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Autore: _Eclipse    16/08/2018    3 recensioni
{Storia ad Oc | iscrizioni chiuse| ex Eternal Darkness}
Dopo anni e anni di guerra, alla fine l'umanità è crollata. Un nuovo potere in mano ad una razza di esseri mostruosi è sorto.
Vampiri, principi della notte, ormai signori anche del mondo. Una cortina di oscurità è calata sulle rovine degli uomini.
Ma una fioca luce brilla nelle rovine dell'umanità. Una piccola scintilla di speranza, la scintilla della resistenza. Un gruppo di giovani uomini e donne che nel buio della notte agiscono come ombre che mira alla liberazione degli uomini dal giogo di quest'oscuro nemico. Un gruppo di persone che mira a far risplendere un nuovo sole sulla terra.
Genere: Avventura, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Axel/Shuuya, Mark/Mamoru, Nuovo personaggio, Shuu, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 1: SOLE NOVUM
 

Un gruppo di cavalieri tornava dall’ormai conclusa caccia all’uomo. Erano cinque oscure figure. Tra essi il Barone. Quest’ultimo aveva il dovere, quella notte, di ospitare gli altri vampiri una volta finita la caccia per poter poi confrontarsi sull’esito dell’eccidio.

Il Barone viveva in un maniero costruito in pietra scura e in puro stile gotico, un largo portone di legno, finestre a sesto acuto con tanto di vetrate colorate e inferriate.

Il corridoio principale, pareva una navata, alta quasi il doppio di una stanza normale, verso il fondo una scala con si divideva in due rampe, una a destra e una sinistra. Tra le due rampe una vetrata rotonda che faceva trasparire i deboli raggi della luna.

L’intera abitazione pareva ricavata da una cattedrale, una reliquia di tempi passati.

I vampiri si riunirono in un salone e sedettero ad un tavolo in ferro battuto dal piano in vetro. Alcuni servi del Barone, uomini e donne ormai l’ombra di ciò che erano in precedenza, dal volto pallido e gli occhi infossati illuminarono la stanza accendendo torce e candele, il Barone preferiva il fuoco alle luci elettriche.

Altri due uomini portarono un vassoio con calici in cristallo dallo stelo sottile ed elaborato, un terzo teneva in mano una caraffa contenente un liquido rossastro di ignota provenienza.

Se ne andarono poi accennando un inchino.

Uno dei vampiri, dai capelli color fuoco e occhi gialli si verso un abbondante calice di quel liquido per poi prendere parola.

-Allora signori miei, direi mettere le carte in tavola, io posso contare su ben quattro umani!-

-Tsk… che maleducato Claude, potevi almeno comportarti da bravo ospite e aspettare che fossi io a darti la parola- lo riprese il Barone mentre si slegava il mantello nero mettendo in mostra una giubba blu scuro, appartenente ad altri tempi che faceva intravedere il colletto di una camicia bianca.

-Sai, pensavo fossimo qui solo per scegliere chi fosse il migliore, Viktor- soffiò il rosso.

-Signori non credo sia un bene litigare, avete ragione entrambi. Comunque sia mi dispiace deluderti Claude. Cinque umani, due li ho colpiti ad una distanza di venti metri fuori davanti alla chiesa- replicò un terzo vampiro, simile a Viktor sotto certi aspetti, entrambi con i capelli argentati ma con gli occhi color ghiaccio, il marchese Bryce Whitingale.

-La prossima volta non avrai così tanta fortuna. Stai pur certo che ti batterò nel numero… e poi un conto è colpirli a venti metri, un altro è abbatterli con una lancia come me, a distanza ravvicinata- sbuffò Claude bevendo a grandi sorsi rumorosi il contenuto del proprio bicchiere.

-Xavier, quanti ne hai presi?- domandò Bryce.

Il vampiro alzò due dita della mano senza proferir parola.

-E tu mio caro Viktor? Sei scomparso così all’improvviso. Sentiamo un po’ quante prede hai cacciato- ghignò Claude.

