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Autore: Grell Evans    16/08/2018    2 recensioni
Temari decide di trasferirsi a Konoha per chiudere un capitolo lungo e buio della sua vita sentimentale che l'ha turbata e delusa profondamente. 
Shikamaru apatico e scostante appena la incontra le si avvicina, affascinato, dalla sua bellezza sconosciuta.
Tra di loro tutto sembra incominciare in modo tranquillo e delicato, ma c'è qualcosa che turba le loro giornate o per meglio dire, qualcuno.
E quel qualcuno non sarà gentile, nè comprensivo; non avrà intenzione di lasciare Temari senza di lui, piuttosto la morte.
 
Genere: Drammatico, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il dolore alla testa le annebbiava la vista, a stento riusciva ad aprire le palpebre, le tempie le pulsavano ad un ritmo continuo e snervante. Capì presto di aver legate mani e piedi, di essere seduta su qualche suppellettile di ferro o di qualche materiale simile e di avere la bocca serrata a forza. Sentiva il cuore batterle all’impazzata, così forte che se avesse potuto sarebbe uscito anche dalla cassa toracica, percepiva la pelle stretta dalle corde in prossimità delle articolazioni bruciarle, segno che si stava lacerando. Aveva cominciato a sudare appena era riuscita maldestramente a mettere a fuoco l’ambiente intorno a lei; una stanza spoglia, senza finestre, dove l’unica decorazione era il grigio delle pareti, conteneva solo un tavolo lungo posto a pochi metri da lei.
Aveva capito che sopra c’era qualcosa ma non riusciva a capire che genere di oggetti fossero; deglutì e impiegò diversi secondi prima di compiere l’intera operazione, aveva una sete pazzesca e gola e labbra secche.
Chiuse gli occhi cercando di mantenere la calma, di focalizzare tutte le sue forze per pensare a come uscire da quella situazione di merda, ma fu uno sforzo invano interrotto bruscamente dall’apertura violenta di una porta che lei non poteva vedere. Tremò per lo spavento, il cuore accelerò i battiti.
- Tem. – la voce era esattamente dietro di lei. Tremò di nuovo, non lo aveva sentito arrivare, non aveva neanche distinto un singolo passo. – Cos’è hai paura? – percepì una mano posarsi sulla sua testa.
Cercò di divincolarsi, ma si rese conto di avere anche il collo bloccato, così imprecò.
- Vuoi dire qualcosa? – sentì il volto del suo sequestratore avvicinarsi al suo orecchio destro; la sua voce melliflua quasi le fece venire la nausea. Si sforzò di capire di chi fosse quella dannata voce ma non riusciva più a connettere il suo cervello in quella situazione, era stremata, stanca e dolorante.
Poi una mano le strappo con un gesto secco e fulmineo il nastro adesivo che aveva sulla bocca; le parve un dolore terribile, come se le avesse staccato la pelle del viso, invece era solo un innocuo strappo. Si impose di regolare il respiro, così da non apparire eccessivamente spaventata agli occhi dell’uomo dietro di lei, ma non riusciva a tranquillizzarsi. La voglia di inveire contro quel tizio era fortissima, provò a parlare ma si rese conto di non potere muovere le labbra. Tentò una seconda volta e un dolore cento volte più intenso di quello precedente le pervase la zona che partiva da sotto il naso e che terminava sotto il mento. Mugugnò in segno di protesta tentando di liberare la mani e i piedi con dei forti strattoni; cominciarono a dolerle i polsi e le caviglie.
- Oh, povera Temari, non puoi parlare. – il finto tono compassionevole dell’uomo la mandò in bestia così tanto che se avesse potuto, in condizioni normali, lo avrebbe riempito di botte, probabilmente fino ad ucciderlo. – Vuoi vedere come mai? – continuò attirando verso di sé il tavolo che aveva visto in precedenza. – Guardati, mia dolce Temari. –
