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Autore: Alicat_Barbix    13/08/2018    2 recensioni
In un universo alternativo, in cui i cuori di ognuno interagiscono con i loro proprietari, Sherlock Holmes, brillante consulente investigativo, e John Watson, disperato medico militare in congedo dall'Afghanistan, si incontrano e i loro cuori non riusciranno mai più a tacere. Ma a volte, i fatti presenti sono irrimediabilmente influenzati da sentimenti e decisioni passate...
Dal testo:
(...)
“Su questo tavolo c’è una boccetta buona e una cattiva. Il suo scopo, signor Watson, è quello di scegliere una delle due boccette, sperando di non aver preso quella velenosa.”
(...)
“La boccetta cattiva. Voglio sapere qual è.”
(...)
“E’ il suo cuore il problema, non è vero?”
(...)
“La boccetta.”
Con un fluido movimento della mano, spinge avanti una delle due boccette, un sorriso ferino sulle labbra.
(...)
Chiudo gli occhi e mi avvicino alle labbra la morte. Addio vita. Addio mondo. Addio cuore che non ho più.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IN A HEARTBEAT
 
by Alicat_Barbix
 
CAPITOLO 4
 
Il cerchio era completo e per l’ampio salone si propagavano le risatine acute delle ragazze e quelle grasse dei ragazzi. In mezzo a loro, una bottiglia roteava impazzita ogni due minuti, sancendo turni, segreti svelati o obblighi imbarazzanti.
Sherlock se ne stava seduto a gambe incrociate tra Susie e Steve, terribilmente a disagio, e in eterna preghiera che il suo turno non arrivasse mai. Steven gli allungò una lattina di birra e lui la prese con incertezza, studiando i volti rubicondi e le pupille dilatate del gruppo. I suoi occhi caddero su John, il cui braccio era stritolato da una Mary mezza ubriaca. Assottigliò lo sguardo, ricercando nell’amico le tracce dell’alcol e si rese conto con un sospiro di sollievo che anche lui era in sé, nonostante avesse bevucchiato un sorso o due. Sorrideva, John. Sorrideva e i suoi occhi si muovevano continuamente dalla bottiglia al centro ai due prescelti. Sherlock avvertì un profondo calore all’altezza del petto, cosa che ormai era all’ordine del giorno quando c’era John nei paraggi.
Io te l’avevo detto, Sherlock. mormorò una vocina nel suo orecchio, anche quella sempre più insistente e asfissiante.
Si attaccò alla lattina e buttò giù in un sorso solo la birra rimanente per soffocare il suo stesso cuore, così scomodo e debole. Neanche si accorse che gli occhi di tutti erano puntati su di lui e lo divoravano sogghignando, e solo quando il suo nome venne pronunciato dalla bocca della maggior parte dei presenti, si riscosse.
“Cosa?”
“E’ il tuo turno, strambo.” gli rispose Mary guadagnandosi un’occhiata infuocata da parte di John.
Sherlock abbassò gli occhi sulla bottiglia che puntava dritta verso di lui e una sensazione di panico lo assalì. Arricciò le labbra e fissò con apprensione quello stramaledetto tappo che lo indicava quasi ridendo.
“Obbligo o verità, Sherlock?” urlò una voce e lui si trovò a setacciare i volti ostili in cerca di uno amico, e quando incontrò lo sguardo di John il suo petto venne sommerso da un’emozione oscura e dolce al tempo stesso. Gli occhi dell’amico sprizzavano curiosità, ma appena si accorsero del panico che imperava sul viso dell’altro, si addolcirono e un sorriso comprensivo gli si affacciò sulle labbra.
“O-obbligo.” balbettò Sherlock cercando di asciugarsi i palmi sudati sui pantaloni.
Rebeccah batté le mani felice, agitandosi scompostamente sul posto. “Ce l’ho! Ce l’ho! Ti obbligo a baciare…” Gli occhi famelici della ragazza si spostarono per la stanza, in cerca del secondo sventurato. “…John.”