-Una sola, ho schivato il suo attacco e ho ricambiato con un colpo di pistola. Poi ho lasciato la caccia per inseguire uno della Gilda… ma mi è sfuggito- ammise il Barone.

-Che vergogna, un vampiro che si fa sfuggire un umano!- rise il rosso.

-Se tanto lo desideri posso innalzare il numero delle prede prendendomi anche la tua testa. Almeno una volta appesa ad una parete servirà a qualcosa, ricordarmi quanto alle volte la stupidità sia senza limiti!- ringhiò Viktor.

-Andiamo, serbi ancora rancore? Pensavo avessimo seppellito l’ascia di guerra almeno un secolo fa!-

-Alle volte penso che sarebbe stato meglio decapitarti quando ne ebbi l’occasione sul campo di Waterloo!-

-Quella è acqua passata, ormai chi si ricorda quello scherzetto con la cavalleria! Piuttosto Aiden non ha ancora aperto bocca, il bastardo di Frost quanti ne ha presi?- disse Claude canzonando l’ultimo vampiro.

-Il sottoscritto “bastardo di Frost” preferirebbe essere chiamato con il proprio nome, altrimenti potrei schierarmi con Viktor e prendermi metà della tua testa!- tuonò Aiden.

-Non sei forse figlio di un vampiro e un’umana e tuo fratello non è forse un misero umano lui stesso?- lo derise.

Aiden scatto in piedi sguainando la spada che teneva al fianco sinistro

La punta dell’affilata lama lucente arrivò a toccare il collo di Claude.

-Ricordati che l’argento è letale per noi vampiri, anche in minime quantità come in questa spada… sarebbe un dispiacere perdere il visconte Claude Beacons, non credi?- rispose Aiden su tutte le furie ma con una buona dose di sarcasmo.

-Signori per la seconda volta, manteniamo la calma. Cerchiamo di dimenticare le faide e le offese. Dobbiamo cercare di rimanere uniti o la Gilda ci sterminerà tutti- suggerì Bryce.

Il vampiro abbassò la lama per riporla nel fodero.

Claude potè tirare un sospiro di sollievo non si aspettava una reazione del genere, aveva sempre considerato Aiden un vampiro da quattro soldi, un nobile che aveva ereditato il titolo di solamente perché la famiglia Frost si era quasi estinta, un vampiro giovane di soli diciannove anni. Un bambino in confronto ai pluricentenari aristocratici quali Bryce, Viktor e lo stesso Claude.

-Cavalier Frost, la prego allora di perdonare il mio atteggiamento alquanto deplorevole- ghignò viscidamente Claude accennando un inchino con la testa.

Di sua risposta, il giovane Aiden non fece altro che una smorfia di disgusto.

Passarono attimi di silenzio, quasi interminabili. Ogni invitato non faceva altro che bere silenzioso, dal proprio calice, quella bevanda purpurea.

-Per rompere questo silenzio di tomba io propongo un brindisi al Marchese, a Bryce Withingale per la sua condotta nella caccia- disse, alzando il calice, il padrone di casa.

Tutti gli invitati lo seguirono, anche i più riluttanti.

La nottata passò piuttosto lentamente, poco prima del sorgere del sole, gli invitati si ritirarono alle proprie dimore.

Viktor stesso si congedò nei suoi alloggi per evitare i maledetti raggi della luce, anche se oramai il sole rimaneva in cielo per poche ore al giorno. Una camera di grandi dimensioni, pavimento in legno scuro e al centro della stanza una tavola di pietra grigia, probabilmente granito. Una specie di altare, lungo quasi due metri e largo circa uno. La sua superficie era levigata e liscia, pareva quasi di marmo nero con delle venature biancastre.

Il Barone chiuse i tendaggi color smeraldo della stanza per dedicarsi al sonno. Si adagiò sull’altare e chiuse gli occhi lasciandosi trascinare in un sonno profondo.

 

****

 

Mentre al maniero vi era chi riposava, nei bunker della base sotterranea della Gilda, c’era chi si era appena alzato dalla branda.

