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Autore: Ode To Joy    09/08/2018    2 recensioni
[!!!SPOILER S7!!!]
In seguito al salvataggio di Shiro dal piano astrale, Matt si ritrova a raccontare a Keith una vecchia storia che non gli appartiene ma di cui, suo malgrado, ha fatto parte.
E di cui, a sua insaputa, il giovane Galra ha scritto la fine.
"Adam non era la persona adatta per Shiro... Ma questo non gli impedì di averlo."
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Holt Matt, Kogane Keith, Takashi Shirogane
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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VI
Kerberos




“Questo è un bracciale che rilascia impulsi elettromagnetici,” spiegò il dottore, mentre un’infermiera sistemava il dispositivo intorno al polso di Shiro. “Per farla breve: costringe i muscoli a rispondere.”

Shiro mosse il polso per testare il peso del bracciale. Non era tanto pesante da dare fastidio e riusciva a nasconderlo facilmente sotto la manica della giacca. “Grazie,” disse con un sorriso cortese.

Adam era accanto al letto su cui era seduto. Era una presenza silenziosa e Shiro sentiva il peso del suo sguardo su di sé. Invece di rassicurarlo, la vicinanza del compagno lo angosciava.

“Non è una soluzione permanente, Shirogane,” disse il dottore con aria grave.

Shiro non smise di sorridere, abbassò solo lo sguardo. “Lo so…”




Adam rimase in silenzio fino all’indomani mattina.

Turbato dal suo silenzio, Shiro non aveva chiuso occhi ed era stato il primo ad alzarsi per preparare la colazione. Forse sarebbero riusciti a parlare di fronte un buon caffè.

E Adam parlò. Lo fece lentamente e in modo chiaro. “Chiederò a Iverson di sospenderti il permesso di guidare le hooverbike.”

Con la tazza calda stretta tra le mani, Shiro non rispose immediatamente.

“Sorvolerò sul fatto che hai portato un cadetto a correre nel deserto di notte.”

“Keith voleva vedere le-”

“Allora prenderà un richiamo.”

Shiro sbatté il pugno sul tavolo. “Adam!”

L’espressione del co-pilota era gelida. Prese un sorso del suo caffé. “Bene,” disse con voce incolore. “È ufficiale che basta minacciare lui per ottenere la tua attenzione.”

Shiro non credeva alle sue orecchie. “Ma che cosa ti sta succedendo?” Domandò. Non riconosceva il giovane uomo che aveva di fronte. Era lo stesso con cui era cresciuto insieme, eppure gli sembrava un estraneo.

Adam storse la bocca in un’espressione sarcastica. “A me?” La sua voce era veleno. “Vuoi sapere che cosa succede a me?” Appoggiò la schiena alla sua sedia, prese le distanze. “Io e te ci amiamo ancora, Takashi?”

Shiro non esitò a rispondere a tono. “Non lo so, tu non me lo hai mai detto.”

Adam non riuscì a rimenere indifferente a quelle parole. “Questo è ingiusto,” disse con rabbia a stento trattenuta.

Sì, lo era, Shiro ne era consapevole. “Non lo so se ci amiamo ancora,” disse. “So solo che non sei più felice con me.”

“Io sto cercando di proteggerti!”

“Tu mi stai rinchiudendo!” Replicò Shiro, alzandosi in piedi. “Non sono ancora morto, Adam, ma devi accettare che non c’è modo d’impedire che accada l’inevitabile.”

L’altro strinse gli occhi. “Takashi…”

“Non resterò immobile ad aspettare che quel giorno arrivi,” disse Shiro con fermezza. “Vivrò fino al mio ultimo respiro.” Si voltò, convinto a voler uscire da quell’appartamento prima che qualcos’altro si rompesse dentro di lui

C’era stato un tempo in cui Adam aveva avuto il potere di lasciarlo senza fiato. Ora lo soffoca e basta.

Shiro raggiunse la porta finendoci addosso. Adam era sempre stato più alto di lui, sebbene in modo impercettibile. Quando portò le mani ai lati della sua testa e gli impedì di andare da qualunque parte, a Shiro parve un gigante.

Si guardarono. Gli occhi di entrambi accesi dall’ira ma i loro visi erano così stanchi, troppo per la loro età.