Sherlock s’irrigidì immediatamente non appena quel nome venne associato al suo. Baciarlo? Baciare John? Perché proprio John?
Ammettilo che non vedi l’ora.
Zitto. ringhiò interiormente, sperando che il suo patetico cuore tacesse una volta per tutte.
“Ehi, ehi, ehi!” esplose improvvisamente Mary stringendo ancora di più la presa attorno al braccio del ragazzo. “Non facciamo scherzi, stronzi. John è mio!”
“Eddai, Mary, è un gioco.” sospirò John alzandosi in piedi e camminando verso Sherlock, seduto dalla parte opposta del cerchio.
Sherlock deglutì a vuoto un paio di volte mentre guardava l’amico inginocchiarsi di fronte a lui, un sorriso enigmatico sulle labbra.
“Via il dente, via il dolore.” mormorò John accostando lentamente la bocca alla sua, in quello che si rivelò essere un mero sfregamento, a malapena percepibile. Il cuore di Sherlock sobbalzò e per qualche istante lui rimase paralizzato, gli occhi sgranati fissi sul volto dell’amico così vicino al suo.
Quando si staccarono, la vocetta petulante di Rebeccah percorse la stanza. “No, no, no!” esclamò fischiando con disapprovazione. “Un bacio vero, Tre continenti. Almeno quindici secondi!”
“Sì!” urlarono in coro gli altri membri del gruppetto, a parte Mary che cercava inutilmente di opporsi.
John alzò gli occhi al cielo, ma quando incontrò lo sguardo di Sherlock si rese conto che era pallido come un lenzuolo. “Sentite… possiamo andare un attimo di là? Per… ehm… per prepararci?”
“Ma sì, perché no? Almeno date spettacolo!” concordò Oliver alzando la lattina di birra a mo’ di brindisi.
Senza attendere la risposta degli altri, John afferrò Sherlock per il polso e lo trascinò in cucina. Il moro osservò l’amico, che aveva preso a misurare la stanza a grandi passi, un’aria pensosa in volto.
Non vuole.
In fondo è un obbligo, non può rifiutarsi.
Sì, ma non voglio baciarlo contro il suo volere.
“Posso chiedere di farlo con qualcun altro, se non te la senti…”
“No.” esclamò con slancio John interrompendo improvvisamente il suo imperterrito su e giù. Sherlock rimase interdetto dal trasporto dimostrato dall’amico e si interrogò sulla ragione scatenante.
E se fosse geloso?
Non essere assurdo.
“Voglio dire…” biascicò John, probabilmente rendendosi conto della foga con cui aveva risposto, e prese a grattarsi nervosamente la nuca. “… meglio te che Steve o Oliver o chiunque altro, no?”
Sherlock si limitò ad annuire e calò un profondo e imbarazzante silenzio durante cui i loro sguardi si evitavano e le punte dei loro piedi dondolavano appena avanti e indietro.
“Senti, Sherlock… questo, sì insomma, questo è il tuo primo bacio?”
Un violento rossore colorò le gote di Sherlock che assentì con un cenno del capo.
“Capisco, allora forse… ecco, non credo tu sia proprio ferrato in materia.”
“Per niente.”
“Bene, non è difficile, basta che… che segui me.” Per un attimo l’imbarazzo sul viso di John sembrò sfumare, cacciato indietro da un dolce sorriso. “Considerala come una prova, almeno quando avrai la tua prima fidanzata sarai già esperto.” Un sospiro spezzò la sua aria rilassata. “Mi dispiace solo che non sia con qualcuno di speciale…”
A quelle parole, l’angolo destro della bocca di Sherlock guizzò verso l’alto: John non poteva sapere, non poteva nemmeno immaginare che quella persona speciale era proprio lui. “Non fa niente, non è colpa tua.”