Un ragazzo di circa diciannove anni dai capelli argentati percorreva i lunghi corridoi di cemento armato, illuminati dai neon bianchi, per andare alla caffetteria. Prese una tazza di caffè, o un surrogato piuttosto simile, e qualche biscotto stantio. Mangiò in fretta e poi tenendo la tazza nella mano destra si incamminò nuovamente nel labirinto di stretti corridoi fino ad arrivare al laboratorio chimico. Una stanza completamente bianca, asettica. Anche il pavimento stesso era di piastrelle bianche come anche i banchi da lavoro. L’unica eccezione a quell’inquetante candore erano gli armadietti e gli scaffali di metallo e vetro.

Appoggiò la tazza su una scrivania e indossò un lungo camice bianco che arrivava alle ginocchia.

Si stupì di sentire del rumore, il suono di attrezzi da meccanico, non del tutto estranei.

-Ryo, non ti avevo per caso chiesto di rimanere nel tuo laboratorio, quando sistemi le armi?- domandò il ragazzo con la voce ancora impastata dal sonno.

-Buongiorno Shawn, vedo che il caffè che servono ultimamente è sempre meno efficace!- rispose la ragazza che stava armeggiando con gli attrezzi. Aveva la stessa età di Shawn, capelli rosati tenuti in una coda alta con alcune ciocche turchesi. Ryoko Tachibana il suo nome completo.

-Comunque mi dispiace deluderti, il capo ha deciso di sacrificare il mio laboratorio per costruire un altro dormitorio, ormai sempre più persone si uniscono alla nostra sezione… quindi mi sono trasferita qui, almeno sono sicura che questo laboratorio non verrà chiuso- sorrise la ragazza.

-E va bene… ma indossa almeno un paio di scarpe qui nel mio laboratorio, non vorrei che ti succedesse qualcosa- rispose Shawn sbadigliando.

-Il camice non basta per proteggersi dai reagenti?- chiese Ryoko. La ragazza di fatto vestiva dei pantaloni e una canotta entrambi di colore nero e un camice bianco piuttosto logoro. Tuttavia aveva la brutta abitudine di stare, senza che nessuno conoscesse il vero motivo, completamente scalza nel suo laboratorio.

-Direi proprio di no, ma se non sopporti di stare qui con i tuoi stivali, resta almeno lontano dal reagentario. Può essere piuttosto pericoloso- rispose il ragazzo indicando il paio di calzature lasciate affianco del tavolo su cui lavorava Ryo.

Si diresse poi verso il proprio bancone per leggere degli appunti che erano stati lasciati il giorno prima.

 

Cristallo del sole carente. Prego prepararne dell’altro”

 

Citava il biglietto.

-Il solito lavoro Shawn?-

-Sì, ormai conosco a memoria le concentrazioni dei reagenti necessarie i tempi di reazione necessari-

Si avvicinò ad un armadietto per prendere tutti gli strumenti e la vetreria necessaria. Una grossa beuta da un litro, reti frangifiamma, matracci di varia misura, tappi forati e tubi di vetro.

-Tu piuttosto cosa stai facendo? Il rumore si sente dal corridoio-

-Ho dovuto smontare Diablo, il mio fucile- rispose la ragazza. Davanti a sé sul tavolo giaceva il fucile ormai smontato pezzo a pezzo. La canna, decorata con il nome del fucile e la faccina stilizzata di un gatto, era stata rimossa. Il calcio messo da parte. L’otturatore era completamente bruciato e cadeva letteralmente a pezzi.

-Cosa hai fatto per doverlo riparare?- chiese Shawn mentre preparava una soluzione diluita di acido cloridrico.

-Ho fatto un esperimento, normalmente quanta polvere di cristallo si mette all’interno di un proiettile?-

-Solitamente per uno di piccolo calibro, una punta di spatola… ad occhio circa 0,1 o 0,2 milligrammi-

-Esatto Shawn, io ho voluto potenziare le munizioni e ne ho messa di più, credo dal mezzo milligrammo a un milligrammo intero, ho ricavato lo spazio necessario diminuendo il propellente per lo sparo e aumentando la dose nella punta-

-Ecco il perché è finita la polvere di cristallo!- esclamò il ragazzo ridendo.

