” Gli occhi grigi si sollevarono su quelli castani.

“È successo qualcosa?” Domandò Adam.

Shiro forzò un sorriso e scosse la testa. “Sono solo stanco.” Mentì.

L’altro accettò quella spiegazione senza obiezioni. “Ceniamo e andiamo a dormire.”

“Sì…”



Shiro passò tutta la notte steso sul fianco sinistro, la mano destra davanti al viso. Aprì e chiuse le dita come se stesse perdendo sensibilità alla mano. Adam dormiva sereno accanto a lui e non aveva idea del demone che si era risvegliato nel suo cuore.

Il bicchiere non gli era scivolato di mano. No, era caduto a terra come se le sue dita non fossero abbastanza forti da sorreggerlo.

Strinse gli occhi e l’immagine di sua madre china sui frammenti di una tazza da tè gli chiuse la gola.

Strinse il pugno destro tanto forte da ferirsi i palmi.



Io non… Anche adesso che siamo entrambi sopravvissuti all’inferno, non posso immaginare il terrore che Shiro deve aver provato in quel momento. Io ricordo bene sua madre… La ricordo prima della malattia e non ho idea di come sia stato vederla morire lentamente, un poco alla volta.

Devono essere stati gli anni peggiori per Shiro, forse anche più di quello di prigionia che seguì alla nostra cattura. Con l’inizio della malattia, però, il dolore di quei ricordi si trasformò in una condanna.

Sei mesi prima che Shiro ti trovasse, la nostra fanciullezza terminò definitivamente in una delle stanze asettiche dell’ala ospedaliera della Galaxy Garrison.




Samuel Holt era stato addestrato per far fronte a situazioni difficili. Tuttavia, nessun addestramento lo aveva preparato a far fronte a ciò che aveva di fronte.

Samuel Holt era più grande di Tooru Shirogane ma era stato suo tutor per un paio d’anni, prima del diploma. Dopo la specializzazione, era stato lui a chiederle di restare alla Garrison per affiancarlo nelle sue ricerche. Insieme avevano dato un contributo fondamentale per la creazione del primo insediamento su Marte.

Quando poi Tooru era rimasta incinta troppo giovane, con ancora troppe cose da fare per essere una madre, Sam l’aveva incoraggiata a non rinunciare al suo sogno. Il piccolo Takashi era nato senza padre, ma aveva ereditato da Tooru tutta la caparbietà e la gentilezza di cui aveva bisogno.

Sam lo aveva visto crescere accanto al proprio figlio, lo aveva guardato farsi uomo, astro luminoso della nuova generazione di piloti della Galaxy Garrison.

Takashi Shirogane aveva appena vent’anni e un futuro luminoso di fronte a sè.

Perché doveva toccare a lui, a Samuel Holt informare il figlio di Tooru che il male che si era portato via lei avrebbe condannato anche lui?

Seduto sul letto d’ospedale, Shiro aveva ascoltato ogni parola in silenzio, guardandolo dritto in faccia. Sam non aveva avuto il coraggio di rispondere al suo sguardo.

Alla fine, quando fu costretto a sollevare gli occhi dai risultati dei test medici che gli erano stati consegnati, Shiro gli parve poco più di un bambino. Non pianse, non tentò di ribellarsi a quell’esito così nefasto in nessun modo.

Accettò le parole di Sam e chinò la testa. “Hanno fatto una stima del tempo che mi resta?”

“Quattro o cinque anni,” rispose Sam. “Se ti sottoponi alla terapia di rallentamento immediatamente, possiamo sperare in più tempo. Tutto dipende da come reagirai.”

Shiro si morse il labbro inferiore ed annuì. “D’accordo…”

“D’accordo?” Domandò una terza voce.

Fu allora che Sam si ricordò che non erano soli, che Matt era accanto al letto del suo migliore amico e che Adam se ne stava davanti alla finestra. Il signor Holt non poteva vedere il viso di quest’ultimo, ma aveva la sensazione che si fosse conficcato le unghie nei palmi da quanto forte stringeva i pugni.

“Che significa, papà?” Matt si portò davanti a lui, gli occhi pieni di lacrime. “Terapia di rallentamento? Non possono curarlo e basta?”

Sam gli strinse le spalle. “Matt…”

“Siamo nel ventiduesimo secolo, la ricerca ha-”

“Va tutto bene, Matt.” Shiro sorrideva ed era terribile da vedere. “Posso restare da solo con Adam, per favore?”

“Shiro…” Matt tentò di avvicinarsi all’amico, ma suo padre gli afferrò il braccio.

