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Autore: Elis9800    11/08/2018    2 recensioni
Kageyama Tobio è un geniale avvocato dal cuore di pietra.
Totalmente disinteressato a chi lo circonda, s’imbatte per puro caso in un medico dall’odioso sorriso perennemente stampato sul volto.
Quando una sistematica esistenza perfezionista e solitaria ne incontra una libera da schemi e sprizzante vitalità…
Un ferreo autocontrollo saprà resistere alle sconcertanti conseguenze dello scontro?
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[Future!AU]
[KageHina]
[side!BokuAka] [side!KuroKen] [side!IwaOi]
[14/15, epilogo in arrivo!]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Karasuno Volleyball Club, Nuovo personaggio, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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III

La vista dal trono





 
“Considerando i bilanci delle ultime settimane...”
“La causa Otomashi è ancora in bilico, il processo avrebbe dovuto tenersi il 24 ottobre, eppure…”
“Ecco il suo caffè, Kunimi-san, poco zuccherato e senza latte!”
“I fascicoli Sasaki, qualcuno li ha visti? Li avevo appoggiati proprio qui accanto…”
“Andresti a comprarmi le sigarette al tabacchino all’angolo, Fujita-kun?”
“L’appuntamento con i clienti Goto è alle 10.30, si può sapere dove sono finiti i fascicoli del loro caso…”
 
La testa di Kageyama Tobio sarebbe esplosa a breve.
Le voci concitate e stridule degli avvocati e rispettive segretarie dello studio legale Kitagawa Daiichi, ventiduesimo piano grattacielo F del quartiere metropolitano di Tokyo, si sommavano e amplificavano a vicenda, generando un’onda sonora talmente acuta da martellare le orecchie del legale corvino fino a penetrargli nei meandri più profondi del cervello.
 
“Certamente, Oritsume-san! Gradisce le solite Marlboro rosse oppure preferisce…?”

“Maledizione, volete chiudere tutti quelle inutili bocche per cinque minuti?!”
 
