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Autore: Marte97    19/08/2018    0 recensioni
Norma è una velenifera, un mostro potente, in grado si espandere intorno a sè esalazioni di veleno, ma ha ricevuto in dote un potere extra che lei chiama "imposizione": la capacità di far dire agli altri ciò che vuole, di poter imporre, appunto, la propria volontà. La sua famiglia è strana, altri cinque veleniferi che vivono con lei da che a memoria, ma che sembrano nascondere un terribile segreto. Sarà la dolce Colette il nemico interno? O forse Sarpedonte, così supponente e sempre di cattivo umore?
Mentre cerca di vedere chiaro ciò che accade nel suo piccolo mondo familiare perderà di vista bracconieri e frangiossa, i nemici dei veleniferi.
Norma, Norma, Norma, così alla ricerca della normalità si ritroverà in un vortice più grande di lei.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Fu Colette a pestare la coda della gatta e a farle emettere un miagolio acuto. Dal canto suo, Norma le gettò l’occhiata più feroce del suo repertorio di occhiate feroci. « Credi sia una buona idea farlo anche questa volta? » Per tutta risposta, Norma annuì. Cielo dormiva beata nel suo letto plus size, con i riccioli scuri che non permettevano a nessuna delle due di distinguerne la faccia. Colette si sedette sul bordo del letto con la grazia di una ballerina e cominciò ad espandere il suo veleno. Cloroformio. Anche al buio un occhio attento avrebbe potuto vedere il vapore verde uscire dal suo corpo e avvolgere quello dell’umana; un’altra nube di vapore si insinuò sotto la porta e raggiunse la stanza del padre. A quel punto nemmeno un terremoto li avrebbe svegliati. Perfino Monroe, la gatta, in braccio alla sua pseudo- sorella, sembrava un pochetto rincoglionita. Inspiegabilmente, il veleno non aveva un vero e proprio effetto sugli animali. « Dove li tiene? » « Non lo so » ed era vero. Cercare i soldi non era facile e ancor meno lo era se non si sapeva quanti ne occorrevano. L’ultima volta due bei bigliettoni erano bastati e sperava di trovarne altrettanti. Ma Cielo aveva un enorme difetto: era disordinata, pertanto i soldi avrebbero potuto essere letteralmente ovunque. E questo era un deterrente non da poco contando che mancava solo mezz’ora a mezzanotte. « Ma non sono nel salvadanaio? » « Sicuramente no ». Il panico prese Norma quando non li trovò neppure nei pressi di un portagioie. E nemmeno sulla solita mensola. « Andiamo, dove siete » mormorò come se potessero saltare fuori da soli. Quando finalmente vide qualcosa sotto un portafoto, sentì un rumore. Colette smise di accarezzare la gatta. Lei smise di muoversi. Anche il cloroformio che fluttuava nell’aria sembrò fermarsi. Norma poteva sentire il panico. Colette non poteva usare il suo potere, altrimenti il surplus di veleno avrebbe ucciso i due umani. Merda, merda, merda, lei invece non riusciva a pensare ad altro. « Tu resta qua e continua a farli dormire, io vado a dare un’occhiata » « No tesoro, poi rimango in pensiero » la supplicò da buona mamma. « Tranquilla » disse più a se stessa che a lei. Uscì nel corridoio buio chiudendosi dietro la porta. Un vapore rosso e viola si diffuse intorno a lei: arsenico. Era sufficiente per tenerla al sicuro, e abbastanza controllato per non ammazzare sul colpo Cielo e suo padre. Sentiva le sclere degli occhi pulsare. Vide una sagoma nera in cucina e con i denti seghettati gli si gettò addosso, le ali da pipistrello che la facevano sentire leggera, che le conferivano la spinta necessaria. « Che diamine fai? » la domanda sembrò sferzarle il viso. La voce era quella supponente di Sarpedonte. « Che cazzo fai tu qui, piuttosto! » Ovviamente, non l’aveva riconosciuto. Il colore del suo pseudo-fratello, il nero, lo avvolgeva come una nube. Fu lui ad accendere la luce, puntandole addosso quei bulbi oculari color delle tenebre e decisamente inquietanti, anche per un velenifero. « Dobbiamo andare di pattuglia » « Ho trovato i soldi, prima vado a pagare la tassa » asserì ma lui la bloccò per un braccio « Che