“Ehi, piccioncini! Avete intenzione di smuovere i vostri culi e portarli qui?” gridò la voce di Rebeccah nel salotto.
“Arriviamo!” rispose John prima di voltarsi un’ultima volta verso Sherlock, uno sguardo rassicurante in volto. “Segui me.”
Tornarono nella stanza dove si trovavano i loro amici a passo incerto e con gli occhi ostinatamente fissi a terra.
“Bene, abbiamo già pronto il timer: quindici secondi, okay?”
I due annuirono mentre si sedevano vicini, molto vicini. Sherlock respirava piano, così tanto che sembrava immerso in uno stato di totale apnea, e la gamba di John, a contatto con la sua, gli provocava un batticuore impazzito.
“Bacio! Bacio! Bacio!” cominciarono a gridare tutti.
“Pronto?” sussurrò John accostando la fronte alla sua.
Sherlock si limitò ad annuire e deglutì un paio di volte. Osservò John chiudere gli occhi e avvicinarsi pericolosamente a lui, le labbra schiuse. Dentro di sé, non poteva negarlo, non desiderava altro da tanto tempo. Quando John fu abbastanza vicino, azzerò completamente la distanza che li separava e le loro labbra si incontrarono come tasselli di un puzzle che coincidono inevitabilmente. Seguì un clik, probabilmente lo scoccare dell’inizio dei quindici secondi, ma a lui non poteva importare di meno. Lasciò che prima le labbra e poi la lingua di John lo guidassero in una danza muta e dai passi armoniosi e sospirò lievemente.
Lo stiamo facendo… Lo stiamo baciando, Sherlock!
E’ solo un obbligo. si ricordò interiormente come se cercasse di porre dei paletti a quell’euforia levitante, ma non riuscì ad evitare che la sua mano si avvicinasse impercettibilmente a quella di John, a pochi centimetri di distanza, e le dita gli sfiorarono lievemente le nocche.
I pugni di John si aprirono e inseguirono le dita di Sherlock, giocherellandoci appena mentre le loro labbra trovavano meccanicamente strada l’una contro l’altra. Era bello baciare John. Era come gustare la torta più buona del mondo… Anzi, era meglio. John sapeva di fresco e di casa. Si chiese come sarebbe stato prenderlo per la vita e stringerlo a sé, durante quel contatto, respirare la sua pelle, il suo odore, la sua essenza… Ma i pensieri erano appannati dal piacere, dalla felicità, da quel bacio umido e fresco al tempo stesso, ristoratore.
Così, quando una musichetta insulsa annunciò la fine dell’obbligo e lui fu costretto ad avvertire la presa sulla bocca di John venir meno, venne pervaso da un senso di vuoto. Aveva il fiato corto e le gote lievemente arrossate. Nemmeno fece caso all’applauso che seguì la loro separazione e al ritorno di John dalla sua fidanzata. Fidanzata. Chi voleva prendere in giro? Non aveva alcuna possibilità con lui.
Sospirò e si riaccomodò al suo posto, accanto a Steve che gli rifilò una sonora pacca sulla schiena. I suoi occhi saettarono in direzione di John, il cui viso era circondato dalle mani aggraziate di Mary. Lo vide ridacchiare quando lei prese a passare sulle sue labbra le dita, quasi a voler cancellare la scia rimasta di quelle di Sherlock. Ma quando i due cominciarono a baciarsi con slancio e passione, distolse lo sguardo e si alzò in piedi, borbottando un vado in bagno.
Una volta solo, Sherlock si richiuse la porta alle spalle e ci si appoggiò con un sospiro. Passione, felicità, dolore… un insieme di emozioni a cui non riusciva a dar freno lo circondò. Aveva baciato John. Ma John aveva baciato Mary non appena si erano separati.
Sono innamorato?
Temo di sì, Sherlock…
Ma perché? Perché proprio a me? Non l’ho chiesto!