Come se fosse stata scossa da un improvviso tuono, l’intera sala piombò nel silenzio più assoluto. 
Dodici paia d’occhi si fissarono sulla figura impettita di Kageyama, emettendo le più varie sfumature di fastidio.
“Se non fosse abbastanza ovvio, Kageyama, questo è un meeting mattutino, ergo discutere è uno dei suoi scopi primari” ribatté sardonico Kunimi, seduto alla destra del corvino con in mano il bicchiere di caffè ancora fumante.
Se fosse stato possibile, le orecchie di Tobio avrebbero iniziato a emettere fumo esattamente come la bevanda di Akira.
“Dibattere di qualcosa di sensato magari, e non del pacchetto di sigarette che è meglio acquistare per Oritsume!” abbaiò con sguardo carico d’ostilità al suddetto avvocato e alla sua segretaria, che abbassò subito il capo, rossa d’imbarazzo.
“Ooh, e da quando con te sarebbe possibile discutere?” s’intromise Kindaichi, gettandogli un’occhiata velenosa dall’altro capo del lungo tavolo.
“Il Re del Kitagawa Daiichi non ha tutto sotto controllo? Non riesce sempre in ogni intento da solo?” aggiunse con vivo disprezzo.
Risatine sardoniche si levarono attorno a lui.
Tobio deglutì e assottigliò gli occhi, irritato.
“Non sono minimamente interessato a parlare con gente priva di qualsivoglia capacità o, peggio, utilità” sibilò, tagliente come una lama.
Se prima il silenzio era stato riempito da risolini sbeffeggianti, in quel momento il gelo cadde tutt’attorno Kageyama, isolandolo dagli altri legali esattamente come se risiedesse in una dimensione totalmente differente.
Le gote di Yuutarou si arrossarono vigorosamente mentre al suo fianco, Hashimaki, il più anziano fra loro, ruggì un “Come ti permetti, moccioso” che risuonò per l’intera sala riunioni dalle pareti in vetro.
Nonostante il totale disinteresse verso i commenti dei suoi coetanei, l’ammonimento di una persona con più anni del corvino sortì l’effetto sperato.
Serrò le labbra in una linea dura e abbassò appena i grandi occhi blu.
“Ah, davanti ai senpai cali la testa, faccia di bronzo?” sputò tuttavia Oritsume, implacabile.
“E’ un rispetto fittizio. Tutti coloro che, secondo il suo giudizio, sono degli idioti, non hanno alcuna distinzione d’età” sottolineò con tono incolore Kunimi.
“E, sempre secondo il suo modesto parere, tutti noi qui dentro siamo degli idioti. Non è forse così, Re?” aggiunse con una sfumatura più maligna del solito.
Il silenzio carico di scintile che precedette il suo verdetto poteva essere tagliato in due con un coltello.
L’espressione di Kageyama si tramutò in una maschera di ghiaccio.
“Non è colpa mia se le vostre abilità siano al di sotto di quelle socialmente accettabili per poter essere anche solo dei buoni avvocati” sciorinò senza alcuna inflessione di voce.
“Ma chi ti credi di essere, piccolo bastardo!” strillò Kindaichi, ergendosi dalla sedia di scatto e facendo scivolare il fascicolo di carte che reggeva ancora tra le dita.
“Yuutarou, calmati” sibilò Kunimi, il quale lo tenne saldamente per un braccio per evitare eventuali disastri.
“No che non mi calmo! So bene che Kageyama non può essere mandato via per tutte le cause che vince, ma lavorare con lui è diventato insostenibile!” sbraitò.
Con uno strattone si divincolò da Akira e si posizionò proprio di fronte alla sedia di Tobio, che non voltò nemmeno il capo per sostenere il suo sguardo furente.
“Non ti sopporto, non ti tollero dai tempi dell’Università! Sempre il solito perfettino, tutto memoria e giochetti di strategia. Ti odiavano tutti, tutti, me compreso! Però almeno noi avevamo una ragione valida! L’unico, singolo torto che abbiamo mai arrecato a te, è stato semplicemente quello di esistere!” tuonò, ergendosi in tutti i suoi 190 centimetri.
Attorno a loro i restanti legali non aprirono bocca, guardando alternativamente prima Yuutarou e poi Tobio.
Dopo qualche attimo di tesissimo silenzio, con Kindaichi che ansimava per la foga di quelle rivelazioni, alla fine Kageyama alzò lentamente la testa.
“Posso semplicemente affermare che concordo con il tuo punto di vista” fu la secca e arida risposta del corvino, che si alzò dritto come un fusto, raccattò con la mano sana le sue cartelle dal tavolo e uscì dalla stanza, come se nulla lo avesse minimamente scomposto.
Yuutarou, così come la maggior parte dei presenti, rimase con gli occhi fuori dalle orbite.
“Ma che razza di problemi ha quello lì” sbottò Hashimaki, massaggiandosi le tempie per tutto quel frastuono.
“Ed è vistosamente peggiorato da quando Oikawa-san ha ricevuto l’offerta dello studio Seijo e ci ha lasciati un anno fa” rincarò la dose Tashiro.
Kunimi non si pronunció.
Continuò soltanto a guardare il corvino uscire dalla porta a vetri della sala, sbottare qualcosa alla sua segreteria che sussultò annuendo freneticamente e che, come un automa, lo seguì in direzione del suo ufficio.
Non seppe esattamente il motivo per cui decise di seguirlo.
 
“Continua con quest’atteggiamento, Kageyama”
Tobio, sorpreso dal tono duro che era certo provenisse dalla bocca di Kunimi, si fermò di scatto nel mezzo del corridoio deserto.
La sua segreteria mormorò a testa bassa qualcosa d’incomprensibile e si affettò a dileguarsi, la coda di capelli scuri che ondeggiava via nervosamente.
“Continua così, allontanando qualunque persona provi anche solo ad accostarsi al tuo campo visivo”
Si avvicinò lentamente, finché le sue parole non colpirono proprio il retro del padiglione auricolare dell'altro.
“Continua così e, prima che tu possa renderti anche solo conto di quel che hai combinato, prima che tu possa porre rimedio… ti ritroverai solo. Completamente, inevitabilmente. Solo” sillabò, tanto sommessamente che nessuno al di fuori di loro due avrebbe mai potuto udire quella conversazione.
Tobio non ribatté.
Ricominciò semplicemente a muovere le lunghe gambe dinanzi a lui come se, anche quell'ennesina volta, nulla l’avesse minimamente scalfito.
“Saprai affrontare una vita di solitudine, Re?” sussurrò Akira, più rivolto a se stesso che al dorso oramai distante di Kageyama, sostando un altro istante nel corridoio per poi ritornare in sala riunioni, dove il dibattito era ancora molto acceso.
 