cosa? » « Hai sentito benissimo. Vado a pagare la tassa per la mia sorellina umana ». La nube di isopropanolo che avvolse all’improvviso e tutta insieme la cucina rese invisibile ogni cosa, anche la luce. Lo leggeva nei suoi occhi, il disgusto, il disprezzo verso quella razza debole, senza veleno. Che lei frequentasse umani? Non andava bene, ma poteva tollerarlo. Che lei considerasse Cielo sul loro stesso grado di parentela? Proprio no. Lo aveva colpito nel punto più sensibile che lui possedesse, quello della famiglia. « E’ sbagliato » disse con voce tagliente mentre il gas avvolgeva la sua mano con spire di tenebra e mentre in un secondo si infiammava, incenerendo i soldi. « Ma dico, sei impazzito forse?! » gridò e fu a quel punto che Colette lasciò la sua postazione alla volta della cucina. « Pure tu l’aiuti? Eh? Vi aspetto fuori » e così come era entrato, uscì, senza nemmeno voltarsi, come un pipistrello. Una volta da bambina si era divertita a creare una canzoncina per i suoi fratelli, quasi una filastrocca. Ivan, Ivan verde cristallo Ti uccide solo dopo uno sguardo. Colette, Colette occhi di vetro Con lei dormi di un sogno cieco. Camille, Camille color dell’oro, con lei impazzisci e non chiede perdono. Norma, Norma viola e rubino, lei ti parla e ti senti un bambino. Ozi, Ozi ha gli occhi cobalto, non puoi fare un secondo assalto. Sarp, Sarp cobalto e nero, ti brucia anche col solo pensiero. Cobalto. Un tempo anche Sarpedonte aveva un veleno bicolore come il suo. Grosse lacrime color perla cominciarono a rigare le guance di Norma, piena di rabbia e frustrazione. Piena di odio. Tutto il peso dell’imposizione a Margot le ricadde addosso e, come quella mattina, arrivò il dolore. Un dolore che non le dava mai pace. Fu sua sorella a ridestarla « Ho una banconota in tasca: forse basta » le mormorò Colette. I soldi bastarono: la banconota di Colette, unita ad altre monete, trovate a caso nella camera di Cielo, furono sufficienti a pagare la tassa e a far infuriare Sarpedonte quando Osiride lesse i nomi degli umani da proteggere. Il fumo della pipa del suo pseudo- fratello la fece tossire « Perché fa così » asserì al cielo, non attendendo nessuna risposta in particolare. « E’ un ragazzo metodico » « Avrei usato più il termine stronzo per descrivere tuo fratello, Ozi » « Nah, in fondo ti vuole bene Norma » « Sarp sa provare sentimenti? Meriterebbe un articolo da parte della BBC » « Non essere dura con lui, almeno, non troppo » « Ho dovuto mollare ben tre ragazzi umani per le sue scenate da primadonna ». Ricordava ancora quando Tomaso era rimasto pressoché traumatizzato da uno dei suoi melodrammi, anche se poi l’umano si era rivelato un vero cretino. « Credo che abbia dei problemi nel gestire le emozioni e che quindi le tramuti tutte in rabbia » disse dopo due tiri di pipa. « Ha dei problemi incurabili, Ozi, mentali » disse Norma. « Ognuno di noi ha dei problemi » filosofeggiò. « Perché ti comporti sempre come se sapessi qualcosa in più che nessun altro sa? » « Perché sono più grande. Comunque, credo che le liti in famiglia vadano sanate, quindi sta sera fate pace » disse schioccandole un bacio sui capelli. Ecco perché Osiride era il suo fratello preferito. Il primo frangiossa si presentò alle tre di notte. La sua sagoma era bianca e ricordava in tutto e per tutto un umano se non per la sua schiena che terminava in una coda di coccodrillo, anch’essa albina, ed i suoi occhi, piccolissimi e neri. « Osssiride » sibilò con una lingua da serpente. « Mark » disse a mo’ di saluto. « Sssiamo venuti a prendere la lisssta ». Gliela porse e il frangi ossa lesse avidamente i nomi che oramai conosceva a memoria, che erano sempre gli stessi. « Noi restiamo nei paraggi per controllare che non infrangiate il patto » asserì Osiride. Di solito Mark era piuttosto fedele agli accordi, ma molti dei suoi no ed era necessario sincerarsi che non deviassero dalla lista. A Norma piangeva sempre un po’ il cuore a pensare che ogni sera almeno tre persone venivano disossate per nutrire i frangiossa, ma poi