Non c’è una ragione, Sherlock, e non c’è neanche rimedio…
Sospirò amaramente e chiuse gli occhi, che avevano cominciato a pizzicare appena. Tirò su col naso e si passò una mano sul volto. Dietro di lui, una bussata.
“Un momento.” rispose cercando di contenere il tremolio alla voce.
“Sherlock? Sherlock, sono io, John… Va tutto bene?”
Se andava tutto bene? No, non andava tutto bene. Perché Sherlock stava male, perché soffriva come un cane a vedere quella biondina avere ciò che lui non avrebbe mai potuto avere, perché odiava se stesso per essersi lasciato coinvolgere e perché odiava anche John che l’aveva indotto ad amarlo.
“Sto bene.”
“Sei sicuro?”
“Sì, torna pure da Mary.”
Non vi fu risposta. Dopo alcuni secondi di silenzio e immobilità, udì i passi di John allontanarsi sempre di più, verso gli altri e verso… verso Mary. Sherlock si lasciò cadere a terra, seduto, e affondò il viso contro le cosce. Non permise alle lacrime di fluire fuori dai suoi occhi, ma ciò che non riuscì a fermare fu la lenta sofferenza che gli straziava il cuore.
Mi dispiace, Sherlock.
Senza di te sarebbe tutto più facile.
Passerà.
Non ci credo. Non potrà mai passare un dolore così.
 
 
Sherlock’s POV. La corsa in taxi è silenziosa come mi ero augurato. Fortunatamente John, dopo stamattina, deve aver recepito il messaggio. Quando l’auto si ferma mi trovo costretto a voltarmi verso di lui per ripassare il piano.
“Allora, noi ci intrufoliamo, recitiamo la nostra parte, stiamo un po’ alla festa per non destare sospetti, poi io comincio a cercare mentre tu tieni d’occhio gli Smith e mi copri nel caso in cui dovessero fare qualche domanda. Chiaro?”
John si limita ad annuire con sguardo scuro. Probabilmente la conversazione di stamattina deve averlo davvero provato, ma poco male, almeno imparerà a girarmi alla larga e, se sarò fortunato, entro un paio di settimane rinuncerà al suo progetto di riallacciare i rapporti e se ne andrà per sempre. Fa parte del passato. E il passato non dovrebbe mai ritornare, dovrebbe rimanere segregato in un meandro della storia di ognuno. Intoccabile.
Scendiamo dal taxi e ci dirigiamo in silenzio verso l’immensa villa degli Smith, circondata da un giardino lussureggiante e illuminato da lampioni dal design fine e raffinato. Stile vittoriano. Ammetto che, in fatto di gusti, se ne intendono.
All’ingresso, degli uomini in uniforme ci chiedono cortesemente l’invito e io glielo porgo, scorgendo per un attimo l’aria ansiosa di John, come se tema che possano accorgersi dell’inganno. Ma come previsto, i due ci salutano con voce pacata e ci invitano gentilmente ad accomodarci all’interno della villa.
“Okay, quindi ora che si fa?” bisbiglia John.
“Salutiamo il padrone di casa, ovvio.”
Seguiamo il flusso di persone fino ad arrivare ad un ampio salone in stile rinascimentale, con sfarzosi lampadari e un meraviglioso pavimento in marmo. L’ambiente è ripartito in tre navate da un sistema di imponenti colonne: quella al centro, la più grande, per ospitare le danze e la piccola orchestra, e quelle laterali per le lunghe tavolate con bevande e stuzzichini.
“Si trattano bene.”
“Con un’attività come la loro possono permetterselo. E non mi sto riferendo alla produzione di elettrodomestici.” rispondo io con un mezzo sorriso che contagia anche lui.