Ormai al sicuro seduto dietro alla grande e imponente scrivana in legno di noce del proprio ufficio, davanti a pile e pile di scartoffie da analizzare, con la sua segretaria spedita in archivio a recuperare chissà quali documenti di chissà quale caso, il cuore di Tobio batteva più velocemente del normale.
Le parole di Kunimi, che sarebbero dovute scivolargli addosso come obbedienti goccioline d'acqua…
Erano penetrate silenziosamente e a passo felpato in fondo alla sua coscienza.
 
 
                                                                                     
 
Una convocazione dal giudice, due tramezzini e quattro appuntamenti più tardi, Kageyama sbucó dalle grandi porte a scorrere del grattacielo con un gran mal di testa.
Alzò distrattamente il capo verso il cielo cupo.
Le stelle si scorgevano a malapena con tutte le luci artificiali prodotte dalla capitale e l’aria era fin troppo pregna di smog.
Strinse tra le dita della mano sinistra la sua ventiquattrore e s’incamminò velocemente alla ricerca di un taxi.
Il gesso all’avambraccio destro gli rendeva difficoltoso prendere il treno senza che qualcuno gli sbattesse contro e lo facesse imprecare per le successive ore.
Dopo averne fermato uno, si sedette e aprí bocca solo per fornire le basilari indicazioni da seguire al tassista, che da parte sua cercò di coinvolgerlo in qualche facile conversazione, ma ottenendo a stento qualche piatta risposta monosillaba, decise di lasciar perdere scuotendo la testa.
Non che Tobio volesse essere sgarbato.
Semplicemente, non amava perdersi in futili chiacchiere e convenevoli.
 
Pagò e scese dall’autovettura.
Le luci colorate della pasticceria “Murakami” e i suoi grandi vetri illuminati gli provocarono un piccolo sorriso.
Quel luogo era insolitamente capace di rilassarlo, senza contare poi che i dolci fossero davvero squisiti.
Abbassò la maniglia dell’ingresso e il piccolo campanellino dorato posto sopra alla porta avvisò il personale dell’arrivo di un cliente.
“Benvenut… oh, ma sei tu Kageyama! Prego, accomodati!” esclamò Bokuto allegramente da dietro lo spazioso bancone, accogliendolo con un sorriso a trentadue denti.
Tobio sbattè le palpebre più volte e si sforzò di non agitarsi di fronte a tutto quel calore che Koutaro era capace di emanare in una singola frazione di secondo.
“Stasera vado di fretta, Bokuto-san. Uno yogurt doppio da portare via, per favore” borbottò sommessamente.
Gli occhi ambrati di Bokuto brillarono.
“Vai proprio matto per lo yogurt, eh? Beh, ti do ragione, quello che prepara Kuroo è stranamente buonissimo” asserì con convinzione.
“Stranamente?”
Un uomo molto alto, slanciato e dai lineamenti accattivanti si materializzò accanto a Koutaro, provocando a Kageyama un mezzo infarto.
Non credeva che si sarebbe mai abituato a quel beffardo ghigno felino.
“Cosa vuoi insinuare, testa di gufo?” lo provocò bonariamente con espressione fintamente minacciosa.
“Nulla, cara la mia massaia. Staresti benissimo con il grembiulino rosa a cuoricini, sai?” ribatté Bokuto, assottigliando gli occhi dorati e gongolando.
Il ghigno di Tetsuro si acuì.
“Vuoi la guerra, Bo-”
“Emh emh”
Il richiamo non troppo velato del direttore, la cui testa fece capolino dal retro della bottega, fece scattare sul posto entrambi i ragazzi.
“Vado a prendere le ordinazioni” ci tenne a sottolineare con voce tonante Tetsuro, recuperando il piccolo tablet e fiondandosi tra i graziosi tavolini del locale, mentre Bokuto si premurò di acchiappare il bicchiere dello yogurt e iniziare a riempirlo con precisione.
“Stasera hai il turno serale, Bokuto-san”
Quella di Kageyama non era una domanda, bensì una semplice constatazione, finalizzata nemmeno lui sapeva a cosa.
Anzi, la sua affermazione non possedeva affatto uno scopo.
Allora, perché mai rivolgergliela?
 