Fu Adam a cominciare il bacio. Shiro rispose per abitudine, per sfida, non per tenerezza.

Non c’era spazio per sentimenti del genere, non più.

Non arrivarono in camera da letto.

Adam lo spinse sul divano con tutto il peso del suo corpo. Si strapparono i vestiti di dosso come se volessero lacerarsi la pelle a morsi.

Shiro costrinse Adam contro lo schienale e si mise a cavalcioni su di lui. Lo inchiodò con lo sguardo e l’altro non poté fare nulla contro il gelo di quegli occhi grigi. Fu irruento. Fece male ma il dolore si fuse così bene con l’eccitazione che Shiro lo accettò quasi volentieri.

Da quanto tempo non si toccavano con tanta passione?

Nessuno dei due ricordava più l’ultima volta che si erano cercati per qualcosa di più della semplice abitudine.

Di dolcezza, però, non ce ne era neanche l’ombra, solo rabbia.

Ad un certo punto, gli occhi di Adam tradirono una disperazione profonda, un riflesso del sentimento che un tempo li aveva uniti con tenerezza. Fu allora che Shiro chiuse gli occhi e gettò la testa all’indietro: non voleva vedere o capire, solo perdersi in quello che il mero sesso poteva offrire.

L’orgasmo fu travolgente, un’ondata di piacere totalizzante.

Quando i loro occhi s’incontrarono di nuovo, il fuoco si era spento ed entrambi erano ridotti in cenere.

Shiro se ne pentì immediatamente. Il senso di colpa addolcì la sua espressione ma era troppo tardi.

Adam si abbandonò contro lo schienale e lo lasciò andare, il viso rivolto verso la finestra per evitare il suo sguardo.

Scusami, avrebbe voluto dire Shiro. Si vergognava troppo per farlo.

Si rivestì senza preoccuparsi del calore bagnato che sentì scivolare lungo l’interno coscia. Quella fu la prima volta che scappò da qualcosa.



Keith era felice con il suo telescopio rosso stretto al petto. Sorrideva appena, in modo quasi impercettibile ma Shiro lo aveva notato ed era bastato ad alleggerire un po’ il suo cuore ferito.

Il suo telescopio, quello che sua madre gli aveva regalato quasi dieci anni prima, non era più riuscito a trovarlo. Un altro ricordo felice che si perdeva con l’ingresso nell’età adulta.

Lui e Matt avevano deciso di comprarne uno nuovo e di dire a Keith una bugia a fin di bene sulla sua provenienza. Se avesse saputo la verità, non lo avrebbe mai accettato.

Quando arrivò la notizia che una pioggia di asteroidi sarebbe passata sopra il deserto della Garrison, ai due giovani ufficiali parve la buona occasione per mettere alla prova il loro regalo.

“Presto!” Esclamò Matt, scendendo dal pick-up per primo. “Sta per cominciare e non durerà molto.”

Keith lo seguì a ruota, il telescopio tra le braccia. Dal posto guida, Shiro fu l’ultimo a scendere.

“Presto, Keith!” Matt aiutò il cadetto ad aggiustare il treppiedi a terra in modo che fosse stabile.

Shiro rimase accanto al pick-up. Il fenomeno sarebbe stato visibile anche a occhio nudo e non voleva che Keith fosse influenzato dalla sua malinconia.

Matt era euforico, spingeva Keith a chinarsi sul telescopio e lo riempiva d’informazioni scientifiche troppo complicate per chiunque non facesse passe della sezione scientifica. “Queste cose succedono una volta ogni cento… Ma no! Che dico? Duecento anni! Fammi dare un’occhiata!”

Keith si fece goffamente da parte e il giovane Holt prese possesso del telescopio. Il cadetto non sapeva mai come reagire di fronte all’esuberanza del giovane ufficiale, così portò gli occhi sull’unico membro del loro gruppetto che non si era lasciato coinvolgere dall’euforia.

“Ehi…” Disse, avvicinandosi al pilota seduto sul cofano del pick-up.

“Ehi,” rispose Shiro, accennando un sorriso.

Keith non aspettò che l’altro lo invitasse ad accomodarsi accanto a lui. Si sedette e sollevò gli occhi sul cielo attraversato da decine di stelle cadenti. “Deludente?” Domandò.