Al centro, scorgiamo un capannello di persone che accerchia un uomo dai capelli bianchi e il volto sorridente e affabile, sulla sessantina, palesemente amante dei gatti e grande estimatore di opere d’arte classiche, quattro figli, sei nipoti, ha il vizio di fumare ma a seguito di una diagnosi di cancro ai polmoni sta cercando di disintossicarsi usando le sigarette elettroniche. Limpido come l’acqua.
“E’ lui?”
“Certo che è lui.”
“Andiamo?”
Prima di incamminarci, però, gli porgo il braccio e lui mi fissa per qualche istante interdetto. “Fidanzati, ricordi?”
“Giusto…” borbotta mentre mi stringe il braccio e ci avviamo verso il festeggiato, appena staccatosi dalla torma di invitati che lo circondava poco fa.
“Signor Smith?” domando cortesemente avvicinandolo. Lui, per tutta risposta, mi sorride e osserva prima me e poi John con aria incuriosita. “Adams.” mi presento porgendogli la mano destra. “Richard Adams.”
“Oh, signor Adams! Che piacere conoscerla, finalmente!” esclama lui stringendomi calorosamente la mano.
“Non posso non dire altrettanto, signore. E’ un vero onore incontrare una persona del suo calibro.”
“Ma la smetta o rischia di farmi arrossire!” I suoi occhi si spostano da me a John, ancora rimasto fuori dal dialogo. “E lei deve essere il suo compagno, dico bene?”
John mi lascia il braccio per stringere a sua volta la mano di Smith. “Harry Lewis, lieto di conoscerla.”
“Salve, signor Lewis, è un piacere soprattutto per me. Devo confessarle, signor Lewis, che temevo non avrei avuto occasione di conoscerla.”
“Ah no? E perché mai?” chiede John simulando un perfetto sguardo incuriosito.
Smith mi poggia una mano sulla spalla con fare quasi paterno. “Io e il suo compagno abbiamo comunicato solo per lettera o e-mail, eppure sono stato in grado di fiutare la sua timidezza. Credevo che non sareste venuti assieme.”
John mi rifila un mezzo sorriso. “Ah, signore, non può neanche immaginare quanto difficile possa essere Richard alle volte.”
“Ma non mi dica!”
“No, davvero. E’ incredibilmente suscettibile e non appena combino qualcosa di sbagliato o lo ferisco in qualche modo, non mi rivolge la parola per settimane intere. Pensi che una volta, è arrivato portando con sé una sacchetta di biscotti cucinati da lui, ma quando gli ho detto – nella maniera più diplomatica possibile – che non erano buoni, ha cominciato a farmi trovare quei maledetti biscotti dappertutto.”
Ricordo quella volta. Erano passati pochi mesi dal nostro incontro e avevo deciso di fare qualcosa di carino per lui anche per sdebitarmi di tutto quello che aveva compiuto per me, così ho chiesto aiuto alla governante per cucinare dei biscotti al cioccolato, visto che sapevo fossero i suoi preferiti. Ma poiché lui aveva espresso il suo modesto parere, e cioè che facevano schifo, avevo iniziato a sostituire la sua merenda con quei biscotti e la cosa andò avanti per settimane. Mi trovo a sorridere nel ripensare a… Scaccio quel pensiero dalla testa e afferro saldamente la mano di John nel tentativo di trascinarlo via ed evitare qualche altra umiliazione.
“Direi che abbiamo disturbato il signor Smith anche troppo…”
“Ah no, signor Adams! Proprio ora che stavo cominciando a divertirmi! La prego, signor Lewis, mi racconti qualche altro aneddoto riguardo al suo compagno.”
John non deve neanche pensarci su. “Non me lo deve ripetere una seconda volta, signore. Un pomeriggio abbiamo giocato ad uno dei suoi giochi da tavolo preferiti – probabilmente lo era perché vinceva sempre lui – e, a dispetto delle volte passate, non so come, ho vinto io. Lui, per ripicca, ha preso e buttato nella spazzatura il gioco e il giorno dopo è arrivato con uno identico ma nuovo. Diceva che ormai era difettato e che fosse colpa del gioco se non aveva vinto.”