“Come desideri, Shiro,” disse Sam gentilmente. “Se hai bisogno di qualcosa, siamo qui fuori.”

Shiro annuì. “Grazie di tutto…”

Non c’era nulla per cui quel ragazzo dovesse essere grato a lui, ma il signor Holt accettò quelle parole in silenzio.

Shiro guardò padre e figlio sparire nel corridoio dell’ala ospedale, poi rivolse lo sguardo al giovane fermo di fronte alla finestra.

“Adam…” Chiamò con voce incerta.

Il suo co-pilota fece finta di non averlo udito.

Shiro chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. “Posso chiedere di essere trasferito in camera di Matt.” Disse con voce pacata.

Adam fissò il proprio riflesso nel vetro. “Che cosa stai dicendo?”

“Penso che Iverson ti permetterà di tenere l’appartamento,” continuò Shiro. “Porterò via le mie cose entro la fine della settimana, se a te-”

“Che cosa stai dicendo?” Adam non aveva mai urlato in presenza di Shiro. L’unica volta che lo aveva sentito alzare la voce era stato anni prima, quando si era tuffato dentro una gola piena d’acqua senza il minimo buon senso.

Shiro rimase atterrito da quella reazione. Non era Adam. Il giovane che conosceva non avrebbe mai perso il controllo in quel modo.

“Adam…” Chiamò con voce tremante. “Ti prego, ascoltami.”

Quando l’altro si voltò, i suoi occhi scuri erano accesi d’ira. “Non ascolterò una parola di più…”

“Invece lo farai!” Fu il turno di Shiro di alzare la voce. “Ti prego,” aggiunse. “Lasciami parlare.”

Adam era talmente furente da tremare ma rispettò quella richiesta e rimase in silenzio.

“Credo che tu debba chiamare tuo padre.” Shiro si costrinse a guardarlo negli occhi. “A causa mia, non lo vedi dal giorno del diploma e…”

Adam Strinse gli occhi. “Takashi…”

“La tua famiglia non è un prezzo che devi sentirti costretto a pagare, né per me né per nessun altro,” continuò il pilota. “Io non posso essere la ragione per cui tu e tuo padre non vi parlate più.”

Adam cercò di mantenere la calma. “Sono questioni che abbiamo già affrontato.”

“Sono questioni che vanno riviste in base agli ultimi avvenimenti,” insistette Shiro. “Tutti abbiamo bisogno di una famiglia da cui tornare e-”

“Sei tu.” Adam esaurì la distanza tra loro e si sedette sul letto, accanto al suo pilota. “Sei tu la mia famiglia. Ho già fatto quella scelta, Takashi!”

Shiro sorrise tristemente. “Ma io non ho più alcun futuro da offrirti, Adam.”

“Abbiamo tempo!”

Shiro scosse la testa. “Tu non capisci...”

“No, sei tu che devi capire che scelgo di rimanere.”

“Tu non sai come sarà!” Urlò Shiro, le lacrime scesero a rigargli le guance. “Ti ho detto che mia madre ha resistito. Ti ho detto che mi ha sorriso fino alla fine ma tu non hai idea di come fosse quel sorriso. In quella smorfia non c’era niente della donna che è ritratta nella fotografia della missione su Marte.” Scosse la testa. “Non hai idea di come sia. Vedere una persona appassire in quel modo… Io non voglio che tu lo veda. Io non voglio che tu mi veda morire in quel modo, Adam!”

Il co-pilota lo strinse a sè, affondò il viso tra quei capelli corvini e lasciò che Shiro piangesse nascosto contro il suo petto.

“Io non vado da nessuna parte,” disse Adam con fermezza. “Non vado da nessuna parte, Takashi.”



Al posto di Adam, non credo che molti sarebbero rimasti.

È un punto a suo favore che non posso non considerare. Shiro era… Sì, immagino che senza speranza sia il termine adatto per descrivere la sua situazione.

Non c’era una cura al suo male. Non c’era nulla che potesse liberarlo dall’eredità che sua madre gli aveva lasciato. Il suo tempo era contato e decise di non perderne neanche un istante.

Nel momento in cui Adam dimostrò di amarlo più di ogni altra cosa, Shiro si aggrappò con tutte le forze al suo primo vero amore: quello per le stelle.




“Un’altra missione?” Domandò Adam con gli occhi sgranati. “Che significa un’altra missione?”

Shiro sedeva al centro del loro letto, gli occhi fissi sul tablet tra le sue mani. “Si tratta di un’altra spedizione su Marte. Niente di troppo pericoloso.”

Adam non riusciva a credere alle sue parole. “Takashi, sei tornato dalla tua ultima missione la settimana scorsa.”