Appena vide la sua immagine riflessa spalancò gli occhi in un’espressione di puro terrore che le deformò terribilmente il viso; il dolore alle labbra si accentuò non riuscendo a controllare i suoi muscoli facciali, gli occhi le si riempirono di lacrime che prima le schiarirono gli occhi e poi, lentamente, le colarono lungo il viso. Un urlo le morì in gola manifestandosi come un singulto, quando appurò di avere le labbra cucite.
- Cosa c’è? Hai paura che quel mezzo uomo di Shikamaru non ti scopi più? Eh? – le sussurrò all’orecchio. – Eh, puttanella? – le afferrò una ciocca di capelli strattonandola. – Perché non rispondi?! – le urlò mentre sentiva la pelle del collo far attrito sul collare di metallo che le limitava i movimenti.
Sentì la rabbia divamparle dentro come un incendio immenso che la fece dimenare con tutte le forze che le rimanevano, cercò di strappare le corde che la immobilizzano ma si rese conto di essere davvero troppo debole. Fu allora che le lacrime che prima erano scese per il dolore ore le rigavano il volto per la frustrazione, per l’incapacità di reagire, per la libertà che le era stata tolta, per gli insulti e per la paura di morire.
- La mia principessa piange? – immaginò che il viso dell’uomo fosse deformato in un ghigno. – La principessa guerriera della Sabbia piagnucola come una marmocchia indifesa, che pena. –
Un brivido le percorse la schiena al suono di quell’epiteto che aveva usato, realizzò che solo un uomo l’aveva chiamata in quel modo in tutta la sua vita, colui che l’aveva usata e riusata come se non valesse nulla, tradita e preteso di essere perdonato per il suo essere infedele, che aveva approfittato della sua posizione per arrivare in alto nella gerarchia dei ninja, l’uomo che aveva amato più di qualsiasi cosa al mondo e che con altissime probabilità non l’aveva mai amata davvero.
Il petto cominciò ad andarle su e giù ad un ritmo frenetico quando vide con la coda dell’occhio la mano di quel maledetto prendere una sorta di bisturi e avvicinarglielo alla gola, facendolo poi scorrere appena sui contorni del suo viso.
- Allora, da dove vogliamo cominciare? – domandò passandole un dito sulle labbra brutalmente tumefatte.
Si irrigidì quando la punta fredda dell’oggetto ritornò sul collo, sostando sulle carotidi, per poi proseguire tra le clavicole. Si sentiva impotente e debole, in quello scontro impari sentiva di aver perso, ma un’altra parte di sé la teneva ancora sveglia, le chiedeva di lottare, di farsi sentire. Più volte quell’abominio le aveva chiesto di rispondere alle sue domande riprovevoli, provocandola, consapevole che le sue condizioni le impedivano di produrre qualsiasi parola. Decise che non le importava più, il dolore poteva andarsi a far fottere, l’avrebbe sopportato anche se fosse stato il più grande che avesse mai provato; aveva deciso che quell’uomo poteva toglierle tutto ma non la dignità di donna e di ninja. Così reclinò il capo leggermente in avanti e con una smorfia che fu quasi un ghigno deformò il suo viso, raccogliendo tutto il coraggio che aveva in corpo.
Di scatto gettò la testa indietro spalancando con tutta la sua forza le labbra orribilmente sfregiate e livide, urlando, sfogando così tutto il dolore lancinante e pungente che la lacerazione dei punti provocava, ansimando e cercando di prendere aria, conscia di non essere svenuta.
Stavolta il ghigno le ricomparve in volto, più definito, meno contratto, cosparso di sangue che le scivolava come piccoli affluenti giù per il collo, era un ghigno soddisfatto e consapevole di aver incominciato a vincere.
- Oh, ma bene bene. – si congratulò ironico l’uomo. – E cosa avresti intenzione di fare? – domandò ridendo.
Temari raddrizzò la testa, ignorando il dolore e aprendo gli occhi verdi con uno scatto. – Mi sembra ovvio… – disse con voce flebile e piuttosto roca. – Io voglio ucciderti. – respirò profondamente, cercando di non ansimare troppo. – Daimaru. – concluse sputando per terra il suo sangue ormai scuro.
 