Smith scoppia a ridere, assieme a John, mentre avverto un calore rovente percorrermi il viso.
“Direi che può bastare, caro.” dico io sottolineando l’ultima parola e sperando che ottenga l’effetto sortito, ma John, senza smettere di ridacchiare, mi passa un braccio attorno alla vita e mi stringe delicatamente a sé.
“Te la sei presa, Richard?” mi chiede con tono divertito ma dolce. E diavolo, se è bravo a fingere. Sembra completamente un’altra persona e adesso sono io quello a disagio per questa rovente vicinanza con lui.
“Suvvia, signor Adams, si scherza! Ma ditemi, se non sono indiscreto, come vi siete conosciuti?”
John fa per rispondere, ma si blocca a metà e mi guarda incuriosito. “Perché non lo racconti tu, tesoro?”
A quelle parole, deglutisco appena e il più silenziosamente possibile. Non so cosa mi stia prendendo, ma vedere John sotto queste nuove spoglie mi infonde una sensazione così… suggestiva e familiare… Come se non fossero passati vent’anni, come se tra di noi non fosse successo niente, come se il nostro rapporto fosse ancora tale da ridere e scherzare tranquillamente.
“Ecco… In quel periodo la concessionaria era in crisi e pareva sull’orlo della rovina. Per altro, non erano esattamente quelli che si dicono giorni felici per me, anche al di fuori del campo lavorativo. Così, una mattina, mi sono svegliato e mi sono diretto quasi senza rendermene conto sul tetto del mio ufficio. E mi sarei buttato di sotto se non fosse arrivato Harry.” Gli lancio un’occhiata furtiva e faccio scivolare la mano sulla sua, ancora poggiata sulla mia vita. “Mi ha salvato e… mi ha regalato una nuova vita che non avrei mai sperato di avere.”
“Se è per questo, anche tu mi hai salvato.” Per un attimo, lo vedo in quella mensa, di fronte il tassista, col veleno in mano e gli occhi vuoti. In effetti, il nostro è sempre stato un salvarsi la vita reciprocamente. E dire che c’erano davvero tutti i propositi per creare qualcosa di buono, ma… il tempo e il destino – chiamiamolo così – hanno fatto il loro corso e niente può esser più come prima.
“Pensate di sposarvi?”
La voce di Smith mi riscuote e mi ritrovo con gli occhi puntati su di lui. “Ah, beh… ecco, noi… ci abbiamo pensato, sì, ma non siamo ancora giunti ad una conclusione…”
“Già, Richard è talmente pieno di impegni che per organizzare la cerimonia e tutto ci sarebbe da faticare, ma sto ancora provando a convincerlo.”
Fingo un sorriso imbarazzato quando l’unica cosa che vorrei fare è afferrare John, sbatterlo contro il muro e prenderlo a pugni. Fortunatamente, sopraggiungono dei nuovi invitati, desiderosi di ricevere l’accoglienza del padrone di casa e così noi ci eclissiamo salutando Smith cordialmente. Una volta lontani dal suo occhio e dal suo orecchio, ghermisco il polso di John e lo trascino in un luogo appartato. Alla fine di una delle tavole, lo costringo al muro, cercando il più possibile di far sembrare quella scena il più romantica e passionale possibile per eventuali occhi indiscreti.
“Che diavolo pensi di fare?” sussurro in un suo orecchio.
Le mani di John si chiudono attorno alla mia vita e cerca di scansarmi ma riesco a rimanere immobile puntando le punte dei piedi a terra. “Che diavolo pensi di fare tu?”
“Credi davvero che questi mezzucci funzionino con me?”
“Ma quali mezzucci? Sherlock, non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando.”