“La Garrison non ne finanzierà altre per quest’anno,” spiegò il pilota, sollevando gli occhi sul compagno. “Non sono missioni lunghe, né particolarmente faticose. Ti porterei con me ma non mi hanno lasciato la possibilità di scegliere il mio co-pilota questa volta.”

“Takashi…” Adam si fermò ai piedi del letto. “Mi stai dicendo che sparirai per un altro mese?”

Shiro gli sorrise. “Il dottore ha detto che la situazione è stabile. Posso ancora volare, non preoccuparti.”

Adam scosse la testa. “Non si tratta di questo,” disse. “Si tratta di tempo… Tempo che passerai tra le stelle, invece che qui.”

Shiro abbassò lo sguardo. Avrebbe dovuto sentirsi in colpa? Non ci riusciva. “È l’ultima volta per quest’anno, Adam,” lo rassicurò. “In primavera, sarò responsabile del progetto di scouting. Resterò con i piedi per terra e tornerò a casa tutte le sere, più o meno.”

Adam strinse le labbra. Un’ultima missione. C’era sempre un’ultima missione. “D’accordo…” Disse con poca convinzione. “Pensavi di fare il tutor durante il prossimo anno scolastico? Iverson te lo ha proposto, vero?”

Shiro sorrise. “Iverson ha tanta voglia di proteggermi quanto te.”

“Tiene a te, a modo suo.”

“E dedicarsi a un cadetto è utile quando vuoi tenere qualcuno con i piedi per terra.”

“Non dirlo come se fosse una punizione.”

“Non è quello che penso,” disse Shiro, serio.

“Allora perché non hai ancora accettato quel lavoro?” Domandò Adam sospettoso.

Shiro prese un respiro profondo. “Perché sono un pessimo insegnante che vuole concedersi il lusso di valutare la situazione, prima di essere coinvolto.”

Suo malgrado, Adam sorrise. “Takashi Shirogane non perde tempo se non con altri astri nascenti.”

“Perché mi metti in bocca parole che non ho detto?” Shiro sorrise.

“Perché nessuno vuole perdere tempo ad aiutare un cadetto senza speranza a fare il suo debutto in questo mondo di stelle, orizzonti sconfinati e grandi… Grandissimi sogni.” Adam ricordò il ragazzino di quattordici anni che aveva conosciuto nella Sala degli Ufficiali e si chiese se al mondo potesse davvero esisterne un altro che possedesse la stessa luce.

L’espressione di Shiro si fece intensa. “Io non ho rinunciato a niente, Adam,” disse. “Continuo a sognare e continuerò a farlo fino al mio ultimo respiro.”

Il co-pilota si fece serio. “Lo so,” disse. In cuor suo, però, sperava che Shiro smettesse di sognare per vivere nel mondo reale.



Ed eccoci arrivati alla parte della storia che conosci anche tu!

Nessuno te lo ha mai detto ma, per assurdo, tu riuscisti a tenere Adam e Shiro insieme ancora per un po’.

Per essere più precisi: Shiro ti trovò e vide in te una buona ragione per stare con i piedi per terra.

E fu così che anche tu entrasti a far parte di questa storia, Keith.




All’inizio di quell’anno scolastico, Matthew Holt era particolarmente ansioso di conoscere il nuovo corpo cadetti ammesso attraverso il progetto di scouting.

“Come lo riconoscerò?” Domandò con emozione, seguendo Shiro lungo il corridoio. “Ha i capelli chiari? Scuri? Porta gli occhiali?”

Il pilota sospirò e gli lanciò un’occhiata veloce. “Adam mi ha pregato di smettere di parlare di lui e tu non fai che chiedere dettagli.”

Matt fece un gesto scocciato con la mano. “Adam sa essere meno gradevole di Iverson!” Esclamò. “Come fa a non essere curioso quando ne parli con tanto entusiasmo? Non è umano!”

“Conosci Adam, Matt.”

“Per mia sfortuna…”

“Ancora?” Domandò Shiro, senza smettere di camminare. “Dopo tutti questi anni?”

Matt scrollò le spalle. “Sei praticamente sposato al ragazzino a cui hai dato il primo bacio. È talmente romantico da essere triste.”

Shiro rise. “Un giorno mi spiegherai la tua idea di romanticismo, Matt!”

Arrivati in fondo al corridoio, uscirono sulla balconata che dava sulla pista di decollo e atterraggio dell’Accademia.

Una ventina di ragazzini era in fila di fronte al Comandante Iverson e tutti indossavano la familiare divisa arancione e bianca.

Matt inarcò le sopracciglia. “Così pochi?”