-Solo che aggiungere una tale quantità si è rivelata esagerata. Al poligono di tiro ho sparato due colpi. Il primo è andato a segno. Il bersaglio ha letteralmente preso fuoco. Con il secondo ho rischiato una brutta cicatrice sulla guancia se non la vita! Quando ho premuto il grilletto per il secondo colpo ho sentito il “click” dell’arma inceppata e un odore di bruciato, ho lanciato il fucile e mi sono fiondata il più lontano possibile. Ho sentito solo un botto sordo seguito da un lampo bianco. Il secondo proiettile era esploso nel fucile e devo quindi riparare i meccanismi interni. Ma devo ammettere che è stato divertente!- esclamò la ragazza.

-Ryo, non cambi mai, sempre a mettere a repentaglio la tua incolumità! Comunque, la quantità che hai aggiunto era troppa per un proiettile di quel calibro. E’ probabile che diminuendo il propellente, quest’ultimo una volta attivato non abbia sparato il colpo ma abbia bruciato il cristallo del sole… ricordati che il componente principale è il magnesio… a proposito, potresti passarmi contenitore delle lamine di magnesio?- domandò Shawn.

La ragazza passò il contenitore, una bottiglia di vetro scuro con coperchio molto largo. Le lamine erano sottili ma molto lunghe. Prese con una pinzetta, vennero trasferite all’interno della beuta contenente una miscela di reagenti con lo scopo di disciogliere completamente il metallo. La soluzione venne poi riscaldata dalla fiamma di un fornello bunsen per velocizzare la reazione.

-Il magnesio è quasi finito, speriamo che i nostri riescano a procurarmene dell’altro- osservò il ragazzo.

-Non ci sono delle alternative?-

-In realtà sì. Il fosforo bianco permette di creare proiettili incendiari ancora più letali, per i vampiri sarebbe l’ideale ma è molto difficile da conservare ed estremamente pericoloso anche per noi. La seconda scelta sarebbe l’argento, non ho la minima idea del perché sia così efficace contro i nostri nemici, ma per loro una ferita dovuta ad una lama d’argento annulla il loro potere di rigenerazione. Anche un singolo taglio impiega qualche giorno a rimarginarsi completamente. Tuttavia è raro e al mercato nero costa più dell’oro. Questo cristallo a base di magnesio invece è l’ideale, facile da riprodurre e una volta che si spara, il proiettile diventa una scintilla bianca lucente che brucia i tessuti danneggiando anche i nostri “amici” notturni- rispose l’albino.

La ragazza fece un cenno con la testa per poi rimettersi al lavoro. Riparare l’arma non era semplice, tuttavia era ormai affezionata a quel fucile. Ne possedeva un altro simile, soprannominato Hell.

David Evans non gli aveva permesso di utilizzare le armi a disposizione della Gilda per i suoi esperimenti.

Ryoko di fatto non era una vera e propria scienziata come Shawn. Non si occupava di chimica e biologia. Si concentrava soprattutto sulla costruzione di nuove armi e il loro miglioramento. A volte i suoi esperimenti avevano successo contribuendo alla guerra contro i vampiri. In altri casi fallivano miseramente e di conseguenza si metteva al lavoro per migliorare i prototipi.

Armata di cacciavite e chiave inglese riuscì finalmente a sostituire i pezzi del fucile che erano stati danneggiati dall’esplosione. Aveva preso dei ricambi nell’armeria e dopo quasi una nottata di lavoro riuscì ad adattarli per il proprio fucile.

Nel frattempo Shawn era passato alle fasi successive della sintesi del cristallo. Filtrò più volte la soluzione tramite un complesso meccanismo che permetteva di filtrare sottovuoto. Tre filtrazioni erano più che sufficienti per ottenere un grado di purezza piuttosto alto.