Finalmente mi scanso leggermente, quel tanto che mi consente di guardare John torvamente. “Il tuo rivangare il passato e quanto altro… Credi davvero che sia così stupido e ingenuo da abboccare?”
John si sporge in avanti, la fronte aggrottata e una profonda ruga tra gli occhi. “Credi fosse un mezzo per raggirarti? Beh, stavolta la tua suprema intelligenza ha sbagliato. Volevi che fossi credibile? Ho semplicemente riadattato la nostra storia a questi due sconosciuti che stiamo fingendo di essere. Problemi?”
Restiamo immobili per alcuni istanti, i nostri visi a poca distanza l’uno dall’altro, infine mi riscuoto e mi scanso, liberandolo dal vicolo cieco in cui l’ho costretto. Si aggiusta appena la giacca nera e la camicia linda, lanciandomi sguardi furtivi.
“Io vado a fare un giro per la sala così prendo confidenza con questo posto.”
E detto questo, mi lascio inghiottire dalla folla di invitati che si muovono per la stanza, lasciandolo in un angolino del buffet. Mi rendo conto solo dopo svariati minuti che in realtà il mio non è affatto un giro di avanscoperta, ma un mero sfogo: sto camminando in tondo, con i pugni serrati e la mascella digrignata. Quel tipo mi farà uscire di testa, prima o poi. O magari c’è già riuscito.
Prendo un respiro profondo, ricercando la calma necessaria per affrontare la mia missione, infine, comincio a studiare veramente l’ambiente intorno a me, prendendo visione delle stanze di accesso pubblico, di eventuali vie di fuga, di possibili ostacoli… Mi avvicino ad un’armatura lucida e splendente. Un po’ troppo. Le altre a cui sono passato accanto erano pulite, sì, ma non così ricercatamente. Mi avvicino e la esamino con attenzione, assottigliando lo sguardo. C’è qualcosa in questa armatura che non mi convince. Mi pare scontata l’idea di un qualche passaggio segreto, però avrebbe anche senso: se fosse davvero un accesso, sarebbe impossibile da imboccare. Cos’è meglio nascosto di qualcosa in piena vista?
Improvvisamente, una mano si serra sulla mia spalla e io sussulto, voltandomi bruscamente. La paura di trovarmi di fronte uno degli Smith o una loro guardia del corpo svanisce non appena incontro il volto di John.
“Ehi, tesoro, mi stavi cercando?” mi chiede con voce stranamente alta di volume. I suoi occhi si stringono appena e mi comunicano tutto quello che c’è da sapere. Sposto appena lo sguardo dietro a lui e intravedo la figura di un uomo intento ad osservarci con aria preoccupata e minacciosa.
“In questo momento volevo darmi una sistemata perché volevo chiederti di…” Ad un tratto, l’inizio di un valzer mi viene in aiuto e i miei occhi si accendono. “… di ballare.”
“Ma guarda, abbiamo fatto lo stesso pensiero.”
Ci prendiamo per mano e ci confondiamo tra gli altri invitati che hanno preso ad ondeggiare maldestramente per la stanza privi di grazia alcuna. Se c’è una cosa che odio più delle persone stupide, sono le persone stupide, incapaci di ballare, ma che nonostante tutto vogliono mettersi in mostra. Circondo la vita di John con un braccio e lo stringo a me. Il suo corpo, contro il mio, s’irrigidisce appena e io inarco un sopracciglio.
“N-niente.”
“Sai ballare?”
“Non proprio, no…”
Sospiro amareggiato. “Segui me.”
E senza aspettare risposta, lo trascino con me per la pista, cercando di evitare – per quanto possibile – i suoi pestoni. Mentre fluttuiamo relativamente aggraziati per il salone, lancio frenetiche occhiate intorno a me, alla ricerca dell’uomo che mi squadrava poco fa, ma sembra sparito. James Smith, figlio di William Smith, un pericoloso sicario, pare, uno dei pochi della famiglia che non ha problemi a sporcarsi le mani. Il valzer continua, la nostra danza prosegue, e i miei occhi continuano a scattare per la stanza. Finalmente, scorgo una porta lontana e mezzo occultata da un tendaggio rosso, attorno a cui non pascola alcun invitato e non sorvegliata.