“Adesso fanno una pre-selezione,” spiegò Shiro. “I possibili piloti vengono selezionati da un determinato punteggio in poi.”

“Oh…” Matt annuì, incrociando le braccia sul parapetto. “E quale sarebbe la nostra nuova stellina luminosa?”

Shiro gli fece l’occhiolino. “Prova a indovinare.”

“A questa distanza li vedo a stento, Shiro!” Matt, però, poteva udire Iverson abbaiare come un cane rabbioso anche da quella distanza. “Il nostro Comandante è sempre così amichevole. Sbaglio o sono quasi tutti alti quanto me?”

Keith ti piacerà,” disse Shiro senza preavviso.

Matt sgranò gli occhi. “Oh, finalmente abbiamo il nome misterioso!” Esclamò. “Lascia che torni in camera e recupero tutti i file dal database dell’Accademia.”

Shiro lo guardò storto. “Matt!”

“Cosa? Tu fai il misterioso, io dovrò pur sfoderare le mie armi quando sono utili!”

Shiro alzò gli occhi al cielo: era bello scoprire che certe cose non cambiavano mai.



Ti ricordi la prima volta che ci siamo visti?

Io me lo ricordo! Eri alto quanto me. Shiro era così orgoglioso di presentarti in giro, quasi fossi una cosa sua. Sì, eri una sua scoperta ma c’era del personale nel suo interesse. Ci teneva.

Io l’avevo capito dal modo in cui parlava di te e sicuramente l’aveva notato anche Adam. Scoprire che cosa avessi di così speciale era il mio obiettivo principale. Sì, hackerai il sistema e scoprii il tuo punteggio assurdo da solo ma ciò non bastava a soddisfare la mia curiosità. Nel tuo file c’era scritto tutto di te… Della tua famiglia, dell’orfanotrofio…

Pensai che Shiro avesse avuto uno slancio di empatia nei tuoi confronti per via della morte prematura di tuo padre e dell’abbandono di tua madre. Per quel che ci era dato sapere allora, le vostre situazioni erano simili.

Tuttavia, doveva esserci dell’altro.

Ti ricordi di Adam il giorno in cui Shiro ci presentò?




Matthew Holt cominciò a pensare che Keith Kogane fosse un alieno poco prima della fine del semestre. Era l’unica conclusione a cui era riuscito ad arrivare dopo una lunga riflessione: Shiro aveva trovato un fanciullo alieno e lo stava nascondendo gelosamente perché, in gran segreto, ci godeva a fare l’infame.

O era così… O Keith Kogane era il personaggio fittizio meglio riuscito della storia. L’unica ragione per cui Matt aveva scartato la seconda ipotesi era che, se così fosse stato, avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea che l’intera Accademia si era alleata con Shiro per fargli un dispetto.

Tutti non facevano che ripetere il nome di Keith. Tutti.

Iverson stesso si era disturbato ad impararlo per intero, nonostante lo pronunciasse con lo stesso tono con cui avrebbe sputato un insulto.

Rinchiuso nel laboratorio sotto l’Accademia sette giorni su sette, Matt si era perso tutte le occasioni d’incontrarlo di persona. Del ragazzino aveva una foto e un fascicolo dallo spessore preoccupante per soli quattordici anni di vita.

Capelli neri. Occhi grandi. Espressione da duro.

Matt si era aspettato un piccolo Shiro e si era ritrovato a fissare l’immagine di un ragazzino che sembrava pronto a dichiarare guerra al mondo. Le voci che arrivavano fino al laboratorio dicevano che si cacciava spesso nei guai.

“È un ribelle,” affermavano. “Una testa calda! Un carattere problematico…”

Nulla di più diverso da Shiro.

In comune avevano solo un dato oggettivo: erano nati per essere piloti.

Una volta – solo una – Matt si era domandato cosa ne pensasse Adam. Shiro non si limitava ad aiutare Keith nel suo percorso di studi.

Matt era venuto a conoscenza di alcune uscite con le hooverbike che non potevano essere giustificate con nessun tipo di addestramento, oppure di escursioni notturne non proprio permesse dal regolamento.

Shiro e Keith erano amici.

E questo non faceva che spingere la curiosità di Matt a trasformarsi in ossessione. Doveva conoscere quel cadetto.



Matt non metteva piede nella sala mensa degli studenti dal suo ultimo giorno di lezione alla Garrison. Quella degli Ufficiali era più accogliente, meno chiassosa e il cibo era migliore. Tuttavia, aveva capito che per prendere Shiro di sorpresa doveva giocare al suo stesso gioco.