Shiro lo guardò. “Cosa?”

“Una volta stati lassù, tutto ciò che si vede restando con i piedi per terra è deludente, vero?”

Il pilota scosse la testa. “No,” lo rassicurò. “Il cielo è sempre bellissimo, Keith. Non smette mai di esserlo, non importa a quante missioni prendi parte. Anzi, ti faccio una confessione: alle volte, quando sono lassù, mi manca essere qui.”

Keith corrugò la fronte. “Non ci credo.”

“Invece sì,” affermò Shiro con un sorriso paziente. “Volare tra le stelle non ti permette di ammirarle in questo modo.” Sollevò lo sguardo verso il cielo. “I momenti migliori lassù sono quando esci dalla navicella con la tuta e hai qualche istante per guardarti intorno, prima che il dovere ti richiami all’ordine.”

“E com’é?” Domandò Keith, gli occhi viola brillanti come due stelle. “Com’è vedere il cielo da lassù?”

Shiro sorrise. “Ti fa sentire piccolo,” ammise, “ma non fa paura. Se guardi l’universo con gli occhi di un esploratore, quell’immensità è uno scrigno di misteri meravigliosi e non puoi che desiderare di svelarvi tutti.”

Keith sorrise. Un sorriso vero e non una timida smorfietta. “Mio padre diceva una cosa simile,” gli confidò. “Diceva che per ogni domanda che mi ponevo, le stelle avevano una risposta. Credo fosse una frase fatta solo per farmi stare zitto, ma lo diceva guardando il cielo in un modo…” Scrollò le spalle. “Quando gli domandai perché amava tanto la volta celeste, mi rispose: alle stelle devo te. Non aveva alcun senso, ma lui era così… Rivolgeva sempre lo sguardo verso l’alto come se fosse in attesa di qualcosa. Non ho mai avuto l’occasione di chiedergli cosa.” Scosse la testa. “Scusami, sto parlando troppo.”

Shiro sorrise con tenerezza e scosse la testa. “È bello sentirti parlare. Quando lo fai, so che sono riuscito a convincerti a fidarti di me.”

“Io mi fido di te!” Affermò Keith allarmato, come se temesse di aver dimostrato il contrario.

Shiro rise con gentilezza. “Lo so.” Gli circondò le spalle con un braccio e lo tirò più vicino a sé. “Un giorno volerai tra le stelle anche tu, Keith e da quella distanza ti accorgerai di quanta bellezza c’è su questo pianeta.”

Il cadetto s’imbronciò. “A me non mancherebbe niente della Terra.”

Shiro lo guardò divertito. “Nemmeno io?”

Keith sbatté le palpebre perplesso. “No, perché quando sarò lassù, tu sarai con me.”

Preso di sorpresa, Shiro si fece serio di colpo.

“Potrei cominciare come tuo co-pilota,” disse Keith. “Matt mi ha detto che non è impossibile, se i miei voti continuano ad essere quelli che sono. Potrei fare domanda dopo il diploma.” Guardò il pilota con fare incerto. “Tu lo vorresti?”

Sì, Shiro desiderava accompagnarlo fino in fondo sulla sua strada per divenire un vero pilota. Sì, voleva esserci la prima volta che Keith sarebbe uscito nello spazio aperto e avrebbe guardato le stelle come se non le avesse mai viste prima.

Shiro aveva bisogno di tempo per vedere Keith splendere come era destinato a fare. Voleva ammirare quella stella e poter dire con orgoglio di aver fatto qualcosa per farla arrivare fino al cielo.

Se Keith avesse realizzato il suo sogno, il passaggio di Shiro sulla Terra non sarebbe stato vano.

Un qualcosa di lui sarebbe rimasto, per sempre.

Quanto tempo mi resta? Shiro non lo aveva mai chiesto a se stesso perché sapeva che poi avrebbe reso quel quesito la sua ossessione. Aveva bisogno di saperlo. C’era solo una cosa che lo spaventava più della perdita della sua dignità e non era la morte, ma il pensiero di perdersi qualcosa d’importante.

Shiro non poteva perdersi quello che Keith sarebbe diventato.

Quanto tempo mi resta?

“Shiro?” Lo chiamò Keith. Il suo silenzio prolungato lo aveva turbato.