Koutaro comunque, da sempre un gran chiacchierone, sorrise allegramente.
“Ho avuto il turno in palestra questa mattina, quindi adesso sono qui fino alla chiusura. Domani invece attacco alle 8, dovrò sorbirmi tutti i liceali che verranno per comprare le loro colazioni” sciorinò melodrammatico, e Kageyama annuì.
“Continuerai con questo doppio lavoro finché non ti assumeranno anche in un’altra palestra?” chiese ancora senza riflettere, ricordando vagamente una conversazione passata in cui Akaashi-san gli spiegava brevemente l’impiego del proprio fidanzato.
Un istante più tardi le sue sinapsi incominciarono a mandargli impulsi discordanti.
Perché diavolo stava facendo a Bokuto-san tutte quelle domande?
Che gliene importava a lui della sua occupazione?
Prima che potesse trovare un'adeguata risposta, Koutaro ricominciò a parlare con verve.
“Sai, lavorare in palestra è sempre stato il mio sogno e quando mi hanno assunto come Personal Trainer alla One Fit non potevo davvero crederci! Però mi servono un bel po’ di soldi al momento, mantenere casa non è semplice e la mia famiglia non è proprio benestante… lavorare qui è figo, mi piace. Sarebbe meglio cercare un secondo lavoro in una palestra, lo so, ma qui è vicino l’appartamento e, beh, ho anche le torte scontate!” esclamò con le iridi che gli brillavano mentre terminava la preparazione del dolce.
Tobio, suo malgrado, sorrise.
Era stato inevitabilmente trascinato dal calore di quel ragazzone, i cui bicipiti enormi quasi scoppiavano dalla camicia bianca da cameriere, ma dagli occhi limpidi come quelli di un cucciolo.
“Ecco qui il tuo yogurt doppio e, scusami, ho parlato troppo” si corresse mestamente quasi si trattasse un’abitudine, eppure Tobio, inaspettatamente, scosse vigorosamente la testa.
“Non scusarti, Bokuto-san. Anzi, vorrei domandarti… ecco, il ragazzo che avete nominato tu e Akaashi-san la settimana scorsa, Iwaizu-”
“Bo, ecco le ordinazioni per il tavolo 5” troncò tuttavia le sue parole Kuroo, piazzandosi davanti al ragazzone con un vassoio carico di torte e gelati.
“Arrivanooo. Scusami Kageyama, devo tornare a lavoro! Se aspetti un attimo posso…”
“Nono, scusami tu, Bokuto-san. Buona… buona serata” si congedò velocemente e, dopo aver pagato, uscì dalla pasticceria con una strana sensazione in prossimità del petto.
 
Che diamine aveva combinato?
Cosa significavano quei tentativi di conversazione?
E quell’inappropriata curiosità nei confronti di Iwaizumi-san, poi.
Bokuto-san gli era simpatico, nella misura in cui qualcuno poteva essere simpatico a uno come Kageyama, ma non si era mai interessato alla sua vita prima d’ora.
Eppure, quegli occhi limpidi, quel sorriso sincero… gli avevano suscitato il desiderio irrefrenabile di parlare con qualcuno.
Scosse vigorosamente la testa, mettendosi in cammino verso il suo appartamento, non molto distante dal colorato locale.
Aveva sempre disdegnato i convenevoli e le discussioni voluttuarie.
Se non vi era un reale significato, uno scopo dietro alle parole scambiate…
La conversazione poteva anche non avvenire.
 