Il ragazzo d’oro della Galaxy Garrison si nascondeva tra le file dei cadetti? Allora non restava che tendergli un agguato. Quello che Matt non aveva previsto era che qualcun altro avesse avuto la stessa idea.

“Tu che cosa ci fai qui?” Domandò Adam, quando lo vide seduto a uno dei tavoli vicino alla vetrata.

Matt lo fissò. “Potrei chiederti la stessa cosa. Non mi risulta che tu sia particolarmente incline a fare amicizia con il corpo cadetti.”

Adam lanciò un’occhiata ai pochi studenti ancora presenti nella sala. “È una fortuna che sia tardi per pranzare, immagino.” Commentò, sedendosi accanto al collega.

Matt appoggiò il viso al pugno chiuso. “Sei qui di tua iniziativa o ti ha invitato lui?”

“Secondo te?” Domandò Adam senza guardarlo.

Matt rivolse la sua attenzione al paesaggio desertico fuori dalla vetrata. “Questa storia sta rasentando l’assurdo.”

“Sono d’accordo.”

Matt rabbrividì. “Non mi piace essere d’accordo con te.”

Adam alzò gli occhi al cielo. “Si chiama Keith, vero?”

Matt annuì. “Quattordici anni… Quindici a fine ottobre. Alcuni dei suoi punteggi sono superiori a quelli di Shiro.”

Adam lo guardò. “Hai rubato il suo fascicolo?”

Il giovane Holt ghignò. “Ancora mi sottovaluti?”

Adam incrociò le braccia contro il petto con espressione annoiata. Per fortuna di entrambi, l’attesa fu breve.

Shiro entrò nella sala mensa con i capelli corvini spettinati dal vento. Addosso aveva la giacca nera che indossava quando usciva per correre con la hooverbike. Gli occhiali da motociclista erano ancora sulla sua testa.

Sorrideva ma si fece serio di colpo quando li vide.

Matt alzò una mano in segno di saluto ma la sua espressione diceva: “ti ho fregato”.

Quella di Adam, invece, era indecifrabile.

Costretto con le spalle al muro, Shiro non poté fare altro che adeguarsi alla situazione. “Keith…” Chiamò, allungando un braccio verso qualcuno che non era ancora entrato nella sala. “Vieni, voglio presentarti due persone importanti per me.”

Keith Kogane fece la sua entrata in scena con espressione smarrita. Per un momento, parve solo un orfano di quattordici anni gettato in una realtà troppo complicata per il suo bene.

Non appena Shiro lo spinse gentilmente a farsi in avanti, la linea della sua bocca si fece dura e i grandi occhi viola si accesero di orgoglio. Attraversò la sala a testa alta, quasi li stesse sfidando.

Non aveva ancora detto una parola e Matt aveva già deciso che il ragazzino gli piaceva.

Keith si sedette di fronte a lui, Shiro davanti ad Adam.

“Loro sono Matthew Holt e Adam Sànchez,” disse il pilota con un sorriso. “Rispettivamente del dipartimento ricerca e del corpo piloti.”

Il cadetto fu educato e strinse la mano a entrambi, poi guardò Shiro. “Mi hai parlato di loro…”

“E lui ci ha tanto parlato di te!” Intervenne Matt allegramente. “Complimenti per i tuoi voti! Prima di te, solo Shiro riusciva far parlare tanto di sé già al suo primo semestre alla Garrison.”

“Grazie…” Disse Keith incerto. Rivolse di nuovo lo sguardo a Shiro e lui gli strinse una spalla con fare incoraggiante.

“Non vi aspettavo,” disse quest’ultimo. “È stata una sorpresa trovarvi qui…”

Matt gli rivolse un ghignetto. “Tenevi Keith così nascosto che abbiamo dovuto complottare contro di te per conoscerlo.” Si sforzò di sorridere al co-pilota seduto accanto a lui.

Adam fece finta di non accorgersene.

“Non lo tenevo nascosto,” si giustificò Shiro. “Avevo le mie ragioni…”

“Che ragioni potevano mai esserci per nasconderci la nuova stellina luminosa della Garrison?”

Keith storse la bocca. “Stellina luminosa?”

“A Matt piace scherzare,” disse Shiro con un sorriso imbarazzato. “Che ne dici se teniamo i nomignoli per un’altra volta?”

Matt s’imbronciò. “Così che tu lo possa chiudere sotto chiave e non farcelo vedere mai più?”

“Io devo andare,” disse Adam, alzandosi in piedi.

Sia Matt che Shiro lo fissarono perplessi.

“Pensi di rientrare questa sera per cena?” Aggiunse, rivolgendosi al pilota.