Shiro forzò un sorriso e mentì: “certo, Keith,” mormorò. “Ti prometto che un giorno voleremo tra le stelle insieme.”

E Keith sorrise felice.



Quando si allontanò dal cannocchiale, Matt non fu felice di accorgersi che aveva parlato da solo per una buona mezz’ora.



Alla fine del tuo secondo anno, Adam e Shiro stavano ancora insieme e nulla cambiò neanche durante l’estate. Penso che la tua presenza all’Accademia fu molto utile e detonizzare la situazione.

A quel punto, Adam aveva messo da parte le sue aspirazioni da pilota per dedicarsi completamente all’ingegneria spaziale.

Il suo interesse per le stelle era finito con Shiro. Si era convinto che non ci sarebbero più state missioni per lui.

Adam non aveva mai amato il cielo. Shiro era la sua unica ragione per volare.

Tolta quella, gli restò la sua intelligenza e il nome della sua famiglia da onorare – sebbene Adam avesse rinunciato anche a quella per amore di Shiro.

Non voglio mettermi a giudicare chi dei due fosse quello che amava di meno. Non credo ci sia una risposta, solo opinioni… E a cosa servirebbero? Nessuno di noi due ha vissuto il loro legame, la malattia di Shiro e la difficoltà di Adam di tenerlo accanto a sé.

In un modo o nell’altro, il loro tempo stava per scadere.

Kerberos non fu la causa della fine, fu solo il modo in cui la loro storia si concluse.




Nei corridoi della Garrison, si cominciò a parlare della missione su Kerberos tempo prima che s’iniziasse a scommettere sul nome del pilota che avrebbe compiuto l’impresa.

Adam non aveva mai preso parte a quelle conversazioni. Se Shiro era consapevole di quello che stava per accadere, non ne parlò con lui. Adam non se ne sorprese: a stento si rivolgevano parola guardandosi negli occhi.

Vivevano ancora insieme, dormivano nello stesso letto e, alle volte, giocavano a fare gli amanti. Innamorati non lo erano più.

Era inutile negare l’evidenza.

Da tempo, Adam aveva cominciato a sospettare che a tenerli insieme fosse solo il ricordo di quello che erano stati. Era troppo razionale per illudersi che ci fosse ancora un frammento di sentimento tra loro. Restavano il rimpianto e l’affetto, quello che non si poteva non provare per la persona con cui si aveva passato metà della propria vita.

Quando Iverson annunciò – a porte chiuse e in gran segreto – il progetto-Kerberos, qualcosa dentro Adam sussultò. Fu bravo a tenere quel timore per sé, ma tremava ogni volta che Shiro apriva bocca in sua presenza.

Lo fece anche il fatidico giorno in cui Shiro tornò dopo essere stato in riunione con Iverson e gli Holt. Prima di andare, gli aveva detto di non avere idea di quale fosse la ragione di quell’incontro.

Il silenzio che accompagnò il suo ritorno fu sufficiente a far intuire ad Adam la risposta.

“Va tutto bene?” Domandò, una tazza di caffé caldo tra le mani. Sapeva già che non avrebbe mai finito di berlo.

Alle sue spalle, Shiro si sedette sul divano con un sospiro stanco.

“Il Comandante Holt vuole me come pilota per la missione su Kerberos.”

Adam strinse le labbra e inspirò dal naso.

“Iverson non crede che sia la decisione giusta.” Concluse Shiro con tono grave.

Il desiderio nascosto nella sua delusione era evidente. Eppure, Adam ci provò. “Forse ha ragione,” disse. “È troppo rischioso per te.”

“Tu lo sai quanto è importante per me!” Ribattè Shiro con forza.

Sì, Adam lo sapeva. Lo aveva sempre saputo e non lo aveva mai accettato.

“È un rischio che vale la pena correre!”

Credere di poter essere qualcosa di più delle stelle era stato il suo primo errore.

In un eccesso di rabbia, Adam sbatté la tazza sul tavolo. “Takashi,” disse. “Quanto sono importante io per te? Qui non stiamo parlando di una missione, stiamo parlando della tua vita.”

“Non ricominciare,” disse Shiro esasperato. “Non ho bisogno che tu mi protegga.”