Continuò a camminare, guardandosi distrattamente attorno.
Occhieggiò uomini discutere al telefono, amici scherzare con altri amici, madri consolare figli, fidanzati sussurrare alle fidanzate.
Parevano non far tutti altro che blaterare.
Sempre, senza interruzione.
Il bisogno, più che la voglia effettiva, di interagire sempre e in qualsiasi momento della giornata… Tobio non lo comprendeva.
Forse, perché lui non era mai stato un grande comunicatore.
Fin dalla più tenera età.
Ricordava bene come sua madre fosse sempre in pensiero quando lo accompagnava all’asilo.
Le maestre le avevano riferito un po’ preoccupate che quel piccolo bimbo dai lisci capelli corvini e dai grandi occhi svegli non cercava mai la compagnia di nessuno.
Alle scuole elementari la storia non era cambiata di una virgola.
Un bambino dalle abilità intellettive eccellenti, ma dalle scarse, o quasi nulle, capacità emozionali.
Tobio non credeva d'aver mai avuto un vero amico.
Al liceo c’erano stati i compagni con i quali studiare occasionalmente, ma tutto terminava lì.
Pareva che nessuno fosse davvero intenzionato a intraprendere un'amicizia con lui e la situazione era assolutamente reciproca.
Del resto, potevano essere contate sulla punta delle dita le persone da lui considerate degne di vera considerazione.
I suoi colleghi di corso all’Università erano tutti un branco d’idioti e se li era dovuti ritrovare persino nel luogo di lavoro, con suo grande disappunto.
Pareva che solo lui scorgesse le loro profonde incapacità.
L’unico essere umano con il quale pensava di possedere un certo feeling, era Akaashi-san.
Intelligente, pacato e razionale.
Una persona davvero meritevole del suo rispetto.
Probabilmente la più simile a un amico che Tobio avesse mai avuto.
 
Giunto al proprio condominio, salì con l'ascensore fino al quinto piano.
Sfilò le chiavi dalla tasca, aprì la porta e, un po’ a fatica data l’inutilità del braccio destro, si tolse le scarpe all’ingresso.
Si diresse verso il frigorifero e vi ripose lo yogurt prima che si sciogliesse del tutto.
Si lavò le mani, si allentò il nodo della cravatta scura e recuperò del ramen istantaneo dalla dispensa, preparando il necessario per poterlo mangiare.
Dopo poco più di tre minuti, era seduto sul divano nero del suo salotto minimalista a sorseggiare noodles al manzo.
Nell’appartamento regnava il silenzio.
Il rumore del traffico proveniente dalla strada sembrava appartenere a un’altra dimensione.
Mandò giù un boccone piuttosto ingombrante, fissando indistintamente il televisore a cristalli liquidi dinanzi a sé.
Silenzio.
Silenzio.
Silenzio.
Come controllato da una volontà autonoma, si ritrovò a guardare lentamente attorno a sé.
Aveva il lavoro che voleva da sempre.
Possedeva la casa confortevole e in pieno centro che desiderava.
Guadagnava abbastanza da potersi permettere piccoli lussi.
I suoi genitori erano entrambi in salute e risiedevano felicemente a Sendai, ove si recava diligentemente per ogni festività.
Lui stesso era in salute, eccezion per quell’inconveniente all’avambraccio destro.
Poteva affermare di aver ottenuto quasi tutto dalla vita.

Eppure, perché si sentiva a quel modo?
 
Espirò rumorosamente, infrangendo lo statico silenzio che prepotentemente lo circondava e pareva volerlo inglobare.
 
In che modo, esattamente, si sentiva?
 
Come se…
Come se non avesse ottenuto ciò che davvero importasse, forse?
 
Digrignò i degni, irritato.
 
Quell’insoddisfazione lo braccava come un segugio fin da quando riuscisse a ricordare.
Dapprima si trattava di una sensazione oscura e confusa, ma con il tempo aveva assunto come una consistenza solida al centro del suo sterno.
Un giorno di molti anni prima, Tobio le aveva attribuito un nome.
Smania.
Smania di non essere abbastanza…
E di non essere ancora degno di superare il grande Oikawa-san.
 
Stritolò involontariamente il contenitore del ramen, che si accartocciò inevitabilmente su se stesso.
 
Oikawa-san.
Ecco la risposta da anni attribuita a quella sensazione sgradevole e opprimente.
L’uomo che più di tutti gli appariva perfetto.
L’uomo che, appena entrato all’Università con il solo scopo di divenire avvocato, aveva ammirato per classe, intelligenza, carisma, bellezza.
L’uomo che prima l’aveva guardato con interesse, ma che poi l’aveva scartato, infastidito e quasi intimorito.
 
Abbassò il capo e si perse a guardare i filamenti del tappeto sotto di lui per quelli che gli parsero secoli.
 