“Certo…” Rispose Shiro. Avrebbe voluto dire qualcos’altro, chiedergli di restare ma la freddezza negli occhi di Adam lo convinse a fare altrimenti. “A questa sera…”

Il co-pilota si limitò ad annuire e se ne andò senza salutare nessuno. Shiro lo guardò scomparire oltre la porta, ingoiò l’amarezza e tornò rivolgere tutta la sua attenzione agli altri due. Lo sguardo di Matt diceva tante cose e nessuna educata. Keith guardava fuori dalla vetrata, come se avesse voluto essere da tutt’altra parte.

Non ci voleva un genio per intuire il motivo.

“Va tutto bene, Keith,” si sentì in dovere di rassicurarlo Shiro.

Il cadetto lo guardò con la stessa espressione che il pilota gli aveva visto sul viso il giorno del suo primo richiamo. Lascia perdere, diceva. Non valgo il tuo tempo.

Shiro era determinato a dimostrargli il contrario. “Va tutto bene, sul serio.”

“Bah…” Borbottò Matt appoggiando la schiena alla vetrata. “Non farti rovinare l’umore da lui, Keith.”

Il cadetto lo guardò ma rimase in silenzio. Shiro sapeva che non era il comportamento di Adam ad averlo turbato ma il pensiero di possibili ripercussioni spiacevoli su di lui.

“Adam è così,” spiegò il pilota sforzandosi di suonare sereno.

“No, non è mai stato un gran simpaticone!” Matt gli diede man forte a modo suo. “Ma parliamo di te!” Rivolse al cadetto un gran sorriso. “Parlami un po’ di te, Keith.”

Il ragazzino sbatté le palpebre un paio di volte. “Non c’è molto da dire su di me…”

“Sappi che gli amici di Shiro sono miei amici!” Aggiunse il giovane Holt. “Se mai avrai voglia di lamentarti di lui, non esitare a venire da me.”

Suo malgrado, Shiro sorrise.

Keith, invece, lo prese sul serio. “Se sono qui, lo devo a Shiro,” disse un po’ troppo freddamente. “Non dirò né farò mai nulla che possa danneggiarlo.”

“Keith,” intervenne Shiro prontamente. “Stava scherzando.”

Il giovane Holt era senza parole ma nel modo più positivo possibile. “Oh, qualcuno qui è molto protettivo!” Esclamò. “Anzi, direi agguerrito. Farai quindici anni a ottobre, vero?”
“Sì, il ventitre.”

“E quanto tempo pensi di metterci per arrivare a diciotto?” Domandò Matt. “Il nostro Shiro ha bisogno di alternative nella sua vita e ho già scelto il mio candidato.”

“Matt!” Lo riprese Shiro un po’ bruscamente.

L’amico lo guardò storto. “Il ragazzino mi piace! Lasciami fare il mio lavoro da braccio destro!”

Gli occhi viola di Keith si fecero ancora più grandi, come se non credesse alle sue orecchie.

Matt gli sorrise. “Avanti, Keith, non essere timido,” si sporse verso il cadetto. “Perché hai scelto di seguire il nostro Shiro alla Galaxy Garrison? Qual è il tuo sogno?”

Keith non esitò a rispondere. “Le stelle…”



Eh, sì…

Quella risposta mi chiarì le idee su tante cose.

E allora diventammo amici… Accadde, vero? So che preferivi di gran lunga la compagnia di Shiro alla mia, ma io e te parlavamo… E ho imparato che riuscire a parlare con te è un privilegio per pochi!

Tornando a noi, non ho dubbi che tu abbia dimenticato Adam prima di subito. Non vi siete più incontrati, giusto?

Te lo posso assicurare: non aveva nulla contro di te. Solo un possessivo compulsivo sarebbe stato geloso di un ragazzino di quattordici anni. In un certo senso, tu gli facevi comodo: davi una ragione a Shiro per non inseguire le stelle attraverso ogni missione organizzata dalla Garrison.

Ciò che lo infastidiva non era il tempo che Shiro ti dedicava o il fatto che sembravate condividere più cose voi due che loro – capiamoci: continuavano a dormire insieme come qualunque altra coppia di vent’anni.

Era sapere di non essere abbastanza per trattenere Shiro a turbarlo.




“Keith è arrivato primo ai test pratici di fine semestre,” disse Shiro, intento a cercare qualcosa sul fondo dell’armadio. “Deve migliorare sulle prove scritte ma Matt dice che impara in fretta… Quando non si fissa.”

Steso sul suo lato del letto, Adam continuò a guardare il soffitto come se il compagno non stesse parlando.