 
***


 
 
  Forget about the sunrise
Fight the sleep in your eyes
I don't wanna miss a second with you
Let's stay this way forever
It's only getting better if we want it to


 
 
 
Adorava restare seduta tanto tempo da sola, tra i merli delle altissime mura di cinta di Suna, che rendevano possibile osservare in totale tranquillità le vaste lande deserte che andavano a mescolarsi, dove lo sguardo si perdeva, al cielo azzurro.
Fin da bambina andava spesso lì, quasi come a volersi nascondere dal mondo, non solo perché voleva starsene solo per un po’ ma perché, quando aveva iniziato a rifugiarsi lì, era talmente piccola e minuta che i merli la nascondevano perfettamente. Dopo diversi anni, riusciva ancora a sedersi in quel posto, ma era inevitabile che i suoi ciuffi biondi e il suo kimono la rendessero visibile a chi passava di là.
Spesso ritirarsi in quel luogo ventoso e solitario era l’unico modo che aveva per distrarsi dalla vita movimentata che conduceva tra gli impegni istituzionali e le missioni che raramente le davano un momento di tregua. Sentiva l’esigenza di staccare la spina e restare sola con se stessa per un po’, per rigenerare la mente e il corpo dopo una giornata frenetica o dopo un lungo viaggio di ritorno a Suna. Così quel giorno era salita per l’ennesima vola nella sua vita su quelle mura altissime e si era seduta sempre al suo posto, tra i due merli posizionati esattamente a trecento metri dalle due torri di vedetta.
- Ehi, ti conviene scendere se non vuoi farti male. – il suono di una voce maschile la destò dalla sua lunga osservazione dell’orizzonte.
- Prego? – si voltò volgendo al tipo dietro di lei uno sguardo deciso.
- Se vuoi suicidarti fallo a casa tua. -  rispose lapidario il ragazzo.
- Ma che problemi hai? -  domandò irritata.
- Io? -  rise in modo sommesso. – Sei tu quella appollaiata sulle mura di cinta come un avvoltoio. –
Temari si alzò di scatto facendo indietreggiare di pochi passi il ragazzo. – Senti, perché non ti levi dai piedi? – disse scontrosa.
- Ehi piccolina, stai calma. – ribattè alzando un sopracciglio.
- “Piccolina” dillo a tua sorella. – rispose infastidita. Stava per mollargli un destro in pieno viso se solo non avesse ritenuto opportuno conservarglielo per dopo. – Con chi ti credi di parlare? –
Il ragazzo la osservò per qualche secondo scrutando i capelli biondi che le ricadevano sul viso mossi dal vento caldo, gli occhi verdi, decisi, puntati nei suoi pronti ad intimidirlo, il collo chiaro abbellito dal copri fronte blu con lo stemma del villaggio della Sabbia.
- Con una ragazza molto permalosa. -  un sorriso gli comparve sul volto. –  Cerca di non buttarti giù dalle mura. – si voltò sereno mentre lo sguardo di Temari andò mutando in un’espressione stranita. 
Rimase immobile mentre quel ragazzo sconosciuto spariva, sempre più lontano, verso la grande torre.


 
 