“Sherlock…”
Mugugno appena senza prestare in realtà la minima attenzione a John.
“Sherlock, potresti allentare la stretta?”
A quelle parole, abbasso lo sguardo su di lui e mi rendo conto che i nostri nasi sono a contatto e che il suo corpo è praticamente schiacciato contro il mio. Il panico mi assale improvvisamente e mi blocco sul posto, al centro del salone. Negli occhi di John, riesco a intravedere il mio riflesso. Lui mi fissa con apprensione e smarrimento.
“S-Sherlock? Va tutto bene?”
Lo spingo via brutalmente e mi volto, muovendomi come meglio riesco tra i corpi parzialmente leggiadri e danzanti che pullulano per la stanza. Sento la voce di John, dietro di me, urlare il nome di Richard, mentre a sua volta si fa largo tra la folla. Appena raggiungo una delle navate laterali, le sue dita si serrano attorno al mio polso e mi tirano verso di lui, obbligandomi a guardarlo.
“Per l’amor del cielo, mi spieghi che ti prende?” sibila avvicinandosi il più possibile a me per non farsi sentire da altri. “Ho capito, non mi sopporti a tal punto che anche solo toccarmi ti fa salire la nausea, ma almeno per stasera, che ne va della sicurezza della Nazione, potresti mettere da parte il tuo rancore?”
Rancore? E’ davvero rancore? No, c’è qualcosa di più… E’ che, l’essere talmente vicino a lui da poterlo quasi baciare sporgendomi appena appena in avanti, mi ha ricordato il passato… Lo Sherlock piccolo e illuso che seguiva John come un cagnolino obbediente. Lo Sherlock che in cuor suo covava tante speranze. Lo Sherlock che alla fine è rimasto scottato inevitabilmente.
Serro gli occhi e allontano ogni immagine lontana. “Io entro, tu controlla la situazione e bada a che nessuno degli Smith o dei suoi collaboratori lasci la stanza con fare sospetto. Se succede, avvisami con un sms, intesi?”
“O-okay…” risponde John con aria visibilmente confusa probabilmente a causa del repentino cambio d’argomento. Faccio per sgattaiolare verso la porta individuata poco fa, ma la sua presa mi tira nuovamente indietro. “Sta’ attento.”
Mi limito ad annuire e lui mi lascia andare. Prima di sparire dietro alla porta, mi volto un’ultima volta e lo vedo con gli occhi fissi su di me e qualcosa, non so cosa, mi si smuove all’altezza del petto. Ma dura un istante, poi tutto finisce quando mi richiudo la porta alle spalle.
 
SPAZIO AUTRICE
Eccomi qua col quarto capitolo! Ne abbiamo visto delle belle, eh? Scusate per il classico, forse anche ormai banale, obbligo o verità, ma mi sono sentita in dovere di inserirlo così, perché mi andava e perché a quei due serviva un piccolo incentivo. La domanda è, avrà fatto bene quel bacio? O andrà soltanto a complicare le cose? Lo scopriremo solo più tardi. Per quanto riguarda il presente, i nostri protagonisti si sono infiltrati nella famigerata villa degli Smith, ma che cosa troveranno ad attenderli? Anche questo, solo il tempo potrà dirlo. Siamo esattamente a metà storia, visto che questa ff è composta da otto capitolo, ma troppe ne devono ancora succedere. 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, sentitevi liberi di farmi sapere che cosa ne pensate e noi ci vediamo lunedì prossimo col quinto capitolo. Buona settimana!!
*kiss*
Alicat_Barbix. 
 
 
   
 
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