“Pensi che se lo porterò fuori con la hooverbike durante le settimane di pausa, verremo sorpresi dalla pioggia come è di tradizione?” Domandò Shiro divertito.

Adam prese un respiro profondo e sollevò la testa. “Che cosa stai cercando?”

Shiro gli lanciò una breve occhiata. “Il mio vecchio telescopio,” rispose, continuando a cercare. “Voglio regalarlo a Keith. Ha detto che suo padre ne aveva uno ma all’orfanotrofio ha avuto vita breve.”

“Quanti anni aveva quando ha perso suo padre?” Domandò Adam. Un debole tentativo d’iniziare una conversazione.

“Otto…” Rispose Shiro con inclinazione più cupa. “Era un pompiere. È morto da eroe.”

“E sua madre lo ha abbandonato…”

Il pilota interruppe la sua ricerca per voltarsi a guardare il compagno. “Che cosa vuoi dire?”

“Niente, Takashi. Riflettevo sul fatto che avete un sacco di cose in comune,” rispose Adam con voce incolore.

Shiro non negò. “Sì, è vero. Certe volte, mi ricorda me.”

Adam poggiò la schiena al cuscino. “Tu non sei mai stato così ribelle.”

“Non mi riferisco alla personalità. Keith ha la sua, io la mia. È una questione di…” Shiro lasciò la frase in sospeso e continuò a cercare dentro l’armadio.

Adam fissò la sua schiena. “Una questione di cosa?”

Shiro rinunciò all’impresa e si avvicinò al letto con espressione sconfitta. “Non ricordo dove l’ho messo.” Si lasciò cadere sul letto e allungò una mano verso Adam, infilando le dita tra l’elastico dei boxer l’orlo della t-shirt.

Il co-pilota non lo respinse ma nemmeno lo incoraggiò ad andare avanti. Shiro si fece serio e si sollevò su un gomito. “Che cosa succede, Adam?”

“Niente…”

“Hai voluto tu che accettassi quel lavoro,” disse Shiro pazientemente. “Sono a casa. Sono con te. Che cosa sto sbagliando?”

Adam rise. Un suono sarcastico, privo di gioia. “Incredibile…” Disse. “Eppure un tempo ero io quello incapace nelle relazioni.”

Shiro strinse le labbra fino a farle diventare una linea sottile. “Mi trovi incapace?”

“Ti trovo distratto, Takashi,” rispose Adam freddamente. “Distante… Persino un ragazzino riesce a farti sentire qualcosa più di me.”

“Keith non centra nulla in questa storia.”

Lo difendi ma non neghi, pensò Adam. “No,” concordò. “Non centra niente.” Allungò la mano è spese la luce sul comodino. “Cerchiamo di dormire.”

Per un po’, ognuno rimase dalla sua parte del letto. Fu Shiro a non dichiarare la resa. Fu lui a farsi più vicino, a toccare Adam, a cercare di dimostrargli che era lì, al suo fianco e non sarebbe andato da nessuna parte.

E Adam non lo respinse, decise di dargli fiducia.

Per una volta nella sua vita, decise di credere all’impossibile.



Shiro non mi parlò mai della tensione tra lui e Adam.

Cominciai a nutrire dei sospetti a metà del tuo secondo anno alla Garrison, quando tu e Shiro…

Uhm… Forse non ti fa piacere ricordarlo.




“Shiro ha avuto un incidente con la hooverbike.” La voce di Keith suonò assurdamente calma dall’altra parte della linea. “È finito addosso a una parete di roccia. Non lo so… Non è riuscito a frenare. Ha cercato di cambiare direzione all’ultimo ed è caduto.”

Tutto quello che Matt riuscì a dire fu un: “arrivo subito,” prima di chiudere e di correre fino all’ala ospedaliera dell’Accademia.

Riprese a respirare solo quando vide Shiro seduto su uno dei letti del reparto di primo soccorso, la testa saldamente attaccata al collo e tutti gli arti al loro posto. Keith era con lui.

“Shiro!” Matt chiamò come un pazzo.

L’amico si voltò e gli rivolse subito un sorriso per rassicurarlo. “Va tutto bene, Matt.”

Il giovane Holt afferrò il pilota per le spalle e lo esaminò da vicino: aveva un brutto taglio sulla fronte e uno zigomo gonfio, nulla di più.

Matt prese un respiro profondo. “Hai deciso di farmi morire?”

“Sto bene,” ripetè Shiro con aria serena e l’altro si trattenne dal prenderlo a pugni. “Ho solo distrutto gli occhiali da pilota.”

“Potevi accecarti!”

“Sono caduto su un fianco. Ho una costola crinata ma passerà.”