pensava a Colette, con il suo potere da anestesista, la dolce e materna Colette che, spinta dalla pietà, si era offerta di seguire i frangiossa e uccidere col cloroformio le vittime, così che non provassero dolore. Talvolta di notte sentiva la sua pseudo sorella gridare, sentiva Ivan che cercava di calmarla riempendola di baci e alcune notti sentiva Sarpedonte vomitare. Si era sempre chiesta se avesse mai visto cosa faceva Colette o se semplicemente fosse tutta una coincidenza. Non riusciva comunque a provare pietà per il suo pseudo fratello; era convinta che, se lui fosse stato un frangiossa, non avrebbe mai rispettato alcun accordo. L’alba sorse pigra e tenue sul mare, accendendolo di bagliori rossicci. Come ogni Sabato mattina, Colette si presentò a casa con il volto pallido come uno straccio, Sarpedonte si chiuse nella sua camera sbattendo la porta. Norma stava per ritirarsi in camera sua, ma Osiride le ricordò il discorsetto della sera prima con un cenno. Entrò senza bussare nella camera del nero velenifero che, proprio come i suoi occhi, era scura. Le pareti erano color petrolio, fogli sparsi intorno ad un lettore cd invadevano ogni angolo della scrivania, il rumore della doccia sembrava cullare quell’antro denso di oscurità. Ovviamente si era lamentata anche di questo: perché solo lui doveva godere del bagno privato in camera? La risposta le affiorò veloce sulle labbra: perché era un ragazzetto ribelle e capriccioso. Aspettò seduta sul suo letto che finisse la doccia, sfogliando distrattamente una rivista di medicina, perché lui, in fondo, anche se detestava ammetterlo, era intelligente. Pile e pile di libri di medicina e anatomia invadevano ogni angolo della libreria, assieme a libri propedeutici all’apprendimento di svariate lingue: russo, francese, svedese, greco antico, latino, ebraico. Non gli aveva mai chiesto se davvero sapesse parlarle, ma era sicura che sì, che ne fosse perfettamente in grado. Fissare tutti quei tomi le faceva salire la rabbia, una rabbia questa volta dettata dalla vergogna perché lui, così colto, aveva rinunciato ad andare all’università; le quote per mantenere due persone loro non le avevano e così aveva preferito che la frequentasse lei – anche se il termine frequentare era sopravalutato -, naturalmente infilandoci sopra una frase sprezzante, del tipo “io posso imparare tutto da solo, Norma ha bisogno di una guida”. Un vero gentleman, insomma. Uscì dal bagno con un pigiamino veramente poco cazzuto per uno come lui, a righe verdi e gialle, con dei cactus sui pantaloni. Naturalmente un regalo di Colette. « Oh, non si usa più bussare? » chiese irritato, come se avesse qualcosa di serio da nascondere. In estate andavano ai laghetti a fare il bagno nudi tutti e sei, pertanto era assurda la regola del bussare che Sarpedonte si ostinava a sbandierare. « Osiride mi ha intimato di riportare la quiete in famiglia » era una frase abbastanza di rito, anche perché queste loro sedute di riflessione all’alba, volute da Ozi, avvenivano tipo una volta al mese. Stava per fare un’uscita piccata delle sue quando all’improvviso divenne pallido come un lenzuolo e si bloccò. « Sarp? » Si prese la testa tra le mani e si graffiò il viso con le unghie, si incise la pelle, e continuò a graffiarsi, a scuotere la testa, sbattendo contro i mobili. Norma aveva paura, non aveva mai visto prima nulla del genere, nulla di così serio, questo era il solo termine che le veniva in mente. Per un secondo accantonò la lite col fratello. « Vattene » riuscì lui a dire. « Sarp siediti » « Devi andartene » « Voglio solo aiutarti » Fu allora che Osiride entrò in camera come un tornado « Per favore Norma, va’ a dormire ». Rimase sbalordita ancora per tre secondi buoni prima di uscire e di sentire che Sarpedonte stava vomitando l’anima. Certo, sapeva che erano cose che accadevano, certo, sapeva che era debole di stomaco. Ma non lo aveva mai visto accadere in prima persona. E non aveva nemmeno mai sentito Colette urlare così tanto.
   
 
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