Ryoko si alzò dal tavolo da lavoro e si tolse il camice mettendo in mostra il braccio sinistro. Un braccio meccanico perfettamente funzionante. Quello vero lo perse anni prima in un’oscura pagina della sua infanzia. Era nata in quello che era conosciuto una volta come Giappone, ma dopo la “Grande deportazione” verso l’Europa venne venduta come schiava ad una vampira aristocratica, una contessa. Ella non esitò ad amputarle di netto il braccio per punzione. Ryoko aveva tardato di qualche istante alla chiamata della sua padrona. Fortunatamente riuscì a fuggire e trovare riparo nella Gilda dove trovò finalmente una casa dopo dieci anni di maltrattamenti.

La ragazza si sistemò i capelli riavvolgendoli in una coda alta e indossò nuovamente il camice e gli stivali.

-Quanto tempo serve per finire la sintesi?-

-In realtà ho finito, devo solo far cristallizzare il sale ottenuto dalla reazione, quindi tornerò nel pomeriggio. Se non ho sbagliato, secondo i calcoli dovrei ottenere circa una ventina di grammi di cristallo del sole. Più che sufficiente per quelli dell’armeria. Possono produrre un’intera cassa di munizioni-

Ryoko guardò l’orologio, aveva lavorato per più tempo di quello che pensava.

-Devo dare da mangiare a Robin Hood, altrimenti sono sicura che quel gatto mi terrà sveglia tutta la notte per ripicca- rise la ragazza.

-Ti togli ancora il cibo di bocca per quel gatto? Sai che non è semplice trovare dei viveri di questi tempi e il mercato nero continua ad alzare i prezzi!-

-E’ un gatto apprezzato da tutti, è un po’ la mascotte della Gilda. Che fai vuoi rimanere seduto a quel bancone tutto il giorno?-

-No, ho già lavorato abbastanza per questa mattina- così dicendo Shawn si levò il proprio camice. Seguendo la regola del buon chimico, non si sta in laboratorio senza camice e non si esce indossandolo, non si sa mai cosa può finirci sopra senza che ci si faccia caso.

Appendendo il camice bianco nell’armadietto metallico del laboratorio, il ragazzo rimase con una semplice maglietta a maniche corte. Cercò di indossare il più velocemente possibile la felpa azzurra cercando di nascondere anche un polsino nero che aveva sul braccio destro. Il polsino a sua volta nascondeva a malapena un bendaggio.

La ragazza, vedendo solo il polsino si schiarì la voce con un colpo di tosse.

-Shawn, l’hai fatto di nuovo vero?- il suo tono si era fatto serio tutto d’un tratto.

Il ragazzo sospirò, aveva fallito a nascondere il suo segreto.

-Ryo, sai bene che non posso smettere-

-E tu sai benissimo che non puoi ridurti così! Potresti morire da un momento all’altro!-

-Si tratta di mio fratello, non posso tirarmi indietro!-

La ragazza chiuse la porta del laboratorio per poter parlare liberamente.

-E tuo fratello è un vampiro! Diamine, come fai a non capire che è una belva. Ti sta solo usando come cibo!- esclamò Ryoko.

-Aiden non è come gli altri vampiri, non mi lascerebbe morire-

-Rifletti, lui è un vampiro e tu un umano. I vampiri succhiano il sangue agli umani fino a lasciarli morire-

-Non puoi capire la mia situazione. Finché nostro padre era in vita potevamo vivere liberamente entrambi. Ora che non c’è più io sono qui nella Gilda mentre mio fratello è uno dei vampiri nobili. Io mi offro a lui per salvare la vita anche alle altre persone che sono sotto il suo dominio, io posso placare la sua sete così non farà del male agli altri-

-Il morso di un vampiro crea dipendenza lo sai? Ultimamente ti vedo sempre più di frequente con quei bendaggi nascosti sotto ad un polsino. Quante volte ti ha morso nell’ultimo periodo?-

-Una, la notte scorsa- mentì.