“Potevi spaccarti la faccia! Lo sai che Iverson non può mandare avanti la baracca senza la tua faccia!”

Keith inarcò le sopracciglia con perplessità.

Shiro scoppiò a ridere. Si fermò immediatamente portandosi una mano all’addome. “Matt, ti prego, ridere mi fa male!”

Il giovane Holt lo ignorò e spostò lo sguardo sul ragazzino in piedi accanto al letto. “Tu stai bene?” Domandò preoccupato.

Keith annuì.

“Ti ho fatto prendere un brutto spavento,” disse Shiro con espressione desolata. “Scusami, Keith.”

“Tu non hai fatto niente,” replicò il cadetto con aria colpevole.

Matt non seppe spiegarsi il perché di quella espressione ma decise di rimandare le domande a dopo. “Dove devo firmare per farti uscire?”

Shiro divenne serio di colpo. “Devo aspettare il dottore.”

“Ma ti hanno già medica-” Matt comprese che non era l’incidente il motivo per cui il pilota aveva bisogno di vedere un medico.

Non è riuscito a frenare, aveva detto Keith.

Istintivamente, Matt abbassò lo sguardo sulla mancina dell’amico e si accorse che le dita erano chiuse a pugno.

Shiro si umettò le labbra. “Adam sta arrivando,” disse. “Vorrei che accompagnassi Keith fino alla sua stanza. Non voglio che torni da solo.”

Keith fece per obiettare. Matt gli strinse la spalla prima che ci riuscisse. “Nessun problema.”

Il cadetto scosse la testa. “Non possiamo lasciarlo qui da solo.”

“Non te lo ruba nessuno,” lo rassicurò Matt, circondandogli le spalle con un braccio. “Tu dovresti già essere a letto da un pezzo.”

“Ma-”

“Keith.” Shiro gli afferrò il polso gentilmente. “Io sto bene. Devo fare qualche test di routine e non è necessario che perdiamo il sonno in quattro per questo.”

Il cadetto abbassò lo sguardo, i pugni serrati. “D’accordo…”

“Ci vediamo domani,” gli assicurò Shiro facendogli l’occhiolino.

Keith annuì e lasciò che Matt lo guidasse fuori dall’ala ospedaliera.



“Certe volte Shiro sarebbe da prendere a schiaffi!” Esclamò Matt entrando nell’ascensore per accedere alle stanze dei cadetti. “Andare a correre con la hooverbike di notte! Ma dove ha la testa?”

Non si accorse del modo in cui Keith teneva la testa chinata, come se si vergognasse per qualcosa.

“Non è la prima volta che lo fa ma portare a che te…”

“Sono stato io,” confessò Keith, mentre le porte scorrevoli si richiudevano. “Sono stato io a chiedere a Shiro di uscire con le hooverbike di notte.”

Il silenzio che calò dopo fu pesante come un macigno. Matt boccheggiò come un pesce fuor d’acqua per un po’, poi si passò una mano tra i capelli con frustrazione e prese un respiro profondo. “Keith, non è colpa tua.”

Gli occhi viola del cadetto rimasero puntati a terra, nascosti dalla frangia di capelli corvini.

“Keith…” Matt gli strinse le spalle. “Shiro è un adulto. Se ha una cattiva idea, è abbastanza grande per affrontarne le conseguenze. Non sei tu a essere responsabile per lui, casomai il contrario!”

Keith si decise a sollevare lo sguardo ma la sua espressione diceva che le parole del giovane ufficiale non lo avevano nemmeno sfiorato. “Lo ha fatto per me,” insistette. “Shiro si è messo nei guai per me.”

Matt accennò un sorriso. “Mio caro Keith,” disse con tenerezza, “se riesci a convincere gli uomini a prendere decisioni sbagliate a quindici anni, ho paura del potere che avrai su di loro quando sarai un po’ più grande.”

Keith non comprese l’allusione. “Che cosa vuol dire?”

Matt chinò la testa stancamente. “Eccone un altro…”

Un altro cosa?”

“Keith…” Il giovane Holt lo fissò dritto negli occhi. “Hai un co-pilota? Te ne hanno già dato uno? Come si chiama?”

“Non me lo ricordo,” rispose Keith, sempre più confuso dal comportamento dell’altro. “Mi sembra si chiami Lance.”

“Ottimo! Mi raccomando, non innamorarti di Lance!”

Keith storse la bocca in un’espressione schifata. “Eh?” Ringhiò.

Matt gli diede una pacca sulla spalla. “Questo è lo spirito giusto!” Esclamò con euforia. “Tu sì che farai strada, Keith!”
   
 
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