***


 
Una pioggia inaspettata l’aveva sorpreso appena dopo aver lasciato il palazzetto dell’hokage. Quel clima rispecchiava il suo stato d’animo che non gli stava dando tregua in quei giorni bui e tormentati. Le gocce cadevano rapide e veloci ma Shikamaru non si preoccupò di procedere più velocemente verso casa, nonostante si stesse inzuppando i vestiti e avesse i capelli appiccicati alla faccia. Si convinse che l’acqua piovana potesse lavare via il senso di colpa che lo divorava da giorni, che potesse in qualche modo fungere da balsamo per la sua coscienza che non faceva altro che dannarsi per non essere stato in grado di salvare Temari dalle grinfie di quell’uomo misterioso.
Ritenne di essere stato davvero fortunato a trovare quella tempesta ad aspettarlo dopo quell’interrogatorio durato diverse ore con le forze speciali che sperava potesse dare i suoi frutti e che portasse i ninja Ambu a ritrovare Temari. Aveva trattenuto le lacrime a lungo, concentrandosi profondamente e mantenendo un autocontrollo sopra il normale per non scoppiare a piangere come un poppante a cui manca la mamma e in quel momento, solo e sotto la pioggia, avrebbe potuto versare quante lacrime desiderava tanto nessuno le avrebbe notate mai.
Voleva passare inosservato così che chiunque non fosse troppo impegnato a trarsi in riparto da quell’acquazzone non potesse cogliere sul suo viso traccia di alcun dolore. Lui era un ninja, un uomo, erede prossimo di uno dei clan più importanti di Konoha e non poteva concedersi il lusso di disperarsi in mezzo alla strada.
Camminava lentamente come un condannato a morte cammina verso il patibolo, cercando di godersi gli ultimi respiri e gli ultimi sguardi verso il mondo dei vivi prima di cadere nel buio statico della morte eppure lui era fin troppo vivo ma si sentiva come un corpo morto, anzi, avrebbe voluto esserlo davvero.
Era quasi vicino a casa e la voglia di gettarsi del letto era tanta quanto quella di scappare correndo sotto la pioggia e il vento alla ricerca di Temari e del suo rapitore ma realizzò in brevissimo tempo che sarebbe stato tutto inutile; solo e senza indizi su cui avanzare una ricerca, entrò in casa sfilandosi le scarpe zuppe con lentezza e avanzò, bagnando il pavimento, verso il bagno.
Buttò i vestiti per terra, con noncuranza, e mentre si grattava la testa si accorse del suo riflesso nello specchio sopra il lavandino. Il suo viso, pallido ancora più del solito, faceva da sfondo a due occhiaie violacee che risaltavano spaventosamente sul suo tono di pelle, la sua espressione stanca non dava adito a dubbi sul fatto che passava molte notti sveglio e, in quelle poche in cui riusciva a chiudere occhio, non dormiva più di tre o quattro ore. L’incubo di aver perso Temari per sempre lo tormentava sempre, a qualsiasi ora del giorno e della notte, rendendo strazianti anche le azioni più banali come camminare, respirare e riposare.
Gli capitava spesso di sognare Temari, appena dopo aver chiuso gli occhi, coperta da un abito pomposo e elegante, che sorrideva seduta in un prato zeppo di fiori colorati tra cui i suoi occhi verdi scintillavano di felicità e i suoi capelli biondi svolazzavano scompigliati dal vento; lui tentava di raggiungerla ma più si avvicinava più il paesaggio cambiava in un clima freddo e piovoso, il corpo di Temari si svestiva di quei tessuti pregiati e si ricopriva di uno squallido camice bianco, sporco di terra e sangue, il suo volto acquisiva un’aria dolorante e terrorizzata, il viso tumefatto dai lividi e macchiato di un rosso cupo gli si fissò nella mente come la peggiore delle paure.
Spalancò gli occhi e osservò il suo viso contorto in un’espressione provata e disgustata e, accorgendosi di ciò che aveva appena immaginato, scrollò le spalle come a voler gettare via quelle sensazioni spiacevoli.
Si immerse nella vasca ormai piena e ricoperta da uno strato di schiuma bianca e profumata al muschio; appoggiò la testa sul bordo reclinandola leggermente all’indietro socchiudendo gli occhi, sforzandosi di non addormentarsi. Poté sentire come i suoi muscoli si stavano a mano a mano rilassando grazie al tepore dell’acqua, a come il suo battito cardiaco andava a rallentare e i suoi respiri a ridursi, come quella parvenza di tranquillità, rinchiusa nel bagno di casa sua, stava per prendere il sopravvento su di lui.
- Giuro che ti troverò. – sussurrò senza rendersi conto che il sonno l’aveva portato via con sé.



G/E - L'angolo dell'autrice.

 
Potete frustarmi, tirarmi qualsiasi genere alimentare e non che avete a disposizione e assillarmi per il ritardo mostruoso con il qual è stato pubblicato questo capitolo. La cosa migliore che posso fare con chi legge e recensisce questa fic è scusarmi per l'attesa biblica di questo aggiornamento ma tra i lavori a casa, una mini vacanza e soprattutto la mancata ispirazione ho fatto davvero fatica a terminare questa capitolo.
Spero che vi piaccia, fatemi sapere. 
Un bacio, Grell.

 
  
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