-Ecco perché quando sei entrato qui sembravi uno zombie, la stanchezza era dovuta anche al prelievo che ti ha fatto quella sanguisuga-

-Non parlare così di mio fratello Ryo- sbottò severamente Shawn.

-E va bene, lo so che non posso farti cambiare idea, ma Shawn non buttare via così la tua vita-

Il ragazzo rispose con un lieve cenno del capo.

-Non una parola con nessuno- disse.

-Non una parola con nessuno- ripetè Ryoko.

I due erano migliori amici da anni, entrambi custodivano segreti dell’uno e dell’altro.

Nessun altro alla gilda conosceva la verità su Shawn. Se qualcuno avesse scoperto che suo fratello era un vampiro e lui stesso offriva il proprio sangue, probabilmente anzi sarebbe stato cacciato certamente e lasciato alla mercé degli altri vampiri. Molti umani avevano preso questa strada. Persone che rinnegano il loro essere umani per diventare una sorta di bestiame per godere della presunta protezione dei vampiri. Rinneganti ovvero coloro che rinnegano di essere persone per abbassarsi al livello degli animali, così sono chiamati e Shawn stesso sotto certi aspetti era un Rinnegante.

Usciva durante la notte, sempre più lunga, per una scusa o per l’altra andava dal proprio fratello. Era sempre riuscito a farla franca, nessuno si era mai accorto delle ferite tranne Ryoko. Un giorno si stava medicando il morso nel proprio laboratorio quando entrò all’improvviso la ragazza.

Dovette spiegare la situazione. In un certo modo questo rafforzò il loro legame, nonostante un iniziale senso di repulsione e disgusto da parte della ragazza che cambiò poi opinione cercando in tutti i modi di far smettere Shawn.

Il ragazzo una volta si faceva mordere una volta al mese, poi lentamente divenne una volta ogni due settimane per poi diventare almeno una volta a settimana.

Ultimamente si sentiva debole. Aiden iniziò a bere sempre meno sangue per non uccidere il fratello, tuttavia la sete era sempre troppa.

E’ vero un morso di un vampiro porta alla dipendenza, il dolore iniziale si trasforma poi in estasi ed euforia, lasciando poi solo un senso di vuoto, stanchezza e spossatezza dopo il morso.

Forse stava veramente diventando succube del morso. Nascosto sotto al bendaggio aveva il segno di due morsi. Uno era piuttosto fresco. Il polso era stato trattato con tintura di iodio per evitare le infezioni. Fortunatamente era un chimico ed era il suo scopo produrla per i feriti.

All’ennesimo richiamo da parte di Ryoko, si alzò e la seguì fuori dal laboratorio.

 

****

 

In superficie, il paese pareva rianimarsi. Durante la notte le persone si barricano in casa. Non si può mai sapere quando i vampiri inizino una caccia all’uomo.

Il giorno si aprivano le imposte e si faceva entrare la luce del sole e l’aria nelle stanze.

Peccato che ormai il giorno durasse poche ore.

Pur avendo un aspetto fatiscente, era un luogo dignitoso per vivere.

Dopo la Grande deportazione, i sopravvissuti alla presa di potere dei vampiri furono trasferiti nel cuore dell’Europa per assicurarsi un controllo migliore degli umani oltre che un più semplice accesso al sangue di cui si nutrivano.

Decine di nuove città e paesi sono sorti sulle macerie delle vecchie. La vita scorreva piuttosto tranquilla, ma l’ombra del vampiro e del buio erano sempre presenti e incombevano sugli abitanti.

Il cibo era scarso come anche molti altri beni di prima necessità. L’acqua corrente era quasi inesistente e l’energia elettrica non era sempre presente anche se lentamente stava per essere ripristinata in tutta Europa.

Il mondo pareva sotto alcuni punti di vista regredito di qualche secolo.

Chi era fortunato possedeva un pezzo di terreno da coltivare. Le piante si stavano lentamente adattando ai lunghi periodi di oscurità ottimizzando la poca luce solare.