Aveva innalzato Oikawa Tooru come un modello da seguire.
Aveva cercato di studiarne le abilità, le caratteristiche per poterlo al meglio eguagliare.
Aveva assistito segretamente ai suoi esami, lo aveva quasi spiato durante le sessioni di studio massacranti cui si sottoponeva notte e giorno, senza una singola pausa.
C’era stata persino un’occasione in cui l’aveva scorto in aula studio per 12 ore consecutive, senza mai lasciare la sedia, né per mangiare né per recarsi al bagno.
Era stata quella la prima volta in cui aveva adocchiato quel tipo, Iwaizumi-san.
Ricordava di averlo sentito chiedere in giro dove Oikawa si trovasse, per poi aprirsi strada senza molti complimenti fino alla scrivania isolata del giovane, prenderlo di peso dalla vita e trascinarselo via in spalla, sordo agli acuti “Iwa-chan, i miei libri, fammi prendere almeno i codici!” che ne accompagnarono il rocambolesco tragitto fino all’uscita.
Probabilmente, quello era stato il momento in cui aveva compreso che la determinazione e forza d’animo di Oikawa fossero maggiori dei suoi…
Ed era giunto alla conclusione che avrebbe dovuto batterlo, per potersi sentire finalmente in pace con se stesso.
Eppure, ciò non era mai avvenuto.
Dopo l’agognata laurea, aveva lavorato per due anni in diversi studi legali per farsi un nome e mai aveva avuto la possibilità d’incontrarlo.
Poi, la grande occasione.
Entrare alla Kitagawa Daiichi era stato un enorme passo avanti per la sua carriera, considerando che si trattava di uno degli studi legali più rinomati della città…
Sebbene fosse il luogo in cui Oikawa Tooru lavorasse da ben due anni.
Rimanere a contatto con quell’uomo ogni giorno era stato per certi aspetti snervante e tedioso, ma d’altro canto sarebbe risultato un ipocrita se non avesse ammesso che lavorare fianco a fianco con colui che aveva rappresentato il suo tutto non fosse stranamente esaltante.
Desiderava ardentemente batterlo, ma era naturale che non potessero affrontarsi apertamente sul suolo di un tribunale lavorando nel medesimo studio.
E poi, nonostante fosse dura confessarlo… in quel singolo anno di collaborazione, Tobio si era sentito ancora un bambino immaturo di fronte al grande Oikawa-san, un moccioso con ancora così tanto da apprendere.
Il suo carisma innato stregava inevitabilmente chiunque gli stesse vicino.
Ogni causa che riportava il suo nome era vinta.
I clienti ormai telefonavano per chiedere sempre e solo di lui.
Ma non era semplicemente bravo.
No, Oikawa Tooru era anche e soprattutto un grande manipolatore.
Tobio aveva avuto molte occasioni per studiarlo, durante gli anni accademici, e aveva potuto apprendere, sebbene con molta fatica, che le espressioni di quell’uomo non sempre erano del tutto veritiere.
Ce n’era una, in particolare, che lo aveva sempre colpito.
Che gli aveva insegnato ancora una volta quanto grande fosse la distanza che li divideva.
Il brillante Oikawa Tooru, ogniqualvolta ricevesse un cliente in lacrime o in piena crisi, non rimaneva imperturbabile o annoiato, come spesso accadeva a lui.
No.
Oikawa Tooru era capace di metter su un’espressione di compassione e, perché no, empatia nei confronti di quelle persone.
Pareva davvero in pena per i suoi clienti.
Pareva davvero volerli aiutare dal profondo del cuore.
Che cosa stupida, aveva sempre pensato Kageyama.
Come se un avvocato volesse davvero aiutare il proprio cliente per spirito d’umanità.
Aveva sempre ammirato quelle doti recitative, sebbene non si fosse mai sforzato minimamente per imitarle.
A lui, in fondo, non gliene importava un bel niente di apparire sensibile.
Comunque, dopo un singolo anno trascorso assieme, Oikawa era stato chiamato al Seijo.
Tutti si erano dimostrati sinceramente contenti per lui.
La fama dello studio legale era conosciuta a livello nazionale.
Si era tenuto un intero giorno di festa negli uffici del Kitagawa Daiichi per quell’occasione.
All’età di 28 anni, Oikawa Tooru era entrato nella ristretta cerchia degli avvocati con cui si sa già in partenza che si avrà vinta la causa.
 
Tobio appoggiò il contenitore deformato ormai vuoto e freddo sul tavolino di vetro dinanzi a lui.
 