Adam chiuse gli occhi per un istante. Quando ho cominciato a sbagliare? Avrebbe dovuto chiedere. Quando hai cominciato a sentirti soffocare con me?

Non lo fece.

“Che cosa vuoi provare ancora?” Domandò, invece. “Hai battuto tutti i record che potevi battere?”

Si voltò. Shiro fissava il pavimento e non sembrava avere alcuna risposta per lui.

Che cosa devo fare per poter superare le stelle nel tuo cuore? Un’altra domanda che Adam non avrebbe mai posto. Avrebbe dovuto farlo anni prima, quando si era illuso di poter legare quell’astro splendente a sé e di divenire il suo cielo. A quindici anni non se ne era reso conto, ma aveva creduto all’impossibile ogni istante che aveva creduto di avere un futuro con Shiro

Era tardi per loro. Lo era da un po’ e la cosa più triste era che Adam non sapeva quando quel declino era cominciato.

Non poteva dare la colpa alla malattia di Shiro. Non poteva nemmeno biasimare il ragazzino che sembrava essere la sua stella gemella.

La colpa era loro, solo loro. Non valeva la pena nemmeno duellare su chi dei due fosse più colpevole.

“So che non posso fermarti.” Disse Adam, alzandosi in piedi. “Ma non ce la faccio a farlo di nuovo.” Gli occhi di Shiro erano su di lui. Adam fu un codardo: non sollevò il viso per ricambiare lo sguardo.

Fu lui a scrivere la parola fine.

“Se deciderai di partire, sappi che non sarò qui ad aspettarti quando tornerai.”

Shiro non si ribellò in alcun modo a quella sua decisione. Adam superò il divano costringendosi a tenere gli occhi fissi sulla porta.

Fino all’ultimo, pensò che Shiro lo avrebbe fermato, che non si sarebbe arreso. Era lui quello sempre pieno di speranza, quello del non arrendiamo con noi stessi.

Quando la porta del loro appartamento si richiuse alle spalle di Adam, Shiro non si era nemmeno disturbato a sollevare lo sguardo.



Shiro venne da me quella stessa sera.

Ricordo ancora come mi sentii quando aprii la porta e me lo ritrovai di fronte. Sorrideva con cortesia, come fa di solito quando qualcosa non va ma non lo vuole dare a vedere.

Aveva tutta la sua roba con sé e quando mi disse che tra lui e Adam era finita, mi crollò il mondo addosso.

Non guardarmi con quella faccia! Sì, non ho mai tifato per Sànchez ma lui è Shiro stavano insieme da una vita! La notizia non mi poteva scivolare addosso!

Se Shiro ci stava male – e ci stava – me lo nascondeva dannatamente bene. A dargli una mano furono i nostri doveri.

Una volta confermato l’equipaggio per la missione su Kerberos, Shiro si divideva tra te e l’addestramento di preparazione. Vivevamo nello stesso appartamento ma è difficile avere una conversazione a cuore aperto quando svieni non appena tocchi il letto.

Adam scomparve dalla circolazione. Qualcuno diceva che aveva aderito a dei progetti d’ingegneria spaziale lontano dalla Garrison, altri sostenevano che stava cercando di recuperare il rapporto con suo padre.

Lo confesso: non m’interessava molto.

Shiro stava andando avanti senza Adam e non poteva essere un processo indolore. Era mio dovere di amico appoggiarlo e non perdere tempo a spettegolare.

Io e Shiro non abbiamo mai più parlato di lui.

Non lo so… Davvero non lo so, Keith.

Come si fa ad essere tutto e poi divenire niente? L’amore fa paura, non trovi?

Prima del lancio, so che parlarono un’ultima volta.

Penso che, nonostante tutto, Adam avesse bisogno di dirgli addio.




Il garage dell’Accademia era buio ma c’era ancora una luce accesa nell’angolo officina.

Shiro era chino su quella vecchia hooverbike da un po’. Non era tra i suoi doveri occuparsi dei veicoli dell’Accademia, ma era un modo per tenersi occupato e liberare la testa da altri pensieri. Quando Keith era occupato con i suoi impegni da cadetto, quello era il suo modo per rilassarsi un po’.