I più sfortunati dovevano fare affidamento sulle merci vendute dai commercianti o potevano azzardare a comprare qualcosa al mercato nero. Quest’ultimo era ricco di merci rare a prezzi tutt’altro che modici. La Gilda era uno dei pochi acquirenti del mercato nero poiché animava la resistenza e accendeva la speranza di un mondo libero.

In una delle tante case del paese, all’apparenza piccola riserva di civiltà, viveva la famiglia Leblanc.

Una casa di mattoni su due piani, piuttosto piccola ma graziosa nella sua semplicità esteriore con finestre ampie tinteggiate di bianco come anche la porta e dal tetto in tegole scure. Peccato non si possa dire lo stesso per l’interno. Gli umani avevano preferito riparare e ristrutturare l’esterno delle case in rovina tralasciando l’interno. Almeno, viste da fuori le case davano un senso di tranquillità dopo un decennio passato a vivere in baracche di legno e scarti di metallo.

Un continuo gocciolare. Era questo il rumore che si sentiva in quella casa.

L’acqua cadeva dal tetto. Le tegole non erano mai state in ottime condizioni, le piogge continue hanno fatto in modo che il legno del soffitto marcisse dando la possibilità all’acqua di entrare alla prima pioggia.

Il tetto non era l’unica cosa da riparare.

Una porta senza la maniglia, il vetro d'una finestra infranto e quindi tenuta sempre chiusa con delle assi, tanti piccoli lavori da fare ma da sempre incompiuti.

Il signor Leblanc non aveva mai dato troppa attenzione ai lavori da fare a casa, preferiva concentrarsi sul lavoro e Ines la sua unica figlia, unica sopravvissuta della sua famiglia. Ines era una giovane ragazza di sedici anni, capelli biondo miele e occhi castani e sempre vestita con abiti di colori piuttosto inadatti al mondo in cui viveva, tonalità come bianco o crema erano le sue predilette.

La ragazza portava un secchio pieno d’acqua. Era stato messo al di sotto del punto in cui cadeva la pioggia all’interno.

Al piano inferiore il padre stava sistemando dei pezzi di legno nella stufa per riscaldare la casa.

-Papà, anche questa notte è caduta dell’acqua dal tetto-

-Lo riparerò, lo riparerò- disse il signor Leblanc continuando a inserire pezzi di legno nella bocca della stufa.

-E quando? Un buco nel tetto non è come la finestra al piano di sopra che può rimanere rotta-

-Lo riparerò a tempo debito, ora va a svuotare il secchio. Abbiamo bisogno di acqua-

La ragazza uscì dal retro. La sua casa era una delle poche con l’acqua corrente e delle condutture, seppur piuttosto malconce e arrugginite dal tempo. L’acqua tuttavia non proveniva da un acquedotto ma da una cisterna interrata nel giardinetto. Era riempita periodicamente con l’acqua piovana e, negli ultimi tempi, anche con i secchi messi sotto al tetto per non allagare la casa.

Il coperchio della cisterna era un pesante disco di ghisa che rimasto aperto per far entrare l’acqua la sera prima. Era deprimente, la cisterna era quasi del tutto vuota, meno della metà.

Un secchio non fece molta differenza.

Tornata all’interno, venne accolta dal tepore delle fiamme. Il signor Leblanc stava ora nella cucina per preparare il pranzo.

La stanza era piuttosto spoglia, una credenza in legno, pareti scrostate e un parquet piuttosto usurato che aveva visto tempi migliori. Nessun fornello, solo la stufa. Fortunatamente era abbastanza larga per poter sorreggere una pentola.

Il padre della ragazza stava tagliando su un vecchio tavolo scricchiolante delle patate, uno dei pochi ortaggi disponibili in quantità discretamente.

La figlia, cercando di vincere la timidezza, fece un respiro profondo per poi prendere parola.

-Papà…-

-Dimmi tesoro-

-Quand’è che potrò finalmente entrare nella Gilda?- chiese candidamente la ragazza.

-Ines, ne abbiamo già parlato. Non ho intenzione che ti unisca a quel branco di maniaci suicidi- la riprese il padre severamente.