Oikawa Tooru era la sua ossessione.
A lui era, consciamente o meno, ricondotta ogni insoddisfazione della propria vita.
Dunque, anche il senso di vuoto che stava provando in quel momento, era colpa del brillante avvocato?
Quello strano e implacabile desiderio di conversare con qualcuno quella sera, il calore di Bokuto-san da cui era stato contagiato…
Che volevano dire?
 
Saprai affrontare una vita di solitudine, Re?"
 
Un brivido gli percorse improvvisamente la schiena al ricordo imprevisto di quella mattina.
Infilò la mano libera tra i capelli, strizzandosi la tempia destra.
Non doveva ascoltare quelle idiozie.
Erano tutte stronzate, pronunciate da stupidi privi di talento e utilità.
Erano tutti degli idioti, irrimediabilmente degli…
Spostò appena gli occhi che si scontrarono con la fasciatura perfettamente bianca dell’avambraccio.
 
“Svolgo il lavoro che mi piace, quindi… beh, sì, sorrido spesso! Perché, le da fastidio?”
“Un medico… un medico cura una persona. Una persona con sentimenti e pensieri… e, in questo caso, per me si vince, sempre!”
 
Il pensiero di quello scricciolo di medico dai folti capelli rossi gli provocò uno strano senso di confusione nel petto.
Ecco, quello era un idiota, senza alcuna ombra di dubbio.
Un idiota con i fiocchi per giunta, di quelli senza speranza.

Eppure, perché l’idea di rivederlo lo metteva tanto in agitazione?
 
“Non lo capisco quel tizio” sbottò ad alta voce, che risuonò per l’intero appartamento deserto come amplificata.
 
No, non lo comprendeva.
Che fosse per caso quella, una delle ragioni del suo stato d’animo attuale?
Di qualunque cosa si trattasse, comunque, ci avrebbe pensato a tempo debito.
In quel momento, aveva solo voglia di una bella dormita per cancellare quella tediosa e confusa giornata dalla sua memoria.
 
 
 
***
 
 
 
“Buon pomeriggio, in cosa posso esserle uti-”
 
Il sorriso candido e gentile di Sugawara si spense non appena si accorse con chi stesse parlando attraverso la lastra di vetro.
“Chi si rivede. Cosa desidera, signore? Mi sembra che il suo braccio sia molto migliorato” sciorinò con una patina d’ironia non troppo celata.
Tobio s’impose di non sbuffare.
“Va meglio in effetti, grazie” borbottò soltanto.
Le palpebre dell’infermiere sbatterono più volte sulle iridi nocciola.
Che quello fosse un tentativo di esprimersi garbatamente?
“Di cosa ha bisogno, dunque?” chiese, più cordiale.
Il corvino guardò attentamente il viso delicato e gentile di quell’infermiere e si vergognò un po’ per come si era comportato la settimana precedente.
Era infuriato con il mondo e rischiava di perdere una causa per colpa del ritardo della loro organizzazione… però, in fondo, quel ragazzo dal sorriso candido non aveva alcuna colpa.
Tentò di porre da parte l’ostilità che caratterizzava ogni suo gesto.
“Vorrei… ecco” farfugliò, chinando la testa e guardandosi l’avambraccio ingessato.
Sul volto di Koushi nacque un piccolo sorriso.
“Vorrebbe una visita per controllare la gessatura?” lo aiutò con tono docile, come se stesse parlando ad un bambino.
Con le guance un po’ arrossate, Kageyama annuì.
Suga trattenne un risolino proveniente dal cuore.
“Non ha prenotato, giusto?”
Tobio alzò la testa di scatto.
“N-no, ecco io… non credevo si dovesse prenotare per farsi visitare da un medico del pronto soccorso” mugugnò confusamente e il sorrisetto di Koushi si aprì maggiormente.
Era lo stesso uomo che l’altra volta aveva terrorizzato mezzo ospedale?
“Questo accade solo se il medico si occupa soltanto del pronto soccorso, tutti gli altri hanno degli orari ben precisi in ambulatorio… ma non credo che oggi Hinata sia di turno lì. Perché lei vuole vedere il dottor Hinata, no?” domandò come se la sua fosse una risposta ovvia.
Le orecchie di Tobio divennero color porpora.
“N-non è indispensabile, ovviamente. M-mi hanno solo riferito che è sempre meglio farsi seguire da…” balbettò, ma Suga venne magnanimamente in suo aiuto.
“Certamente, è consigliabile. Vuole che lo chiami e chieda se è reperibile per una visita?”
 