Il rumore di una porta che veniva aperta riecheggiò contro le pareti del garage. Shiro sollevò la testa ma il buio gli impedì di vedere qualunque cosa oltre il vetro che divideva l’officina dai parcheggi.

“Keith?” Chiamò, poi sospirò. “Keith, non dovresti uscire dal dormitorio da solo a quest’ora.” Si voltò per rimettere a posto la chiave inglese.” Non ti serve un’altro richiamo dal Comandante Iver-.”

La voce gli morì in gola come la figura di un giovane uomo divenne più chiara man mano che si avvicinava.

“Ciao, Takashi,” disse Adam con voce pacata.

L’ultima volta che avevano parlato, si erano lasciati nel peggiore dei modi possibili. Eppure, complice un senso di nostalgia che forse non se ne sarebbe mai andato, Shiro gli sorrise. “Ehi…”

Adam restò sulla porta dell’officina, le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni.

“Come stai?” Domandò Shiro.

“Me la cavo,” rispose Adam.

“Ho sentito che gli ingegneri spaziali più anziani si sentono minacciati da te,” disse Shiro, recuperando la giacca nera da motociclista dalla sella della hooverbike.

“Qualche anno da pilota mi è stato utile,” disse Adam. “È più facile progettare qualcosa sapendo come la userebbe il miglior pilota della propria generazione.”

Shiro annuì e abbassò lo sguardo per un istante: era difficile guardare l’altro negli occhi e non sentire niente. “Ho sentito dire che lavori con tuo padre.”

Adam si umettò le labbra. “Sto cercando di recuperare qualcosa.”

“Mi fa piacere.” Shiro era sincero.

“E tu come stai, Takashi?”

Shiro non era certo esistesse una singola risposta a quella domanda. “Sono sulla strada su cui sono sempre voluto essere,” rispose con un sorriso malinconico. “Volerò fino ai confini del sistema solare e una nuova era dell’esplorazione spaziale avrà inizio.”

“Sarà un grande inizio,” disse Adam.

Shiro annuì. “Ci saranno nuovi cieli da esplorare per Keith,” disse, facendo il giro della hooverbike. “Per lui e per chiunque deciderà di volare con lui.”

“Ha già un co-pilota?” Chiese Adam.

La sua sua voce non tradiva particolare interesse, ma Shiro gli rispose ugualmente: “il suo co-pilota è finito nella classe dei cargo-pilot. Non è riuscito a stare al suo passo. Keith non è facile, sia da eguagliare che da capire.”

“Tu ci riesci.”

“Sì, io ci riesco. La considero una delle mie vittorie personali.”

“Non lo vedrai diventare un pilota.”

“Potrei tornare in tempo per il suo diploma o poco dopo. Vorrei poter tornare e portarlo immediatamente in missione con me…” Shiro prese un respiro profondo. “Spero di avere abbastanza tempo.”

Adam fissò la punta dei suoi stivali per un istante, poi si schiarì la gola con un colpo di tosse. “Volevo augurarti buona fortuna,” disse. “Che cos’è che ripeti sempre a quel ragazzino?”

“La pazienza porta concentrazione?”

“No, non citare gli Holt, ti prego.”

“A che cosa ti riferisci?”

“A quella che ti ripeteva tua madre quando eri bambino.”

Shiro sorrise. “Va’ e sii grande.”

Si guardarono negli occhi e per un attimo tornarono ad essere ragazzini.

“Sì, quella,” rispose Adam, accennando un sorriso. “Va’ a sii grande, Takashi.”

Quello che era per loro, però, lo avevano già fatto.

Shiro scosse la testa. “Tu non ci credi davvero.”

“Quello che credo io non importa,” replicò Adam. “Non più.” Strinse le labbra, esitò. “Nessun rimpianto?”

Shiro non smise di sorridere. “No, Adam.”

L’ingegnere annuì. “È il tuo sogno,” disse, aveva perso il coraggio di guardarlo negli occhi. “È giusto così.”

Non si toccarono. Nessuno dei due provò a esaurire il metro scarso di distanza che c’era tra loro. Non c’era più una ragione per farlo o, al contrario, ce ne erano troppe e nessuno dei due poteva rimettere tutto in discussione.

“Ciao, Takashi.”

“Ciao, Adam.”

Fu l’ultima volta che si videro.
 
   
 
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