-Ma… sono la nostra unica speranza, solo loro possono opporsi ai vampiri!-

-Ti ho già detto quello che penso. Ho già perso troppe persone care per poter sopportare che anche tu venga… massacrata da quei mostri- il signor Leblanc pronunciò a fatica le ultime parole, a denti stretti. Appoggiò poi il coltello affianco il tagliere per poi prendere una vecchia pentola d’acciaio.

-Non pensi ai nonni?-

-Ci penso anche troppo, mi dispiace che tu abbia visto quell’orrore- sussurrò il padre. Gli occhi gli divennero improvvisamente lucidi.

Ines aveva perso i nonni sia paterni che materni a causa dei vampiri. Ella assistette personalmente al fatto dalla finestra della propria camera, ma era troppo piccola per capire. Eppure il ricordo era ancora vivido anche se parzialmente offuscato.

La madre morì invece di tumore anni dopo. Da allora vive sola con il padre.

-Se mi unissi alla Gilda e alla resistenza potrei vendicarli!-

Il padre sospirò e si sedette su una vecchia sedia, piuttosto instabile, e iniziò a massaggiarsi le tempie.

-E poi anche Jude è nella resistenza, ne sono sicura- continuò la ragazza.

-Jude? E come fai a dirlo non vi sentite da anni!-

-Prima che se ne andasse mi aveva promesso che si sarebbe unito alla Gilda e mi avrebbe aspettato-

Jude non era che un bambino, rimasto orfano a causa dei vampiri. Era stato trovato da bambino barcollante e ferito da Ines e dal padre. I due si offrirono di aiutarlo medicandogli le ferite. La ragazza scoprì anche l’orfanotrofio in cui viveva e iniziò a far visita sempre più spesso al ragazzo. Ma col tempo le visite divennero di volta in volta più rare, fino a quando l’orfanotrofio non venne chiuso. I bambini che non avevano la fortuna di essere stati adottati da una famiglia o dalla resistenza vennero presi dai vampiri. Condannati ad una vita di schiavitù e sofferenza.

Ines sentiva nel fondo del cuore che Jude era riuscito a scappare e a diventare un cacciatore della Gilda.

-Ines, non credo che quello sia il posto adatto per te… sei sempre stata una bambina timida, dolce e anche solitaria. Lì potrebbero esserci anche delle persone che sono delle poco di buono e dovrai combattere contro i vampiri-

-Papà, ormai non sono più una bambina- disse dolcemente la figlia prendendo la mano del padre.

Il padre sospirò nuovamente.

-È vero, hai sedici anni. È inutile che ti tratti come una bambina, ormai sei una ragazza cresciuta, quasi un’adulta. Assomigli sempre più a tua madre!-

Il signor Leblanc si alzò dalla sedia, camminò avanti e indietro per un po’ per poi riprendere a parlare.

-È giunto il tempo che ti prenda le tue responsabilità. Non posso impedirti di entrare nella Gilda, lo faresti lo stesso in futuro. Quindi, direi che puoi andare-

Gli occhi castani della ragazza si illuminarono d’un tratto. Erano lucidi, quasi in lacrime dalla gioia. Poteva finalmente esaudire il proprio sogno e vendicare anche i propri nonni.

-Ma devi promettermi una cosa prima di partire. Devi promettermi che non morirai e che farai ritorno qui a casa un giorno-

La ragazza abbracciò il padre e rispose:

-No, non morirò, te lo prometto. Ti voglio bene papà-

L’uomo ricambiò l’abbraccio della figlia e sussurrò un semplice

-Ti voglio bene anch’io, piccolo girasole-



 

****


E alla fine sono tornato con un aggiornamento di

quasi 5000 parole!

Con questo capitolo ho presentato gli Oc che ho ricevuto,

tuttavia ho deciso di tenere aperto le iscrizioni ancora

per qualche giorno nella speranza di riceverne ancora

qualche d’uno (anche se non garantisco che possano comparire!)

Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento!

Un saluto,

_Eclipse

 
   
 
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