Il sorriso di Suga nascondeva in realtà un ghigno divertito.
Shoyo gli aveva raccontato tutto in merito alla visita con “l’avvocato insensibile che odia le persone”, come l’aveva letteralmente definito, e lui non poteva non essere curioso in merito agli sviluppi che quel nuovo incontro avrebbe potuto produrre.
Dall’espressione e dal comportamento dell’uomo che aveva dinanzi, tra l’altro, poteva dedurre con una punta di soddisfazione che non era rimasto indifferente al piccolo rosso.
 
Kageyama guardò il grazioso infermiere in attesa di una risposta.
“Certo che voglio quel medico dagli assurdi capelli rossi, che domande sono, per quale altro motivo sarei venuto qui allora!” sarebbe stata tentata di urlargli la parte più recondita del suo cervello, ma il cosciente Kageyama glielo impedì fermamente.
“P-per favore” seppe solo replicare mestamente.
Mio Dio, che fine aveva fatto l’avvocato sicuro di sé che dominava le arringhe in tribunale?
 
“Un attimo solo, allora” cinguettò Suga con una scintilla negli occhi.
Tobio lo vide trafficare nel cubicolo per qualche minuto.
Poi, si girò nuovamente nella sua direzione con un gran sorriso.
“Primo piano, quarto corridoio a destra. Lì il dottor Hinata la riceverà”
“Grazie” borbottò soltanto il corvino e stava per girare i tacchi, quando un moto di coscienza gli impedì di muoversi.
“Ecco” iniziò, corpo girato esattamente a metà.
“Mi… ecco, mi… disp… per l’altra volta, mi disp-”
“Accetto le sue scuse, Kageyama-san”
Tobio fissò stralunato il viso sincero dell’infermiere che gli sorrideva lievemente.
Abbassò gli occhi e s’incamminò rapidamente.
Era stato… gentile.
Gentile nonostante lui si fosse comportato in maniera riprovevole.
“Quest’ospedale è pieno di gente stramba” rifletté fugacemente mentre tentava di non perdersi tra i corridoi bianchi del primo piano.
 
Con l’avvicinarsi della fatidica porta, la gola di Tobio si faceva sempre più stretta.
Che diavolo, aveva forse paura di un ulteriore confronto con quello scricciolo rosso?
“E’ solo una visita, niente di più, niente di meno” si forzò a pensare insistentemente.
“Perché mai dovrei essere agitato per una visita? E’ ridicolo, ridicolo. Io, agitato? Mah, non scherziamo. Chi mai dovrebbe agitarmi poi? Un medico incontrato una sola volta? Sciocchezze. L’unico che, forse, può mettermi in agitazione è Oikawa-san, non di certo un piccolo idiota dal sorriso…”
 
“Kageyama-san, buon pomeriggio! Faccia scura come sempre, eh!”
 
Per la seconda volta nel giro di 24 ore, il cuore di Tobio iniziò a battere più velocemente del normale contro la sua cassa toracica.
 
 
 



 
 
 
Note finali: è stato difficile, ma alla fine ce l’ho fatta!
Mi scuso infinitamente per il ritardo, ma la puntualità non è mai stata, né mai sarà, il mio forte.
Capitolo quasi interamente dedicato al nostro Kags e alla sua psiche lievemente contorta.
Posso solo preannunciare che siamo ancora all’inizio delle sue turpi mentali, eheh.
Vi prego di segnalarmi possibili errori e, in particolare, se notate passaggi poco chiari o se proprio vi sfugge il significato di qualcosa, non esitate a chiedere (e vi sarà dato?)
Okay, scherzi a parte, ci tengo tantissimo a ringraziare tutte le persone che hanno inserito questa storia tra le seguite (mi ricordate sempre di non mollare!) le preferite e, naturalmente, chi mi ha lasciato una recensione.
Un vostro commento mi renderebbe felicissima, considerando che questo è il mio primo esperimento come long.
Bacini a tutti coloro che leggeranno, ci si sente al prossimo (ancora ignoto) aggiornamento.
 
   
 
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